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In morte di Gianni Pennacchi

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  • Avviato 14 anni fa da sensi da trento
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  1. sensi da trento

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    Pubblicato 14 anni fa #
  2. sensi da trento

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    Cronisti come Gianni non ne fanno più
    di Massimiliano Scafi

    Al Quirinale o in Kosovo, a Chicago o fra i boat people, un vero giornalista è al posto giusto ovunque sia. Ma non chiamatelo maestro: nessuno ce la farà a seguirlo, era troppo avanti

    «Rega’, mo’ ve faccio piagne a tutti». Quante volte l’hai detto, prima di finire il solitario e di iniziare a scrivere. Stavolta ci sei riuscito davvero. Io però, Gianni, adesso te vojo fa ride perché so che le lagne non ti piacciono. Ebbene, è successa una cosa incredibile, quasi comica: è tardi, sono le nove di sera, il Giornale è in chiusura e da Milano - lo sai come rompono quelli - chiedono di «lasciare il pezzo». Ma non posso, la pagina è bianca e dentro non c’è scritto niente.

    A Gia’, me so’ impallato. Sono bloccato. Guardo la tua sedia vuota proprio di fronte a me e mi rigiro tra le mani il telefonino con il messaggio che mi hai mandato sabato dall’ospedale: «Sono in ritardo, arriverò alle ?? Sfracandato ma vivo. Ciao e grazie». Una bugia: sei sempre stato un sola... (a Milano non capiscono? Chissenefrega, diresti te). Mi alzo, vado a guardare in faccia Salvatore poi torno a sedermi inebetito. Ho un buco allo stomaco, magari saranno i due-tre bicchieri che ci siamo appena bevuti per brindare con te ancora una volta. Ah, non te l’ho detto? C’è stata una piccola festicciola in tuo onore nel solito bar di piazza Mignanelli. C’erano Anna Maria, Roberto, Vincenzo, Gian Marco, «Signoretti», la vecchia «zia Ada», c’era Fabrizio e persino Marianna. E sì, c’eri pure tu.

    Sono tornato a stento, in motorino sotto la pioggia, e ora devo sfondare questo muro bianco sul computer. Scrivo di getto quello che mi viene, senza starci a pensare. Forse sono pure un po’ ubriaco. A proposito, come lo fanno il Campari lì dove stai tu? La prima cosa che mi viene in mente, tra i fumi, è di appropriarmi del tuo archivio, e sai che cosa intendo. Poi, come un flash, ti rivedo a Tunisi, che tieni testa al Campanaro. Lui, Oscar Luigi, che ti dà del giornalista di parte. Tu, alto e fiero come un principe berbero, che gli rispondi senza aprire bocca, con uno sguardo dritto e un sorriso che lo incenerisce. Ti ricordi, Gianni? Eravamo quirinalisti «rivali» allora: tu all’Indipendente, io al Giornale ancora montanelliano. Ma eri tu che facevi sempre le domande più libere e impertinenti. Anche a Cossiga. A Chicago la mattina lo martellavi su Gladio, mentre il pomeriggio ci concedevano lo shopping sul Magnificent Mile e tu ti compravi un improponibile cappotto nero e peloso: sembravi un orso. E a Dublino, in carrozza sulle tracce del Picconatore: il cocchiere non rilasciava ricevute, abbiamo provveduto stampando su un foglio l’impronta dello zoccolo del cavallo. E a Washington con Marcello Pera, quando lo hai interrotto dopo mezz’ora che parlava: «A preside’ io devo scrive sessanta righe, perché nun la smette e ce dà una notizia?».
    Ecco, la politica. Ti piangono tutti adesso, destra, centro, sinistra. Bobo Craxi era tuo amico, Mastella pure ma ora mi colpiscono le parole di D’Alema, tra le più sentite. E i colleghi, quanti ne hai svezzati nell’acquario di Montecitorio. Quanti pescetti, quanti ragazzetti sono diventati direttori, anzi, DIRETTORI. Noi no, Gianni, e siamo contenti così. Perché ce li siamo goduti, questo lavoro e questa vita, con tutte le gioie e tutti i dolori del caso.
    Sono quasi le dieci. No, non ce la farò mai a finire. Mi sembra di galleggiare per la stanza, di vederti mentre reciti ad alta voce uno dei tuoi articoli, mentre chiedi come si scrive pool e vuoi sapere qual è il nome di battesimo di Pino Pisicchio. Io faccio finta di non sentire, tu mi richiami all’ordine. «A bionno!», oppure, «a communista!», o anche «a pariolino!»: l’appellativo cambia a seconda dell’umore. Quella non è mai cambiata è la tua voglia di scavare e di raccontare.
    E di provare. Di sperimentare nuovi stili di scrittura. Un giorno il presente per il dialogo diretto con i lettori: «Sapete l’ultima?», «Ricordate», oppure «Sentite un po’». Il giorno dopo solo il trapassato prossimo: «aveva detto», «aveva fatto». Poi, quei magici giochi di parole: «S’offre e non soffre». Fino all’ultimo vezzo da poeta quale sei, le parole tronche: «facean», «albeggiar», «stormir», «rotear».
    Narratore di razza, leggo su uno dei tanti ricordi battuti dalle agenzie di stampa. Sbagliato: tu sei un narratore di cuore. Quel cuore che facevi, fai, palpitare nei tuoi pezzi e che ti porta sempre dentro la notizia, da osservatore coinvolto e mai freddo. In Kosovo, dove eri costretto a dividere la stanza con degli americani dai piedi puzzolenti, e dove, dopo aver scritto, ti davi da fare personalmente per salvare qualche vita. A Brindisi, dopo lo speronamento del boat-people albanese, quando denunciavi i silenzi e gli errori delle autorità italiane. In giro per l’Italia, quando ci parlavi dei disastri annunciati e coperti e dei drammi della gente comune.
    Gianni ma che hai nel sangue? Come hai fatto a trasformare in lacrime e umanità tutto il tuo inchiostro? Un maestro, dicono altri. Sbagliato anche questo: nessuno ce la farà a seguirti, la tua lezione andrà perduta. Dove lo trovi un altro anarchico totale, gruppettaro, con la schiena così dritta, capace di sbeffeggiare sempre qualunque potere e qualunque governo?

