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Eravamo bastardi - lab.

(67 articoli)
  1. A.

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    Laboratorio su un idea di A.

    Pubblicato 10 anni fa #
  2. A.

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    Moderatore

    Se avessi velleità di scrittore scriverei la storia di pino radiolina. Fernando cosa fai, non ci hai pensato?
    Provi a farsele venire, quelle velleità,
e la scriva.
Oppure la scriva senza farsele venire,
restando quel che è
senza addizioni.
La scriva per servizio,
testimonianza a lui e servizio a noi,
che la sua storia non conosciamo.
    (Poi che ne sai?
Magari la sua storia
la riscriviamo noi.)

    Era così buono e fragile quell'uomo, sembrava un bambino.
    Ecco, questo potrebbe essere l'incipit.
    Era magrissimo, segaligno, scuro di carnagione, con una gran massa di capelli un po' lunghi sul collo , gli occhi scuri e infossati. Rideva spesso, gli mancava qualche dente davanti, forse un paio di incisivi. Girava sempre con questa radio sulla spalla,probabilmente era anche mangianastri. Mia madre, quando lo incontrava, gli regalava sempre cinquecento lire, per le batterie. Noi ragazzini, quando arrivava dalle parti mie, dovevamo smettere di giocare, sederci sul muretto e guardarlo mentre ballava, coreografie sue a meta' fra Don Lurio e Michael Jackson (che all'epoca non era ancora Michael Jackson). Alcuni ragazzini raccontavano di storie tragiche legate alla sua famiglia, ma forse se le inventavano. Altri lo prendevano in giro, e lui prima si metteva a urlare insulti irripetibili, e poi piangeva, proprio come un bambino, come ha scritto Fer.
    Bassoli, e' il tuo momento: ora o mai più.
    Tifava il Perugia. Lo prendevamo in giro sul Perugia per vedere come si arrabbiava. Era divertente quando si arrabbiava. E - sarà stato perché gli mancavano i denti - non lo capivamo quando parlava. Lo capiva solo Maurizio, e ne usciva fuori qualche sprazzo di conversazione intelligibile. Poi arrivava qualcuno che gli faceva le battute sul fratello e lui si infuriava davvero.
Non l'ho più visto per anni.
L'ho rivisto un giorno passare per via Calatafimi - forse ha scambiato anche qualche parola con l'elettrauto, la testa infilata nel cofano di una Uno nera - ed era brizzolato, i capelli più lunghi di quando me lo ricordavo io, ma ancora con quell'espressione giovane delle persone che vivono su un altro piano di realtà.
Non mi ricordo se avesse o no una radiolina in mano.
    Da piccolo facevo Baseball (sì). Ricordo che una volta venne al campo: gli dicemmo viva Perugia, Ci prese a sassate.
    «Eravamo bastardi»
    (ecco, questo sarebbe un buon incipit)

    Pino lo incontravi spesso davanti le scuole, all'orario d'uscita. A volte con la radio in spalla, altre senza. Io lo vedevo davanti al Grassi. Passavo in vespone, mi fermavo vicino a lui e gridavo: "A Pinooo..." come mi avevano insegnato a fare gli amici senza un motivo preciso e subito lui rideva e biascicava "La scuola, la scuola...". A volte batteva le mani. Rideva e sputava, più sputi che riso. Intuivi che la scuola doveva piacergli parecchio, forse perché gli ricordava un mondo nel quale aveva potuto provare ad essere felice. Quando aveva finito di ridere, però, si fermava di botto e mi guardava di traverso, come un cucciolo preso a calci, gli occhi misteriosamente lontani, risucchiati dal male.

    Spuntava dalla piazzetta dei sassi intorno a mezzogiorno. Fra quei selci e la Via del Mare non c’era nulla all’epoca, solo montarozzi ed eucalipti, eravamo sicuri che passasse attraverso quei boschetti. Si incamminava lungo il marciapiede, che iniziava emergendo direttamente dalla breccia bianca, e arrivava col passo ciondolante fino al piccolo slargo col muretto che stava all’inizio della strada. Di quello spazio eravamo padroni incontrastati: ci sedevamo sul cofano delle auto i cui padroni avevano avuto l’ardire e la sventura di parcheggiare proprio lì; continuavamo a correre, spintonarci e acchiapparci facendo la gimkana fra le donne che passavano con i sacchetti della spesa. Eravamo impuniti. E quando Pino Radiolina compariva in fondo alla via e iniziava ad avvicinarsi con quel suo passo sbilenco, la camicia fuori dai pantaloni che gli svolazzava intorno alla cintura e la radio sulla spalla, ci fermavamo gli uni accanto agli altri e ci davamo di gomito senza parlare, increspando appena le labbra in sorrisi maligni. Eravamo bastardi.

