1 - Terrore sulla spiaggia
Un uomo stava tirando fuori dal portabagagli il classico armamentario
della famiglia, con pargoli al seguito, che si reca al mare. Ombrellone,
sdraio, borsa con creme e asciugamani, borsone con giochi per i bambini.
Continuava a passarsi il braccio sulla fronte per asciugare il sudore. 8
di mattina. I bambini, sul marciapiede, erano tenuti per mano dalla madre
che cercava di farli stare buoni.
“Papà…papà…papà…quando andiamo
a fare il bagno?”
L’uomo rispondeva soltanto con bestemmie e imprecazioni.
“Buoni” diceva la moglie in continuazione “papà
sta cercando di sbrigarsi per portarvi a fare il bagno”.
I Del Zaini stavano cercando di trascorrere nella maniera più tranquilla
possibile una domanica mattina qualsiasi.
“Vado a sistemare tutto. Quando ho fatto vi chiamo” e cercò
di abbozzare un sorriso che, comunque, non ebbe l’effetto sperato.
Si avviò dall’altra parte della strada. Tenere in equilibrio
tutto quell’armamentario era un’impresa ma, dopo due mesi di
mare, aveva trovato una tecnica tutta particolare, la ‘sua’
tecnica. Borse su un braccio e sdraie sull’altro. Ombrellone sotto
l’ascella. Serviva forza nelle braccia ma lui ne aveva in abbondanza,
altrimenti, in palestra, che ci andava a fare?
Camminava sulla spiaggia alla ricerca di uno spazio pulito. I piedi affondavano
e continuava a procedere con la testa bassa per sostenere lo sforzo. Ogni
tanto si guardava intorno alla ricerca dello spazio che, a quel punto, era
diventato maledetto. Resti di falò. Bottiglie. Immondizia. In lontananza
vedeva anche l’unica altra persona presente a quell’ora, appoggiata
ad una barca. Più si avvicinava e più notava come la persona
era messa in una posizione totalmente innaturale. Ad una decina di metri
dal corpo le forze non ressero più. Gli cadde tutto dalle mani.
Un urlo.
Era Maria, la sorella della moglie.
La moglie corse immediatamente a vedere cos’era successo con i bambini
che le arrancavano dietro mentre lei teneva ancora ben strette le loro manine.
Giunse al fianco del marito. Rimase immobile. I bambini riuscirono a divincolarsi
da quella presa. Si avvicinarono al corpo. Con molta circospezione.
“Zia? Zia? Ti senti male?”
Maria giaceva appoggiata ad una barca. Morta. Era seduta. Immobile. Con
la camicetta sbottonata. Il reggiseno tirato su. Le mutandine alle caviglie
e la gonna scostata. Marco stava piangendo. Continuava a guardare il corpo
della cognata con le lacrime agli occhi infilandosi le mani nei capelli.
Loretta, la moglie, era caduta in ginocchio e stava urlando disperatamente,
batteva le mani sulla sabbia e non riusciva a frenare quello che era un
sentimento di rabbiamistodisperazionemistoimpotenza. I bambini, impauriti,
si erano messi dietro al padre arreggendosi con le mani ai suoi pantaloncini.
2 – Visto dall’alto
Enrico era affacciato al balcone da circa un’oretta. Non riusciva
a darsi pace, ad addormentarsi. Fumava una sigaretta dietro l’altra
guardando distrattamente l’orizzonte. La musica dall’interno
accompagnava le sue riflessioni. In quel momento trovava particolarmente
rilassante fare attenzione ai comportamenti di quelli che si apprestavano
ad ammassarsi sulla spiaggia per condividere il sole domenicale. Una famigliuola,
proprio sotto il suo palazzo, stava cercando di portare a termine le terribili
operazioni. L’uomo era sceso in spiaggia da solo mentre la donna cercava
di tenere a bada i figli che saltavano e piangevano e risaltavano e litigavano.
All’improvviso un urlo proveniente dalla spiaggia. L’uomo era
fermo davanti ad una barca a fissare un corpo, le mani nei capelli. La donna
corse subito sul posto. Si mise a piangere e a strillare e a disperarsi
anche lei.
“Serena? Il binocolo!” urlò da fuori il balcone
“Si, tesoro. Dove l’hai messo?” chiese lei con voce ancora
impastata dal sonno.
“Cazzo…” e rientrando frugò tra i cassetti del
mobile all’ingresso. Appena lo trovò si precipitò fuori.
Andò subito a vedere cosa stava succedendo. Mise a fuoco ed iniziò
a vedere la scena come se fosse a pochi metri.
“Oh Cazzo!” sussurrò a denti stretti. Iniziò a
sudare freddo “Serè…vieni un attimo?”
La donna uscì dalla stanza e si presentò indossando solamente
una magliettina ed un paio di mutandine “Che c’è?”
“Guardà laggiù” e indicò con il dito dopo
avergli dato il binocolo “la riconosci?”
“Si. E’ quella a cui hai venduto la droga ieri”
“Appunto!” e l’uomo aveva iniziato ad agitare la gamba
ed a fumare con ancora più avidità..
“Appunto cosa. Mica l’hai ammazzata te!”
