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Latina città far west?

(27 articoli)
  • Avviato 9 anni fa da FernandoBassoli
  • Ultima replica da parte di FernandoBassoli
  1. Il 48enne tabaccaio Marco Urbani di Latina che è stato gambizzato ieri nel suo negozio in pieno giorno nel 1999 ebbe il coraggio di denunciare i suoi aguzzini e di rivolgersi con fiducia alle istituzioni nonostante il duro pestaggio subito.

    Stiamogli "vicini" in questo difficile momento magari comprando qualche prodotto nel suo negozio di via dei Mille per non lasciarlo solo nella difficoltà psicologica da superare in un momento del genere.

    In pochi giorni spari contro un ristorante al mare, un 20enne in gravi condizioni travolto dal "solito" pirata senza assicurazione, una pizzeria data alle fiamme, un commerciante gambizzato: this is Latrina.

    Pubblicato 9 anni fa #
  2. Get the Flash Videos

    Pubblicato 9 anni fa #
  3. Complimenti a mio cugino Bernardo che mostra notevole personalità scrivendo quanto segue:

    Il ragazzo e il clan Ciarelli-Di Silvio

    Accade sempre così. Da anni. Le azioni si compiono, la storia avanza, ma noi cittadini di Latina, in politica e in società, siamo ancorati ai soliti triti e ritriti battibecchi da cortile: la zona a traffico limitato, le pene del giovane Werther Di Giorgi, la crisi di pubertà perenne del Partito Democratico, l’apparire dello struscio nei locali alla moda.

    Gli organi d’informazione pontini (non tutti, per fortuna) si scervellano sul successore del sindaco, o sull’ultima bega interna del PD già proclamato vincitore della contesa amministrativa a furor di Renzi, come se ciò bastasse a risollevare le terrificanti sorti e regressive.

    A latere di tale inutile sbrodeghezzo, quest’estate è avvenuto un fatto importante per la città di Latina. Un fatto storico. Dopo le sentenze emesse nell’ambito del processo Caronte, il clan Ciarelli-Di Silvio ha subito alcune condanne che ne hanno minato le radici. Colpite, di certo, ma non estirpate. Circa due secoli a personaggi dalla città conosciuti, temuti e, purtroppo, rispettati: Carmine Ciarelli, Patatone, Patatino e Porcellino Di Silvio, Macù Ciarelli, Mario Esposito e tanti altri.

    Nomi e soprannomi che hanno da sempre echeggiato in molti discorsi svolazzanti nei bar, davanti alle edicole, nelle aule dei Tribunali, tra giovani e meno giovani di buona famiglia che sanno tutto, perché chi conosce le storie criminali non è uno sprovveduto, e, magari, il sapere (mutuato da pettegolezzi e falsi miti) consente loro di risultare persino à la page. Se poi li conosci personalmente, sei dotato addirittura di una certa autorevolezza: puoi permetterti tutto perché loro se la comandano come dicono da noi, io li conosco, guarda che quello conosce quell’altro, lascia perdere: in un vorticoso giro di valori denudati e cambiati di segno dove a farla da padrone è la prepotenza omertosa contro la cultura, l’essere amico del più malavitoso contro le relazioni civili imperniate sul rispetto dell’essere umano.

    Nomignoli, quelli di Patatone o Sapurò ecc., sovente menzionati a sproposito, con confusione, senza distinguere i sinti, i rom, Al Karama (un caso completamente diverso), i Casalesi. Tutto compresso in una immonda pattumiera dove la mafia si avviluppa al mondo zingaro e non v’è più distinzione tra i clan camorristici e il nostro clan, quello che ha caratterizzato per anni l’enclave pontina dei Ciarelli-Di Silvio.

    Sì, Latina si è distinta anche per questo: avere una zona franca, custodita dai Ciarelli-Di Silvio e tollerata dai forti clan del sud pontino e, ancor più forti, del casertano.