    Chissà perché «forza Perugia» lo mandava in bestia. Era un automatismo. «Vaffacculo! Stronzo! Ti a-mazzo!» - gridava. Anche io sapevo di strane vicende legate al fratello, non si sa se morto o che cosa. ma ora, a distanza di anni, è evidente che "il fratello" non fosse altro che Pino disalienato.
Non era questione di legge 180, eravamo tutti pazzi. Ricordo nel 1982, luglio. L'italia aveva inaspettatamente vinto i mondiali, si andò tutti a piedi davanti la prefettura. E pino era lì, portato in trionfo. O forse fu un sogno, non so. Forza Perugia.
Ogni villaggio ha il suo pazzo, ma Latina non era un villaggio, era fatta a forma di città, nonostante fosse una serie di demoi. Io andavo alla scuola Corradini. Amici gescalini, e case arlecchino. Qualcuno anche del demos Campo Boario. La scuola degli zingari. Ogni tanto Pino veniva all'uscita. Non l'ho mai visto arrabbiato. Sì, è come dice Fernando. Si incupiva e diventava bambino, suo fratello. Ma quei ragazzini gli volevano bene. La razza marginale si annusava. E quel "forza Perugia" che lo mandava in bestia, detta dai Corradini lo faceva sorridere, forse addirittura ridere. Diventava protagonista. Ti rincorreva per finta, ti tirava i sassi per finta. «Grrr, vaffacculo, stronzo, ti a-mazzo». Eravamo bastardi, certo, ma era il modo di volergli bene. Gridavamo «forza Perugia» perché sentivamo quelle parole come un mantra… una preghiera, un giuoco sacro.
E forse “Perugia" era una Latina disalienata. O viceversa.
Non mi pare che Pino si vedesse fuori della chiese.Nè a San Marco, né - tanto meno - a Santa Rita (Santa Domitilla era ancora di là da venire, prima dell'85…). Ma non non mi pare di averlo sentito dire «porco D. porca M.». (O forse sì, non ricordo) «Vaffacculo, stronzo», sì. E anche "ti a-mazzo, vedi che ti a a-mazzo!". Era un ringhiare, contro l'ingiustizia di quel fratello sano, e di quella città eterotopica, Perugia-Latina.
Pino era sicuramente comunista. O forse era Il Cristo...

    Un giorno chiesi a un amico: "Ma perché lo prendiamo in giro, in fondo?". Cominciavo a vederlo sotto una luce diversa, quell'omino a metà tra Charlot e un personaggio di Pasolini. L'amico ci pensò un po', poi rispose "Boh..." sottintendendo che non c'era di meglio da fare in una città in cui da fare c'era ben poco per i giovani o almeno così credevamo, perché in realtà le occasioni non mancavano, ma eravamo troppo pigri per cercarle e così giravamo in Vespa senza meta. Poi aggiunse: "Perché Pino è buono... si lascia prendere in giro." dove per buono si intendeva coglione. Eravamo giovani, eravamo bastardi come solo i giovani sanno essere, eravamo di Latina: per divertirci, ci bastava Pino Radiolina.

    Pubblicato 10 anni fa #
  3. L'uomo era la radio, la radio era l'uomo. Era quella a caratterizzarlo, ma anche a renderlo buffo, perché era una di quelle fin troppo grandi dell'epoca, che davano l'idea di pesare tanto solo a guardarle. Ma evidentemente quello passava il convento. Lo capii un pomeriggio in cui notai Pino camminare a testa bassa, come stordito da una bevuta eccessiva. Era senza la sua amata radio e la prima cosa che mi venne da pensare fu che gliel'avessero rubata. Senza, era un'altra cosa: pareva nudo, messo con le spalle al muro e costretto a fare i conti con la durezza del reale perché, a ben guardare, la funzione di quella radio doveva essere quella di distrarlo e distoglierlo costantemente dai dolori e dagli stenti di ogni giorno, che si potevano leggere sul volto scavato da qualche cena saltata di troppo.

    Pubblicato 10 anni fa #
  4. A.