“Ho capito. E le indagini della polizia? Magari tutto finisce per
colpa di una dose, capito?”
“Tanto lei non può più parlare”
“Guarda l’uomo al suo fianco”
“Si. Chi è?”
“Anche lui veniva a prendere droga da me. Ieri sera non è venuto.
Probabile che sia venuta lei per entrambi, si conoscevano”
Serena andò via sbuffando. “Possibile che ti debba mettere
sempre in testa di fare l’investigatore?” chiese rientrando
nell’appartamento e chiudendosi a chiave dentro il bagno. Dopo poco
si iniziò a sentire l’acqua scorrere all’interno della
vasca. Il solito bagno rigenerante dopo una serata di bagordi.
3 – Contrappasso delle molestie
L’ufficio era confortevole. Al 4° piano di un palazzo moderno
quasi in centro città. Il direttore stava sistemando le carte sulla
scrivania. Davanti a se, su un mobile a vetri, il televisore scorreva velocemente
i titoli azionari. Il telefono squillò.
“La signora Ralda la desidera vedere per una questione molto importante
in riferimento alla sua situazione economica”
“Non se ne possono occupare in amministrazione?”
“Non c’è stato verso. La signora Ralda vuole vedere solo
lei per discutere di una questione molto importante”
“Va bene…. La faccia passare” disse con tono scocciato
prima di ripremere, nervosamente, il tasto dell’interfono.
Era deciso. L’avrebbe fatta uscire con la stessa velocità con
cui sarebbe entrata. Non aveva tempo da perdere con i morti di fame, una
lezione imparata nei primi mesi di lavoro. La segretaria bussò ed
aprì la porta soltanto dopo un suo
“Avanti!”
“C’è qui la signora Ralda, come le avevo preannunciato”
“La faccia entrare, Sonia”
La signora Ralda si manifestò in tutta la sua straordinaria bellezza.
Alta, rossa di capelli, un vestito le fasciava tutte quante le curve ed
i tacchi rendevano il complesso snello, sinuoso e provocante. Due labbra
color sangue su una carnagione bianca e lentiginosissima. Occhi verdi che
sembravano scrutarti dentro. Il direttore rimase per 5 secondi a bocca aperta.
“P…Prego…si accomodi… pure….”
“Serena Ralda, molto lieta” e porse la mano che il direttore
si affrettò a stringere cercando di fare, poi, il gesto del baciamano
alzandosi in piedi e sporgendosi ma, a causa della sua prominente pancia,
si dovette arrendere immediatamente.
“Mi dica signora Ralda. Sono a sua completa disposizione”
“Sono voluta venire da lei perché ho un grande problema che
devo risolvere entro la giornata. Ho un conto corrente presso questa banca
da qualche tempo. Ho un attività in un'altra città. Mi ero
trasferita qui per vedere di allargare gli affari. Volevo creare una sorta
di franchising di abbigliamento che potesse far fare, alla mia piccola azienda,
il salto di qualità. Ho cercato di reprerire fondi in tempi brevi
da persone che credevo di conoscere ma non ho fatto i conti con la loro
avidità. Vogliono tutto indietro con gli interessi…”
“Signora, cosa pensa che possiamo fare?”
“Vorrei che mi aiutaste nel coprire questa spesa improvvisa. Sono
disposta anche a ipotecare il mio negozio”
“Mi faccia capire” ed il direttore si agitò sulla sedia
cercando di mettersi comodo. La tensione e l’emozione erano visibili
sul suo volto. Sudava copiosamente ed era presente anche un impercettibile
tic. Quello dell’occhio sinistro.
“Lei ha chiesto dei soldi a privati cittadini, giusto? E vorrebbe
che adesso noi l’aiutassimo nel coprire questo debito, dico bene?”
La donna continuava ad annuire con uno sguardo indifeso. Ogni tanto si massaggiava
gli occhi con il pollice e l’indice, proprio all’attaccatura
del naso. Quando rialzava lo sguardo, gli occhi erano sempre più
velati di lacrime.
“Non faccia così, signorina. Sto facendo domande per valutare
tutta la questione. E’ difficile la posizione della banca. Lei sa
che dovrebbe denunciare queste persone all’autorità giudiziaria,
vero? Noi potremmo anche fare questa cosa, ma è molto, molto complicata,
mi segue? Sto parlando della procedura. Non so se sono stato chiaro. Sto
cercando di farle capire…”
La donna cambio all’improvviso atteggiamento. Gli occhi verdi si trasformarono
in due diamanti duri ed inflessibili.
“Sono disposta a tutto, direttore. Devo assolutamente risolvere il
problema. E’ questione di vita o di morte. Farò tutto. Devo
affrontare le mie responsabilità. Devo…” e scoppiò
in un pianto dirotto.
Il direttore non riusciva a credere alle sue orecchie. Il sogno di una vita.
Una bella cliente disposta a tutto. E pensare che in passato si era dovuto
accontentare di passare qualche momento felice con donne sicuramente meno
avvenenti.
“Lei sa che ‘tutto’ è una parola un po’ grossa,
signorina. Qui… non so se sono chiaro… dobbiamo poter procedere
con la massima cautela… mi segua… e sbrigarci perché
le ‘garanzie’” e su questa parola fece anche l’occhiolino
“vanno date prima che tutte le pratiche inizino il loro normale iter”.
