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E' morto Edoardo Sanguineti il poeta dell'avanguardia

(43 articoli)
  1. A

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    Aveva 79 anni. Esponente di punta del Gruppo '63. Autore teatrale, saggista, critico letterario, studioso di Dante. Stamane si è sentito male a casa; ricoverato all'ospedale di Samperidarena si è spento qualche ora dopo. Docente di letteratura italiana all'Università, fu consigliere comunale poi deputato come indipendente nelle liste del Partito Comunista.

    Giovedì era atteso a Palazzo Ducale per inaugurare il Festival del pensiero comico. "Nel mercato planetario - è scritto nel suo ultimo intervento pubblico - far ridere è arma di potere. E' meglio scrivere di riso che di lacrime, perché ridere è ciò che è proprio dell'uomo".

    Sulla poesia, tre anni fa, Sanguineti scriveva: "In cinquant'anni molte cose sono profondamente cambiate, la poesia è cambiata, ma non è cambiato il compito dei poeti, quello di disegnare il profilo ideologico di un'epoca".

    Nelle opere dell'intellettuale, anche il libretto per le musiche di Luciano Berio, scritto per un adattamento dell’Orlando furioso curato dalla regia teatrale di Luca Ronconi.

    http://tv.repubblica.it/copertina/sanguineti-ospite-a-radio-capital-%282006%29/47335?video&ref=HRER2-1

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. k

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    Come uomo riposi in pace e come spirito che si congiunga al più presto alla luce dell'Uno. Ma come intellettuale e artista, hanno fatto più danni loro alla letteratura italiana che la scoperta dell'America, la diffusione dell'inglese e le nomine dei ministri Berlinguer, Ruberti e Moratti alla pubblica istruzione e all'università.

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. Beh sì... sto gruppo 63... mah... boh... me pare più un giochetto da salotto di intellettuali...

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. k

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    Giochetto da salotto? Nemici del popolo e della letteratura nazionale.

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. La mia modestissima sensazione è che il Gruppo '63 si rese semplicemente conto - magari sbagliando - che non era possibile fare di meglio rispetto ai Moloch del passato. Hanno provato ad inventarsi qualcosa di nuovo. Magari è servito, almeno all'inizio, a ridestare una certa curiosità nei lettori. Poi è chiaro che il tornado culturale del '68, pur coi suoi eccessi, li ha travolti.

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. zaphod

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    Fondatore

    Di Edoardo Sanguineti parla Miro Renzaglia su Il fondo di oggi.

    ADDIO, SANGUINETI
    IL POETA POST-POUNDIANO DEL GRUPPO 63

    Una vita dedicata alla poesia. Quella di Edoardo Sanguineti, morto ieri, all’età di 79 anni nella città, Genova, dove era nato il 9 dicembre 1930. Il poeta è morto nel corso di un intervento chirurgico le cui circostanze sono oggetto di indagine.

    Fine intellettuale, teorico e critico letterario, autore di teatro e docente di letteratura all’Università del Capoluogo ligure, Sanguineti segnerà ancora a lungo il percorso della scrittura poetica italiana. La sua attività prende via, lui poco più che ventenne, con le prime raccolte, Laborintus (1956) e Opus metricum (1961). Nel 1963, darà vita insieme a Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Luciano Anceschi e molti altri, alla esperienza di rinnovamento poetico più profonda del Novecento italiano, dopo il Futurismo: quella del Gruppo 63 che, nel suo nucleo essenziale: Giuliani, Sanguineti, Pagliarani, Balestrini e Porta, s’era già raccolto nell’antologia de I Novissimi nel 1961.

    La poesia di Sanguineti è poesia politica in estensione fra lettura ideologica, marxista e strutturalista dei piani della scrittura e attenzione a quelle “umane faccende” che si svolgono, seminascoste e talvolta perfino intimamente tra le pieghe della grande narrazione della storia.