    Guardo la foto qua sopra. Bello come il sole, altro che Scamarcio in quella tua pallida imitazione. Confessa, nei hai fatte tante, vero, prima di riversare il tuo amore sulle tue donne, Anna, Barbara e Larisa. Sembri un tronista, invece sei un Cronista con la C maiuscola, come non se ne fanno più. A Gia’, ti ricordi come hai risposto a quel collega spocchioso che voleva essere pubblicato solo in corsivo? «Impossibile, tu sai scrivere solo in tondo».

    Ho la gola secca. È l’ora di dare come al solito l’assalto all’armadio segreto di Cuomo. Ecco, c’è un vino buono, una sola bottiglia, ma per noi due basterà. Ci divideremo pure l’ultimo sorso, amico mio, principe contadino.

    Il Giornale

    Pubblicato 14 anni fa #
  3. sensi da trento

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    L’ultimo addio a Gianni Pennacchi, più amico che collega
    di Andrea Cuomo

    A riempire lenzuolate di parole ci ha messo una vita. A riempire una chiesa di amici ci ha messo pochi minuti. Ha tenuto banco per l’ultima volta, Gianni. Come quando nel corso delle assemble di redazione sbraitava contro tutti lasciando furibondo prima del tempo lo stanzone e gli altri attoniti: «Fate come c... ve pare!». Così ha fatto ieri: lui se n’era andato e tutti erano lì increduli, allibiti, quasi sperando che tornasse. Ma non tornerà, stavolta no, Gianni Pennacchi, il nostro collega e amico morto all’improvviso nella notte tra domenica e lunedì, qualche giorno dopo essere caduto mentre prendeva l’albero da addobbare per Natale, per fare felice l’adorata piccola Larissa, che spesso abbiamo visto trotterellare dietro di lui in redazione, dopo quell’adozione che aveva sporcato con una nota languida l’insopprimibile sarcasmo del suo bel viso. E chissà se la sua famiglia l’ha poi fatto, quell’albero maledetto. Se lo faranno più.
    C’era gente dentro e fuori la chiesa di piazza Sempione dove ieri Gianni ha ricevuto l’ultimo saluto, in una mattinata insopportabilmente uggiosa come la sua assenza. Amici e colleghi - due sinonimi, in questo caso - ciascuno con i suoi ricordi, con i suoi aneddoti, con almeno un piccolo senso di riconoscenza per un uomo che amava farsi i fatti degli altri e far fare agli altri i suoi, dare consigli e provare a insegnare quella roba infida che è la vita. Un uomo pieno di difetti e per questo quasi perfetto nella sua umanità, quasi inarrestabile nella sua - pare strano dirlo ora - vitalità. Tra i tanti esponenti del giornalismo colleghi vecchi e nuovi di questo giornale, dove lui aveva trascorso gli ultimi anni della professione e dove era inevitabilmente amato, al punto che ancora adesso stentiamo a immaginare che cosa saranno queste stanze senza la sua ironia puntuta, i suoi litigi per pezzi di cui non condivideva il taglio, la sua richiesta di altri cinque minuti per scrivere oppure di un goccetto di vino, oppure di entrambe le cose insieme, i suoi sorrisi più dolci per le colleghe donne. C’erano quasi tutte le persone che negli ultimi vent’anni hanno gravitato dapprima per piazza di Pietra, poi per via dei Due Macelli e infine per via Terenzio; e poi il direttore del Tg1 Augusto Minzolini, Gaetano Savatteri del Tg5, Aldo Cazzullo, Pietrangelo Buttafuoco, quel Luca Telese da qualche mese volato via dal Giornale ma con il quale Gianni duellava verbalmente da anni. E tanti altri di tutti i giornali. E anche tanti politici da lui non sempre trattati con i guanti. Molti lo hanno voluto ricordare in queste ore, altri hanno voluto salutarlo di persona: Gianni De Michelis, Bobo Craxi, Donato Robilotta, la signora Mastella.
    C’era gente dentro e fuori la grande chiesa perché dentro tutta non c’entrava. C’erano occhi lucidi, e lacrime diventate torrenti ai singhiozzi della povera piccola Larissa. C’era la voglia di non andarsene, dopo. Poi, che c’entra, ce ne siamo andati, ciascuno «a fa’ come c... je pare». Ciao, Gianni.