La donna si fece avanti sulla sedia mettendo in mostra un decolletè
mozzafiato. “Le ho detto che ero disposta a tutto, caro direttore.
Mi pare che abbia afferrato la questione, no?”
Il direttore stava leggermente tremando dall’emozione. Chiamò
in fretta la segretaria.
“Sonia? Per mezz’ora non mi passare nessuno. Sto verificando
insieme alla cliente le garanzie per un prestito moolto sostanzioso. Non
vorrei essere disturbato. Va bene?” la segretaria non ebbe nemmeno
il tempo di rispondere. Il tasto dell’interfono venne premuto con
decisione.
“Non festeggiamo l’accordo?” chiese la donna con aria
provocante
“Dici? … Ma sì! … Un buon prosecco non ha mai fatto
male a nessuno!”
La donna si limitò a sorridere. Stava poggiando la borsa a terra.
Si accertò che fosse messa nella posizione corretta. Mise le mani
all’interno. Poi le tenne sulle gambe. Il direttore si era alzato
per andare a prendere, nel frigobar personale, i bicchieri e la bottiglia
di prosecco, la sua passione segreta.
“Ecco qui” faceva gongolante “Brindiamo al nostro accordo!”.
Posò i bicchieri sul tavolo. Iniziò le procedure per aprire
la bottiglia.
“Può voltarsi per favore. Ho paura che possa colpirmi”
“Bè, non penserà che sono così idiota, signorina.
Devo cercare di fare meno rumore possibile. Non so se mi segue… si
fidi, sono abituato”.
“Mi da fastidio il rumore… la prego…” e gli sfiorò
il braccio con il dito indice.
L’uomo, probabilmente, pensò che non era quello il momento
per stare a sottilizzare sulla sua abilità di stappatore di prosecco.
Si girò e continuò le operazioni. Tanto lei non sarebbe scappata.
La donna intanto armeggiava con una boccetta di liquido trasparente ed inodore.
Ne sarebbe bastata una sola goccia per stendere un elefante. Dopo aver fatto
l’operazione ripose la boccetta nella borsa.
STAP!
Serena prese i bicchieri e ne coprì ad arte, con le mani, la parte
inferiore. L’uomo si voltò e verso il prosecco nei bicchieri.
Lei diede il bicchiere con il liquido ‘speciale’, che teneva
nella destra, al direttore e prese il prosecco non corretto. Brindarono
diverse volte ed iniziarono a sorseggiare. Dopo pochi secondi il direttore
sentì l’esigenza di mettersi seduto.
“E’ probabile che il prosecco mi abbia dato alla testa. Signorina.
5 minuti e…” nemmeno finì di dire la frase. Aveva chiuso
gli occhi e si era addormentato. Aveva anche preso a russare.
La donna prese dalla borsa un floppy disk. Lo inserì nel computer.
Con maestria avviò un programma che individuò un codice segreto
all’interno del mainframe della banca stessa. Copiò il programma
che gestiva tutto il sistema dei certificati digitali ed avviò un
altro programma che cancellò tutte le possibili tracce sul computer.
Tolse il dischetto. Lo infilò in borsa. Prese il bicchiere del direttore
e lo sostituì con un altro nel frigo, vi versò una goccia
di spumante e sporcò i bordi agitando il liquido. Andò via.
“Signora, il direttore è stanco. Ha detto che voleva riposarsi”
La segretaria non fece altro che scuotere la testa.
4 – Tradimento con la polizia
“Il rapporto della scientifica, commissario, non è che lasci
spazio a tanti dubbi. La signora Maria Zalny era drogata, ha avuto rapporti
sessuali poco prima di morire. Sul suo corpo sono state trovate tracce di
sperma un po’ ovunque… non penso si tratti di un semplice delitto
passionale”
“E adesso ci vogliamo mettere a pensare ad un maniaco? Vogliamo proprio
creare allarme sociale? Per certo sappiamo che è morta d’infarto.
Probabilmente causato da un uso eccessivo di quella polverina bianca di
cui era follemente innamorata. Magari è morta durante il rapporto
sessuale, su questo non sono stati molto precisi. Magari subito dopo. L’uomo
che stava con lei, forse, si è messo paura ed è scappato.
Lasciamo passare qualche ora. Vedrai che qualcuno salta fuori”
“Non possiamo pensare di lasciare in sospeso tutte le questioni, no?
Allora, andiamo passo passo. 1.” e iniziò a sottolineare l’elenco
numerico anche con l’aiuto delle dita “La donna faceva uso di
cocaina. Potremmo iniziare ad indagare, non trovi? Da chi la comprava? L’ha
comperata la sera prima? Quando l’ha comprata stava con qualcuno o
era da sola? 2. Che tipo di vita sentimentale aveva? Potremmo provare a
chiedere alla sorella. Se magari aveva un ragazzo o qualcosa di simile.
3. Iniziamo ad indagare su che tipo di vita conduceva. A lavorare…
lavorava. Faceva la telefonista in uno di quei call center della Telecom.
