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Progetto Le Macchie Eventi Links Stampa |
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Chiunque può contribuire
al Progetto Rorschach. ![]() Una squallida storia “anti-grammaticale” d’amore, morte
e cosmopoliti fumatori.
1) Nel lontano Rio Bravo una giovane indiana era intenta nell’astuta operazione intitolata “Missione goldfinger”. La giovane indiana era ben fornita di Dolce Forno, quello che usano le bambine indiane per cucinare dolci, patate e scaloppine di plastica. La figlia della giovane indiana, un’indiana trapiantata in loco decenni prima, vinse, il giorno precedente, il terno a lotto sulla ruota di Bari ed il ristorante cinese “La Cina è vicina al Cinavillage” (insegna devoluta da Monsignor. Teodoro Alfieri cavaliere del lavoro e fondatore, insieme alla cognata Nicoletta degli Esposti, dell’insuccesso editoriale dell’anno: Enigmi Settimanali) vinse, si diceva, un lettore dvd compreso di spina e pile stile per il telecomando non incluso. La giovane indiana non aveva mai vinto niente prima d’ora, il suo gatto ne prese atto tristemente. 2) In quel tempo, la madre, ovvero la giovane indiana intenta ancora nell’operazione di 007, annuì un dolce dolore allo stomaco destro, una fitta acuta come un pezzo di vetro macchiato di sangue nobile, una loffa intestinale che la costrinse ad ammutinare il polmone rimanente e sporco di catrame nero. Tre mesi prima aveva sofferto di questo dilemma: comprarsi una casa in riva al mare o pagare l’affitto per una palafitta? La giovane indiana terminò la sua inutile esistenza con questo dubbio. Emanò un breve urlo consolatorio che fu udito dalla figlia non vedente che stava masticando pezzi di plastica a forma di cotoletta alla milanese “Very good and now suck my dick!” le disse il cugino, un nero dalla pelle scura nato nel carcere di San Pietro Burgo, proprio nel giorno del suo compleanno. La radio trasmetteva “Xverso”. 3) La figlia della giovane indiana rispose prontamente: “Come ti permetti?! Non senti che my mater sta male? Ingrato pervertito! Solo perché sei mio parente non è detto che debba succhiarti il testacchio!” e i due risero a crepapelle, lei masticando, lui con un erezione allucinante ed imbarazzante. Infastiditi dalle urla della madre e della zia, si recarono, non senza calpestare involontariamente tre formiche anarchiche, nella stanza adiacente: la zia stava praticando la respirazione bocca a bocca alla madre della giovane che, sfortunatamente era deceduta da ormai 33 secondi netti. “She’s death!” dissero. Non è possibile! Ho vinto il lettore dvd da poco! It’s impossible!” E la zia prese tra le braccia la figlia della giovane indiana e la consolò piangendo e bagnandole la chioma castana tinta con l’Ennè. 4) La bocca dell’ex giovane indiana era paralizzata e semi aperta, una zanzara le fece una puntura sulla tonsilla. Un acido puzzo di urina, feci e cabina elettorale stimolò la figlia che cominciò a succhiare il latte dalla zia mulatta del cugino. “Figlia mia!” disse lei con le lacrime all’occhio. Il latte colava dal seno saporito dell’orba. Il cugino nero non poté non eccitarsi davanti a tale scena. Il suo pene era in erezione ormai da sei giorni, con conseguenti problemi nel dormire e nel girovagare in piazza. La poppata terminò e due giorni dopo venne celebrato il funerale della giovane indiana nella chiesa del Rio Bravo. La bara in legno massiccio, venne acquistata usata al mercatino della Memoria di Latina. I presenti erano discretamente tristi, gli assenti sufficientemente indifferenti, il prete portò ritardo di tre minuti e si scusò. 5) Anche il diretto Cisterna-Rio Bravo portò ritardo, ma questi non aveva né biglietto né soldi e Aristide dovette pagargli la multa. Aristide e Ritardo giunsero in chiesa mentre scorrevano i titoli di coda. Il chierichetto all’entrata li invitò gentilmente di attendere l’inizio del funerale successivo. Nacque una lite che prontamente venne battezzata con olio di ricino. Lite smise di piangere ed iniziò ad eseguire qualsiasi ordine gli veniva imposto. I presenti inventarono perciò il gioco del “zittoemuto-nonpensarecipensoio”. I convenuti al funerale decisero di recarsi a casa della defunta e cominciarono: “Fai una trottola!” e la pupa trottolò. “Dai un pizzico alla padrona di casa!” e la pupa si recò al cimitero, scavò per terra, aprì la bara, pizzicò la giovane indiana, richiuse la bara, risistemò il terreno e ritornò a casa. 6) Il gioco continuò per altre due ore circa. Il clima d’ilarità prese ad imitare la defunta e svanì lentamente, alcuni presenti intrattenevano con i vicini, discussioni filosofiche riguardo il rapporto tra confetti alle mandorle e confetti Falqui, finché Aristide non disse alla pupa: “Bevi questo!” e la pupa bevve la vodka tutta d’un fiato. “Mangia quello!” e la pupa si avvicinò all’acquario, prese un pesciolino, lo mise in bocca e lo ingoiò ancora vivo. Un sorriso di bimba apparve sul volto di Lite. “Buttati dal balcone!” e la pupa ubriaca e sazia si gettò dal settimo piano del palazzo e non ritornò più. Tutti a ridere a crepapelle, tranne il proprietario della Panda parcheggiata sotto il balcone. L’unica frase consolatoria che riuscì a dire fu: “Il vetro non è un problema, il tettuccio mi costerà caro… ma per fortuna la vernice era rossa!”. 7) Il bulbo oculare di Lite, a causa dell’impatto, schizzò in bocca al barbone Egidio Candio che esclamò: “Finalmente si mangia!”. Il signor Candio divenne un senza-tetto in seguito alla caduta del muro di Berlino che per sbaglio gli distrusse la casa. Viveva da solo, la moglie lo abbandonò tre giorni dopo il matrimonio urlandogli: “Impotente tre alla seconda, voglio vedere i miei figli! Voglio proprio vedere dove vai a finire! Senza Vitasnella in offerta speciale! Ho condiviso il Condiriso con te e più non posso!”. Egidio non fece in tempo a capire. La donna era sparita e si ritrovò solo, in compagnia di una scatoletta di tonno al naturale. Giorni tristi. Giorni amari. Il signor Candio arrivò a mercificare il suo corpo in cambio di 50 euro. In una notte di luna piena l’avvocato Giugliemi lo sodomizzò ed in cambio ricevette 100 euro falsi. 8) Giugno è alle porte, l’afa s’insinua sotto le gonne dei viados milanesi, il pappone guadagna di più, risparmiando cocaina per le troie notturne e di conseguenza il pusher calabrese è costretto a smerciare più fumo del solito. Per fortuna il gruppo di amici organizzò un falò sulla spiaggia. La figlia della giovane indiana portò il fumo, il cugino nero le cartine, la zia le sigarette, Aristide la birra, Ritardo i superalcolici, il chierichetto il vino, i convenuti al funerale bicchieri e fazzoletti, Egidio niente, la sua ex moglie un fustino di Dixan, l’avvocato Guglielmi i preservativi, i viados milanesi i jambè, il pappone sei angurie, le troie notturne il rosario, il pusher calabrese il televisore portatile. Quella notte Rete4 trasmetteva “8 ½” di Fellini. Le onde del mare non disturbarono la visione del film, la pubblicità ci riuscì benissimo. 8½) La congrega di amici si addormentò sulla spiaggia. Il primo a svegliarsi fu Egidio che fece accomodare la luce nei neuroni, si sollevò e si gettò in mare con la disinvoltura di un coccodrillo. Immerse il capo nell’acqua e ritornò dagli amici dormienti. Sorseggiò l’ultima birra, baciò sulla fronte l’ex moglie, sfiorò le sue labbra con le dita e si diresse verso la stazione con l’innocenza dello scorrere di un fiume. Fine Angelo Zabaglio e Andrea Coffami (ringraziamo gli Squallor e Federico
Fellini)
Un mare di solitudine ventosa si stende accanto alla spiaggia delle folaghe.
Il volto d'Apollo compare attraverso la pozza santa a tentarmi.
Più bello di ogni bellezza m'irride.
Il vento che passa, ferito, tra le mie dita, m'irride.
Il mondo mi guarda ,la compassione negl'occhi: ragazza magra, oggetto d'un amore divino, un gelsomino dal profumo d'ambra gualcita, che non cercava né fama né scienza.
Altro cercavo!, ma non il dolore di quell'immagine adamantina, così irrealmente al di là di ogni bellezza del bello da uccidere tutti i desideri dell'anima, tutti i ricordi, per renderti tabula rasa per lui.
Ho rifiutato la vita del Dio, per non essere mai ancella di nessun Signore né vivere giorno per giorno scorgendo i teschi sotto la carne degl'altri.
Mi ritrovo adesso a sguazzare in un premeditato silenzio attraverso le autostrade del tempo, cieca ad ogni emozione, preda del ritmo di una musica senza note che guida le percezioni tra lamine e fori, tra fulgori e confusi tremori, inscritti nella polvere cosmica, sperma dei mondi.
Ah! Apollo!, venerato Dio di tutta la città!
Mi consacrarono a Te nel tempio alla spiaggia.
BELLO!, cinto di rami celesti, mi guardasti già là, nella zona dove il confine del sogno brucia tutti i credenti.
Ero una magra ragazza, che nessuno sfiorava, incapace di tutto, se non di nominare le Cose.
Mi stavano stretti la reggia ed il tempio.
Volevo la spiaggia.
Volevo cambiare la vita di noi, donne dell'harem di Priamo.
Mi servivo delle parole per raccontare un disagio: il disagio di chi, pur sapendo da sempre dare il nome alle Cose del mondo, è colpevole di tradimento anche solo ad alzare lo sguardo.
Per questo non volevo l'amore di un uomo, per combattere la mia battaglia di pace.
Cercavo la via per togliere il velo alle donne, superare i confini, allentare tutti i dominî .
Già allora mi pensavano pazza o strega di erba!
Perciò mi consacrarono al Dio: una magra ragazza che vuol essere un uomo.
E Lui, là fin dall'inizio, dietro le tende e le colonne nell'aria, ascoltando questa donna così piena di spigoli, mi volle, alla fine, solo per curiosità.
Lo vidi venire in un'alba d'ambrosia, sicuro e beffardo, senza ironia: mi sembrò sulle prime un uomo di Troia, un angelo nero già pronto a ghermirmi.
Feci aria nei miei pensieri. Alzai in volo la mente per staccarla dal corpo e impedire alla guerra di entrarmi nel ventre.
Invece Lui avanzò maestoso, insieme ad una promessa d'estate.
POI MI GUARDO'.
Ed io, già pronta a fuggire, mi chiedo adesso come farò a dimenticare.
Fu come accendere il giorno di notte.
Fu come l'amore consumato in un prato di lamiera.
