Tratto da “Avvenire” del 3 agosto 2012, pagina 23
da Latina Gianni Santamaria
Fasciocomunisti su Marte? Piuttosto «Ritorno al futuro». Già, perché Antonio Pennacchi nel suo prossimo romanzo racconterà la storia di una avveniristica colonia spaziale, che però somiglia molto a Latina, la sua città. Il premio Strega 2010 con Canale Mussolini ha letto mercoledì sera, in anteprima, presso la libreria Piermario &Co., i primi 12 capitoli delle Cronache da un pianeta abbandonato, opera di fantascienza che - una volta ultimata - uscirà per l'editore Dalai. Il ritorno al passato-futuro è duplice. Non solo l'insediamento raccontato ha il suo Palazzo K, proprio come a Latina, già Littoria, c'è Palazzo M, fatto a forma dell'iniziale di Mussolini. Ma anche il progetto letterario in sé ha le sue brave radici.
Anni fa Pennacchi, con l'associazione Anonima Scrittori, iniziò infatti un laboratorio di scrittura creativa con lo stesso titolo dell'opera in corso. «Oggi ho ripreso, rielaborato e riadattato il lavoro fatto», dice. Uscirà a sua firma, ma lui - coppola blu, cravatta rossa e sciarpetta al collo dello stesso colore nonostante il caldo africano - ogni tanto snocciola qualche nome: questa idea l'ha avuta tizio, questo personaggio è frutto della fantasia di caio. Opera collettiva, insomma. Così come la discussione del lavoro in fieri. Caratteristica pennacchiana quella di declamare gli scritti inediti a un pubblico di amici e ascoltarne pareri e suggerimenti. Dopo un'iniziale tirata contro le grandi catene librarie e pro librai indipendenti, l'autore inizia a proporre la sua galleria di nuovi personaggi. E di luoghi. Inizialmente si schermisce: «Dicono: è sempre Latina. Non è vero». Poi, sornione, snocciola una serie di toponimi inglesi dietro i quali si nasconde il capoluogo pontino: uno su tutti, Little Rush («piccolo giunco», il quartiere Gionchetto). Risate assicurate e quattro ore passano d'un fiato. L'immaginario fanta-pennacchiano , comunque, è bonario, ma non superficiale. Al centro c'è la questione «se il modo dell'uomo di sentire la vita cambia con la tecnica o resta lo stesso». È alla fantascienza «dei sentimenti di Bradbury, non a quella tecnologica di Asimov che mi ispiro. A quella del land forming, della frontiera americana. C'è più Il popolo dell'autunno che le Cronache
marziane», dice lo scrittore. Tanto che nella sua cittadina immaginaria appare un circo proprio come nella Green Town dell'autore americano da poco scomparso. In sala c'è chi evoca Orwell. «Ma lui vede nero, è apocalittico, io non lo sono», replica. E dice di aver guardato piuttosto ad Ausonio, poeta latino del IV secolo, al Twain di Tom Sawyer, a Verne, fino alla
Spoon River di Edgar Lee Masters. In effetti quanto messo su carta nella prima delle tre parti previste, intitolata proprio "La Colonia", strabocca di personaggi. Manca per ora uno sviluppo nella vita di questa «società chiusa a decrescita perfetta». In sala pian piano appaiono un certo Aldous (Huxley?), la cagnetta Laika (e nello spazio ci può stare), in compagnia di Lassie e prossimamente di Rin Tin Tin, c'è la Galassia League, dove giocano i Lupi di Vega, rigorosamente giallorossi. Manca solo il Canale. Ma qui è questione di diritti tv, non di bonifiche.