    Nonostante le tutt’altre ascendenze della politica in senso stretto, il poeta genovese non aveva difficoltà a riconoscere un proprio debito di apprendistato con Ezra Pound, tanto da accettare di buon grado di essere definito da Umberto Eco “poeta post-poundiano”. Era proprio in Pound e nel Vorticismo, infatti, piuttosto che nei futuristi che Sanguineti e, con lui molti dei poeti del Gruppo 63, trovarono la chiave di superamento del fin lì dominante Ermetismo.

    Una scrittura materialista, la sua. Dove per materialismo non va inteso solo il principio marxiano del termine quanto, piuttosto, il concepire la parola come materia viva da lavorare e trasformare ai fini di un linguaggio che non si voleva più ripiegato sul suo significato ma che cercava nel significante nuove strutture argomentative. Una ricerca tutta sperimentale che lo porterà negli anni Settanta a sviluppare un discorso se non “al termine della parola” sicuramente in zone molto prossime ai “giochi di parola”.

    E’ il tempo Wirrwar (1972) Postkarten (1978) Stracciafoglio (1980) e Scartabello (1981), fino a quel Gatto Lupesco (raccolta che racchiude il lavoro tra il 1982 e il 2001) che contiene la più chiara definizione del suo estremo approdo poetico, Cos’è la poesia: «la linea (lunga che, larga che) lista / (unifica, univerte, ulcera, ustiona), / con campi e cerchi, critico e cronista: / (informa e incide e imprime, idolo e icona): / Arti e artefatti articola in artista / nessi di nodi di nuda non persona, / occhi ottativi in ottimo ottimista: avventi e apofobie, se avverbia, aziona: / normale normativa nutre nomi, / concilia congiuntivi e congiunzioni, / esprime esclamativi, elude encomi: / succhia i supini, è soma in semi ne in stomi: / chiavi e chiodi conchiude in cavi coni, / indica indicativi in ipoidiomi:». Un approdo che ha nell’ironia e nell’autoironia la cifra tangibile dello stile.

    In un’intervista del 2003, a cura di Marina Giardina che gli domandava: «Quale è il disordine da cui noi oggi dobbiamo uscire? Quale palus putredinis? Quali modelli?», rispose: «La poesia deve rifiutare i modelli. Si continua a tornare all’ordine quando invece bisogna tornare a quel disordine».

    «Quel disordine» a cui intendeva essere necessario continuamente ritornare per rifiutare i modelli imposti, a noi piace dare il nome di vita. Che è poesia.

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. A

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    La classe operaia deve dirigere tutto

    Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? Recuperare la coscienza di una classe del proletariato di oggi, è essenziale!
    (Edoardo Sanguineti)

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. Spiegalo ai sindacati.

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. Chissà in quale reparto della fabbrica lavorava, il compagno Sanguineti.

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. A

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    In effetti, credo che non avessero fatto un giorno di fabbrica nè Gramsci nè Togliatti...

    Comunque, è utile riflettere sul concetto di lotta di classe, ma non pensando più alla vecchia classe operaia, ma alla nuova classe precaria (operaia o no) , che tuttavia non ha ancora coscienza di essere sfruttata.
    Il tanto vituperato Michele Serra (soprattutto dal Sensi, come se Sensi non si rendesse conto di quanto la precarietà sia brutta, soprattutto dopo che hai studiato tanto), dice cose sensate.
    Allego qui sotto:

    Michele Serra: La fluidità e il futuro rubato
    Tratto da “la Repubblica”, 12 dicembre 2004
    La condizione precaria, a differenza della condizione operaia, non è stata ancora scritta. Non ha voce, come se la diaspora della fabbrica, e la dispersione dei salariati, fosse una specie di "soluzione finale" della gran questione dello sfruttamento. Milioni di solitudini non fanno una coscienza di classe, non formano un linguaggio comune, non fanno sindacato: colui o coloro che riusciranno nell’impresa (e forse accadrà, prima o poi) di dare identità politica ai precari, avranno cambiato la storia sociale dell’Occidente postindustriale. Anche il giornalismo, in materia, non sa bene che pesci pigliare. Una volta il cronista andava davanti ai cancelli, domandava, ascoltava, fiutava il vento e gli umori delle tute blu. Se le fonti ufficiali erano il sindacato e l’azienda, quelle ufficiose gravitavano tutte attorno al grande mondo della fabbrica o del dopolavoro. Inchieste memorabili sulla Fiat degli anni caldi sono state scritte scarpinando attorno agli immensi perimetri di Mirafiori e del Lingotto, o raggiungendo i delegati, a notte tarda, nelle birrerie torinesi dove la sinistra discuteva il da farsi. Oggi non è più attorno alla macchina, tra quei clamori, quelle durezze industriali, che si fanno e si disfano i destini del lavoro, e delle vite di chi lavora. Tutto avviene lungo itinerari individuali separati, nascosti, impalpabili, più avventurosi (quando va bene) ma anche più alienanti (quando va male) della catena. Si registrano a volte i casi anomali, i record quasi grotteschi di instabilità e indeterminatezza, il trentenne che ha già cambiato trenta lavori con maturazione professionale pari a zero, quello che in dieci anni di contratti a termine ha accumulato solo una settimana di ferie, e contributi quanti ne bastano per prepararsi a una pensione inesistente. Ma è come raccogliere le briciole per cercare di indovinare come è fatta la torta. E dire che le nuove condizioni del lavoro hanno creato, oltre a qualche nuova opportunità e qualche nuova mentalità mille miglia distante dall’ossessione del posto fisso, indicibili malesseri economici e forse soprattutto esistenziali, riassumibili in quella veridica formula, "mancanza di futuro", che a dirla meglio e a capirla meglio è un ben fosco riassunto dello stato delle cose. "Fluidità" può voler dire tante cose, dinamismo e libertà di movimento per quei pochi che sanno fare arte della mancanza di basi solide, per la minoranza che ce la fa. Ma per gli altri, per la grande massa dei precari, fluidità vuol dire letteralmente sentire il terreno sotto i piedi che si fa inconsistente, vuol dire impossibilità di programmarsi una vita, vuol dire ansia, insicurezza, e appunto: precarietà. Forse non si è ragionato abbastanza su questa parola, che pure è spietatamente negativa (per questo si cercano e ahimé si trovano pietosi e anche ridicoli eufemismi, tra i quali il cococò rimarrà in eterno il più maldestro). Ovvio che nessuno vorrebbe una vita precaria, un lavoro precario, una casa precaria, un futuro precario. Che il mito del posto fisso arrivasse a bloccare, come una morchia collosa, la fantasia e le prospettive di un paese invecchiato, è anche verosimile. Che al posto (e all’opposto) di quella fissità rischi di nascere una società dalle identità sociali inconsistenti, dal potere d’acquisto minimo, dall’incomunicabile angoscia individuale che non diventa mai risposta collettiva, è però sotto gli occhi di tutti.

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. Vi pongo questo quesito:

    secondo voi è peggio la condizione del precario attuale o quella dell'operaio?

    Mi spiego meglio: oggi è preferibile fare l'operaio o l'insegnante precario?

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. Fernà, che cazzo de domanda è? Ma quando uno parla delle cose, almeno le ha vissute? Se vuoi delle risposte: vai a scuola da qualche precario oppure alla Nexans o in una fabbrica a caso di Latina.

    Su Togliatti e Gramsci: è vero. Forse proprio da questo derivano tutti i problemi.

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. Proviamo così: secondo voi quale deve essere, a questo punto, la politica scolastica dello Stato? Demotivare i giovani a diventare insegnanti precari a vita e incentivarli ad entrare prima nel mondo del lavoro oppure continuare a illudere tutti indistintamente?