    il Giornale 16 Dicembre 2009

    Pubblicato 14 anni fa #
  4. sensi da trento

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    E' morto a Roma Gianni Pennacchi,
    inviato de La Stampa e del Giornale

    Cronista parlamentare per anni,
    raccontò la storia di Bettino Craxi

    ROMA
    È morto questa notte a Roma il giornalista Gianni Pennacchi. Aveva 64 anni e lascia la moglie Anna e le figlie Barbara e Larissa. Giornalista parlamentare di lungo corso, aveva cominciato la sua esperienza professionale nella rivista "Fiera letteraria". Negli anni ’70 era stato una colonna di "Stampa sera" e successivamente, sotto la direzione di Carlo Rossella, è stato inviato di punta de "La Stampa". Negli anni ’90, fu chiamato da Ricky Levi a "L’Indipendente", giornale nel quale successivamente incontrò Vittorio Feltri. E proprio Feltri lo volle con sè a "Il Giornale", dopo le dimissioni di Indro Montanelli.

    Assiduo frequentatore del Transatlantico di Montecitorio, di lui i giornalisti parlamentari ricordano il tratto umano, la sincerità e la simpatia. Per molti anni è stato un punto di riferimento per i giovani che muovevano i primi passi come cronisti politici. Insieme a Bobo Craxi, Pennacchi scrisse la storia degli ultimi anni di Bettino Craxi, da Tangentopoli alla morte in Tunisia.

    Pennacchi è salito alla ribalta recentemente anche per il film "Mio fratello è figlio unico", tratto da un romanzo scritto dal fratello Antonio, nel quale si narrano le vicende familiari dei due, intrecciate con la militanza politica degli anni ’70. La sorella Laura, più volte eletta in Parlamento, è stata sottosegretario al Tesoro con Ciampi nel primo governo Prodi.

    La Stampa 14 Dicembre 2009

    Pubblicato 14 anni fa #
  5. sensi da trento

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    Gianni Pennacchi si raccontò così