Fu come uscire gelati dal fuoco.
Fu come essere il guanto dell'anima del mondo.
Fu come essere il sinolo della somma sostanza.
Fu come se intere esperienze di vita si fondessero insieme per generare un'unica essenza da mille moltitudini.
Fu come percepire la forma ultima di un soffio di vento.
Fu come un intatto ritorno.
Fu come un giorno nuovo.
Fu come una scultura di luce coerente solo a se stessa.
Fu come fiutare il profumo dell'Arte assoluta.
Fu come aprire ogni poro all'inizio del mondo.
Fu come vedere la rosa perfetta.
Fu come gustare la creazione degli atomi primi.
Fu come udire tutto il visibile farsi palpabile onda.
Mi fissò, occhidritti, sputandomi in bocca il suo vero nome: buio d'estate, tempo appassito, nulla di troppo, appena toccandomi il labbro con il suo essere eterno di polvere d'oro, pieno di tutti gli uomini, di tutte le finzioni possibili, di tutti i fruscii suonati fino alla fine dei giorni, di tutte le voluttà di colore gettate da ogni Van Gogh.
Fu come superare i limiti stessi imposti dalla metrica arcana di Lui in un palpito di profumo vitale.
Fu come una tentazione di pianto.
Fu Lui, l'ineffabilmente bello, Lui, che conteneva un intero universo e i confusi sussurri di tutte le voci, che mi lambì in un stante il poco del cuore che avevo.
CANNIBALE, mi divorò fino all'ultimo ganglio spinale.
Mi annichilì la follia e così, ubriaca e commossa, di Te, oh, mio Apollo, nudo, steso sulla terrazza del mare, aperto e disposto verso ogni mio sussulto animale,
NON RIUSCII, NON RIUSCII, NON RIUSCII, NON RIUSCII, NON RIUSCII
a percorrerti tutto!
Mi scostai, sublimata, in quella che fu una volontaria mutilazione d'amore.
Essere ed alzarti, Signore del cielo, fu un attimo unico, enorme gargoille di nuvola bianca, il viso, più bello del bello, avvolto di marcescente silenzio, elargente ogni possibile occhiata sul mondo a me, sola, tra tutte l'unica che non hai posseduto, poichè fosti la stella che sei e bruciasti nel fuoco qualunque mia intenzione di Te.
I sentieri del Tempo, adesso, davanti a me, si snodano, infiniti.
Ogni giorno mi hai, tuo vaso -vasus divinae gratiae, rosa misticha, sedes sapientiae, salus infirmorum, refugium peccatorum, turris eburnea, orapronobis-
corda d'arpa che Tu suoni in vibrazioni di matematica misura.
Nessuno mi crede.
Nessuno ha memoria.
Così, come un'anima resa libera dalla visione, solo io so leggere il presente per predire il futuro.
IO, LIBERA DENTRO, in mezzo alle mille evidenze dei media, IO VEDO:
Passerò nella storia come meteora di ghiaccio e di fuoco. Non sarà la mannaia Clitemnestra ad annientarmi.
Per chiunque sarò l'intuizione del dio, la formula trovata, l'eureka dell'intelligenza cui seguirà, inevitabile, il rogo, per aver cercato di ardire l'ignoto.
Inquisizioni e sovrani, religioni e partiti, multinazionali e televisioni, tutti hanno scritto il loro nome sul volto stupendo del Lossia."
![]() - Savvatoreee, Savvato’! La posso buttare via questa bandiera? - Mammà, ma tu si’ scema?! Quella è la bandiera della pace, ci sta pure scritto. - Ma la guerra è finita, no? Non serve più. E’ diventata una mappina fetente fuori dal balcone. - Mammà, ma se scoppia n’ata guerra? Lavala e mettila in un cassetto che non si può mai sapere.
Poco più di un anno dopo
- Mammà, dove sta la bandiera della pace? - Gesù, Savvato’, e io che ne so? - Mammà, l’hai messa via tu quando l’hai lavata. Ora serve di nuovo, c’è un’altra grande manifestazione per la pace. - Devi vedere dentro alla cassa di zio Tommaso. - Ma hai idea di che bordello ci sta in quella cassa, mammà? Ci stanno piumoni, maglie di lana, lenzuola... - E tu pigliati un lenzuolo, non è buono? Tu fai tipo “bandiera bianca” della pace. - Che ci azzecca? La bandiera bianca serve se uno si deve arrendere. A me serve quella originale-arcobaleno!
Ma tu guarda quanto tempo devo perdere... quanta roba inutile e vecchia: invece di buttarla se la conserva... Mammà, che cos’è questa agenda con la copertina di pelle che sta nella cassa? - Savvatò, non gridare e vieni a parlare di qua che ho l’acqua del rubinetto nelle orecchie e nun ti sento. - Guarda cosa ho trovato: è un’agenda del 1972, è piena di ricette di cucina. Zio Tommaso era bravo a cucinare, eh? - Ah, stava sempre lui ai fornelli, era un poeta della tavola. Diceva zia Assuntina che lui l’aveva conquistata con un piatto segreto che aveva inventato sotto le bombe nel 1943. Forse sarà stata anche la fame del dopoguerra, ma sicuramente Tommaso faceva nu spaghetto che era n’opera d’arte, me lo ricordo bene. E se lo ricorda bene anche tuo padre, tu sei stato criato con l’aiuto di uno spaghetto di zio Tommaso... Ma non ha mai detto a nessuno come si preparava. Alcuni ingredienti si coglievano chiaramente, ma c’era qualcosa che... che lo rendeva diverso. Tu li chiamavi “zii” a lui e alla moglie Assuntina, ma erano dei vicini di casa, te lo ricordi? - Sì, ma a me sembravano veramente come degli zii… - Qui nell’agenda? ...azz, mammà, e qui ci sta davvero! - Sì, eccola qua, scritta da lui, si intitola: “ricetta segreta”.
Sarà questa!!! - Allora: mettere olio in una zuppiera, aggiungere aglio tagliato a pezzetti e prezzemolo tritato. Colare gli spaghetti al dente e versarli nella zuppiera. Girare il tutto e aggiungere l’ingrediente segreto. Azz’, ma’! Non si capiscono le quantità e, soprattutto, che cazz’è st’ingrediente segreto? - E tu fallo lo stesso così com’è scritto là dentro… che importa se manca una cosa?. - Che ci azzecca, mammà, è come se tu per esempio dalla bandiera arcobaleno della pace ci togliessi il giallo… No-o, mo’ devo sapere, devo capire e devo assaggiare. Stai a vedere che magari una di queste sere lo preparo a Mariella e quella mi cade tra le braccia come ha fatto zia Assuntina con zio Tommaso… - E tu ca nun sai fa’ neanche pane e nutella vorresti fare lo spaghetto di zio Tommaso? Savvatò, ma vafangulo, va! - Nun esiste, mammà, come devo fare per sbrogliare ‘sta matassa? Voglio la ricetta completa-precisa. - L’unica speranza è parlare con zia Assuntina, magari lei se lo ricorda, anche se questa è storia di 20 anni fa. - Ma dove la trovo? - Hmmm, e dove sta questa casa di riposo?
Uscita Caserta nord, mi faccio tutto il vialone come ha detto mamma. A destra e poi fino alla curva Dietro la curva... eccola: Villa Paradiso, che tristezza stu posto, a cominciare dal nome.
- La signora Assuntina Iazzetta, gentilmente... - Assuntina “Chi”? - Assunta Iazzetta. - Sì, ho capito, ma qui la chiamiamo Assuntina-Chi perché non ci sta più tanto con la testa e non riconosce nessuno. - Ah, così stanno le cose? Girate là a destra e andate all’ultima stanza, subito dopo il termosifone che perde. La stanza da dove sentite uscire le bestemmie, sta là!
- Andiamo bene... Assunti’, buongiorno, come state? Vi ricordate di me? Sono il figlio di Nunziatina. - Nunziatina chi? - Assunti’, sono Salvatore, il figlio di Nunzia. Abitavate a fianco a me, a Napoli, quando c’era ancora la buonanima di vostro marito Tommaso. - Tommaso chi? - Oh madonna mia, Assunti’, vi ricordate di Nunzia, Nun-zia. Abitava a fianco a voi, io sono il figlio. - Il figlio di chi? - Sentite, Assunti’, allora, vostro marito Tommaso faceva degli spaghetti meravigliosi, vi ricordate la ricetta? Provateci. - Tommaso mio? Eh… sì. Tommaso era bravo a fare un piatto che era una poesia in bocca. Erano spaghetti, una cosa che scendeva dalla bocca allo stomaco e faceva partire nu sentimento che arrivava fino o’ core. Uno che era capace di fare una cosa tanto buona mi doveva per forza amare assai, o no? Una magia… vi faceva scordare qualunque guaio. - Ecco, perfetto, vi ricordate come li preparava? Quanto olio metteva,
Assunti’ ? - E poi? Quanto aglio tagliuzzava? - Poi tritava il prezzemolo fresco? - Assunti’, per l’amore di Dio, quale ingrediente aggiungeva prima di servire gli spaghetti la buonanima di vostro marito Tommaso??? - Tommaso chi?
Perugia, 16 novembre 2000 E’ venerdì. Sono le 4 di notte e non ho sonno.
Perugia, 28 settembre 2000 Garmish, 6 ottobre 2000
La giornata era cominciata nel migliore dei modi: attesa minima alla fermata,
autobus semivuoto, libro avvincente tra le mani. E silenzio. ![]() “La pazzia è una forma di normalità” …e tutto accadde dopo un Bang!
L’inganno dei miei stanchi occhi che credono io non riconosca questo
scorcio che somiglia a quello che si può ammirare dall’alto
della duna di Su Giudeu, la duna di Chia che da un lato guarda all’isolotto
scuro come il miraggio di una testuggine gigante che quieta si allontana
dal mondo degli uomini e dall’altro volge a est, ricongiungendo questo
lembo di terra alla spiaggia del Morto, il luogo in cui a lungo ho riflettuto
sugli sbagli che ho commesso nella mia vita, disteso su quella sabbia dorata
che ha la capacità di riportarmi ai granelli di una vita passati
con te babbo, e con tutte le cose che ci siamo detti e che vorremo dirci
per sempre ancora. Un ragazzo, con un borsone da palestra, salì dietro di lei. L’autobus
ripartì mentre lentamente la piccola folla di persone, che erano
appena salite, obliteravano il biglietto. Venne il turno di Luna che guardava
ogni cosa con occhi stupiti. - In una lepre entrerò gemendo …….affanno e dolore patirò e nel nome del demonio andrò . Si finchè a casa non tornerò. – Crocifissa canticchiò queste parole che aveva sentito chissà
dove, ignorandone il significato e guardando intensamente un surfista abbronzato
che scivolò poco dopo. Era sdraiata sul suo stuoino di cocco sistemato
ai limiti del bagnasciuga ,godendosi in santa pace la domenica ventosa.
