mi mancano un paio di colonne da mettere in ordine.
intanto ecco qua la prima parte
La vera storia dei miei libri con Indro
Cervi, coautore di tredici libri con Montanelli, racconta un aspetto inedito del lungo sodalizio editoriale:
«I volumi a quattro mani li ho scritti tutti io, ma il suo apporto era fondamentale. La linea la dettava lui»
Il libro - tutto mio - che prediligo è, di gran lunga, la Storia della guerra di Grecia. Ma la più bella avventura libraria fu quella con Montanelli,per la giustamente famosa Storia d’Italia. Per Rizzoli firmammo a quattro mani 13 volumi. Tutto, ancora una volta, iniziò percaso.Un giorno,poco dopo la nascita del Giornale, quindi a metà degli anni Settanta, pranzavamo insieme, come spesso ci capitava, alla tavernetta Da Elio, in via Fatebenefratelli, a due passi dalla redazione, allora in piazza Cavour(il Giornale si sarebbe trasferito in via Gaetano Negri, dove ha sede ancora oggi, nel giugno del 1979). Chiacchierando, chiesi a Montanelli - che aveva appena pubblicato L'Italia in camicia nera -quando sarebbe uscito il nuovo volume della sua Storia. Abbassò le braccia in segno di resa.
«Non ho proprio il tempo di dedicarmici, gli impegni e le grane del giornale sono troppi. L’ultimo volume, L’Italia in camicia nera, l’ho in sostanza dato all’editore
senza che fosse davvero finito. Avrai notato che il libro è molto più breve degli altri».«Perché-buttai lì -non continuiamo insieme?». «Magari», disse Montanelli, e parve che la cosa finisse come finiscono le chiacchierate in trattoria.
Ma l’indomani, quando ci rivedemmo al Giornale, Montanelli, che non aveva per nulla scordato quanto avevamo detto, mi consegnò due cartelle dattilografate fitte
fitte, com’era nelle sue abitudini, di Lettera22. «Ecco-disse-questo è l’inizio di un capitolo mai scritto dell’Italia in camicia nera.
Potrebbe invece essere l’inizio del nostro nuovo libro. Vai avantitu».Le due cartelle riguardavano il discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925 e la proclamazione delle leggi eccezionali che fecero del fascismo una vera dittatura.
Montanelli mi aveva preso sul serio, e quelle paginette diventaronol’inizio de L’Italia littoria, e anche l’inizio della nostra collaborazione.
Era nata la coppia Montanelli-Cervi.
Questo tipo di lavoro in coppia non era per Montanelli una novità.
Dopol’esordio folgorante nella divulgazione con la Storia di Roma e con la Storia dei Greci, pubblicate a puntate sulla Domenica del Corriere,Montanelli aveva dato avvio alla Storia d’Italia. Avvalendosi d’Italia. Avvalendosi nei primi sei volumi della collaborazione del giovane Roberto Gervaso, poi proseguendo da solo. Insieme a Marco Nozza
aveva inoltre scritto una biografia di Giuseppe Garibaldi. Non so e non ho mai voluto sapere quale fosse la divisione dei compiti con i precedenti coautori. Sapevo invece benissimo d’assumermi una responsabilità notevole, perché il Montanelli direttore- la prima volta nel suo ineguagliabile percorso giornalistico - era impegnato a tempo pienissimo. Toccava a me il lavoro grosso. Ero consapevole delle
difficoltà cui andavo incontro. Ma ero egualmente consapevole d’alcuni elementi positivi. Il primo, fondamentale, era la «compatibilità» della mia scrittura con la scrittura
montanelliana. Non presumevo, intendiamoci, d’avere l’estro e l’incanto di Montanelli.
Ci mancherebbe. Avevo solo dalla mia una semplicità e una scorrevolezza che potevano benissimo fondersi con i guizzi montanelliani. Montanelli, quand’anche aveva l’aria di agire a casaccio, non lo faceva mai. E se si era fidato di me per portare avanti la Storia d’Italia doveva avere le sue buone ragioni.[...] L’esigenza di avvicinare la storia di un divulgatore geniale alla storia degli storici era diventata molto forte quando io mi associai a Montanelli.Lo era diventata perché si inoltrava su un terreno battutissimo, perché affrontava temi polemici incandescenti, perché ricordava atti e detti di uomini usciti di scena da poco o
ancora viventi. Un giorno in cui,conversando con Indro, gli esprimevo la mia nostalgia per certe sue passate lepidezze, mi disse che avevo ragione, «ma Nerone non dà querela, Fanfani sì».
Voglio essere chiaro: i libri a quattro mani con Montanelli li ho scritti io. Ma non voglio nemmeno essere frainteso. L’apporto di Montanelli a quei tredici libri è stato
fondamentale, per una serie di ragioni. Primo,lo è stato perché la linea era sua, e io scrivevo sapendo di dovermi adeguare ad essa e facendolo senza alcuno sforzo perché la sua linea era la mia. Secondo, di Montanelli era la prefazione a ogni volume, a volte anche la postfazione.
Testi brevi,ma mirabili e indispensabili. Con il suo dono della sintesi, con le sue doti di chiarezza e di incisività, Montanelli metteva a fuoco i concetti e le figure centrali del libro, nessun osannato ideatore di promo televisivi può eguagliare quel miracolo d’intelligenza. [...] Infine, terzo motivo,l’immane produzione giornalistica di Montanelli includeva reportage e ritratti aderenti al libro che scrivevo, e allora attingevo a piene mani. Talvolta la bellezza dei profili era così spiccatamente montanelliana che il libro assomigliava a un’opera della quale io avessi compostoil recitativo, e Indro le romanze.
Montanelli fu, per quanto mi riguarda, il più indulgente dei revisori, ricordo al massimo una decina di sue aggiunte o correzioni.
Non me ne volle quando mi scappò- e scappò anche a lui - un «falò dati poi alle fiamme» maliziosamente rilevato, in una noticina proprio sul Giornale, da Luciano Satta. Una noticina, non recensione.
Perché Montanelli non volle mai che i suoi libri fossero ricordati e ovviamente lodati sul Giornale.
Utilizzò con molta discrezione e direi svogliatezza la sua autorità per comparsate televisive. [...]