    Ma nella vita Scamarcio sono io
    di Gianni Pennacchi

    Da mesi un po’ tutti m’andavano ripetendo: «E via, di che ti preoccupi! Anzi dovresti essere soddisfatto. Sai chi ti interpreta? Scamarcio, l’idolo delle ragazzine, il nuovo bello del cinema italiano». Non nego che il giovane Scamarcio sia un bel ragazzo, ma anche il personaggio che interpreta, nella sua realtà storica non aveva certamente bisogno del soccorso estetico. Dunque, di che dovrei consolarmi? Il punto è un altro, ed è per quello che non volevo andare a vedere ’sto film, Mio fratello è figlio unico, tratto dal libro Il fasciocomunista scritto da mio fratello Antonio, dove io sono Manrico, interpretato appunto da Riccardo Scamarcio.
    Il punto è che già nel libro, mio fratello non mi fa fare una gran bella figura. Il fatto poi di farmi morire ammazzato dai carabinieri è una cosa che lo diverte ancora, ci si fa delle gran risate come avesse realizzato chissà quale gioiosa vendetta, ma riconoscerete anche voi che non è la miglior fine augurabile, specie a se stessi. Poteva farsi sparar lui, ne avrebbe guadagnato l’opera raccontandola dall’aldilà come William Holden in Viale del tramonto. Devo dargli atto che per il resto, quanto ha scritto di me è più o meno veritiero: quel che ha costruito di suo, oltre alla mia fine violenta e prematura, sono il tono, i colori e gli umori della nostra vicenda, che risultano caricati, esagerati, forti anche quando le storie s’erano invece dipanate lievi. Ma forse lui le ha vissute così...
    Capirete che il trarre un film da un tal libro, dovesse impensierirmi. Se già Antoniaccio - così gli urlava nostra madre quando ne combinava di grosse, e per questo nel libro s’è ribattezzato Accio - era andato giù come un maglio con me e con l’intera famiglia, figurarsi il carico da undici che potevano aggiungere autori e attori del film, alle prese con una storia che tutto sommato non gli tocca l’anima né la pelle. Un film che «interpreta» un libro, che a sua volta «interpreta» la realtà, rischia tre livelli di stravolgimento micidiali. Segnali non ne mancavano. Già mio fratello, con l’andar dichiarando «stanno tradendo il mio libro», lasciava sospettare che con la cessione dei diritti cinematografici si fosse meritato quell’ostracismo da sorelle e fratelli evitato fortunosamente col libro. Debbo confessare di aver meditato una diffida giudiziaria, perché a Latina mi conoscono ancora e costoro stavano girando proprio nella mia città: figli e figlie di parenti e amici andavano alle selezioni per far le comparse, me lo raccontavano con gran divertimento e altrettanto mio grande imbarazzo. Da quando era uscito il libro, avevo diradato i miei ritorni a Latina. Da che se ne preparava il film, ho smesso del tutto. Anche se per la diffida ho lasciato perdere, l’etica del mio mestiere non me l’avrebbe perdonata.
    Però non ditemi che non ci fossero ragioni di preoccupazione. Con Scamarcio che nelle interviste dichiarava di interpretare «un giovane comunista un po’ cialtrone»... Passi per il cialtrone, ma comunista no, non lo sono mai stato. Io ero iscritto alla Fgs, la giovanile socialista, ed ero anarchico, nel ’68 movimentista e poi gruppettaro, ma mai iscritto al Pci, almeno in questo il Fasciocomunista è sincero. La vera comunista era nostra sorella Laura, la Violetta del libro e del film, che è diventata deputata e sottosegretaria con Prodi e con D’Alema. Il regista poi, Daniele Luchetti, che spiegava di voler trarre un film da «una storia sottoproletaria». Che ci sia di lumpenproletariat nella storia di una famiglia dove lavorava soltanto il padre operaio, ma i genitori son riusciti a far studiare tutti e sette i figli, me lo deve spiegare qualcuno. E l’immancabile condimento di spocchia e sufficienza con cui si parla di Latina e dell’Agro pontino, che noi nati lì, di destra e di sinistra, digeriamo come frutto di superficialità e conformismo. Leggere infine che «ho conosciuto moltissimi fascisti simpatici», fa il paio con quei candidi che confessano: «Ma io conosco tanti negri che non puzzano».
    Capite adesso, perché non avevo alcuna intenzione di sorbirmi anche Mio fratello è figlio unico? Ma ci si è messo il mio direttore, ha insistito e m’ha blandito, «ci vai in orario di lavoro, ti rimborso anche i pop corn». Così ieri sono andato al cinema, preparandomi al mal di fegato o alla meglio a due ore di noia. Ed ora son qui, a guadagnarmi i pop corn.
    Confesso, il film non è niente male. È ben costruito, gli attori son bravi, i due che interpretano mio fratello ancor di più. Elio Germano è bravissimo, mio fratello era proprio così, spiccicato: sempre polemico, litigioso e rompiscatole. Ciò detto, potrei cavarmela spiegando che però quel Manrico non sono io, e quella non è la mia storia. Perché nel film i sette fratelli son diventati tre, forse per risparmiare sui coprotagonisti. Perché io non ho fatto le magistrali ma il classico, non sono andato a lavorare in fabbrica, e nel ’68 ero all’università. Perché non mi son mai comprato una macchina e avevo invece una motocicletta. Perché molti episodi e situazioni non li avevo trovati nemmeno nel libro. E perché infine, scusate se insisto, io sono ancora vivo e lotto insieme a noi. Anche se alla fine, quando si scatena la sparatoria dove Manrico muore, ho avvertito un fastidioso prurito alla schiena.
    Ma sarei insincero, se non ammettessi che mi sono riconosciuto nel rapporto tra i due fratelli. Ad Antoniaccio ho sempre voluto più bene che agli altri, pur se era lui in realtà a sfidarmi «mo’ te meno, mo’ te meno» finché non siamo andati ai giardinetti e l’ho messo a terra. Ed ho avuto un brivido, vedendomi abbracciarlo e dirgli: «Ma non te so’ bastate?». Ho riconosciuto quei sandali e i pantaloni corti che noi figli di operai dovevamo passarci dal più grande ai più piccoli. Ho colto qualche sprazzo di luce abbagliante della mia città, ho riscoperto i pini e il frinir delle cicale. Mi sono divertito, il film ha struttura e nerbo vivace, non è rimasto ancorato come un peso morto al libro. La scena di Accio che salta e s’agita sul letto della latitanza, è una scarica di vitalità e poesia. Anche il concerto di Beethoven «degermanizzato» è creazione geniale, che surroga bene all’episodio che ha «defascistizzato» mio fratello, forse complicato da realizzare cinematograficamente. Ma in sostanza, ho ritrovato nel film lo spirito del libro di mio fratello, e ancor più lo spirito di quegli anni.
    In definitiva, ho visto la storia di due fratelli a cavallo del ’68, e in questa mi sono riconosciuto. Mi domandano tutti se ero davvero così, un po’ figlio di puttana. Non saprei. Posso però dire che mio fratello era proprio così. Laura no, quella del film è un miscuglio delle due sorelle più piccole. Ma tornando a me, se Scamarcio dice che ero un po’ cialtrone...
    Gianni Pennacchi

    Il Giornale 26 Aprile 2007

    Pubblicato 14 anni fa #
  6. sensi da trento

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    CIAO GIANNI, GIORNALISTA «RAGAZZINO»
    La retorica ha i suoi diritti però adoperarla per Gianni Pennacchi, che era un collega del «Giornale», un amico ma soprattutto un gran compagno di risate non si può. Gianni è morto domenica per un incidente domestico tanto stupido che vien voglia di urlare per la rabbia.
    Era uno di quei giornalisti che interpretano la professione come caccia alla notizia e mai, mai, come sparata moralista: aveva navigato troppo a lungo e con troppo acume nei palazzi del potere per non sapere che da quelle parti i contendenti si somigliano molto più di quanto non appaia.
    Sempre la retorica impone di dire che Gianni ci mancherà moltissimo ma in questo caso è la pura verità. Sapeva ridere e far ridere. Vivere e far vivere. Aveva la grazia profonda di chi sa di non prendersi troppo sul serio. Sarà per questo, forse, che a 64 anni pareva un ragazzino, tanto che non si riesce a credere che il suo cinismo senza amarezza e la sua allegria beffarda non ci siano più.
    (Andrea Colombo, Micaela Bongi, Cosimo Rossi, Matteo Bartocci)

    Il Manifesto 15 Dicembre 2009

    Pubblicato 14 anni fa #
  7. sensi da trento

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    È morto Pennacchi narrava il palazzo
    La sua vita in un film con Scamarcio