Vogliamo chiedere ai colleghi? Vogliamo fare qualche domanda in riferimento
al suo stato d’animo negli ultimi tempi?”
Il telefono del commissario iniziò a squillare. L’ispettore
aspettò in silenzio.
“Pronto? Commissario?”
“Dimmi Gianni”
“Volevo sapere questa storia della donna morta”
“Gianni, può essere che voi della stampa non abbiate assolutamente
nessuna remora?”
“Se ce l’ho io le remore non ce l’ha il mio direttore…ad
incularmi. Allora, commissario… qualche notizia in più?”
“Vediamo… possiamo dire che si tratta di una morte che sembrerebbe
naturale, nonostante le apparenza. Pensiamo ad un incidente”
“Incidente? Una trovata morta su una barca in spiaggia dall sorella
e dal marito della sorella lo classificate come un semplice incidente?”
“Si. Gianni. Abbiamo il rapporto della scientifica. Non c’è
altro da dire a tal proposito. Stiamo facendo le indagini di prammatica.
Ti farò sapere”
“Grazie commissario”
“Grazie a te”
Il commissario posò il cellulare sulla scrivania e riprese a parlare
con l’ispettore.
“Faccio fare un giro di telefonate agli informatori. Partiamo dalla
droga. Possiamo vedere con quale tipo di sostanza hanno tagliato la cocaina.
Da chi l’ha presa? Da chi si riforniva abitualmente? Partiamo da un
omicidio colposo o doloso. Staremo a vedere. Andiamoci con i piedi di piombo,
in qualsiasi caso”
L’ispettore uscì dalla stanza dopo aver annuito. Il commissario
si accese una sigaretta. Chiamò un suo informatore, il più
affidabile. Il più stronzo. Una risorsa inesauribile d’informazioni.
“Pronto Serena?”
“Si?”
“Sono il commissario. Come va?”
“Tutto a posto. Lei?”
“Tutto bene. Volevo sapere se c’era qualche novità sulla
donna che è morta al mare”
“Be… diciamo di si…”
“Come diciamo di si. Che significa?”
“Semplicemente che posso indicarle chi ha venduto la droga”
“Si. Lo sai che a sparare cazzate si fa una brutta fine, vero? Ricordi?”
“Lo ricordo bene il pistolotto che mi ha fatto quando mi avete preso,
l’ultima volta. Non si preoccupi. Ho tutto l’interesse a ‘venderle’
chi ha spacciato la cocaina”
“Non mi interessano le tue vendette private. Non mi vendi nessuno.
Informi la giustizia. Spara il nome”
“Enrico Bargio. Lo trovate presso la discoteca Init, tutte le sante
sere”.
“Ce lo puoi descrivere?”
“Commissario. Basta stare lì 5 minuti che si capisce subito
chi è Bargio. L’unico con l’aria anonima che fuma a ripetizione
e sta in disparte, su un divanetto. Lo salutano tutti, nessuno escluso.
E su quel divanetto c’è un via vai continuo di gente. Se mi
dice quando ci andate magari mi invento qualcosa per non farmi vedere. Ultimamente
ci incontriamo molto spesso”
“Stasera non passare all’Init. Ci siamo noi”
Una buona base di partenza. Lo spacciatore.
5 – Festa a sorpresa
L’Init era stracolma di persone che si agitavano sulla base di un
ritmo assurdamente veloce. Parecchi giovani avevano gli occhi sgranati e
si agitavano forsennatamente. Odore di sudore mischiato a profumi fortissimi
e pungenti creava quasi un effetto stordimento. Ai lati della ‘pista’
c’erano divanetti pieni di gente che parlava e ridacchiava con bicchieri
riempiti di liquidi dei colori più svariati. Dal celeste quasi fluorescente
al rosso sangue. Il commissario ed i suoi, in borghese, avevano pagato regolarmente
il biglietto. Qualcuno all’entrata si era accorto della loro presenza
ma era stato prontamente braccato da agenti che aspettavano solo una buona
scusa per far chiudere quel luogo di perdizione.
“Dove cazzo sta!” gridava il commissario ad un agente per sovrastare
il suono della musica.
“Penso stia sopra, nel privè. Dobbiamo salire le scale. Quelle
lì davanti”
Alla base della scalinata c’era un cordoncino ed un uomo dalle fattezze
primitive stava vigilando. Si avvicinarono. L’uomo incrociò
le braccia e gonfiò il petto.
“Non potete passare”
Il commissario cercò di non svelare nulla.
“Abbiamo un appuntamento con un amico”.
“Si? Non so nulla. Tutto il privè è riservato”.
“Dovevano parlare di un AFFARE importante. Sicuro che non ci vuoi
far passare? Enrico potrebbe incazzarsi moltissimo”
“Potrei anche incazzarmi io. E sarebbero veramente guai. Vedete di
sparire” e fece un chiaro gesto con la mano.
Il commissario mise le mani nella giacca. L’uomo cercò di avventarsi
ma venne fermato dagli altri agenti. Dopo qualche secondo davanti agli occhi
del buttafuori comparì un distintivo.
“Non fare lo stronzo. Fatti da parte”
L’uomo rimase di sasso. Gli agenti levarono subito l’auricolare
all’orecchio del bestione. Il commissario scostò il cordocino.