    Si legge negli atti del processo “Anni 90” che, nel 1996, i Ciarelli furono avvicinati da Ettore Mendico e da un altro emissario del clan dei Casalesi che si presentarono da Carmine in via Andromeda a Pantanaccio, a pochi metri dal luogo dell’attentato del 2010 al medesimo Carmine da cui si originò la cosiddetta guerra criminale latinense (vi furono diversi tentati omicidi – Marchetto, Fiori, Santucci, Savazzi, Annoni – di cui due riusciti: “Bistecca” Buonamano e Moro) e i conseguenti processi Andromeda e Caronte (i fatti contestati riguardano un periodo temporale che va dal 2004 ad oggi e coinvolgono oltre 10 vittime che hanno sporto denuncia). Nel ’96, dunque, Mendico e la camorra volevano una tangente sull’usura dal capo incontrastato del clan, Carmine Ciarelli. “O ci paghi o ti ammazziamo un figlio al giorno”, fu il diktat di Mendico a Carmine, il quale si rivolse ai carabinieri: quattro esponenti del clan dei Casalesi furono arrestati, ma era evidente che un affronto del genere avrebbe dato il via in futuro a terribili strascichi. E pensare che le convergenze parallele avevano funzionato fino ad allora: in altre carte del processo, si fa riferimento a una mediazione trovata tra i Casalesi e i Ciarelli-Di Silvio, tramite i Casamonica, noto clan mafioso, anch’esso di origine rom, protagonista della mala romana.

    Nel processo al clan Mendico, il colonnello Vaccari che si occupò dell’indagine raccontò ai giudici: “Il clan Ciarelli era il gruppo più forte a Latina dove chiunque conosceva i membri della famiglia rom. Ricordo che le donne giravano in gruppo, andavano nei negozi, anche piccoli, e nessun commerciante si tirava indietro: tutti davano dei soldi sapendo che un rifiuto sarebbe stato pericolosissimo”.

    Nell’indifferenza sciocca e devastante della politica latinense, i Casalesi, dalla fine degli anni ottanta, si occupavano di rifiuti; accanto ad essi, in un caos calmo di incompetenza e omissione, nella città pontina si sviluppava, negli anni novanta (e prima ancora), l’era del clan di origine rom dedito, perlopiù, all’estorsione e all’usura con qualche inclinazione verso lo spaccio di stupefacenti. La macchina militare casalese non perse mai di vista i ribaldi Ciarelli e Di Silvio: diversi collaboratori di giustizia hanno confermato che a presidiare il clan rom furono inviati i Baldascini, famiglia campana trasferitasi nel pontino. Matteo e Paolo Baldascini, altri due che a Latina dettavano legge in petto ai Ciarelli-Di Silvio, sono entrambi finiti in carcere: l’uno col 416bis (associazione per delinquere di tipo mafioso), l’altro per l’omicidio di Giorgio Soldi: lo ha ammazzato come un cane per un debito, in Piazza della Libertà, al centro di Latina, nella piazza dove dovrebbe essere presente lo Stato – la Prefettura – e in cui si erge anche la stazione dei Carabinieri.

    È stato un processo tortuoso, il Caronte. Nel corso di un’udienza, un testimone dei traffici di droga di Pradissitto (uno dei condannati insieme ai Ciarelli e ai Di Silvio) non si presentò costringendo gli organi di giustizia a predisporre l’accompagnamento coatto. Un episodio come tanti si dirà, ma tra i tanti che hanno colorato di tenebra la vita processuale del Caronte, costellata di improvvisi vuoti di memoria dei denuncianti, difficoltà a trovare i giudici che esprimessero la sentenza (sono stati sette i rinvii per varie incompatibilità, fino alla decisione dell’ex presidente del tribunale pontino D’Auria di nominare un esterno romano), reticenze di ogni tipo da parte degli imputati e dei loro famigliari.