    Per tutti, prima del dispiacere c’è stata l’incredulità. È morto ieri notte, all’improvviso, Gianni Pennacchi,giornalista parlamentare del Giornale, per 40 anni narratore dissacrante dei palazzi del potere. Aveva 64 anni, lascia la moglie Anna e due figlie, Barbara e Larissa.
    Sarcastico, galante, cinico dal cuore d’oro, graffiante anche con se stesso.
    Quando dal libro di suo fratello fu tratto il film Mio fratello è figlio unico, lui tirò fuori le (notevoli) foto giovanili:
    «Ahò, ero più bello di Scamarcio. E sono più alto». Di recente, sui divani di Montecitorio, raccontava ridacchiando:
    «Antonio ha scritto un altro libro che finisce nel ’44. Nel primo mi ha fatto morire, nel secondo non mi ha fatto manco nascere». Esorcizzava anche così la paura della morte,
    cui era sfuggito per caso: investito all’uscita di una conferenza stampa e portato al pronto soccorso, gli fu diagnosticato in tempo un tumore. Stavolta, il caso non gli è stato amico, lasciandolo cadere da un soppalco mentre prendeva l’albero di Natale per Larissa. La bimba bielorussa, adottata con Anna, gli aveva riempito il cuore: tutte le mattine la accompagnava a scuola, l’aveva portata in Tanzania «a vedere gli animali», da inviato in Russia faceva incetta di libri e dvd perché non perdesse le sue radici.E alla Festa dell’Udeur, che cadeva durante il compleanno di sua figlia, non mancava mai la torta con le candeline.
    Accanto all’umanità,Gianni era un fior di professionista: colonna di Stampa Sera negli anni 70, inviato di punta della Stampa, dopo l’Indipendente fu chiamato al Giornale da Feltri.
    Con Bobo Craxi scrisse la storia degli ultimi anni di Bettino. Ci mancherà, e vorremmo ricordarlo con due episodi. Lo scoop che lo divertì di più: quando scoprì, lente d’ingrandimento alla mano, che nei poster Pd sul Circo Massimo la folla era di preti e suore in piazza San Pietro. E lo scherzo a D’Alema, eurodeputato in commissione Pesca, approcciato con tono serio: «Senta presidente, può dirci... è importante... come va l’export del pesce azzurro?». Lui aggrottò il ciglio: «Pennacchi, alla sua età!»

    l'Unità 15 Dicembre 2009

    Pubblicato 14 anni fa #
  8. sensi da trento

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    altri articoli e necrologi

    http://socialist.clandestinoweb.com/2009/12/14/emorto-gianni-pennacchi/

    http://roma.repubblica.it/dettaglio/morto-gianni-pennacchi-storico-giornalista-parlamentare/1804243

    Per il sito Dagospia la morte di Gianni Pennacchi è un caso di malasanità; la notizia è assolutamente priva di fondamento.
    L'accesso al sito è esclusivamente a pagamento: riporto il link che quota la notizia d Dagospia.

    http://falmax85.wordpress.com/2009/12/14/e-morto-gianni-pennacchi-dagospia-accusa-malasanita/

    Pubblicato 14 anni fa #
  9. sensi da trento

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    da Il Secolo d'Italia

    Gianni Pennacchi, il sessantottino venuto da Littoria (di Luciano Lanna)