Il nostro corpo riceve la vita dal profondo del nulla. Esistere dove non vi è nulla è il significato della frase: "La forma è vuoto". Il fatto che tutte le cose traggono sostentamento dal nulla è il senso del motto: "Il vuoto è la forma". Sarebbe errato pensare che si tratti di due concetti distinti. (HAGAKURE; II, 31)
Si era spogliato anche lui ed ora si stava dirigendo verso il bagno, aveva chiuso gli occhi e cercava di dilatare i pori della pelle per sentire il più intensamente possibile i profumi, il calore e l'umido che stava proveniendo dalla vasca fumante ed odorosa. Profumi di malva e di timo lo rendevano il protagonista di fiabe esotiche, che bella idea e quel delicato profumo di cocco, che bei ricordi.
Lucio lacrimava di una disperata felicità, oltre la soglia del del bagno c'era il suo deiderio. Passo dopo passo sentiva nelle sue mani crescere energia era una potenza incontrollabile così univocamente forte da miscelare istinti killer ed istinti suicidi, istinti creativi ed istinti generativi: era energia d'amore.
Il suo adorato amore era finalmente tornato e non appena aveva incrociato il suo sguardo aveva, in un istante, ripercorso quei sette mesi di cinque anni prima in cui si era scoperto, in cui aveva ricostruito se stesso, in cui aveva liberato e conosciuto il vero Lucio.
Mentre stava camminando lungo il corridoio riviveva quegli splendidi momenti passati, trascorsi con il suo amore. Nonostante i tanti anni la memoria non aveva concellato neanche il minimo odore e la più insignificante immagine.
Il ricordo allora lo riportò in dietro nel tempo e si trovò di nuovo seduto in quel pub così affollato immerso nella contemplazione di una figura, di una voce e di un suono che lo aveva catturato non appena era cominciato il concerto. Riusciva addirittura a sentire ancora una volta il delicatissimo profumo di cocco che quel corpo sprigionava e che si faceva spazio fra l'odore di fritto e di fumo del locale. Il suo amore, quello che -al tempo- súbito si rese conto sarebbe stato il suo amore, indossava, lo ricordava benissimo, dei pantaloni neri e stretti, che tuttavia si allargavano leggermente alle estremità ed un'attillatissima maglietta nera con delle imprecettibili strisce bianche che ne sottolineavano la longilineità delle forme. C'erano volute ben due canzoni, dieci minuti circa, un'eternità, poi finalmente era riuscito ad incrociare il suo sguardo e da lì in poi non avevano più smesso di attrarsi.
Il pub, in quell'ora e mezza di suoni e melodie, era diventato il loro mare, il loro sole, la loro aria, il loro spazio infinito: solo loro due. Era lì che ammirava il suo splendido amore che ballava ed ancheggiava, che si strusciava all'asta del microfono, che si avvolgeva in quell'allettante boa di pelo fucsia e rosso cantando parole che man mano uscivano da quella splendida bocca e gli si conficcavano nella testa, definitivamente.
Lucio stava camminando lungo il corridoio dell'appartamento, ricordava e sognava.
Poi era finito il concerto, quella divina figura amorosa era scesa dal palco senza mai distogliergli lo sguardo con i suoi occhi profondi, quegli occhi parlanti gli dicevano che loro due erano uguali, erano nati ed erano stati creati per vivere insieme.
Quando si è determinati, l'impossibile non esiste: allora si possono muovere cielo e terra. Ma quando l'uomo è privo di coraggio, non può persuadersene. Muovere cielo e terra senza sforzo è una semplice questione di concentrazione. (HAGAKURE; I, 144)
Quella galassia amorosa, Lucio era già chiaramente certo di aver disvelato e trovato il vero amore, si avvicinava, più la distanza diminuiva più l'adrenalina cresceva. Quando furono vicinissimi si baciarono. Si erano già detti tutto.
Fu il bacio più appassionato, più intenso, più coinvolgente che chiunque avesse mai provato o anche solo cercato di immaginare. Per un secondo anche tutti i clienti del pub furono costretti a non muoversi, senza capire il perchè sentirono una potenza energetica che per un istante li colpì e che per quell'istante non gli permise di parlare e di respirare.
Lucio finalmente raggiunse la porta del bagno, la aprì: che splendore!!!
Dopo cinque anni poteva di nuovo ammirare ed adorare quel corpo, quella pelle delicatissima e luminosa; poteva celebrare le stupende forme del suo amore; poteva assaporarne il sapore e sentirne il profumo.
Il suo amore era lì, Lucio si avvicinò, si ingionocchiò ponendo i gomiti sul bordo della vasca cominciando, così, ad osservare quella fantastica creatura con lo sguardo che solo un dio ha il diritto di ricevere. Solo dopo quel breve istante di ebbrezza trovò la forza di cominciare una lenta e lussuriosa carezza: il suo naso, le sue labbra e quel magnifico petto. La pelle era così liscia ed il corpo così ben modellato e proporzionato da lasciare chiunque senza fiato. Dolci, dolcissime carezze che si prendono ogni minuscola parte del corpo; Lucio ne voleva sempre di più: quelle cosce così sode, i piedi perfetti, le caviglie sottili.
Quando arrivò a toccare il sesso. Lucio ebbe un fremito...quasi un orgasmo. Gli passarono davanti agli occhi le mille e mille volte che avevano fatto l'amore, le mille carezze, i mille baci. In piena estasi, ma recuperando un po' di controllo Lucio sfiorò quello strumento di piacere, con un movimento felino si chinò e lo baciò: era profumato e saporito. Voleva magiare quel frutto di lussuria così tirò fuori la lingua che si avvilupò, si inserì, si soffermò e poi riprese vorticosa la sua opera. Sentiva tutti i brividi che ogni sua azione riusciva a stimolare in quella fonte del suo desiderio e ad ogni contrazione Lucio provava a sua volta un piacere centuplicato.
L'eccitazione stava raggiungendo i culmini che ben ricordava. Mentre si dedicava con passione a quell'opera di sopraffina lussuria riusciva anche ad immaginarsi dall'esterno come se fosse un terzo spettatore: lui inginocchiato di fianco alla vasca che dava e prendeva piacere, con quell'acqua profumata da sali indiani che tiepida gli carezzava il volto e gli allargava le narici.
Il solo pensiero di quella scena permise alla sua eccitazione di trasformarsi in orgasmo. Tuttavia, allo stesso tempo, si rese conto che ancora una volta quello statuairo fisico e l'immenso piacere di erotismo sensoriale che gli si diffondeva lungo tutto il suo corpo lo stavano facendo soccombere, quel pene lo stava ancora una volta ammansendo. Lucio ebbe finalmente chiaro, come mai lo aveva avuto, che quel membro era lo specchio dell'anima di Antonio: era affabile, ma potente.
Continuò quella masturbazione così felina, aggrazziata e allo stesso tempo violentemente ed eroticamente pornografica. Nonostante i pensieri che gli si stavano ammucchiando nel cervello non avrebbe mai potuto fermarsi, non era in grado di arrestare quel piacere che si stava concedendo. La mano destra che fino a quel momento aveva cercato di apprezzare tutti i lineamenti del torace e dell'addome di Antonio, delicatamente si sollevò e andò a carezzargli il capo.
Finalmente Antonio aprì gli occhi ed i due amanti si guardarono. Lucio comprese, allora, che il suo rancore non era più semplicemente la ragione per quello che i suoi stimoli celebrali gli stavano suggerendo di fare, quel rancore, adesso, era una necessità di sopravvivenza. I capelli di Antonio vennero afferrati e chiusi nella presa decisa di Lucio.
Il braccio era forte, il braccio spinse giù: uno, due, tre, quattro, cinque, sei secondi.
Antonio scosso dal repentino e deciso movimento del suo amante e nell'impossibilità di respirare si dibatteva maldestramente dentro la vasca, anche perchè la mano sinistra di Lucio continuava, dopo il gesto d'affondo, a cercare l'orgasmo del compagno. Poi finalmente il braccio gli permise di riemergere.
-Mah!!!-
-Zitto!!!- gli impose Lucio, -Ti ricordi quello che mi dicevi? "Un ragazzo ricevute le appassionate lodi del suo compagno si trasforma in un narciso sognante, tu lo sei per me ed io lo sono per te". Ricordi?-
Giù: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici secondi. Respirare.
-Ed io ti rispondevo, ti ricordi cosa ti rispondevo? "Sei il mio angelo che distrugge ogni differenza tra carne e spirito. Sei la mia teologia orientale, la cosmologia Maya, sei le divinità nativo-americane, sei Dio. Sei la mia sensualità religiosa".-
La mano carezzava il pene che pur nello sconquasso psicologico e fisico di Antonio non accennava a sparire, pretendeva sempre più il suo orgasmo e la sua felicità. Quegli stimoli passarono dal sesso nerboruto di Antonio direttamente nella mano di Lucio che essa stessa era ormai divenuta sesso. La bocca allora si mosse automaticamente e cominciò di nuovo a baciare, leccare e assaporare quel lussureggiante cibo; pian piano quella fameliche labbra si scostarono e vollero di nuovo baciare il petto ed i capezzoli del loro amante giungendo infine alla bocca di Antonio dove vi si soffermarono solo per un repentino istante.
Giù: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici secondi. Respirare ancora.
-Dopo aver fatto l'amore sognavamo che la nostra unione sarebbe stata il fuoco della rivoluzione, della battaglia finale nella quale l'assioma che l'uomo ama l'uomo avrebbe spodestato il vecchio assioma per cui l'uomo ama la donna-.
Specchio dell'anima di Antonio, il membro tra le dita di Lucio ormai sembrava miglia e miglia distante dalla tragedia che si stava consumando in quel piccolo bagno, continuava a desiderare solo di essere felice. L'attività lussuriosa della mano-sesso di Lucio continuava delicata e determinata, come se comprendesse a pieno i desideri che gli venivano comunicati; metodica ed emotiva continuava il suo lavoro-piacere automaticamente senza necessità che il cervello, occupato ad elaborare ben altro, dovesse indicare ai muscoli come e quando muoversi.
La scena che si stava svolgendo in quell'appartamento era la trasfigurazione pratica dell'insanabile conflitto interiore che era scoppiato all'interno del corpo e della mente di Lucio il quale stava vivendo l'Amore, l'unico vero amore della sua vita e l'Odio, l'unico vero odio della sua vita.
....dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette secondi. Respirare, respirare.
-Amore mio, mio dolcissimo amore, ricordi? Ci saremmo sposati, contro tutto e contro molti. Mi addormentavo sul tuo petto vigoroso mentre mi raccontavi la favola della nostra vita-.
Lucio, quasi catapultato in quella situazione che la sua mente stava disegnando davanti ai suoi occhi sognanti, sorrise per un attimo e arrossì. -Ricordi talvolta che mi accadeva? Nell'udire quella splendida favola il mio pene cominciava a crescere e allora tu me lo accarezzavi dolcemente e rivolgendoti a lui come se fosse una persona continuavi allegramente il racconto, il romanzo della nostra vita-
Di nuovo il braccio si irrigidì, contrasse i muscoli e spinse verso il basso e intanto la mano sinistra continuava la sua amorosa opera di passione.