    Alla fine, i tre giudici – Salari (Roma), Cavaceppi e Giannantonio – hanno quasi in toto confermato l’impianto dei pm Giancristofaro e Miliano. Sentenze che hanno visto condannare i protagonisti del Caronte a reati di usura, estorsione, detenzioni di armi, copertura di latitanti e associazione per delinquere (416), non di stampo mafioso (416bis), sebbene osservatori di legalità regionali e numerose informative cristallizzino, sulle mappe criminali, Latina come feudo dei Ciarelli, dei Di Silvio, dei De Rosa.

    Un processo, il Caronte, venuto dopo il flop dell’altro processo scaturito dalla guerra criminale, l’Andromeda, che vide assolvere, tra gli altri, anche Samuele Di Silvio che, alla fine di questa storia, tornerà prepotentemente protagonista.

    Come tutti a Latina sanno, ma sia ribadito a scanso di equivoci, il clan è di origine rom ma poco ha a che fare con gli zingari di Kusturica o i derelitti cantati in poesia da Fabrizio De Andrè e la sua splendida Khorakhanè. Né tanto meno con i nomadi di Al Karama, alcuni dei quali certamente in limine con la microcriminalità ma non associati in una cosca strutturata e aggressiva come la Ciarelli-Di Silvio (da cui, va detto, alcuni parenti, con i medesimi cognomi, prendono le distanze e provano a vivere una vita normale).

    Eppure, nell’associazione criminale del Ciarelli-Di Silvio, accanto all’avidità dei beni materiali, alla crudeltà sanguinaria, al sopruso per il controllo del territorio cittadino (elementi tipici di ogni associazione per delinquere), vigono ancora alcuni archetipi che al mondo rom rimandano. E ne rimandano in un senso deteriore e distorto del termine. Non c’è il nomadismo o l’apolidia – figli di nessun mondo e allo stesso tempo del mondo intero -, ma vi è il nomadismo o l’apolidia declinati come arrogante rifiuto e mancanza di rispetto nei confronti delle Istituzioni e dell’ambiente cittadino. Dove Zagaria, il superboss casalese, si congratula con i poliziotti che ne hanno scovato il bunker, al contrario, qui, ci sono gli insulti dei componenti del clan rivolti ai magistrati e alle forze dell’ordine senza complessi anacoluti o velate minacce, ma colpendo dritto come cani randagi di fronte al pericolo di soccombere.

    Il nomadismo (delle regole civili) anarchico e totalitario contro uno Stato che non si vuole riconoscere: gli uomini del clan di derivazione rom sono razzisti nei confronti degli abitanti di Latina, considerati come bestie rammollite da sottomettere, vilipendere, denigrare a razza fasulla e debole. Carmine Ciarelli, condannato a ventuno anni nel processo Caronte, ras di Pantanaccio e capo del clan, ebbe a dire anni fa, nell’ambito di un altro processo (il summenzionato “Anni 90”): “Presto denaro a chi lo sperpera al gioco o con la droga. Gente che non merita di essere aiutata, perciò se mi chiedono soldi glieli presto, ma alle mie condizioni: prendere o lasciare. Non troverete mai una persona che ha avuto bisogno di denaro da me e di averlo restituito con gli interessi”. Il vizioso va taglieggiato, il povero cristo non si tocca. Come nelle migliori tradizioni di padrini reali e cinematografici, il Carmine cerca di darsi un tono, alla maniera di un protettore degli ultimi e un angelo vendicatore dei vizi privati. Fosse vero!

    È ovvio, invece, che non esiste alcuna morale nelle loro azioni, nei loro legami interni dettati da imposti intrecci pseudo-patriarcali: nessuna storia da costruirsi su evocazioni mitiche (come ha fatto Pennacchi con la bonifica pontina), c’è solo soverchieria e anodina violenza, sommate alla penosa indifferenza, finanche collusione, di noi cittadini e della politica partitica legittimata dai voti sempre uguali.