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. A

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    I giovani? ...La maggioranza dei precari scolastici oggi non è fatta da "giovani", c'è gente che lavora da trent'anni a scuola e ancora non è di ruolo. E, guarda, che comunque, benchè precario, a scuola hai comunque un contratto con delle garanzie. perciò, si può dire che il precariato scolastico sia l'aristocrazia della classe precaria. (parlo con cognizione di causa). Il precariato dei call center è molto messo peggio, ad esempio.
    La politica confindustriale (cui tanto la destra quanto il pd pare subordinata) è quella di tagliare la spesa sociale, sulle tre voci: lavoro, sanità scuola, che fanno il welfare. Vedrai che la prossima mossa sarà tagliare il quinto anno di scuola superiore. (Per adeguarsi all'Europa, diranno).

    bassoli fatti un giro qua dentro va'
    http://bru64.altervista.org/

    Ps: comunque un marxista ortodosso direbbe che la classe operaia non comprende i precari scolastici,o dei settori non produttivi, appunto perchè essi non produrrebbero. Ecco perchè anche le vecchie categorie andrebbero ripensate. Coscienza di classe precaria dovrebbe sussumere la vecchia coscienza di classe operaia, altrimenti stiamo semprè là, a pensare ad una rivoluzione classica. E appunto per evitarla, il capitalismo cerca di disunire la classe, ed il precariato è appunto tale tentativo, finora riuscito, di disunione.

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. Ma è vero che vogliono abolire anche la storia dell'arte nei licei A? O ho capito male?

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. A

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    Get the Video Player

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. No perché abolire la storia dell'arte in Italia, cioè in un Paese che è un museo a cielo aperto, sarebbe come proporre l'abolizione del gioco del calcio sulle spiagge brasiliane.

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. A

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    Infatti, Fernando, infatti.

    Comunque non devi cercare ragionevolezza da un governo in cui comanda Tremonti, e in cui, non più tardi di due ore fa, lo stesso ministro Bondi ha detto di essere stato "esautorato".

    Comunque per quanto riguarda la tua domanda, qui tutte le risposte. E' il sito nazionale egli insegnanti di storia dell'arte. http://www.anisa.it/

    E non ci dimentichiamo dei tagli al latino. E della madre di tutti i tagli: il taglio di un anno scolastico intero, che ci sarà, quasi sicuramente, anche se non se ne parla ancora ufficialmente, ma è il segreto di pulcinella. Per il prossimo anno comunque 28.000 precari scolastici tagliati.

    dire che un anno di meno a scuola favorirebbe l'accesso di un anno al mondo del lavoro, sarà la giustificazione che addurranno. In realtà servirà solo a tagliare 1/5 delle cattedre alle superiori.

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. Grazie. Certo che 28mila sono veramente tanti...

    Temo vogliano imporre uno schema di studio nozionistico... imparare 4 cose e recitarle a memoria, anzi mandarle a memoria, senza un'ombra di spirito critico...

    "Cazzo approfondiscono a fare - sembrano pensare -? Tanto poi il lavoro non lo trovano lo stesso..."

    La morte della cultura, insomma, è alle porte.

    Resistere

    resistere

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    Pubblicato 13 anni fa #
  20. cameriere

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    fer,
    apri un topic
    e facci un bell'articolo, sui tagli alla scuola, il latino e altro.
    fallo poi girare pe' i pizzi che conosci tu.
    qui lo possiamo mettere negli articoli in home.

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. zanoni

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    E non ci dimentichiamo dei tagli al latino. E della madre di tutti i tagli: il taglio di un anno scolastico intero

    scusa, in che senso il taglio di.... un anno scolastico intero?

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. A

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    Diplomarsi al 4° anno, e non al 5°, come avviene in spagna, francia, regno unito, Usa...
    Infatti la metteranno così: uniformiamoci all'Europa.

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. zanoni

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    Diplomarsi al 4° anno, e non al 5°, come avviene in spagna, francia, regno unito, Usa...

    o mio dio...

    se passa 'sta cosa, scendo in piazza anche io contro il governo!!!

    l'ignoranza di inglesi e americani e' proverbiale, in Francia per salvarsi si moltiplicano le 'classi preparatorie' tra la fine del liceo e l'inizio delle universita' (sulla Spagna sono poco aggiornato, ma ci sono le scuole private religiose che salvano la baracca)...