....sedici, diciassette, diciotto, dicannove, venti secondi. Respirare ancora.
La testa venne risollevata e fatta emergere dall'acqua per l'ennesima volta. Lucio questa volta non aprì bocca, non fiatò. Il respiro affannosso di Antonio dominava la stanza da bagno, rimbombava come se tutto il mobilio fosse stato portato via. Antonio guardò negli occhi il suo amante, osservò bene quelle luci che ora non riuscivano ad esprimenre più nessun sentimento determinato: non odio, non rabbia; non paura, non vendetta; non tristezza, non felicità. Forse, riuscì a pensare nonostante lo stato confusionale in cui si trovava e quasi alle soglie di un inconcepibile ed incomprensibile orgasmo tanto testardamente voluto dal suo pene e tanto caparbiamente cercato da Lucio, quegli occhi riuscivano a comunicare impercettibilemente uno stato di rassegnazione. Anche Lucio cercava di ossevare lo sguardo del suo amore e comprese che oltre quegli occhi si celava un'immensità d'amore. Solo lui aveva conosciuto un sentimento così forte, quell'amore che non poteva essere controllato, non poteva in alcun modo essere nascosto, che non poteva essere dominato. Quell'amore che se ti colpisce non gli puoi più sfuggire, puoi solo violentarlo.
L'amore più profondo è l'amore nascosto. La poesia dice: "Alla mia morte dal fumo conoscerai il mio amore, mai espresso e tenuto celato nel mio cuore". Chi esprime il suo amore prima di morire, non ama profondamente. Solo l'amore che rimane celato fino alla morte è infinitamente nobile. Sono convinto che sia sublime amare fino alla morte. (HAGAKURE; II, 33)
In questo turbine di pensieri così potenti e devastanti che quasi si stavano incidendo sui muri del bagno Antonio nel suo stato confusionale, con poca aria che riusciva a giungere al cervello e con molta tristezza nell'anima, riuscì a muovere le labbra: -Cosa vuoi fare di me adesso, vorrai picchiarmi? Vorrai forse uccidermi?- quella voce usciva senza esprimere una particolare intonazione, un suono che fosse classificabile in una qualsiasi categoria espressiva e comunicazionale; a stento era in grado di mostrarsi come un pensiero unico e continuo -In fondo posso capirti...amore mio, posso capire quello che questi anni hai potuto soffrire...posso capire. Sei tu che non capisci me.-
Le labbra di Lucio si mossero, quasi a voler replicare a quell'epitaffio, per formulare una frase che nessuno poteva sentire. Probabilmente neanche lo stesso Lucio il quale guardava il suo amante cercando di semplificarlo, trovandosi invece di fronte a qualcosa, che lui percepiva chiaramente avere un senso, ma sapendo anche di non poterla decifrare.
Ad un tratto di nuovo sentì le mani piene di energia amorosa e mortale.
...venti, ventuno, ventidue secondi; tre, quattro...trenta minuti; una, due, tre ore.
Lucio finalmente fu in grado di lascire la presa, ora aveva anche la forza di uscire dal bagno, si trovava in uno stato di felicità confusionale, ma anche di ipnotico dolore.
Si alzò dalla sua posizione ed osservò il corpo di Antonio riemergere. Ancora una volta lo amò con lo sguardo e fu affascinato dall'immenso splendore di quel dio che aveva baciato e che aveva permesso di essere baciato e goduto.
Quella persona lo aveva fatto soffrire.
La giovane fronte si corrugò, la bocca si contrasse ed i muscoli si irrigidirono. Aveva sofferto come mai nessun'altro e la cosa non voleva che si ripetesse più, non sarebbe stato in grado di affrontarla e non la voleva affrontare.
Si sentì felice perchè finalmente si sentiva libero, non aveva più nessuno...nessuno che lo legasse, che gli impedisse di prendere qualsivoglia scelta e decisione senza che si tenesse conto della presenza di un'altro e soprattutto delle scelte e delle decisioni di questo.
-Finalmente una piena libertà emotiva. Che sensazione stupenda, che rinascita!!!- pensò.
Riuscì anche a rilassarsi mentre si dirigeva verso il balcone di casa per respirare un'aria nuova, un'aria pura. Uscì ed ammirò lo stupendo panorama che gli offriva la sua città. La vita si estendeva ai suoi piedi, tutte quelle strade e quei vicoli che vedeva ed intravedeva erano un'interminabile brulicare di vite, scelte, incontri forutiti e voluti.
Lucio raccolse, sulla sdraio di vimimi nella quale spesso si sedeva a sognare osservando la città, il piccolo taccuino su cui annotava pensieri e sensazioni. Pensò un attimo ad occhi chiusi poi raccolse la minuscola penna che era lì vicino:
<<Sono libero.
Odore di ciliegio in fiore.
Questo profumo mi consola
e mi annebbia la mente di felicità.
Non trovo più il Tempio,
non vedo più il mio Signore.
Non posso restare oltre.
Sarò anche io petalo di ciliegio.>>
Lucio sorrise e saltò.
Ho scoperto che la Via del samurai è la morte. Quando sopraggiunge una crisi, davanti al dilemma fra vita e morte, è necessario scegliere subito la seconda. Non è difficile: basta semplicemente armarsi di coraggio ed agire.
E' quasi impossibile compiere una scelta ponderata in una situazione in cui le possibilità di vita e di morte si equivalgono. Noi tutti amiamo la vita ed è naturale che troviamo sempre buone ragioni per continuare a vivere...
L'essenza del Bushido è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata. Quando un samurai è pronto a morire, padroneggia la Via. (HAGAKURE; I, 2) ![]() Tutto iniziò con una grossa faccenda da risolvere. Dopo un'altra faccenda che era solo rimasta in sospeso. Dribblai la fascia e scivolai via con la macchina a vedere che si potesse fare per quella faccenda. Due , tre semafori e poi il curvone finale, prima di parcheggiare. Dopo l'angolo a gomito un tipo faceva lo stop.
Rallentai
"Dove vai?"
"Alla stazione..." interrompendosi dondolante a pensare.
"Ehi! Ma la stazione è dall'altra parte"
" Ma come lo sempre preso qua.."
La ragazza si avvicinò di più alla macchina .. Si quel cappellino in testa con la scritta Cuba e i pantaloni militari aveva dato l'idea di essere un maschiotto di periferia. Era assai fatta.. si un po' più che semplicemente ubriaca. Proprio smorfinata.
"La direzione giusta è dall'altra parte. Ti conviene fare lo stop da un altro punto. Si perché il bus fa il giro e da questa parte le macchine che passano non vanno certo alla stazione. Dai su ti ci porto."
"Grazie.."
La voce spenta e lo sguardo trasognato, perso. Barcollando sale sulla macchina.
"Fino alla stazione mi dispiace non posso, ho davvero poca benzina".
Cosi il percorso riprese per un'altra faccenda....
La macchina finì il curvone ma proseguì, tornando quindi nella direzione opposta.
"Ma sei sicura che l'hai preso qui il passaggio altre volte?"
" Si.. Si."
A stento. La sigaretta danzava nell'aria al ritmo del suo sguardo muto ma pieno, affollato. Nell'altra mano una bottiglietta di birra che faceva fatica a portare alla bocca per bere.
" Ehi bellina stai bene?"
" Si.. so un po' stanca . scusa ..veramente" .
" Sei sicura? A me non sembra. Come ti chiami?"
"Mira.."
"Mira? E' un bel nome non l'ho mai sentito. Che sei di Napoli?"
" No io so della Basilicata.. però abito a Sezze"
"Alessandro piacere.Ci stai con i tuoi?"
" No abito da sola.."
Arrivati alla fermata in direzione stazione fermo la macchina.
"Oh grazie! Ma allora qua si prende il bus per la stazione?"
"Si. Però non sbagliarti. Da questa parte della strada."
Scendo anche io dalla macchina mentre lei ancora dondolante non riusciva a chiudere lo sportello.
"Speriamo che passa.."
"Eh a dire la verità non te lo so dire, qui i bus fanno un servizio d'ammenga".
Lei si siede sulla panchina della fermata. La vedo piegarsi all'indietro fino quasi sdraiarsi del tutto. "Ottimo per gli addominali" pensai. "Ma il fatto è che sta proprio storta. Poverina mi fa un sacco pena".
" Ok mi sa che è meglio che aspetto insieme a te".
" Speriamo che passa.. ma sei sicuro che e da questa parte e non di la?".
" Si. Ehi ma che stupido a non pensarci. Ti va un caffè?".
"Si." e mi passa la birra.
" E però qui i bar so tutti chiusi. Fumiamoci una sigaretta va.. hai da accendere?".
Inizia a smucinare nella borsetta alla cieca. Caccia fuori l'accendino.
"Come ti chiami.." Mi richiede
"Alessandro".
La vedo appoggiarsi quasi alla mia spalla.
"Ehi stellina non mi piace come stai sai".
"No.. No.. sono solo un po' stanca".
Le osservai le braccia, per vedere se ci fosse qualche segno che mi desse la conferma che si fosse bucata. Apparentemente nulla tranne una crosticina sul dorso della mano, ma niente lividi. Ne ho visti di tossici ed alla fine pensai che si fosse soltanto presa una roipnol o qualcosa del genere. Poi intuì che si era fatta un bel pò di ketamina.
"Certo che a Latina c'è il coprifuoco a quest'ora. Non passa nessuno. Va bè dai su ti accompagno io alla stazione."
Avevo veramente la luce arancione fissa sul quadrante e solo 5 euro che in realtà avrei speso volentieri al Paradise Lost per una birra, mentre intanto risolvevo quell'altra faccenda.
"Dai alla fine credo di potercela fare ad accompagnarti, che mi sa che così come stai non riesci manco a salirci sul treno."
"Uè grazie." Risaliamo in macchina
"Così magari un caffè ce lo prendiamo li" Lei non mi rispose e restò con gli occhi socchiusi seduta affianco a me. Dopo un bel po'
"Si.. si.. mo ce vole un caffè..".
"E' tanto che stai a Sezze?"
"No sono stata a Firenze e a Bologna .."
"Dai anche io ho vissuto per un po' a Bologna" e mi venne da pensare a quanta gente in quei mesi avevo visto fatta e strafatta.
Gioventù affrante
Sul tempo assente
Volti spenti ed inconsistenza
Ai margini dell'incoscienza
Al margine del mondo
Ai margini del sogno
Cercando i nostri cari anni
Cercando tra vaghi minuti
Gli ultimi barlumi di ragione
Di speranza e di passione
Rimbalza questo spettro
Rimbalza di soppiatto
Tra i vicoli di ogni città
Raccoglie anime
Le porta con se
Le porta dove non c'è più dolore.
Dove non c'è dolore?