Salì le scale con gli ultimi 3 agenti che erano rimasti al suo fianco.
Una volta arrivati al privè scoprì che era facile individuare
dove stava Enrico Bargio. Era l’unico presente sul piano. Stava seduto
proprio vicino alla ringhiera che dava sulla pista, nella parte opposta
alle scale. Non aveva visto nulla. Era girato di spalle. Gli arrivarono
da dietro le spalle.
“Chi cazzo siete?”
“Bargio? Deve venire con noi in questura per essere interrogato. Ecco
il mandato”
“Voglio un avvocato. Non mi rompete i coglioni”
“Lei ha diritto ad un avvocato nel caso in cui venga arrestato. Le
conoscerà queste cose, no? Ci risulta che è già stato
arrestato. Non faccia il coglione”
L’uomo si alzò. Si pulì il vestito da qualche pelucchietto
che lo aveva impestato. Si aggiustò la cravatta e iniziò ad
incamminarsi seguito dagli agenti e dal commissario.
Scese le scale. Guardò il buttafuori e sussurrò come un cane
rabbioso.
“Sei un uomo finito. Mmerda!”
L’uomo abbassò lo sguardo. Uscirono dalla discoteca e si avviarono
verso il commissariato. Bargio, uscendo, sembrava aver preso tutta la vicenda
nel miglior modo possibile anche perché aveva fatto un sorriso a
persone che gli chiedevano se potevano incontrarsi. “Sto andando via.
Magari più tardi”.
6 – Sotto torchio
“Bargio. Non mi faccia perdere la pazienza. Gliel’ha venduta
lei la droga alla donna della foto? Si chiamava Maria Zalny, lo sapeva?”
“Scusi, commissario. Senza tanti giri di parole. Cosa vuole sapere?
Se sono io lo spacciatore? E se anche fosse? Vorreste accusarmi di omicidio?
L’avete vista la donna com’era ridotta?”
“Si. E lei come fa ad averla vista?”
“L’ho sentito dire in giro. In discoteca ci sono parecchie persone
che parlano. Qualcuna si inventa anche le cazzate. Io spacciatore…
ma avete mai pensato di andare affanculo?” e il sorriso beffardo continuava
a comparire sul suo volto.
“Smettiamola di dire stronzate. Allora… la donna è morta
per crisi cardiaca. E questo è il primo punto. Secondo punto. Faceva
uso di sostanze stupefacenti. Terzo. La cocaina che usava era tagliata con
la caffeina, quella da industria chimica. Nel suo corpo è stato trovato
l’equivalente di 40 caffè presi in una sola giornata. Un po’
troppo. Anche per una 35enne”
“Io non so niente, commissario. Mi dispiace molto per quella ragazza,
che nemmeno conoscevo. Non c’entro niente con la droga. Qualche volta
l’ho usata… che le debbo dire…”
L’ispettore, sempre rimasto in silenzio, gli urlò contro.
“Sei un testa di cazzo! Hai ucciso una persona, ti rendi conto? Spacci,
alimenti la malavita, uccidi le persone, per cosa? Per avere la bella macchina,
per avere una bella casa. per quale cazzo di motivo fai tutto questo scempio?”
Enrico iniziò ad agitarsi sulla sedia. Era palesemente nervoso. Il
commissario sperò che stesse sul punto di confessare. Dopo un attimo
di tensione il volto di Bargio tornò pacato, come sempre.
“Se invece io fossi un lavoratore che si spacca la schiena in un cantiere
per colpa di un padrone del cazzo? Come mi apostrofereste? Un onesto operaio?
Sei proprio il Re dei luoghi comuni del mio cazzo! Faccio l’agente
di import-export. E questo vi deve bastare. Il mio avvocato glielo saprà
spiegare in maniera approfondita, se vuole. Adesso lasciatemi in pace, altrimenti
vi denuncio”
“Bargio…stia calmo, eh? Il mio collega ha solo preso a cuore
l’argomento. Non si preoccupi. Non le succederà nulla. Volevamo
sapere… ad esempio… se, con tutta la gente che è venuta
in discoteca…lei aveva saputo qualcosa… sa…”
“Vogliamo fare una chiaccherata informale? Aspettare domani mattina
non sarebbe bastato, eh? Volevate cogliermi in flagrante, dite la verità!
Il dato che non state considerando affatto è che non ci siete riusciti.
Ve lo ripeto, lo faccio per voi, levatevi dai coglioni. Lasciatemi andare.
Magari domani mattina siamo tutti più calmi. Con la calma si possono
fare tante cose, sa?”
I due poliziotti tentarono ancora per un po’ a far fare una confessione
a Bargio senza alcun tipo di successo. Lo rilasciarono a malincuore. L’avevano
letto da qualche parte che avrebbero avuto a che fare con un artista del
crimine. Una persona senza alcuna morale.
7 – Truffare in casa di truffatori
Serena era arrivata trafelata nell’appartamento che dava sul mare.
“La base operativa” l’aveva pomposamente chiamata Enrico.
Fece un sorriso. L’aveva fregato con la storia della cocaina e lei,
finalmente, si sarebbe presa tutto, lasciandolo a bocca asciutta.