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. Eliminare il 5° anno di liceo, per capirsi. C'è gente che esce ignorantissima in 5 anni, figuriamoci in 4... e non è solo questo il problema... mi domando come pensano di riorganizzare i programmi per condensarli in 5 anni...

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. A

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    Una mannaia sulla memoria
    Le Fondazioni Gramsci, Basso, Sturzo e Feltrinelli, il nucleo più attivo dell'Associazione delle istituzioni di cultura italiane (Aici), stanno preparando un documento da rendere pubblico entro poche ore che lanci un appello al mondo della cultura mondiale contro la decisione del governo di azzerare i fondi statali per le attività degli istituti e gli enti culturali italiani.
    Flavia Nardelli, segretario generale dell'Istituto Sturzo, giudica «insensato» il taglio ai 232 istituti culturali che «decapita la cultura e la memoria italiana». Ma la cosa più grave, aggiunge, «è che mette un marchio d'infamia sul modello virtuoso più interessante di collaborazione tra pubblico e privato». L'articolo 7, comma 22 della manovra finanziaria stabilisce che lo Stato cesserà da subito «di concorrere al finanziamento degli enti, istituti, fondazioni e altri organismi».
    Il 30 per cento della cifra risparmiata andrà inoltre a costituire un fondo destinato a finanziare attività di enti che ne facciano «documentata e motivata richiesta». Diversamente dalla cifra diffusa ieri, il fondo messo a disposizione nell'ultimo triennio per questi enti non sarebbe di venti, ma di circa sei milioni di euro.
    A preoccupare sono le modalità improvvisate, come spesso accade nelle politiche governative che si occupano di formazione e conoscenza, con le quali negli ultimi tre giorni il provvedimento è stato definito. La diffusa impressione è che al ministero dell'Economia abbiano messo nel calderone misure molto diverse e non si siano resi conto che su provvedimenti di questo genere, di bassa rilevanza economica ma di alto impatto simbolico, possa esistere un consenso trasversale.
    Nella tabella ministeriale stabilita per il prossimo triennio 2008-2011, i contributi statali sono un decimo rispetto al bilancio dello Sturzo, per altri il 20 per cento e per altri ancora è più rilevante. Nella maggioranza dei casi permette di avviare processi virtuosi attraverso i quali catalizzare nuovi fondi, mettendo a disposizione del pubblico servizi e archivi di cui lo Stato non si occupa più. «Si colpisce una realtà virtuosa - aggiunge Flavia Nardelli - facendola sembrare un mondo di mangiatori ad ufo. Questa immagine la rifiutiamo. Noi anzi dovremmo essere ringraziati per il lavoro che facciamo».
    Non è solo la cifra complessiva a contare, ma il peso simbolico di una decisione presa con il piglio del contabile. Si tratta di un costo molto contenuto che però è altamente produttivo. Il provvedimento colpisce innanzitutto gli enti che si occupano della storia e delle culture politiche «forti» nel nostro paese, quelle del movimento operaio come la Fondazione Basso, la Fondazione Gramsci o Feltrinelli e quelle cattoliche dello Sturzo. Ancora più grave è l'indifferenza e la distrazione con le quali, per risparmiare una manciata di euro, si sacrifica un patrimonio culturale che fino ad oggi, a dispetto dei tagli che procedono ormai da un ventennio, ha trovato un modo per essere valorizzato.
    Giuseppe Vacca, direttore del Gramsci, pensa che questo sia un attacco al modello no-profit adottato dalle fondazioni e dagli istituti di ricerca per finanziare la ricerca. «Non è una novità per le politiche della destra - afferma - questa è la sua idea del rapporto tra stato e società tra pubblico e privato, tra governare e appropriarsi di risorse pubbliche. Lo si è visto in Grecia, negli Stati Uniti con Bush. Oggi lo vediamo in Italia». «Siamo un pezzo indispensabile della ricerca, in parte della formazione altamente specializzata non sostituibile da altre istituzioni - aggiunge - Noi siamo un pezzo della internazionalizzazione della ricerca italiana largamente interconnessa con le ricerche internazionali».
    Giacomo Marramao, direttore della Fondazione Basso, ha contattato personalmente 150 studiosi in tutto il mondo, liberali e conservatori, di destra e di sinistra, per sollevare lo scandalo.
    Annuncia anche che scriverà una lettera a Tremonti denunciando la «miopia» dei tagli all'università e alla ricerca, come quelli alle fondazioni culturali. A suo avviso il governo è del tutto incapace di colpire le sacche di speculazione e di evasione fiscale, né di ricavare le cifre per rimettere in moto politiche sociali e di sostegno alla produzione.
    «Scienza e sapere sono diventati da tempo la maggiore forza produttiva - afferma - dovrebbe saperlo Tremonti che conosce Marx. Questo è un governo che ha come imperativo categorico gli interessi di un uomo e della sua azienda che si sono impadroniti di un paese. Ma non hanno fatto i conti che siamo in una sfera pubblica europea e globale. Coinvolgeremo studiosi di tutto il mondo per difendere questo patrimonio».