Nelle macchine nuove?
Tra i vestiti stirati?
Nei locali più In?
Nel sesso e basta?
No.
Qui ora dove il cuore
Si apre ad ascoltare
Qui non c'è più dolore
Dove c'è condivisione
Non c'è più dolore
Dove non c'è ..
Dove non c'è più dolore.
Arrivati così alla stazione mi accorsi che il bar era chiuso a quell'ora, ed il treno era arrivato da un pezzo. Ed infatti Mira non riuscì a prenderlo.
"Va bè dai ti tocca aspettare il prossimo. Intanto arrivo al bar dell'albergo qui di fonte e ti prendo un caffè" .
Tornai col caffè dentro il bicchierino di plastica.
"Tu non l'hai preso per te.." mi chiede
"No io a quest'ora non lo prendo"
"Dai su facciamo a metà."
"No grazie"
" Ma quanti anni hai?"
"Indovina un po'!" Scherzai.
Scendendo le scalette non rispose. Barcollava sempre più.
"Ok te lo dico ne ho 27. Tu. Quanti anni hai?"
" Venticinque." Volevo farla parlare il più possibile cosi magari non perdeva del tutto il contatto con la realtà.
" Senti ma insomma che fai lavori?"
" Si faccio la cameriera.."
"Dai anche io speso lavoro come cameriere." .
"Ma non ce l'hai la ragazza?"
"No." la domanda un po' mi spiazzo, aprendo in me degli intimi varchi tra i ricordi di qualche mese prima e qualche altra situazione presente. Ci andammo a sedere sulla panchina di marmo sulla banchina del binario.
"Ma come mai.. sei un bel ragazzo.. sei sicuro che poi non ti vede nessuno che stai qui con me.." Riusciva a dire qualcosa di più compiuto. Presi il bicchiere col caffè.
"Su bevilo che si raffredda. Basta una sola bustina di zucchero? O ne vuoi due" No mi rispose.
"E no! La ragazza non ce l'ho.. Tu ce l'hai il ragazzo?" .
Fa un gesto con la mano " Una volta.."
"Ed ora?" le porgo il bicchierino. Lei a mala pena lo reggeva dritto, ed avevo paura che lo rovesciasse.
"Ehi chicca! Ce la fai?" le ressi la mano.
"Si si ce la faccio.." A poco a poco provò ad avvicinare il bicchiere alla bocca. Poi un goccino dopo l'altro lo bevve quasi tutto.
"Ehi aspetta qui cosi chiudo la macchina".
Feci una corsa fino all'auto che avevo lasciato con i finestrini aperti. Tornai da lei e mi ci sedetti affianco. Ancora non aveva finito quel caffè.
" Ma quanti anni hai?" mi chiede di nuovo
"Te l'ho gia detto. 27. Insomma hai degli amici a Latina?"
"Bah. amici. si ."
"Lo sai Mira che mi piacerebbe riparlare con te. Magari quando sei più lucida. Ti lascio il mio numero"
"Si lasciami il numero.. però ho il cellulare rotto.. si è fatto come dell'inchiostro sul display.."
"Va bè te lo scrivo. Ce l'hai un foglio di carta ed una penna?".
"Si ." si rimette a smucinare nella borsetta. Caccia fuori un rossetto.
"Ma .. perché non hai la ragazza?".
"Ma dai lascia perdere. Magari si ho un'amica con cui mi vedo ogni tanto perchè sta a Roma. Ma non sono fidanzato. Invece tu il ragazzo hai detto che non ce l'hai più.".
"Ehh .. ma io ho avuto un'incidente.."
"Hai avuto un' incidente Mira?! Dimmi che ti è successo?" rimase a pensare senza dire nulla, poi "Scrivilo qua il numero.." E mi porse il fazzolettino del bar. Rimase con l'ultimo goccino di caffè in bocca per un po'.
" Brava l'hai finito tutto!".
Mugugnò qualcosa facendomi capire che se potesse mi avrebbe lasciato un pò di quello che ancora teneva in bocca. Credeva che ne volessi.
"No. Grazie."
"Ma allora quanti anni hai?"
" Dai te l'ho già detto"
"No mi hai detto di indovinare."
" No poi te l'ho detto. 27 anni. Ehi cerca di non addormentarti mo che stai sul treno. Ecco qui il mio numero. Spero si capisca. Ti ho scritto anche il nome. Va bene Alex? Lo capisci che sono io?".
" Si .. si .. mi ricordo." Restammo un po' zitti. Lei ogni tanto faceva quasi per cadere. Solo io interrompevo quel silenzio per ridestarla.
"Ehi chicca! Che dici forse ti vuoi distendere?" e cercavo col braccio e la spalla di sorreggerla.
"No.. No ce la faccio..".
"Guarda che se ti vuoi sdraiare e poggiare la testa qui sulla mia coscia non c'è problema. Magari se ti riposi un po' adesso, eviti di ritrovarti a Formia".
Non rispose. Restammo li seduti provando a comunicare. Io le facevo qualche domanda su lei e la sua famiglia. Lei farfugliò un pò facendo capire alcune cose vaghe sul fatto che la madre avesse avuto cinque anni prima una bimba e che lei aveva altre tre sorelle, di cui due più grandi. Poi farfugliò ancora del suo ragazzo. Parlò di un' incidente sul treno.
"Questo fa tutte le fermate vero?".
"Si. Sezze romano , Priverno - Fossanova, Monte San Biagio, Fondi , Formia.".
Glie le dissi tutte.
"Eh li è stato l'incidente.. Monte San Biagio..".
Provò a spiegarmi che c'era stato un litigio sul treno con il controllore e che il ragazzo non si sa come fosse caduto dal treno. Lei stessa si era fatta molto male rompendosi il femore.
"Due mesi in ospedale sono stata per sto cazzo di femore.. da novembre fino a gennaio." "Minchia" pensai "che cazzo di storia" . rimasi zitto, quello che aveva detto mi aveva rattristato ancora di più. Poi lei " Dai dimmi un po' di te.." Allora io dissi un paio di cose che riguardavano la mia vita: lo studio, il lavoro che non c'è, la voglia di partire, la musica.
La stazione intanto si popolava di gente che andava a prendere gli ultimi treni disponibili per le due direzioni fondamentali, Napoli e Roma. Soprattutto stranieri. Una donna africana sulla piattaforma del binario uno, sembrava stesse ascoltando le nostre chiacchiere. Un gruppo di bengalesi si dirigeva verso il fondo del binario, portando in spalla dei bustoni celesti pieni di roba. Una volta arrivati a Roma si sarebbero trovati più vicini alle uscite.
Due ragazzi marocchini si avvicinarono a noi " Amico.. dove il binario cinque?"
"Ma il binario cinque non esiste!"
"Ma come .. capo stazione detto binario cinque! Dove è il binario per Formia".
"Il capo stazione è uno stronzo che devi mannà a fanculo! Ci sono solo tre binari in questa stazione.." Dissi " Per Formia, da questa parte.."
"Grazie amico!".
Mira ancora dondolante non diceva più nulla.
Io intanto mi perdevo al pensiero di quella stazione così viva di gente! Quasi in netto contrasto con il coprifuoco serale della città, che se non vai in un locale non trovi nessuno in giro. Che merda! "Quasi quasi un giorno vengo qui a passare la serata. Incontro qualcuno di questi e mi ci metto a parlare!". Il mio pensiero si disperdeva così.
"Allora" Ruppi quel silenzio "Che musica ascolti?" Le chiesi.
"A me piace un sacco Capossela..".
"Figo Vinicio!"
"A si piace anche a te?"
" Si! Che cosè l'amor.. chiedilo al vento." cantai una strofa poi non ricordai più le parole. Lei allora continuo con il ritornello quindi assieme " Ahi permette signorina sono il re della cantina...." cantammo tutto l'inciso.
"Bob Marley ti piace?" Mi chiese
"Si! aivoglia! Get-up stand-up, stand-up for your rights!".
I due ragazzi marocchini, che si erano appoggiati al pilastro affianco alla panchina, a quel punto si avvicinarono " Ehi amico.. hai una cartina?" disse a bassa voce.
Feci un cenno indeciso, poiché non mi aspettavo quella domanda e poi ero sprovvisto di papelle .
" Si ce le ho io" disse Mira ridestandosi magnificamente. "Sta sballona" pensai. Poi quello a me "Dai su falla tu"
"Va bene.." E mi porge quel tocco di fumo. Saranno stati più di un grammo ed allora io lo spezzai " Ma che la faccio tutta?"
"Si si! Noi Marocco fuma così" "Ok!" . Così mi cimentai in quell'opera dando prova della mia destrezza. Mira, infatti, aveva solo cartine piccole e quindi chiesi a quello che mi si era seduto affianco di incollarle. Mi ritrovai però con la cartina incollata nel verso sbagliato, ma non mi persi d'animo e così la tagliai e passai la colla sulla parte in cui mi serviva. Ne usci fuori un capolavoro balistico. Nel frattempo ci presentammo.
"Alessandro piacere. Voi come vi chiamate?" chiesi
"Giovanni piacere!" disse quello che avevo affianco "anche lui si chiama Alessandro" e mi indica l'amico che stava in piedi e che mi aveva dato il fumo.
"Dai su fatela finita ditemi i vostri nomi veri. Lo so che vi chiamate diversamente!"
"No ma sai qui la gente non capisce.."
"Ma che cazzo ti frega della gente.. se devono imparà a fa l'orecchio"
Allora quello che si era fatto chiamare Giovanni " Io mi chiamo Jahalel" E l'altro che stava in piedi "Io Bahrros"
"Embè che so difficili da pronuncià?" Allora iniziammo a chiacchierare fumando quel joint. Anche Mira si presentò nonostante ci stesse poco. Parlare con loro mi distrasse da lei. Fra un po' avrebbero preso tutti e tre il treno e ci saremmo salutati. Bahrros era tornato da poco dal Marocco, parlava bene l'italiano. Stava facendo gli studi presso un'istituto alberghiero ed era tornato per un po' a casa per sapere come andavano le cose al suo paese. Era interessato alla politica e gli chiesi della guerriglia nel Sahara. "No ma non c'è guerra mo.. loro solo poca gente che vuole .. come si dice.. dipendenza.. ma loro marocchini, hanno diritti come noi". Quando passai la canna a Jahalel mi accorsi del libricino giallo che aveva appoggiato sulla panca di marmo. Lo presi e mi soffermai a leggere "H'asshis: Storie di vita marocchine". Era un libro di racconti tutti incentrati sul consumo di hasshis .
"Dalla teoria alla pratica eh!" Scherzai. Loro risero.
"Come amico sto fumo?"
"Bono.. ammazza!"
"Eh. questo fumo de marocco! Io fiero de esse marocchino!"
Raccontai di due amici che erano stati sulla montagna del Ketama e proseguimmo la chiacchierata su una cifra di altre cose: i pericoli a fumare in Marocco, il concerto di Alfa Blondi al Villaggio, su quanto tempo c'avesse messo Bahrros ad arrivare alla fontanella sul primo binario se si fosse messo a correre.