    Succede, però, che qualche settimana fa un ragazzo, che di Latina non è, denuncia alcuni giovani virgulti del clan Ciarelli-Di Silvio, tra cui quel Samuele Di Silvio di cui si accennava. Dopo che gli hanno spaccato la testa con una mazzetta da baseball, dopo che lo hanno massacrato di botte nella via dei pub, la zona dove i ragazzi pontini si recano per vivere l’adolescenza e la giovinezza, li ha denunciati. Ne ha denunciati cinque e, tra questi cinque, c’è solo un corpo estraneo al clan: Salvatore Sparta Leonardi di Firenze, figlio dell’ex pentito catanese di Cosa Nostra, Carmelo Sparta Leonardi, uno capace di inguaiare persino Dell’Utri con le sue testimonianze, prima di ricadere nuovamente nella malavita, questa volta, da raccatto: arrestato ancora per alcune rapine in banca.

    Che cosa ci faccia il figlio di un affiliato a Cosa Nostra, a spasso per Latina, a fendere colpi contro poveri cittadini, in compagnia dei Di Silvio, è un particolare che non può lasciare indifferenti. Al contrario, è un elemento che atterrisce ed esige la verità per la città intera.

    Mentre lo picchiavano brutalmente, un giovedì di una sera di settembre, il ragazzo non vedeva niente. Dopo essere stato colpito alla nuca da uno dei minorenni della banda – così avrà meno guai con la giustizia, poiché questi, quando colpiscono, sanno come agire -, il ragazzo si è ritrovato con la testa sanguinante e un taglio di almeno dieci centimetri che solo per miracolo non è stato letale.

    La sua colpa è stata quella di chiedere spiegazioni. I giovani del clan gli avevano puntato in viso un laser, di quelli che si vedono allo stadio per disturbare il portiere della squadra avversaria. Il ragazzo aveva chiesto di smetterla; in cambio: il pestaggio brutale e l’ancor più stentorea effigie verbale. “Porta rispetto”.

    Perché ai Ciarelli e ai Di Silvio si porta rispetto, loro sono i padroni, mentre i giovani della zona pub si guardano bene dall’intervenire. Perché un latinense non denuncia – il ragazzo, come detto, non è di Latina, è fuori da questa logica mafiosa che vede tutti noi coinvolti -, un latinense sopporta, cerca di farseli amici, ride delle loro astrusità verbali, minimizza come i sindaci e i personaggi noti di questa città: Zaccheo disse che Latina è una città sana, Nasso dopo alcune sparatorie nella fresca estate del 2014 parlò di semplici bravate, Pennacchi bollò i latinensi che discorrono di mafia come fighetti de sinistra.

    Troppi gesti non confessati sono avvenuti in questa città. Da anni. Troppe prepotenze, troppi ragazzi e uomini, e donne, di Latina trattati come un cane a cui si dice di andare a cuccia. Perché i Ciarelli-Di Silvio se la comandando e tu, latinense, devi fare pippa.

    Al massimo ti iscrivi nelle palestre della città dove insegnano ai componenti del clan a picchiare ancora più forte, prima che facciano il grande salto nel mestiere dei più grandi. I due marchi di fabbrica della ditta-famigghia: l’estorsione e l’usura.Tutti noi li conosciamo, sono cresciuti con noi. Chi ha tra i trenta e i quaranta anni oggi, vede quelli che facevano le stesse cose di Samuele in galera o gambizzati, o scampati alla giustizia, ricchi e pasciuti. Perché funziona così: quando fai parte di un clan devi farti le ossa, e la tua palestra è la strada di Latina frequentata dai borghesucci della città da vessare, intimidire, trattare come nullità. Tutti stanno zitti, tanto non v’è pericolo. Fino a quando non ne ammazzano qualcuno a sangue freddo come nel 2010. Fino a quando Samuele, scampato dai processi Andromeda e Caronte, non ne farà una talmente grossa da beccarsi trent’anni o, alla peggio, da uccidere un uomo, taglieggiare un padre di famiglia, costringere una donna. Fino a quando non avrà più quello sguardo beffardo con il cappotto firmato Armani mentre entra nel carcere. Lì non ha paura come un qualsiasi latinense, lì, lui, ha i suoi amici che non gli torceranno un capello. Lui è uno del clan. I Ciarelli e i Di Silvio: la storia di Latina è stata scritta anche da loro.