    Pubblicato 13 anni fa #
  26. A

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    Ho appena visto un servizio del tg3 in cui si vede una classe delle elementari con una sola maestra per una quarta e una quinta elementare, causa tagli.
    qui oltre e ben più del problema del lavoro per i precari scolastici, c'è il problema del diritto all'istruzione dei cittadini italiani.
    questa governo è un macello in senso tecnico, per i diritti sociali, e quindi anche per i diritti civili.
    Non ne psso più

    Pubblicato 13 anni fa #
  27. k

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    No. Fermo restando che si tratti di un processo erga omnes - ossia senza distinzioni o favoritismi destra/sinistra - io non ci trovo proprio niente da ridire. Anzi, mi pare sacrosanto e mi pare invece pretestuoso e parolaio ogni parer contrario. Ma insomma, questa crisi c'è o non c'è? L'euro è o non è sotto schiaffo? L'Italia è o non è anch'essa sotto rischio "Grecia"? E allora che cazzo andate cercando? Da qualche parte i soldi si debbono pure andare a tagliare? C'è o non c'è sto debito pubblico che abbiamomsulle spalle? E voi i debiti non siete mai stati abituati a pagarli? La solita sinistra fighetta che ci condanna storicamente a perdere e nobilita storicisticamente Berlusconi a vincere: "Sì, bisogna tagliare ma da tutte le altre parti: non da me!". Ma andate a fare in culo, va'. Vuoi la fondazione? E te la paghi!

    Pubblicato 13 anni fa #
  28. Ma sì come no K, questi stanno distruggendo il sistema cultura da anni, un sistema che ormai si regge sulle collette e il volontariato e noi che facciamo? Li difendiamo pure? Ma potesse nasce un altro Che Guevara domani.

    Pubblicato 13 anni fa #
  29. k

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    No Bassoli, lei si sbaglia. E' proprio il sistema delle prebende clientelari che ammazza la cultura, perchè ne droga il cosiddetto mercato, privilegiando e sponsorizzando magari i somari, nascondendo così e danneggiando di fatto quelli bravi. E questo sistema delle prebende clientelari - un vero pozzo di san Patrizio, altroché contenimento della spesa - si nasconde e si regge tutto quanto dietro un marchingegno chiamato eufemisticamente "associazionismo" o "volontariato" (e degli esempi relativi al comune e alla provincia di Latina abbiamo discusso più volte anche qui sopra). Non mischi Che Guevara, per cortesia. Lo lasci alle questioni più nobili del lavoro e del precariato, alla Nexans che chiude, alle scuole e alle università piene magari anch'esse di somari saliti sulla cattedra solo a forza di calci in culo. Parli di questo. Ma poi quando si parla invece di "crisi" economica globale s'hanno da guardare le questioni in faccia e chiamarle per quel che sono, non sciacquarsi la bocca con la parola "cultura" per continuare a coprire lo spreco e lo sperpero. La "cultura" è una cosa, Fer (e la faccio io, la fa lei, la facciamo noi, pagandoci da soli questo forum), le "politiche" e soprattutto le "istituzioni" culturali sono un'altra, e spesso le fanno i ladri e i profittatori. Chiudessero di colpo tutti gli assessorati alla cultura comunali, provinciali e regionali, chiudesse proprio il ministero per un anno: ne guadagnerebbero all'istante sia il bilancio pubblico e il risanamento del debito, sia soprattutto - mi creda - la "cultura" vera. E' quindi giusto che si inizi - ma magari fosse, perchè invece credo che andrà a finire di nuovo a tarallucci e vino - a tagliare da questo pozzo di san Patrizio.
    Lo tagliassero davvero questo debito pubblico immane che lasciamo sulle spalle dei nostri figli. I debiti si pagano, Fer, si debbono pagare, non si possono lasciare ai figli. E per pagarli, da qualche parte s'ha da cominciare. Non si prenda per il culo da solo con i luoghi comuni del politicamente corretto ma del realisticamente fasullo. Bisogna lavora' e rimboccasse le maniche, non dare sempre la colpa agli altri.