"Com'è sto fumo.." Chiese Mira che fin'ora era rimasta olma avendo io passato la canna prima a loro che me l'avevano fatta fare.
"No preoccupa bella mo te arriva.." le disse Bahrros.
Passarono così quegli ultimi dieci minuti. Interminabili ed inconsueti, ma cosi magici. Avevo passato la serata con tre persone che mai avevo conosciuto prima. Mi sentivo io in viaggio, lontano da casa. Un forestiero di passaggio che non ha fretta di raggiungere nessuno e che non aspetta nulla. Il treno giunse in orario. Mira mi salutò affettuosamente " Oh allora poi ti chiamo!"
"Si mi raccomando chiama!" Salutai Jahalel e Bahrros con delle belle schioccate di mano
"Mi raccomando svegliatela se dorme, quando arrivate a Sezze!".
"Ok amico..".
Mi allontanai. Più alcuna faccenda ora si imponeva alla mia
attenzione. In macchina pensai di fare una capatina al Paradise,
ma mi senti così sazio di vita che ritornai a casa.
![]() “Buongiorno a tutti, belli e brutti.” esordì Cianciarulo,
entrando nell’Osteria a testa alta. Che sagoma! emozionato e compìto:
un bimbetto che andava alla Prima Comunione. E invece era un uomo fatto. ![]() *dedicato a Giovanni
POICHE' CIO' CHE E' SAREBBE ANCHE POTUTO NON ESSERE - C'è Giulia sdraiata sul letto. Sta quasi sempre ferma lì. Stesa come se fosse lenzuolo e piega, talvolta si confonde così bene che sembra quasi non esserci. Ci sono volte in cui si lascia stropicciare come se davvero fosse lenzuola e pieghe. Arriva l'infermiera, senza dirle nulla, la solleva, con fatica, e lei la lascia fare. La sveste, la riveste, e lei la lascia fare. Il suo sguardo appeso a un invisibile filo, non riesce a sostenere il peso della sua coscienza. Così, tutte le volte, lei la lascia fare. Il suo corpo sembra non appartenerle, e forse non le è mai appartenuto. Giulia è solo uno sguardo appeso a quell'invisibile filo: di lei non rimane altro che questo. Se qualcuno un giorno decidesse di recidere quel filo, lei forse potrebbe precipitare di nuovo nel suo corpo inanimato. Oppure volare via, leggermente. Ma per ora nessuno può negarle questa sua ostinata resistenza alla vita. Io la osservo dal vetro della porta di quella stanza bianca e disillusa. L'aria, si sente che è densa delle preghiere di sua madre, che ogni giorno viene a trovarla, le dà un bacio sulla fronte e le parla, tenendole stretta la mano. Pallida la mano tra mano pallide. Tra le due non si capisce chi è che stia davvero male: se la madre che nella sua consapevole presenza sorveglia le proprie illusioni, le scrolla, le rimpasta, e sempre più spesso le sgretola, o Giulia, che nel suo corpo anestetizzato e spudorato pare aver svuotato ogni barlume di donna. Sono sei mesi che il corso del suo tempo si è reciso. Colpa di un incidente, provocato da una disattenzione che non era la sua. Stava attraversando la strada, a piedi, ed è stata investita da un auto. La persona al volante dicono che non si sia fermata. Sull'asfalto non c'era traccia di pneumatici: forse non ha nemmeno frenato. E Giulia ha interrotto le sue ambizioni in un solo, estremo istante emorragico. E' entrata subito in coma. Io la osservo da sei mesi dal vetro della porta di quella stanza bianca e disillusa che separa me dal mio rimorso. Se mi fossi fermata, quando l'ho investita, forse ora sarebbe presente. Ma la paura ha premuto il pedale dell'acceleratore. E ogni giorno vedo la mia codardia incarnata in un corpo comatoso di una donna che tuttavia appare ancora splendida.
POICHE' CIO' CHE E' STATO HA FATTO SI' CHE COSI' FOSSE -
- A cosa stai pensando?
- .
- Non ti va di dirmelo?
Sorriso d'occhi. Il tempo di un silenzio inevaso. Due anime che si scrutano senza smania di chiedersi del domani.
- Mi sento anestetizzata, non sento nulla. E la cosa mi spaventa.
- Se ti spaventa allora non è vero che non senti nulla.
Squarcio nella certezza di un sentimento. Poi, una nuova consapevolezza.
- Hai ragione, non è vero che non sento niente. Ma un cosa è certa: io sono monolitica.
- Monolitica???
Sorriso innevato.
- Non ridere: sono seria. Sono una donna monolitica.
- E cosa vorrebbe dire "monolitica"?
- Vorrebbe dire, anzi, VUOLE dire che sono l'incarnazione di un'unica grande esclusiva emozione.
Divertito, tra la complicità e la premura. Stringerla forte a sé, e domandarle:
- E quale sarebbe quest'UNICA GRANDE ESCLUSIVA SENSAZIONE?
- Non ho parlato di "sensazione". Ho parlato di "emozione".
- Scusa.
Abbraccio
- Allora, quale sarebbe questa emozione?
Serietà.
- La paura.
E lo dice anche col corpo, che si fa piccolo. Lui la sente rimpicciolirsi, e la stringe ancora più forte.
- .
- Ho paura di tutto. Tutto mi terrorizza. Sento che potrei essere annientata da ogni piccolo dettaglio e circostanza.
- .
- Sento che non sono equipaggiata a vivere. Ho paura di sperare perché potrei essere delusa, e ho paura che senza speranza non possa realizzare nessuna ambizione.
Occhi sgranati, che tremano e raccolgono lacrime a renderli lucidi.
- Ogni cosa mi fa male. Parlare e stare in silenzio. Ora che ti confesso le mie paure mi sento come se mi stessi svuotando e mi rendessi ridicola. Ma se tacessi tutto si amplificherebbe, e finirebbe col divorarmi dal di dentro. La paura è vorace, è capace di masticare persino le ossa. La senti dentro lo scheletro, nel sangue che si avvelena... E che ti avvelena. La paura rende tetraplegici e cerebrolesi. La paura è un mutante, che si trasforma in molteplici mostri. La paura è paura degli altri, è paura di me stessa, di sbagliare, di morire, di soffrire, di esprimermi, di confondermi, di non essere compresa, di essere fraintesa.
Nodo alla gola. La parole che si estinguono nel torace e risalgono più lente, quasi soffocano.
- Hai paura anche di noi?
Occhi giganti a guardare dentro. Capire cosa voglia dire. Capirla oltre il senso di ciò che appartiene all'apparenza.
- No, di noi no. Ma dell'amore sì. L'amore è la cosa che più di tutte mi spaventa.
Stupore. Angoscia. Lui intuisce, ma vorrebbe otturarsi le orecchie, il cuore, il cervello. Rendersi sordo.
(.quando sarò capace di amare vorrò una donna che ci sia davvero, che non affolli la mia esistenza, ma che non mi stia lontana neanche col pensiero.)
- Vorresti lasciarmi?
(.quando sarò capace di amare, vorrò una donna che non cambi mai, ma dalle grandi alle piccole cose, tutto avrà un senso perché esiste lei. Potrò guardare dentro il suo cuore, e avvicinarmi al suo mistero, non come quando io ragiono, ma come quando respiro.)
- .
- Dimmelo: vorresti lasciarmi?...non restare in silenzio, ti prego.
(.quando sarò capace di amare, mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere, un amore senza sensi di colpa, senza alcun rimorso: egoista e naturale come un fiume che fa il suo corso.)
Dagli occhi Giulia comincia a traboccare lacrime. Non riesce più a trattenerle nella rete invisibile della volontà. A Marco si impallidisce lo sguardo.
Le parole cominciano a tacere. L'aria frigge di dolore. Di sottofondo, una canzone di Gaber contiene e sgretola quel rituale assassino.
(. Senza cattive o buone azioni, senza altre strane deviazioni, che se anche il fiume le potesse avere, andrebbe sempre al mare. Così vorrei amare.)
I loro corpi annodati e nudi si trattengono in un abbraccio denso, senza dispersione. Marco affonda il volto nel seno di Giulia, e comincia a singhiozzare. Sembra piuma, leggero com'è. Nel dolore Marco si fa respiro, e Giulia sangue.
POICHE' CIO' CHE SARA' NON SI PUO' SAPERE MA SOLTANTO VIVERE -
Ricordo quel giorno in cui mi dicesti che avrei dovuto iniziare a lasciarti andare. Mi lasciasti una poesia di Gibran sul letto, e compresi che era ora che l'arco scoccasse la sua freccia. Per una madre è sempre difficile riuscire a comprendere le necessità dei proprio figli, mentre i figli hanno la necessità che le madri li comprendano. La vita si assapora attraverso le inversioni di rotta e le riconciliazioni, ma io giungo troppo tardi sulla tua direzione. Avrei desiderato comprendere quali corde reggevano il peso lieve della tua esistenza, migliorarmi attraverso la tua freschezza, sostenerti qualora ne avessi avuto bisogno. Ricordo quel giorno in cui mi dicesti che era ora che io mi rendessi devota alla mia vita. Ma la mia devozione sei tu, bambina mia. Tu sei la mia vita e la mia devozione. Una madre diventa paradigma dell'universo attraverso il proprio amore: crea, genera, trattiene, contiene, alimenta, perseguita, ostacola e talvolta purtroppo fagocita. In questi ultimi tempi ti vedevo sofferente, e ho visto la tua dignità nel trattenere il dolore nelle pareti di una camera solitaria. Ti sentivo piangere, di notte, singhiozzare, e ti immaginavo mentre ti contorcevi per quell'amore fallito. Una madre sa vedere attraverso le crepe dei propri figli. Avrei voluto dirti che non esiste soluzione al dolore, ma certamente esiste l'assoluzione al proprio dolore. Basta che ci si conceda la dimensione della vulnerabilità e la consapevolezza di avere sogni che conflagrano. Bambina mia, ora che ti vedo qui inerme, stesa su un letto che appesantisce la tua giovinezza, comprendo l'assurdità di certi insegnamenti, e l'illogicità delle mie pretese. Il dolore lo avresti potuto comprendere soltanto attraverso il dolore. Io non avrei potuto proteggerti. Ma forse avrei potuto proteggerti da questo sonno. Sarebbe bastato dirti che non potevi andare a parlare con Marco, quel giorno, che eri troppo dolorante per poter fare un scelta che ti sarebbe costata un gigantesco sacrificio. Ho letto la lettera che avevi lasciato sulla scrivania, e che forse hai dimenticato perché quella scelta non ti apparteneva realmente. Perché tra le poche cose cui sono stata capace di educarti c'è questa ingestibile necessità di sopprimere i propri desideri per amore dell'altro? Il tuo bene ti apparteneva più di ogni altra cosa, e invece hai preferito fingerti. E ora cosa ne rimane di te, bambina mia? Solo sogni ammassati. Un cumulo di amore di cui ora non sai più cosa fartene. E che rimane in circolo, a sostenere il tuo legame all'esistenza. Ma fino a quando ti potrà sorreggere?