    «Confesso che davanti a esortazioni del tipo "finiamola col sessantottismo", "è tempo di archiviare la cultura del '68", resto silenzioso e perplesso: mi sale il dubbio che in realtà si voglia parlar d'altro senza averne il coraggio. A proposito, credete ancora e davvero che Sarkozy sia di destra?». Cominciava così, poco più di un anno fa, un lungo articolo di Gianni Pennacchi su Charta minuta, in cui il simpatico e generoso giornalista raccontava il "suo" Sessantotto, rivendicandone le ragioni e l'attualità. Ecco, dopo che ieri mattina la telefonata di un comune amico ci diceva - non volevamo crederci - che Gianni era morto a seguito di un incidente a casa il nostro pensiero è subito andato a quell'articolo e ai diversi incontri pubblici che abbiamo tenuto insieme nel corso del quarantennale della contestazione. Gianni se ne è andato in perfetta salute, da vero sessantottino non è mai invecchiato. L'ultimo gesto che ha compiuto è stato un atto di festa, montare un albero di Natale per la sua famiglia. Una caduta dalla scala gli è stata fatale: nonostante l'immediato dolore si è messo a letto e alle prime ore di ieri mattina ci ha lasciato. Aveva solo 64 anni. Per l'ultimo saluto questa mattina la camera ardente sarà aperta a Roma dalle 9 alle 10 al Verano, mentre i funerali si svolgono alle 11 nella chiesa di Piazza Sempione. Lo piangono la moglie Anna e le figlie Barbara e Larissa, oltre ai fratelli, Antonio, autore del romanzo Il fasciocomunista, e Laura, esponente del Pd e già sottosegretario al Tesoro. Giornalista parlamentare di lungo corso, autentico segugio da Transatlantico, Gianni aveva cominciato alla Fiera letteraria. Reduce, in realtà, da una militanza giovanile in Servire il Popolo, si era dato al giornalismo come sua naturale vocazione e negli anni '70 era stato prima una colonna di Stampa sera e poi, sotto la direzione di Carlo Rossella, un inviato di punta de La Stampa. Negli anni '90, fu chiamato da Ricardo Franco Levi al primo Indipendente, giornale nel quale successivamente incontrò Vittorio Feltri che lo volle con sè al Giornale. Ma Gianni è sempre rimasto un non-allineato.
    Chi scrive lo fece collaborare anche all'Italia settimanale e più di recente gli chiese anche qualche contributo per il nostro Secolo. Avevamo approfondito la nostra amicizia in un convegno su Bettino Craxi a due anni dalla morte che nella mia Artena era stato organizzato da esponenti di An. Lui venne, incuriosito dall'incontro, ne scrisse sul suo giornale e la sera arrivando per la cena nell'abitazione della mia famiglia esordì simpaticamente: «Finisco sempre per mangiare a casa dei "fasci", dai "compagni" non succede quasi mai...». Ne scaturì una bella conversazione con mio padre, discorrendo di buddismo tibetano, di Latina, che era la sua città di nascita, e quindi del Sessantotto. Perché, in fondo, Gianni è sempre rimasto fedele agli ideale della sua giovinezza. «Il mio '68 - scriveva nell'articolo per Charta - è più variegato e confuso di quanto riferiscano le poche fonti storiche. Nel mio, all'università di Roma, c'entrano pure i fratelli Di Luia, Enzo Dantini e Franco Papitto. Loro Parlavano di Codreanu, di Yukio Mishima, di Drieu La Rochelle, di Ezra Pound, di Julius Evola e di una mitica Europa che sembrava quella di Carlo Magno». Un '68, aggiungeva Pennacchi, che in quei giorni chiamanavo "sciarpa bianca", vissuto «con gli occhi di uno studente pendolare tra Latina e Roma, al terzo anno di giurisprudenza, in ordine con gli esami, che assistito dal professore cattolico e di destra Sergio Cotta aveva messo mano a una tesi di laurea sull'esperienza di governo anarchico nella Barcellona repubblicana. Un giovane che nella sua città frequentava la sezione della Fgs, i giovani socialisti, e leggeva Pisacane, Bakunin e Kropotkin. E che sul finire del '67, dopo un'esercitazione di diritto, andò a Lettere occupata per assistere a un'assemblea. Sconvolgente. C'era tutto quello che doveva esserci, libertà e vita, ragazze e voglia di cambiamento, ancora ragazze, fantasia, spazi aperti e orizzonti sconfinati come nelle canzoni di Lucio Battisti...».
    Recentemente, Gianni era salito alla ribalta per il film Mio fratello è figlio unico, tratto dal Fasciocomunista del fratello Antonio, in cui si narrano le vicende dei due, intrecciate con l'opposta militanza negli anni '60. E se Antonio - "Accio" nel libro - dall'allora attivista missino è oggi vicino al Pd, Gianni - il "Manrico" della versione romanzata, interpretato nel film da Riccardo Scamarcio - dall'anarchico che era stato si ritrovava a simpatizzare con l'esperienza craxiana e a lavorare nel Giornale che fu di Montanelli. Del resto, il suo primo strappo risaliva al '68, quando, deluso dal "tradimento di Valle Giulia" e dalla strumentalizzazione del Pci, dimostrò subito di fare a modo suo: «Avevo ricevuto il mio primo certificato elettorale, ma quella domenica scelsi il mare».
    Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia. Alcuni suoi articoli sono raccolti su questo blog.

    http://robertoalfattiappetiti.blogspot.com/2009/12/gianni-pennacchi-il-sessantottino.html

    Pubblicato 14 anni fa #
  10. sensi da trento

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    Gianni Pennacchi era una vita che si divertiva a fregare la morte

    Non gli somiglia per niente, a Gianni, questa morte dolorosa e scema. Una scala che traballa, la caduta, l’emorragia interna che consuma – e ti porta via. Così. Ma è modo di morire questo? E che, gente come Gianni adesso muore per incidente domestico, come se avesse svalvolato il phon o fosse stata data troppa cera per terra? Non gli somiglia per niente intanto per come Gianni era in vita, ma non gli somiglia per niente nemmeno per come tutte le altre volte la morte l’aveva sfiorato – e lui l’aveva mandata a farsi fottere, sempre fregandola sul filo di lana, prima della curva finale e del buio totale. Pure senza prenderla troppo sul serio, quella eterna permalosa rompicazzo – e anzi finora, per farlo morire almeno una volta, l’avevano dovuto far morire per finta, al cinema. Crivellato di pallottole – e almeno era una signora morte, anche se giustamene pure quella, a Gianni, non piaceva per niente. In mezzo al Transatlantico, Gianni ti arpionava con un accento di stupore e un vocione tonante che correva da un capo all’altro dell’immenso salone: aho, ma che dici? aho, hai visto quello?