    Pubblicato 13 anni fa #
  30. A

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    Membro

    Disoccupazione record: nel 2010 persi 307 mila posti di lavoro

    Il tasso di disoccupazione ad aprile è salito all'8,9%: lo rende noto l'Istat precisando che si tratta del livello più alto dal quarto trimestre del 2001. Il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,5 punti percentuali rispetto ad aprile 2009. Il numero delle persone in cerca di occupazione sale a 2 milioni 220 mila unità, in crescita dell'1% (+21 mila unità) su base mensile e del 20,1 per cento (+372 mila unità) su base annua. Sulla base delle informazioni finora disponibili, segnala ancora l'Istat, il numero di occupati si attesta a 22 milioni 831 mila unità (dati destagionalizzati), in aumento dello 0,2% (+56 mila unità) rispetto a marzo e inferiore dell'1,3% (-307 mila unità) rispetto ad aprile 2009.

    Il tasso di occupazione è pari al 56,9%, in aumento, rispetto a marzo, di 0,1 punti percentuali, ma ancora inferiore di 0,9 punti rispetto ad aprile dell'anno precedente. In crescita anche il tasso di disoccupazione giovanile che si è attestato al 29,5%, con un aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,5 punti percentuali rispetto ad aprile 2009. Il numero di inattivi di età compresa tra 15 e 64 anni, è pari a 14 milioni 810 mila unità, con una riduzione dello 0,5% (-76 mila unità) su base mensile e un leggero aumento dello 0,1% (+9 mila unità) su base annua. Il tasso di inattività scende al 37,5% (-0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e -0,1 punti percentuali rispetto ad aprile 2009). Ad aprile l'occupazione maschile risulta pari a 13 milioni 613 mila, invariata rispetto al mese precedente e in riduzione dell'1,9% (-263 mila unità) rispetto al corrispondente mese dell'anno precedente.

    L'occupazione femminile sale invece a 9 milioni 218 mila unità, in aumento dello 0,7% (+61 mila unità) su base mensile ma in calo dello 0,5% (-44 mila unità) su base annua. Il tasso di occupazione maschile risulta pari al 67,6%, invariato nell'ultimo mese e in calo di 1,4 punti percentuali negli ultimi dodici mesi mentre quello femminile si attesta al 46,1%, con un aumento di 0,3 punti percentuali rispetto a marzo ma in calo di 0,4 punti percentuali rispetto ad aprile 2009. La disoccupazione maschile tocca, ad aprile, 1 milione 190 mila unità, in aumento del 2,7% (+31 mila unità) rispetto al mese precedente e del 27,6% (+257 mila unità) rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Il numero di donne disoccupate è pari a 1 milione 29 mila unità, con un calo dello 0,9% rispetto a marzo (-10 mila unità) e un aumento del 12,5% rispetto ad aprile 2009 (+115 mila unità).
    01 giugno 2010
    Unità

    Pubblicato 13 anni fa #

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