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    Moderatore

    Io sapevo esattamente che dovevamo trovare il nostro eroe, ché la vena stretta doveva aprirsi e eruttare sangue misto ad acqua.
    Pino radiolina ebbe due radio: sì, una grande, troppo grande, ma sono -quasi - sicuro di averne vista un altra.
    E un giubbottino, color ghisa.E le scarpe nere. O marroni, ma scure.
    ---------------------
    Il mito relativo alla patogenesi di Pino dice questo:

    Pino Radiolina abitava alle Gescal, tragico il suo attaccamento alla radio: la sua mente fu sconvolta dal suicidio del fratello, e nella stanza c'era una radio che suonava quando lo trovò. Pino ogni giorno si recava alla Lert Lazio, in via Isonzo, per comprare le batterie della radio.

    Fonte:
    http://www.parvapolis.it/a-34571/eventi-cultura/latina-amarcord-quei-tipi-come-zaz-che-sballo-piccolo-viaggio-in-una-memoria-condivisa-che-contribuisce-a-fare-la-storia-di-una-citt/

    Interessante come la costruzione del mito debba rendere verosimile la causa rispetto a ciò che tutti vedevano. E vedevano solo un uomo con una radio all'orecchio.
    Ma questa leggenda non tiene conto dell'altro fattore: Perugia.
    Perché Pino si incazzava se gli si diceva "forza Perugia"?
    Cos'era Perugia per Pino, o Pino per Perugia?

    What's Hecuba to him, or he to Hecuba?
    ( Hamlet: Act 2, Scene 2, Page 23)

    Pubblicato 10 anni fa #
  5. Pino viveva alle Gescal, insieme al fratello, un secondo padre per lui. (N.B.: qui ci vorrebbe una breve storia delle Gescal). Ogni giorno andava a piedi fino a via Isonzo, entrava da Lert Lazio e comprava le pile per la radio. Immaginavi un baule pieno di pile dentro casa sua, come fosse ossessionato dal fatto che quella radio potesse di colpo restare senza voce. E per essere certo di poter avere soldi a sufficienza per poter comprare pile in eterno spesso chiedeva aiuto a chi si fermava a scherzare con lui. O forse non era vero niente, forse quei soldi li usava semplicemente per fare la spesa, con la scusa delle pile, chi lo sa...

    Pubblicato 10 anni fa #
  6. A.

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    Moderatore

    Gescal o Case arlecchino?

    Questa cosa della Laert lazio ritorna.
    Ma sicuro che ci andasse per comprare pile? non è che là ci fosse suo fratello?
    O tutore? Ma aveva una madre? perché doveva avere per forza un "fratello"?

    Non poteva semplicemente essere nato così? perché pensare a un evento traumatico come scatenante della sua follia?
    E se non fosse stato folle? Se noi, tutti, fossimo stati e fossimo tuttora i veri folli?

    Pubblicato 10 anni fa #
  7. llux

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    Ho chiesto a mia madre, che lo chiamava e lo chiama tuttora Giuseppe e non Pino ("Ti ricordi di Pino Radiolina, mamma?" "Chi, Giuseppe?"). Una volta l'ha aiutata a portare su a casa la spesa e le ha raccontato che gli mancavano mille lire per comprare una radio nuova. Mia madre è il tipo di persona che, quando andavamo a Roma, si riempiva il borsellino di monete, da cinquanta e cento lire: da Piazza dei Cinquecento a San Pietro, suddivideva equamente il suo tesoretto fra tutti i diseredati, veri o presunti, che vedeva accovacciati agli angoli delle strade. "Perché mi fa male l'anima" si giustificava. Insomma, quella volta i soldi glieli ha dati, quanti ne aveva chiesti; in seguito, ogni volta che la vedeva, voleva aiutarla, con la speranza di avere altre mille lire. Comunque, qualche moneta la otteneva sempre, da mia madre.
    Io Pino me lo ricordo d'estate. Indossava queste camiciole a scacchi, dai colori un po' sgargianti e pantaloni scuri e frusti; ai piedi aveva sandali neri, di quelli da frate che si portavano negli anni settanta; qualche volta, aveva un cappelluccio di paglia chiara, di quelli con la falda traforata, un po' sporco, con la fascia scura; a me sembrava lo stesso cappello che mio nonno metteva quando dava il verderame alla vigna.

    Pubblicato 10 anni fa #
  8. llux

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    Membro

    Bello
    Bello scrivere con voi. Grazie

    Pubblicato 10 anni fa #
  9. Confermo i sandali francescani.