    Forse credeva a tutto, facendo finta di credere a niente. O forse a niente credeva, ma certo si divertiva, ed ecco insieme una risata e uno sbuffare scocciato e un sospirare tonante. Una divertita fatica, quella di Gianni: poteva scrivere di tutti – capi politici, tromboni dimezzati, mezzecalzette impettite di sinistra e di destra – ma nessuno si salvava dallo sberleffo, dallo sguardo da cui traspariva un principio di saggezza alla Totò: lei è un imbecille, s’informi… Mille arrampicate sulle chiacchiere politiche, per poi cadere da una stupidissima scala? Se n’è andato sorprendendo per l’ennesima volta, Sciarpa Bianca. Così lo chiamavano nel ’68, quando Gianni era il più bello del movimento (testimoniano quelle che c’erano) e girava con questa stola candida al collo, e trovava pure il modo di fare il maoista – che Pennacchi maoista sarebbe come la Grande Muraglia a Latina. E la storia della sua famiglia che il fratello Antonio raccontò nel bellissimo “Il fasciocomunista”, storia che finì sullo schermo e Gianni diventò Manrico, interpretato da Riccardo Scamarcio – bello sì, ma l’originale, protestò, non aveva “bisogno del soccorso estetico”, e pazienza, ma pure finire steso a terra dai caramba: ecché cazzo!

    Ha avuto momenti duri, Gianni. E molti divertenti. E tanti surreali. Quasi un altro romanzo. Come quando fu investito da un’auto e in ospedale gli scoprirono, oltre alle nuove ammaccature, un accidente di vecchio male, e riuscì a scansare pure quello. Raccontava che Antonio aveva scritto un nuovo libro che finiva nel ’44, un anno prima della sua nascita. “Nell’altro mi ha fatto morire, in questo non mi ha fatto nascere”, rideva. Ma per nascere era nato, Gianni Pennacchi, e a volte aveva persino fregato la morte. Così quella – proprio tignosa – per averla vinta ha dovuto mettergli sotto i piedi una stupidissima scala.

    il Foglio 15 Dicembre 2009

    Pubblicato 14 anni fa #
  11. k

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    Grazie, Sensi.
    Lunedì sera (21 dicembre 2009, ore 18.00), se è a Latina venga anche lei a S. Marco alla messa detta di ottavario. La messa seguirà il previsto rito della novena di Natale. Al termine, ci sarà una breve commemorazione, dopo la quale parenti ed amici si recheranno al ponte sul Canale delle Acque Medie per gettare al flusso delle acque del Gange nostro - di più non abbiamo - fiori ed una sciarpa bianca. Quindi tutti al Lavori in Corso (la trattoria lì vicino) per mangiare, bere e cantare tutti gli inni più o meno veneti e fasciocomunisti della nostra tradizione littorian-latinocentrica. Ovviamente si paga alla romana. Ognuno il suo. Non paga solo mio fratello Gianni, che tutti i nostri morti accorrano ad introdurre al più presto con loro nella luce dell'Uno.
    Grazie di nuovo, Sensi. E grazie a tutti quelli che mi sono stati vicini.

    Pubblicato 14 anni fa #
  12. rindindin

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    Pubblicato 14 anni fa #
  13. tataka

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    Le mie condoglianze.

    Pubblicato 14 anni fa #
  14. mjolneer

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    Le mie condoglianze.

    Pubblicato 14 anni fa #
  15. SCa

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    Condoglianze.

    Pubblicato 14 anni fa #
  16. GabSan

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    condoglianze.
    g.s.

    Pubblicato 14 anni fa #
  17. Le mie condoglianze.

    Pubblicato 14 anni fa #
  18. K, sarò alla commemorazione. Forse arrivo tardi, da Roma. Comunque garantisco la mia presenza. Per cantare a squarciagola - come sfogo per questa e altre vicende - inni fasciocomunisti.

    Pubblicato 14 anni fa #
  19. rindindin

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    non potrò esserci ma vi sentirò.

    Pubblicato 14 anni fa #
  20. Scriveva, scriveva bene. Più che altro era sempre informatissimo, sul pezzo (stava).

    Prego il sor Sensi di cercare su latina24ore.it un commento-ricordo di Gianni Pennacchi a firma di tale Gabriella e di copincollarlo, ché il mio wc - ops, pc - ha problemi a visualizzare quel sito. Mi pareva un pensiero significativo perché sincero.

    Le mie condoglianze alla famiglia. Ma resto convinto che non ci sono incidenti, ma momenti in cui è scritto che debbano accadere delle cose. Era giunta l'ora sua. Io la vedo così.

    Pubblicato 14 anni fa #
  21. k

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  22. sensi da trento

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    latina 24 ore

    il commento di Gabriella è molto toccante:

    "SONO IMPIETRITA. NON E' POSIBILE GIANNI, NON PUOI AVER FATTO QUESTO. ERI IL RICORDO BELLO DELLE VACANZE MIE E DELLE MIE SORELLE A FOCE VERDE. TU RAGAZZO GENTILE E BELLISIMO CHE DIETRO IL BANCO DEL BAR CONSERVAVA NEL FRIGORIFERO L'ACQUA CHE LA MIA MAMMA PORTAVA SULLA SPIAGGIA. IL TUO SORRISO GIANNI, LA TUA EDUCAZIONE ERA UN TUTT'UNO CON LA LUCE INTENSA DEL SOLE D'ESTATE. LAVORAVI PER MANTENERTI AGLI STUDI E SEI DIVENTATO UN GRANDE GIORNALISTA. RAPPRESENTAVI PER ME L'ETA'DELL'ORO, LA SPLENDIDA ETA' DELLA GIOVINEZZA E ORA CHE HAI DECISO DI ANDAR VIA QUEL TEMPO NEL MIO RICORDO NON SARA' PIU' LO STESSO. GABRIELLA "

    ----------------------------------------

    il link di K non è accessibile: probabilmente rimanda a una mail personale (nel link leggo infatti la parola webmail) e quindi gli utenti non sono autorizzati a vederla per motivi di segretezza nelle comunicazioni private.
    se posso essere utile in qualch modo mi faccia sapere.

