Copio e incollo questo ricordo scritto da un mio amico su fb.
in memoria di Don Cesare Boschin a 15 anni dal suo martirio
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Ieri alle 22.51
Era sera 15 anni fa oggi. Era sera quando don Cesare Boschin rientrò nella sua canonica come faceva ormai da decenni. Ci entrò con le sue gambe a 81 anni e ne usci la mattina dopo dentro una bara. Era un prete veneto, con quella buona volontà e laboriosità orgoglio della gente antica della bonifica, un prete di campagna che scambiava il bar e la strada per la sua chiesa, che predicava il Vangelo dei semplici e condivideva la vita, quella vera della sua gente.
Perché la gente di Borgo Montello era la sua gente.
Chissà quanto tempo ebbe quella notte per accorgersi di quello che gli stavano facendo e se riuscì negli ultimi attimi della sua vita ad abbandonarsi nelle braccia di Dio.
Quanta infamia ci vuole per ammazzare di botte un prete di 81 anni e poi imbavagliarlo e incaprettarlo lasciandolo lì nel suo letto solo e agonizzante. Dissero che erano stati dei balordi che lo volevano derubare ma la modalità con cui lo uccisero era lì a gridare la loro matrice.
Lo uccise la mafia o meglio la camorra che già 15 anni fa faceva affari nella nostra terra con la discarica, i rifiuti tossici e il silenzio compiacente dei politici.
I nomi che stanno dietro questo martirio, perché di martirio si tratta, sono quelli di Schiavone, Salzillo, Bardellino gli stessi che ha gridato al mondo Roberto Saviano nel suo Gomorra.
E che di omicidio di mafia si parla lo stanno a dimostrare anche le calunnie che di lì a poco piovvero sulla testa di Don Cesare, si parlò di ambiente gay e cose del genere, ma è fin troppo chiaro che servivano per far tacere tutti, anche la stessa chiesa pontina, perché al suo nome partissero unanimi i “sssshhh non ne parliamo”.
Oltre che la persona cercarono di uccidere la sua memoria, come hanno fatto con altri prima di lui, come ade esempio con Don Giuseppe Diana, il giovane prete ucciso nel 1994 nel Casertano perché scrisse apertamente “per amore del suo popolo” ciò che pensava della camorra.
Anche nel caso di Don Diana andarono in scena tentativi subdoli di delegittimazione, continuati sino ai giorni nostri, l’ultimo di quest’estate ad opera di Gaetano Pecorella, oggi presidente della commissione d' inchiesta sui rifiuti e all’epoca dei fatti avvocato difensore di Nunzio De Falco mandante dell’omicidio di Don Diana.
Oggi mi chiedo perché nel caso di Don Boschin tutti, o quasi, abboccarono alla panzana e tutto finì nel dimenticatoio come anche la sua agenda, mai più ritrovata.
Ma forse adesso, 15 anni dopo, con l’intervento di Don Ciotti quest’estate e il lavoro di Libera in diocesi, con la realizzazione dell’ottimo vino IGT Lazio Trebbiano chiamato “Campo Libero”, frutto delle terre confiscate ai Casalesi a pochi kilometri da dove uccisero Don Boschin.
Forse adesso possiamo tornare a ricordare, a fare memoria senza vergogna di Don Cesare Boschin. Allora forse Don Cesare può tornare a vivere in questo inizio di settimana santa.
Può tornare a vivere la sua caparbia umiltà di cercare di capire cosa stava succedendo nella sua terra, cosa erano quei camion che arrivavano di notte e quei soldi che piovevano nelle tasche dei contadini che vendevano le loro terre o dei camionisti che tornavano da Livorno con i loro camion.
Può tornare a vivere il suo coraggio di rivolgersi ai Carabinieri e di parlare.
E può tornare a vivere la coscienza civile di questa terra, di questo povero angolo di mondo dove tre persone diventano oggetto di agguati mortali per strada in pochi giorni, dove vengono arrestate 11 persone dalla DIA e sequestrati beni per 500milioni di €uro.
Dove oggi si è andati al voto, in un comune che andava sciolto per mafia, con le stesse facce di prima e con un sicuro prossimo sindaco, tale Salvatore De Meo, assessore all’urbanistica di quella giunta oggetto della relazione del prefetto Frattasi, allontanato da Latina e calunniato dal senatore Fazzone e dal presidente della Provincia Cusani, per diventare oggi vice capo della Polizia Italiana.
Oggi Don Cesare Boschin può tornare a vivere, nella gloria di Dio e dei suoi martiri, perché di questo si tratta, o almeno può tornare a farlo nelle nostre coscienze e nelle nostre preghiere quaresimali, quelle di gente semplice “laici nella chiesa e cristiani nel mondo” che si sforzano, tra mille difficoltà, di dare ancora senso e vita alle parole “bene comune” e “legalità”.
Buona settimana santa Don Cesare, e lassù da quella croce, risorgi con noi e per noi nelle braccia del Padre.
Marco Franchini