POINTBREAK - agguati e distorsioni di una realtà letteraria
A questo punto della storia uno potrebbe anche iniziare a tagliarsi le vene. Lo sconsiglio caldamente, perché per tagliarsi le vene spesso si fa ricorso a delle lamette, e le lamette potrebbero presentare degli inconvenienti, come essere poco pulite, contenere batteri nocivi alla salute e peggio ancora trasmettere il tetano, qualora fossero un po' arrugginite.
Nonostante il mio avvertimento, non sono riuscita a distoglierti dall'intenzione di suicidarti? Va bene, ma aspetta ancora un attimo prima di tagliuzzarti tutti i polsi (va beh, tutti: sono appena due.Ma non areniamoci con queste pignolerie, altrimenti finisce che ci si dilunga troppo). Ti dicevo, prima di tagliuzzarti le vene, parliamone. Se le lamette fossero arrugginite, ci sarebbe il rischio di prendersi il tetano. Orbene, la parola "tetano" deriva dal greco "tetanos", che vuol dire "tensione".
Ti domando: sai quali siano i sintomi principali del tetano? . Più o meno? .Dunque, "i primi sintomi [sott. "del tetano"; ndt] sono costituiti dalla contrattura dei muscoli masseteri con incapacità di aprire la bocca e comparsa di rigidità della nuca. In seguito appaiono contrazioni a carico di altri muscoli del viso (facies tetanica, riso sardonico), del dorso e degli arti. Manifestazioni tipiche sono anche la sudorazione, la difficoltà di respiro, la diminuzione della diuresi, l'insufficienza cardiaca e l'aumento della temperatura corporea fino a 45° C. La morte può sopraggiungere in 5-10 giorni" (dal "dizionario medico" dell'Istituto Geografico De Agostino. ??? cazzo c'entra ora un Istituto Geografico col dizionario medico??? Bah! ) Dunque, se questo racconto finora ti ha rattristato, ti sconsiglio di ricorrere a rimedi drastici quale potrebbe essere il suicidio. Dico, potrebbe essere un rimedio drastico, il suicidio, perché, se la vita è una beffa, la morte è un giullare di corte. Potrebbe infatti capitare che, letto questo racconto, ti cominci a chiedere chi cazzo te l'abbia fatto fare di sprecare il tuo tempo in questo modo, leggendo un racconto deprimente e che oltretutto nemmeno ti consentirà di affinare la tua cultura e di fare citazioni colte nei cenacoli letterari, nel tentativo di sedurre qualche persona lì presente e che ti piacerebbe portarti a letto con la scusa del "pessimismo cosmico" in Leopardi; ma in questo caso l'autrice del racconto è un'emerita sconosciuta e un' altrettanto emerita imbecille, che spesso si "diletta" (figurati che gran bel divertimento!) a scrivere cose strazianti, e intanto - ma guarda tu che coincidenza!- la stessa impiega il suo tempo nel tentativo di laurearsi in psicologia prima dei 40 anni, coltivando la segreta speranza che quella possa essere la sua professione futura e che con quella riesca a comprarsi e a mantenersi la seconda casa sulla Costa Smeralda. Allora, può capitare questo: che tu legga il racconto di questa tizia, ti salga la tristezza, e cominci a pensare che prima quella cospiratrice ha disseminato qua e là i bacilli della depressione con i suoi scritti, e poi magari viene da te, con aria subdolamente candida, e ti chieda:
- Mi sembri triste. Cosa è successo?
- Triste io? , ti chiedi basito. Tra te e te ti rassicuri, dicendoti che non è vero che sei triste, realmente triste, che sei una persona allegra, che stai bene. Ma pian pianino si insinua il dubbio, e inizi a pensare che, beh, sì, forse un po' triste ora lo sei davvero, e che prima di leggere quel cazzo di racconto che ti parla di dolore, amori disperati, suicidi, tragedie familiari, tradimenti, illusioni, malattie, incomprensioni, drammi epocali, stavi tutto sommato bene, e che il tuo unico problema era di ricordarti di prenotare un appuntamento dal dentista per farti fare una pulizia dei denti ingialliti per il troppo fumo. Sì, forse dovresti anche smettere di fumare. Ma stavi comunque bene, prima di leggere il racconto. Però, ora un po' giù di morale lo sei davvero, ti senti un po' frastornato, confuso, indolenzito, e così lei, la scrittrice terrorista, ti si avvicina ancora un po', ti guarda, ti dà una pacca consolatoria sulla spalla e ti dice:
- Non fraintendermi, ma secondo me ti occorrerebbe l'aiuto di uno specialista.
E tu allora la guardi sbigottito, e intanto pensi:
- Ma io mica sono matto che ho bisogno di un pissicologo!!!"
E lei, agganciandosi come fosse la liana di Tarzan a quel filo di terrore che percorre il tuo sguardo, ti dice:
- Guarda, non bisogna vergognarsi ad ammettere di aver bisogno di un aiuto. Uno va da uno specialista.
- (eufemismo infido utilizzato allo scopo di mettertelo in quel posto)
- . per imparare a conoscersi, per il suo benessere, per capire chi sia realmente e cosa voglia fare della propria vita. Lo psicologo serve proprio a questo: ad aiutarti a realizzare la tua vita. Chiunque dovrebbe andare dallo psicologo, perché chiunque ha bisogno di un aiuto. Non pensare che se vai da uno psicologo allora significa che sei matto.
E allora tu ti dici queste due cose:
(primo)
- cazzo, m'ha letto nel pensiero!
(e secondo)
- embé, ma se è così allora c'ho proprio bisogno di andarci da questo pissicologo!
Però cominci a chiederti se conosci un pissicologo, a chi eventualmente potresti rivolgerti... E lei, sfoderando un insospettabile sorriso mefistofelico, ti dice:
- Se non sai a chi rivolgerti, puoi sempre chiamare me: ho uno studio privato in via Eroi del lavoro numero 5. Questo è il mio biglietto da visita.
Sbalordita la tua Voce Interiore esclama:
- cazzo, m'ha letto di nuovo nel pensiero! Dev'essere proprio brava questa qui!
Però quella terrorista mica te lo dice che una seduta dallo psicologo costa sui 75 euro, e che in genere una terapia dura dai 3 ai 5 anni! No, lei prima scrive il racconto, tingendolo appunto di tragedia, disperazione, dolori lancinanti, tristezze abissali, strappamento di testicoli, e poi, vedendoti depresso, subdola come il serpente sull'albero che inguaiò per sempre quell'ingenuo di Adamo, ti viene a proporre una terapia!
Si sa che uno dei motivi più frequenti di depressione è l'indigenza economica, per cui pagarsi come minimo tre anni di terapia con sedute che abbiano cadenza bisettimanale, significa non solo restare poveri in canna, ma anche doversi rassegnare a una vita senza alcuna possibilità di gratificazioni personali: niente shopping per le donne, niente sigarette e giornaletti porno per gli uomini.
Per non parlare dell'amore, che diventa tabù, dato che, se è considerato romantico offrire un gelato a una donna in occasione del primo appuntamento, al quinto gelato offerto, per di più a metà gennaio, la donna in questione comincia a porsi delle domande, e a uscire col tuo migliore amico che il racconto non l'ha letto, che in realtà non legge mai niente di niente, (e che se gli parli di Beckett ti chiede se giochi ancora nell'Arsenal oppure se sia sposata con la tipa delle spice girls), però intanto lui s'è comprato un monolocale al mare, e lì ci porta tutte le donne cui tu finora hai potuto offrire una relazione sentimentale avviata da un gelato da 1.30 euro.
Ti stai chiedendo dove voglia arrivare con tutta questa fastidiosa logorrea?
Ricorda da dove siamo partiti, cosa ti stavo dicendo, ossia che se la vita è beffarda, la morte è un giullare (vd rigo 33. sì, lo so che non è lì.ma almeno per un attimo, mentre eri lì a cercare le righe, sono riuscito a distoglierti dalla tua depressione.).
Bene, pensi che il discorso lo abbia accennato così, disinteressatamente? Ah, allora non hai ancora capito che sto tentando in tutti i modi di persuaderti a non proseguire nella lettura di questo racconto?!? Immagina che continuando a leggere tu ti intristisca ulteriormente, inizi a pensare alle tue disavventure, i problemi di lavoro, l'ostilità dei colleghi, gli amici che ti cercano solo quando gli fa comodo, l'affitto da pagare, la macchina che ha il contachilometri rotto, la lite col partner che ti dice sempre che sei infantile e che dovresti "maturare"; e così cominci a domandarti cosa fare per poter risolvere queste situazioni, e, pensa che ti ripensa, giungi a convincerti che non esista soluzione alcuna, non solo ai tuoi "insignificanti" mali (insignificanti per gli altri, non per te che sai quanto sia grande e insaziabile il tuo dolore, quanto tu sia sensibile e sfortunato, e tanto più soffri tanto più sei costretto a scontrarti con l'incomprensione altrui) ma che non esista soluzione nemmeno ai problemi dell'umanità tutta, e del pianeta, fino comprendere l'universo sconosciuto.
- "Dove andremo a finire di questo passo?" - ti chiedi atterrito. "Quando finiranno le guerre? E la povertà? I bambini che muoiono di fame? Il razzismo?"
Dopo un paio d'ore trascorse in una riflessione fitta fitta con l'unica persona che pensi abbia sempre ragione, ossia Te Stesso, ti metti a piangere e a singhiozzare, e appena riesci a dar tregua al pianto e a riprendere fiato, ti convinci che sia ora di farla finita.
Sì, farla finita: ma come? L'impiccagione di questi tempi è diventata impraticabile: pochi lampadari cui appendersi e gli alberi sono o troppo alti o troppo bassi. Pistole? E chi ce l'ha il porto d'armi? Hai solo una fionda costruita da ragazzino con cui facevi a gara coi tuoi amici a chi colpiva più passeri. Pasticche? Non pensi che l'aspirina sia molto efficace, e se sei donna al massimo puoi finirti la scatola di anticoncezionali. L'unica conseguenza probabile è che non ti venga più il ciclo per un paio d'anni. Niente male, ma tu vorresti qualcosa di più confortante. La tua angoscia è troppo intensa per poter trovare conforto in una semplice amenorrea. L'unica soluzione, allora, sono le care, vecchie lamette. E vai a cercarle in bagno.
- "Porcaccia della miseriaccia! Tutte finite!!!"
Per depilarti usi il rasoio elettrico, se sei uomo, o il silkepil, se sei donna. Uccidersi col silkepil non dev'essere facilissimo.