“Finalmente” sospirò mettendosi seduta davanti al monitor
del PC. Mise il floppy all’interno del case, copiò l’intero
contenuto sulla cartella appositamente creata da Enrico. Mancavano 10 minuti
allo scattare dell’ora X, doveva assolutamente sbrigarsi.
“Le so usare anche io queste macchine infernali…” iniziò
a sibilare come se Enrico stesse proprio dietro di lei. Una sfida che continuava
ancora. Dopo aver terminato le operazioni preliminari si alzò ed
andò in cucina. Un caffè, anche freddo, era proprio quello
che ci voleva prima di iniziare. Controllò la macchinetta del caffè.
Vuota. Andò in frigo e trovò soltanto uno yogurt da bere,
una di quelle fissazioni di Enrico che stava attento alla linea dopo essere
stato obeso per anni. Serena doveva soltanto giustificare una sigaretta
prima dell’inizio della ‘transazione finanziaria’. Era
sullo stesso balcone dove si trovava qualche giorno prima, quando inventò
tutto questo piano. Sapeva che il commissario l’avrebbe chiamata.
Vendere Enrico le sarebbe costato soltanto un pistolotto dalla sua coscienza,
che era indubbiamente minoritaria. Ora aveva davanti 10 milioni di euro
che dovevano soltanto cambiare conto corrente. Per questa operazione, ovviamente,
si era premunita di recuperare l’occorrente.
“3….2….1….Via”
Bastava un semplice click.
Sullo schermo comparì l’applicativo. Da un lato c’erano
i soldi sul conto corrente presso la banca della città. Sull’altro
il conto di Enrico e suo presso una banca svizzera. Aveva già chiamato
e chiesto di trasferire i soldi su un suo conto personale. Gli piaceva la
Svizzera. Poche domande, soprattutto se l’argomento erano i soldi.
10 mila euro. La prima trance. C’erano voluto soltanto pochi secondi.
La chiave privata del certificato digitale aveva fatto il suo dovere.
20 mila euro. La seconda trance. Una cifra onesta da spendere in qualche
boutique.
30 mila euro. La cifra saliva sempre di più. Il sorriso, gradualmente
le aumentava.
40 mila euro. Per arrivare a 10 milioni ci sarebbe voluto un po’ di
tempo ma sarebbe stata una cavalcata trionfale. Non c’era nessun motivo
di preoccuparsi. La banca stava registrando la transazione in maniera corretta.
50 mila euro. La sorpresa. Il computer sembrò immobilizzarsi per
più di qualche secondo. Non c’era verso di andare avanti. Serena
lanciò una serie quasi infinita di imprecazioni. Provava con tutti
i tasti possibili e immaginabili a sbloccare la situazione. Non poteva spengere
il computer altrimenti avrebbe perso tutto. Iniziò a sudare più
del solito. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte e le correvano lungo
la schiena. Rimase in reggiseno. Davanti al monitor. Ad imprecare.
All’improvviso il computer sembrò tornare a funzionare. Un
gigantesco pop-up apparve sullo schermo accompagnato da un rumore assordante.
“Ciao Serena, ti ringrazio per aver dato vita all’operazione.
Ora sta lavorando un computer di back up che non potrai trovare. Non è
lì, molto semplicemente. Stai tranquilla. I 50 mila euro che hai
scaricato sono tuoi. Una piccola cifra per il disturbo te la dovevo garantire,
non trovi?”
L’unica risposta della donna fu prendere il monitor e schiantarlo
per terra.
8 – Telefonata ‘costosa’
Del Zaini continuava a camminare avanti ed indietro in cucina. Si era
voluto isolare dal resto delle persone per ritrovare un po’ di pace
e di tranquillità. In mano continuava a giocare con il cellulare
che faceva saltellare dalla sinistra alla destra. All’improvviso compose
un numero e si portò il telefono all’orecchio.
“Pronto? Direttore?”
“Marco…dimmi…cosa vuoi?”
“Come cosa voglio! Si rende conto che è morta? L’abbiamo
uccisa noi con tutta quella droga…”
“Stronzo! Ti pare che queste cose si possano dire al cellulare? Sei
sempre il solito coglione!”
“Non abbiamo esagerato? Ci aveva detto soltanto che sarebbe stato
meglio, almeno per un po’, non vederci!”
“Senti…ora sei scosso…tua moglie ha appena perso la sorella
e dentro casa tua c’è un’atmosfera che non aiuta di certo…
vedi di andare a prendere delle sigarette al tabaccaio vicino casa. Ci vediamo
lì, capito?”
“Non fumo. Ho smesso da 6 mesi”
“E improvvisamente rinizi! Non rompere il cazzo!”
“Ok… ci vediamo tra una ventina di minuti?” e dall’altra
parte il suono del telefono riappeso.
Marco andò in camera si mise vestiti decenti e andò dalla
moglie, che era rimasta immobile sul divano da quando erano rientrati. Lo
stesso identico sguardo perso nel vuoto. Una donna completamente distrutta.
“Vado a prendere le sigarette”
Loretta non si mosse. Rimase immobile come se fosse in stato catatonico.