    Dal un blog:

    Qui a Latina quando ero bambino io, il matto più famoso era "Pino radiolina".
    Un uomo sulla quarantina di nome Pino che andava sempre in giro camminando nervosamente e ascoltando una radiolina. Quando gli dicevi: "ciao pino!!" lui ti rispondeva sempre:
    "vaffanculo, VAFFANCULO, VAFFANCULO!"

    chissà che fine ha fatto.

    Pubblicato 10 anni fa #
  10. Note: A me pare vagamente di ricordare che in quella casa ci fossero problemini di alcolismo. Ma posso sbagliare. La vicenda del suicidio del fratello, che pare si impiccò in casa, secondo modalità molto latinensi, venne fuori anni fa nel forum di Ciaolatina.it ora soppresso. Comunque l'attaccamento morboso alla radio, che Pino trovò accesa quando scoprì il fratello morto, secondo alcuni cominciò lì. Davanti alla scelta morte (il corpo esanime del fatello) o vita (la musica che veniva dalla radio) Pino scelse istintivamente al seconda, la vita e dunque la radio, l'unica cosa alla quale poteva aggrapparsi in quel drammatico momento. Vorrei capire se i due avevano almeno un genitore vivo...

    Pubblicato 10 anni fa #
  11. llux

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    Membro

    La vicenda del fratello, per me, è ben più vecchia, erano quelli i fatti tragici di cui raccontavano i ragazzini più informati. Ho sempre pensato che se li inventassero, per giustificare in qualche modo il suo comportamento atipico. Invece sembra di no.

    Pubblicato 10 anni fa #
  12. (Non avrei immaginato di raccontare la storia di Radiolina mentre stava scoppiando la terza guerra mondiale ma del resto anche Picasso fece Guernica sotto i bombardamenti dei nazisti, nulla di nuovo sotto il sole)

    Pubblicato 10 anni fa #
  13. Possiamo ipotizzare che l'amore per il Perugia discendesse da radici umbre del signor Pino?

    Pubblicato 10 anni fa #
  14. A.

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    Moderatore

    Secondo me sensi caciottaro ne sa anche di questo. Chissà che fine ha fatto, quegli atro pazzo

    Pubblicato 10 anni fa #
  15. E' all'estero fino a giovedì.
    E' una persona estremamente curiosa, conoscendolo sarà andato a farsi un giro in Crimea.

    Pubblicato 10 anni fa #
  16. k

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    Membro

    Scusate, ma la soluzione più semplice non è che qualcuno di voi vada intanto a Lert Lazio - ovunque si sia spostata - a fare un'intervista a chi è rimasto? Normalmente si fa così: si va in giro e si chiede, magari armati di registratore. O anche alle Gescal: "Scusi, che lei per caso sa qualcosa e che fine ha fatto il Tal dei Tali?". Si chiamano inchieste. E poi uno scrive.

    Pubblicato 10 anni fa #
  17. llux

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    Forse era di origini umbre, Pino Radiolina, o forse no. Il Perugia di quegli anni, per me, è sinonimo del povero Renato Curi e di Paolo Rossi, che non era ancora Paolo Rossi. Chi lo sa, stando con l'orecchio sempre incollato alla radio, avrà preso a cuore quella squadra provinciale, che dal nulla era diventata il Perugia dei miracoli, tosta e resistente di fronte ai club che andavano -e ancora vanno- per la maggiore. Tutti i ragazzini si affezionavano alla Juve (una proliferazione di juventini incredibile, all'epoca) o all'Inter, per via dei successi; lui al Perugia, alla piccola che, a sorpresa, le aveva suonate alle grandi. Per essere "contro" anche in questo, per desiderio di rivalsa, "ce l'ha fatta il Perugia a mettervi paura, ce la faccio anche io".Tifare per il Perugia poteva significare essere un vincente, contro ogni previsione, in almeno una cosa che fosse una, per interposte undici persone. E quando il Perugia, dopo quelle poche stagioni, era tornato ad essere la provinciale che era, dalle sorti alterne, lo aveva vissuto come un tradimento personale; sentirsi urlare "Forza Perugia" lo percepiva come un'offesa che lo mandava in bestia, e in effetti lo era. Perché eravamo bastardi.