- "Eppure, eppure doveva esserci qualche lametta, da qualche parte. Eccola qui!!!" Miracolosamente ne trovi una, nascosta nel mobile del bagno vicino alle supposte del nonno. E' un po' arrugginita, ma meglio di niente! E ora, che fare? Ti ispiri ai film che hai visto in passato: riempi la vasca d'acqua, ti spogli, ti immergi nella vasca, e cominci a tagliarti le vene dei polsi. A fatica, perché la lama è poco affilata, e così ti tagli a zigzag. Ma tu sei una persona ostinata: alla fine ti recidi entrambe le vene dei polsi. Sfortuna vuole che qualcuno di trovi nel bagno e riesca a soccorrerti. Ti portano in ospedale, ti fermano l'emorragia, e ritorni a casa, tra l'affetto dei familiari e la felicità di essere comunque vivo. Pensi sia finita qui? Ti dimentichi della lametta arrugginita. Trascorsi 40 giorni dall' "incidente", cominci a sentirti parecchio "strano". Fai fatica a muovere la bocca, senti la nuca irrigidirsi, tuo fratello minore comincia a chiederti indispettito cosa cazzo c'hai da ridere (riso sardonico), le tue ascelle cominciano a sudare, il respiro si fa affannoso, e ZAC! ti ritrovi steso in una bara di rovere. Sì, è vero che era quello che comunque avresti voluto inizialmente, no, non la bara di rovere, ma farla finita, e lasciarti i problemi e i racconti tristi alle spalle. Ma non illuderti che sia tutto qui. Tu, è vero, ti sei preso il tetano, e sei morto. Sei morto per la maggior parte delle persone che sono vive. Ma chi può garantirti che dopo la morte non ci sia "dell'altro"?
Sei buddhista e credi nella reincarnazione? Il suicidio ti costa un bel po' di Karma: dopo una scelta del genere come minimo ti reincarni in un maritozzo con la panna destinato a essere divorato da Giuliano Ferrara.
Sei cristiano e credi nell'aldilà? Allora può darsi che il corpo muoia, ma che lo spirito continui a sopravvivere. E te ne andrai pure all'inferno, perché
- Sei stato tu che te la sei cercata. Io te l'avevo detto.
- No, ma io veramente non volevo, è colpa di quella lì, di quell'idiota depressa e delle sue cose tristi, se mi è venuta voglia di suicidarmi. Mi creda, prima di incontrarla io ero la persona più felice di questa terra!... No, non proprio di questa qui, volevo dire dell'altra Terra, di quella di sotto.Comunque, davvero, io non volevo suicidarmi, lo giuro su Dio!
- Qui non si giura, bestemmiatore!!!
- Mi scusi, San Piè, mi scusi. Le dicevo: io non volevo! Mi faccia entrare in paradiso, san Piè: la supplico! Mi dia le chiavi, suvvia. Lo so che lei è buono, e che fa solo finta di non volermi fare entrare. Lei è davvero un gran burlone, lo sa San Piè?
E quando pensi di averlo finalmente persuaso a lasciarti entrare in paradiso, lui tira la leva, e cadi in una botola che ti spedisce dritto dritto all'inferno. E qualcuno lo dovrebbe informare quel Dante che nella sua Commedia s'era dimenticato di parlare del "girone dei racconti tristi", dove tutti i condannati sono costretti ad ascoltare storie avvilenti e scassaballe PER L'ETERNITA'.
![]() Fabio Fabio Fabio
La rabbia mi esplode non dovevi andartene così
La prima volta è stato proprio il giorno dopo, lì ho capito la mia rabbia da sfigato poteva trasformarsi.
E' sempre stato così, lo stomaco si chiude e preme sul diaframma manca il fiato le palle si lacerano la schiena si contorce un fuoco mi brucia dentro non respiro mi scoppiano i polmoni mi manca l'aria la carne si lacera non sopporto basta non respiro il sangue non scorre più il collo mi pulsa la rabbia mi divora e i miei occhi non vedono più, qualcuno parlerebbe di bava vomitata dalle viscere dell'inferno ma non è così è tutto qui dentro questo piccolo diavolo.
Quel giorno chi sa perché no, io ero davanti a tutti e solo per te caro Fabio, un messaggio per tutti un saluto da tutti, e quel giorno ripeto e solo quel giorno tutti ci hanno rispettato e ti hanno onorato.
La mattina dopo no eri già dimenticato.
Mortirolo, stavo con la mia canna tra le gambe, quando vedo il nipote ricco del giro che ride, è lì, è stato proprio lì che sentii te Fabio che mi passavi il Tocco del Diavolo, cazzo ora gli spacco il culo a tutti, vaffanculo brutti stronzi vi sputo in faccia ad uno ad uno e poi venitemi a piglià bastardi.
Li ho schiattati tutti e dal quel giorno mi baciano tutti il buco del culo, bastardi non esiste più nessuno si parla solo di me, fatemi vivere, diavolo di un diavolo, ed il nipote ricco del giro rode.
Cazzo Fabio Fabio Cazzo
Ora esisto solo io, scusa ma tutti ti hanno dimenticato,
ma domani no, Mortirolo di nuovo Mortirolo, fino ad oggi ho vinto di tutto, e tutti sanno che domani il diavolo scoreggerà fiamme d'oro per volare, ti ricorderò e per te arriverò fino in cielo, per te per me per tutti gli sfigati spaccherò il culo al mondo, domani sarà veramente il nostro grande giorno, domani vale molto di più di una vita, è tutto, farò volare tutta l'Italia con me, vi darò le ali e la gioia di vivere, sarà un'impresa che durerà secoli, cancellerò Bartali,Gimondi,Coppi e le sue bombe, io no, io ho il tocco del diavolo che mi trasforma la rabbia in energia.
Energia corre via energia si trasformerà
1 non sei più solo - 2 eleviti lo spirito - 3 esploderai
Mortirolo Fabio Cazzo Diavolo
Il nipote ricco del giro ride
Il nipote ricco del giro ride
Mortirolo Diavolo Cazzo Bastardi
Gli sfigati ritornino nella merda.
Fascismo e repressione
Gli sfigati ritornino nella merda
Non esiste che un povero diavolo salga sulla cima del mondo.
Se è povero è anche drogato,
è fatta ci crederanno tutti sti stronzi
ciglioni abboccano sempre a tutto
povero è uguale a drogato e poi il padre vende piadine mica è avvocato
non diamo spazio a repliche che sia eclatante e davanti a tutti.
Nella merda nella merda e senza replica
Stavolta faremo le cose per bene, togliamo il sorriso a tutti.
Nessuno può alzare la testa, che sia di lezione a quei poveri bastardi, perché non vanno a lavorà?
Che so ste fantasie quello poi ha più miliardi di me ma che stiamo a scherzà?
Eliminatelo
Prima lo spezziamo e poi poco alla volta lo famo sparì, sto stronzo.
Forza dai fatelo in televisione, avvisate i giornali, chiamate le guardie, così ci abboccano tutti.
Drogato drogato drogato
Basta una parola
Drogato lui come gli altri, per lui più degli altri,
o ragà fate le cose fatte bene e poi mandategli sotto i napoletani, così il cerchio si chiude, farà la fine di Maratona.
La storia
Il nipote ricco ha vinti più di me
Ha modestamente esagerato
Fanno finta di cercarmi e lui non vince più
Questa è la dura realtà.
Saluti e baci dall'aldilà Marco Pantani Il cielo é terso, solcato appena dalle nubi bianche e cotonate di maggio. Non era sempre così; considerando che tornava ogni dieci anni a casa, capitava che accadesse in giornate terse come quella, oppure anche con la pioggia battente, che dalle nuvole nere si scaricava sul terreno accidentato e sulle pianure, in un rimbalzare di goccioloni, creando pozze fangose che, dopo poche ore, il vento seccava in sottili strati di fango chiaro solcato da piccole crepe. L’ultima volta che era tornata a casa, sulla sua isola c’era vento: qualcuno potrebbe chiedersi come facesse a ricordarsi, dopo centoventi mesi, più di quarantamila giorni, che tempo facesse quel giorno. Eppure, ogni volta, ricordava. Il vento, teso e difficile, aveva ostacolato il suo arrivo, ma non lo aveva reso meno gioioso ed inevitabile. Era giunta dalla spiaggia, dove le onde si infrangevano rumorose, il mare color del fango tipico dei giorni di tempesta e di quelli immediatamente successivi. La costa era cambiata poco, cambiava sempre poco da una volta all’altra; una roccia che scompariva, una spiaggetta di sabbia grossa, ciottolosa, che nasceva all’improvviso tra due piccoli scogli. Riconosceva quei luoghi, e li riconoscevano i suoi nervi, il suo corpo scosso dal fremito che solo la terra natale le suscita ancora, nonostante le mille peregrinazioni, nonostante le molte spiagge che, di anno in anno, di decennio in decennio, i suoi occhi colgono. Appaiono i primi alberi, da lontano: gli abeti frondosi, che ora hanno sulla cima dei rami i ciuffetti verdi e teneri dei nuovi aghi annuali; il suo cervello attende, nonostante sia ancora distante, l’odore dei pini, della resina, di tutto il sottobosco in cui le piace fermarsi all’ombra. Ora, cominciano a farsi visibili le rocce delle colline irregolari di cui la sua isola è fatta: bianche, spigolose, a tratti riarse. Gli alberi verdi alla base, poi sempre più radi mentre si sale verso le vette. I cespugli prima verde scuro, poi giallastri e marroni, poi l’assenza di vegetazione, i sassi sotto i quali si annidano solitarie vipere ed insetti. Lì, il vento soffia forte, anche oggi porta gli odori del mare mescolati a quelli della terra, ai fumi dei camini dei villaggi acquattati tra le piccole montagne, gli aromi delle bestie nei recinti. Ora li vede, sono tutti lì, radunati nel centro del villaggio, nel piccolo vuoto terroso che chiamano piazza, tutti insieme, stretti e silenziosi, come ogni volta, ad aspettarla. Al centro un recinto di pali alti e spessi, chiuso da un cancello pesante; all’interno, una ragazza, coperta solo di un mantello bianco di piume sotto il quale si scorgono i nastri rossi ed azzurri che ornano il suo giovane corpo; é immobile, come sempre, in uno degli angoli della recinzione. E’ seduta o quasi, lo sguardo perso, le giovani membra confuse e tese, prigioniera nella sua tunica. Sa quello che accadrà ora, quando punterà il capo verso il basso, quando le sue ali nere si spiegheranno per planare sulla terra battuta della piazza, sulla recinzione di legno: mentre la giovane comincerà a gridare ed a correre senza speranza e senza direzione all’interno del recinto: tutti resteranno immobili, chi piangendo, chi serrando gli occhi davanti allo spettacolo di quell’enorme rettile alato che strapperà al villaggio la predestinata, e la solleverà fino a percuotere il suo corpo sulle rocce del picco più alto, cibo per il suo ventre gravido della creatura che nascerà, pochi mesi dopo, su un’isola poco lontana. Come ogni dieci anni. ."la scesa negli inferi e' un passaggio obbligatorio
per il raggiungimento delle regioni piu' alte dell'essere" |