Prese le chiavi della macchina sul tavolinetto, aprì la porta ed
uscì fuori.
Davanti al tabaccaio c’era un nugolo di gente. La macchina del direttore
era ferma poco distante con il motore acceso. Parcheggiò dietro.
Scese dalla vettura e si avvicinò al finestrino del direttore.
“Allora?”
“Allora cosa! Deficente! Se osi soltanto un’altra volta a dire
quelle cose per telefono ti giuro che il prossimo a morire sarai tu. Mi
sono spiegato!”
“Sa…lo stress…non ci stavo quasi pensando…sento
un peso qui…”ed indicò la bocca dello stomaco.
“Non me ne frega un cazzo! Stiamo nei guai. Io non posso finire in
galera per una puttanella del genere. D’accordo?”
Marco iniziò ad agitarsi nervosamente. Non riusciva a stare fermo
sulle gambe. Doveva continuamente muoversi, agitarsi. Strinse i pugni. Si
mise ad urlare.
“Che cazzo ne sai te di Maria, eh? Una puttanella? Ma come cazzo ti
permetti!”
Il direttore mise in moto e partì sgommando. Marco cercò di
rincorrerlo senza alcun risultato e, dopo qualche minuto, rientrò
in casa con due pacchetti di sigarette nelle mani. Aveva ripreso a fumare.
9 – Un disguido di colpevolezza
Marco ora continuava a camminare avanti e indietro per la cucina come
prima di uscire. Le uniche differenze erano: camminava molto più
velocemente, lo faceva con una sigaretta tra le dita, sempre.
Ne accendeva una dietro l’altra.
Nel silenzio totale che si era venuto a creare, nonostante gli ospiti, all’interno
dell’appartamento si distinguevano in maniera nitida i passi nervosi
di Marco sul pavimento di marmo e il respiro affannato di Loretta che sul
divano era contorniata da parenti in lacrime. All’improvviso un sobbalzo
generale. Il campanello aveva preso a suonare nonostante la porta fosse
stata lasciata aperta proprio per non disturbare la quiete del dolore.
“Polizia. Cercavamo il signor Marco Del Zaini”
“S…s…sono io”
“Signor Marco deve seguirci per essere interrogato in Questura”
“Che cosa volete da me. Non vedete che momento sto vivendo?”
“Ci dispiace disturbarla in questo momento. Ci sono alcuni aspetti
debbono essere chiariti agli inquirenti. Deve seguirci”
“Non ho fatto nulla. Non so per quale motivo siete venuti fino a qui”
“Deve seguirci, signor Del Zaino. Non faccia resistenza” il
tono del poliziotto si stava facendo sempre più duro ed inflessibile,
malcelando un momento di tensione.
“NON HO FATTO NIENTE! COME CAZZO VE LO DEVO DIRE?” iniziò
ad urlare l’uomo.
Un poliziotto fece un passo in avanti, gli altri iniziarono ad allertarsi.
L’uomo iniziava a sbracciare e ad agitarsi. Iniziò a sudare
copiosamente.
“Deve seguirci, non faccia tante storie”
“NO! IO NON HO FATTO NIENTE! CON LA VICENDA DI MIA COGNATA NON C’ENTRO!
SONO INNOCENTE!” mentre gridava queste parole la moglie iniziò
a risvegliarsi dallo stato di catalessi in cui si trovava “NON HO
FATTO NULLA! LASCIATEMI STARE! PIUTTOSTO ANDATE DAL DIRETTORE!”
Il poliziotto lo prese per le braccia nell’unico istante in cui Marco
aveva dato le spalle. Lo braccò. I poliziotti misero le manette.
Il caposquadra prese il cellulare da uno dei taschini della divisa, lo portò
all’orecchio, attese qualche secondo ed iniziò a parlare.
“Commissario Tinigri? Pronto? Novità rispetto al caso della
signorina Zalny. Il cognato ha fatto una mezza confessione quando lo siamo
andati a prendere per la truffa in banca. L’abbiamo arrestato. Lo
portiamo?”
Un attimo di attesa. Faceva dei cenni con la testa.
“Si. Lo portiamo da lei” altro silenzio “d’accordo”.
L’uomo venne trascinato via. Nella casa nessuno si era mosso di un
solo palmo. Guardavano tutti la porta anche quando non c’era più
nessuno. Una vicenda che sapeva d’incredibile. Marco aveva ucciso
Maria. Insieme con il direttore. In una qualche maniera tra loro c’era
una storia che non poteva essere raccontata. Loretta si alzò dal
divano. Andò in cucina. Prese l’acqua dal frigo e se ne versò
un po’ all’interno del bicchiere. Tornò di là
e, rivolta ai parenti, chiese
“Volete qualcosa?”
10 – Davanti agli inquirenti
Ad interrogare Marzo Del Zaini ed il direttore della banca c’erano
un commissario ed un tenente. Il primo della omicidi ed il secondo della
guardia di finanza. Le accuse fatte erano pesantissime. Omicidio volontario
e truffa ai danni della banca. L’interrogatorio durava ormai da ore
e non si era venuti a capo di niente. Le dichiarazioni di Marco erano state
ritrattate. Il direttore non aveva proferito una sola parola sin dall’inizio.