    Pubblicato 10 anni fa #
  18. llux

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    Da Lert Lazio dovrebbe lavorarci ancora qualcuno che ci lavorava all'epoca. Mi era venuto in mente di andarci, e anche di fare un giro per il quartiere a chiedere, a quelli che all'epoca sembravano ben informati, notizie più circostanziate. Ora che ho la sua benedizione, Maestro, ci vado di sicuro.

    Pubblicato 10 anni fa #
  19. k

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    Con registratore.

    Pubblicato 10 anni fa #
  20. A.

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    Moderatore

    La mia impressione è che noi parlando di Pino rievochiamo un po' la nostra tardoinfanzia e adolescenza…

    Sì, l'idea di K è buona, chi va riporti qui...

    Pubblicato 10 anni fa #
  21. k

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    Il titolo è del cazzo, però. Se ha ragione A e volete parlare soprattutto di voi, è un titolo autocelebrativo, per nulla rispondente alla realtà. Eravate solo ragazzi, bravi ragazzi peraltro. La gente bastarda è assolutamente altro, rispetto a voi.
    Se invece volete parlare di lui, che sia "Pino radiolina" allora, o "Storia di Pino" o quello che vi pare.

    Abbandonerei inoltre tutti quegli psicologismi su Perugia e sul Perugia, non suffragati da alcun elemento di fatto, sinora. Cercateli gli elementi, e poi ragionate. In carenza, mai abbandonarsi alle fantasie da lectio difficilior. E' sempre da assumere, in prima istanza, la lectio facilior. E quindi le possibilità sono due: o quel "Perugia" era una parola, per lui, d'amore, e ne deriva che veniva da là, che c'era stato bene, o che ne veniva la sua famiglia, comunque un sogno di felicità. O era un parola d'odio, e allora ne deriva che lui fosse ternano. Stop. Mo' arrangiatevi voi.

    Pubblicato 10 anni fa #
  22. A.

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    Moderatore

    No, K, Perugia era proprio una parola che lo mandava in bestia, bastava solo nominarla, scattava subito il «vaffanculo ti a-mazzo».
    E "bastardi" in latinense anni 80 significa qualcosa a metà tra bulli da scuola e canzonatòri…

    Pubblicato 10 anni fa #
  23. E se fosse ancora vivo?

    Pubblicato 10 anni fa #
  24. k

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    Membro

    Aaah, ma allora non hai proprio capito.
    Lo chiedi a noi?
    Perché non vai a cercare tu?

    Pubblicato 10 anni fa #
  25. Comunque il problema è sempre lo stesso: anche a scriverlo, sto racconto, poi che ce famo? Te capì? Firmato: Fernando Bassoli.

    Pubblicato 10 anni fa #
  26. llux

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    Membro

    Io vorrei scrivere di Pino, non di me, se non quello che fisiologicamente ci finisce dentro.
    Reset, lectio facilior , ci si arma di registratore e si va. Fer, tu stai a Latina come me, poche ciance e muovi il culo.

    Pubblicato 10 anni fa #
  27. A.

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    Moderatore

    Ultima notizia

    "Pino radiolina, sta bene. Vive con la zia, nei pressi di Piazza Orazio".

    Fonte: gruppo Facebook "sei di Latina se…". Su mia domanda specifica.

    A questo punto, magari andare dalla sorella, e farsi raccontare la storia??

    Ps. Fernando:
    si scrive per sottrarre all'oblio il divenire. Si scrive perché si sente il desiderio incoercibile di farlo. Perché sennò si muore. Se non scrivi per questo, meglio che ti dedichi ad altro.

    Pubblicato 10 anni fa #
  28. A.

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    Moderatore

    Scrivi sta storia delle GESCAL

    Pubblicato 10 anni fa #
  29. A.

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    Moderatore

    Si la storia di pino Massari detto pino radiolina è vera ha sofferto molto da' ragazzo il gemello suo si impicco' in una stanza su di una nave son stati marinai entrambi e da allora PINO NON SI è PIU' RIPRESO in quanto alla storia della radiolina accesa non è vero * ha ascoltato musica perché evidentemente si rilassava cmq io ho abitato a porta a porta con pino alle gescal pino è gescalino.....

    Fonte: Facebook, sei di Latina se...

    * avevo chiesto se la radio l'avesse trovata accesa dopo aver trovato morto il fratello.. (a.)

    Pubblicato 10 anni fa #
  30. Azz erano gemelli... pensa che trauma! Vedere te stesso così... Sbroccherebbero in molti.

    Pubblicato 10 anni fa #

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