    Pubblicato 14 anni fa #
  23. k

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    Bravo. Cerchi lei allora per cortesia Il Riformista di domenica 20 dicembre 2009, pag. 18. Grazie.

    Pubblicato 14 anni fa #
  24. sensi da trento

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    ci ho provato senza risultati. secondo me il Riformista non permette l'accesso ai numeri precedenti.

    Pubblicato 14 anni fa #
  25. A

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    a voi fasci no, certo.

    Pubblicato 14 anni fa #
  26. SCa

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    La pagina de Il Riformista con l'articolo sulla famiglia Pennacchi si può trovare a questo link http://www.virtualnewspaper.it/riformista/books/091220/index.html#/18/, ma è possibile leggerlo solo per pochi secondi (se ci si riesce si può catturare la schermata) e per continuare si può acquistare il numero online.

    Pubblicato 14 anni fa #
  27. rindindin

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    cavolo! mi sembra di giocare a rubabandiera!

    Pubblicato 14 anni fa #
  28. sensi da trento

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    l'unica è andare in biblioteca e armarsi di scanner.
    non so se a latina (e a trento) lo comprano.
    per trento mi informo io appena torno; la biblioteca di latina invece è chiusa fino al 7 gennaio per restauri.
    sarà pure vero, però pure l'anno scorso questi restauri li fecero proprio durante le vacanze di Natale...

    Pubblicato 14 anni fa #
  29. ... frequenta le biblioteche... tipico dei giovani di sinistra...

    Pubblicato 14 anni fa #
  30. sensi da trento

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    tratto da Repubblica del 12 aprile 2010, pag. 37

    Da novembre, al teatro Parenti di Milano, "Una notte in Tunisia" di Vitaliano Trevisan. Regista Andrée Ruth Shammah

    "Il Mio Craxi, un ritratto shakespeariano"

    Alessandro Haber: "ma non farò l'imitazione del leader socialista"

    ROMA - Farà discutere la notizia che è in cantiere la messinscena di un testo sull' esilio-Iatitanza del leader socialista Bettino Craxi, Una notte in Tunisia. Autore uno scrittore-drammaturgo "scabroso" come Vitaliano Trevisan, protagonista un attore "sconsiderato" come Alessandro Haber, regista una figura "ostinata" come Andree Ruth Shammah.
    Il debutto è fissato per metà novembre al Teatro Franco Parenti di Milano, coproduttore con Gli Ipocriti. «M'interessava Ia condizione umana di un uomo politico in affanno, esule, allergico alla società che lo ha giudicato, malato, circondato solo da familiari o intimi fidati», spiega Trevisan, che si dice estraneo a ogni intento riabilitativo e a ogni docufiction, «convinto semmai che certo clima traumatico nelle sfere alte del potere si ripeta quasi tale e quale ai nostri tempi»;.
    I personaggi di questa che l' autore definisce "tragicommedia" sono quattro: attorno a Craxi, che per ora si chiama X, c'è la moglie ribattezzata Elisabetta, un domestico factotum veneto (sull'esempio dell'ex dipendente dell'hotel Rafael diRoma) e, evocato per puro pretesto, distinto come XX,il fratello Antonio Craxi, ombra familiare anomala ma reale, intellettuale di fede induista.
    «Non farò un'imitazione di Bettino Craxi-assicura Haber-anche se avrò quella testa, quegli occhiali e solo in parte quel corpo robusto. Io sento d'impersonare, al di Ià delle colpe e del buono o cattivo governo, il corrispettivo attuale d'un ritratto ravvicinato di un Riccardo o di un Enrico shakespeariano. Intendiamoci, so che è pericoloso, ma a me piacciono le figure non simpatiche a tutti i costi. Qui si tratta di avventurarsi nella dimensione intima di un capo carismatico che, piaccia o no, appartiene alIa nostra storia, per tentare di afferrarne l'anima, e qualcosa di viscerale,compreso un lato caparbio e orgoglioso che non accettava umiliazioni».
    L'idea di questa copione parte dalla lettura che Trevisan fece del libro di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi Route Al Fawara, Hammamet. «Ho cercato - prosegue Trevisan -di far parlare una personalità inquieta relegata in un auto-confinamento, e ho fatto appena cenno ad altre figure pubbliche che lui cita (Di Pietro, Pannella... ndr) ». E Haber:
    «Chiuso nella sua tana di Hammamet, ha qualcosa di animalesco che appartiene anche alla mia indole. Non temo attacchi ideologici: a chi interessa giudicare Ezra Pound o Lucio Battisti per le loro idee? Se serve precisarlo, comunque, io all'epoca ero tra il Pci e i radicali». Non sarà uno spettacolo politico, piuttosto una metafora su una figura tragica.
    «Non manca un finale a sorpresa, un po' da brividi e un po' grottesco alla Bernhard» aggiunge Haber/Craxi di Una notte in Tunisia, che sara anche in un volume Einaudi.

    Pubblicato 14 anni fa #

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