“Aspetto il mio avvocato”. “Parlerò solo dopo aver
conferito con il mio legale” erano le uniche parole risuonate nella
stanza. I poliziotti non avevano l’aria abbattuta. Stavano aspettando
il referto del laboratorio. Dopo una mezz’ora di totale silenzio bussarono
alla porta.
“Commissario. I referti. Può uscire due secondi?”
“Si” e rivolto al tenente “puoi continuare”
Il finanziere non se lo fece ripetere due volte.
“Allora. Vi rendete conto che i soldi spariti dalla vostra banca,
prima di finire in un paradiso fiscale sono transitati sui vostri conti?”
“…”
“Forse non vi è chiara una cosa. Tutti voi, dipendenti della
banca, vi siete impossessati per qualche secondo dell’intera somma.
Avete fatto spese minime proprio in quei secondi per poi trasferire l’intera
somma. Potrei pensare ad una procedura automatica. Potrei anche non farlo,
però. E sbattervi tutti dentro per truffa ai danni della banca centrale”.
Il tono era abbastanza calmo. La voce determinata. Lo sguardo eloquente.
Il direttore guardava in basso mentre Marco continuava a mangiarsi le unghie
agitando la gamba destra. Era seduto ma non riusciva a trovare pace. Il
discorso del finanziere gli interessava ben poco. Aveva in mente soltanto
Maria ed i momenti che passavano insieme. Lui. Lei. E qualche volta il direttore
che voleva soltanto guardare.
Entrò di nuovo il commissario con una serie di fogli in mano che
continuava ad osservare. Si sedette. Il foglio che guardava lo mise davanti
a se. Uno lo diede a Marco Del Zaini e l’altro al direttore. Il finanziere
lo fissava stupito. Non riusciva a capire.
“Sapete leggere?” una domanda lapalissiana che usava come artificio
retorico per poter partire con il suo discorso “Allora vi sarete già
accorti che lì su quel referto ci sono i vostri nomi. A fianco ci
sono anche i responsi delle analisi. La prova del DNA ha dato esito positivo
per tutti e due. Il vostro sperma era sul corpo della vittima. Non volete
ancora dire niente?”
“No” fece chiaro il direttore. Marco alzò per qualche
istante la testa per poi tornare a mangiarsi le unghie e a fissare la gamba
del tavolino.
“Otinetti? Prendi i due e falli trasferire in carcere”
Entrò un poliziotto che ammanettò i due e li portò
fuori dalla stanza.
11 – Dovete leggerlo con calma
Maria Zalny venne sepolta nel cimitero della città. Parecchia la
gente venuta a commemorare quella ragazza che tutti ricordavano espansiva
e gentile, educata e generosa. La sorella era rimasta immobile ed inespressiva
per tutta la cerimonia. Alla fine tutti andarono via. Lei rimase lì.
Voleva rimanere sola con la sorella. Voleva, probabilmente, confidargli
tutto il dolore che aveva provato in quegli istanti in cui l’aveva
vista morta, nuda, umiliata.
“Ciao Maria” e toccò la foto “mi è dispiaciuto
molto, tu non puoi immaginare quanto…” e le lacrime iniziarono
a colmare gli occhi della donna “ma l’ho dovuto fare. Non era
possibile andare avanti così”. La donna a quel punto cadde
in ginocchio. Prese un fazzoletto dalla borsa. “Tu e mio marito avete
rovinato l’esistenza mia e dei miei figli. Non avevate nessun rispetto,
nessun pudore. Non ce l’ho fatta più. Perdonami. Probabilmente
non è colpa tua se lui, allora, mi ha messo in cinta e sposato e
tu sei rimasta delusa. Stavate insieme, vero?” la donna sistemò
i fiori che stavano sotto la foto in cui la sorella sorrideva “Perdonami
ancora. L’ho fatto anche per il tuo bene”
12 – Sensi di colpa (interessati?)
Enrico era fermo ad un bar dell’aereoporto in attesa di volare in
un posto imprecisato. Sorseggiava un po’ di Aperol e oransoda mangiucchiando
anche delle arachidi. Intorno a lui gente che discuteva animatamente, parlottava,
amoreggiava. La voce che annunciava i voli, quel giorno, gli sembrava molto
sensuale. Non gli dava fastidio nulla e, fino ad allora, non aveva ancora
toccato una sigaretta. Non aveva nessun motivo per cui fumare. 10 milioni
di euro possono farti permettere ben altri vizi. Il fumo, forse, apparteneva
al passato. Squillò il cellulare
“Pronto?”
“Tesoro? SCUSAMI! Mi sono fatta prendere… dalla paura. Mi ha
telefonato la polizia e mi ha detto che se non facevo un nome… mi
mettevano dentro…”
“Serena…lascia stare, eh? Lo so. Immagino tutto. Che ne dici?”
“Mi volevo far solo perdonareeee. Ti pregoooo. Voglio venire con teeeee.
Dove seiiiiiii?”. La voce, in sottofondo, annunciava i voli. “Sei
all’aereoporto? Sto arrivando”
“Serena. Non ti preoccupare, nasconditi dove sai. Ci vediamo tra un
mese. Al solito posto. Divertiti!”