    Ora, chi ha denunciato, subirà la gogna del solitario, senza più amici e vita: scappa via, non farti più vedere, l’hai fatta grossa. Questa sarà la reazione più probabile del complesso ambientale e sociale della città. Questa non deve più essere la risposta della città di Latina.

    Bernardo Bassoli

    da http://www.latina5stelle.it/il-ragazzo-e-il-clan-ciarelli-di-silvio/

    Pubblicato 9 anni fa #
  4. k

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    Mi scusi, ma non è lei che fino a pochissimo tempo fa, insieme ad altri suoi amici e a partire già dai tempi del forum CiaoLatina, ha regolarmente sminuito la questione e parlato sempre bene degli "zingari", suoi vecchi amici e conoscenti d'infanzia di Campo Boario?
    E mo' lei e quel suo cugino volete rompere i coglioni a chi non ne ha mai conosciuto uno in vita sua?
    O ricchi, chiedetevi da dov'è che vengono i vostri soldi.

    Pubblicato 9 anni fa #
  5. k

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    Per quanto riguarda Nasso, ricordi a suo cugino che io non ho mai fatto il costruttore. Voi sì.

    Per quanto riguarda gli zingari invece, adesso mi sa che mi metto io a cercarli, per tentare - se vogliono - di raccontare le loro storie, insieme alle vostre e a quelle della città dal dopoguerra ad oggi. E mica agli occhi di Dio è peccato solo aggredire bullisticamente la gente. Agli occhi Suoi è peccato pure - e molto più grave - far diventare per denaro edificabili le aree a verde pubblico, ed ammazzarne gli eucalypti di oltre settant'anni.

    Pubblicato 9 anni fa #
  6. E' una bellissima idea narrativa.
    Non generalizziamo però: anche tra i rom, come in ogni categoria, ci saranno sicuramente brave persone. Anche tra gli scrittori deve esserci qualcuno che si salva. Qui non si parla di rom ma di attività criminali che peraltro coinvolgono anche non rom da sempre. Si parla della storia di Latina che - come lei ben sa - è la storia di una complessità di rapporti a vario livello, che è poi quella complessità che ha portato alcuni ai livelli massimi di potere in città, con dinamiche non sempre chiare.

    ps: l'amico d'infanzia dei rom di Campo Boario era un certo Maietta.

    Pubblicato 9 anni fa #
  7. k

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    No, lì si parla degli "zingari" come problema massimo se non assoluto, della città. E lei che è avvocato sa benissimo che non basta poi un sottile distinguo di 20 parole:

    "(da cui, va detto, alcuni parenti, con i medesimi cognomi, prendono le distanze e provano a vivere una vita normale)"

    per contrastarne 2.280.
    Esattamente 116 battute contro 14.275, quando poi lo stesso distinguo
    è messo non a caso fra parentesi, evidenziando la cosa come mera eccezione rispetto alla regola generale che si presume invece sia l'altra.

    E' un taglio indiscriminato e razzista - mio caro Fer - ai limiti del nazismo. Quale soluzione proponete, lei e suo cugino alla città: di gasarli tutti?

    Pubblicato 9 anni fa #
  8. Seeee ce ne sarebbero di categorie da gasare a Latina altro che i rom.
    Comunque dovrebbe rispondere l'autore del pezzo.

    Pubblicato 9 anni fa #
  9. k

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    P.S. - Se lei poi non ricorda cosa scriveva fino a qualche tempo fa, se lo faccia dire dal Sensi, che ha forse miglior memoria. Anche la mia non fa molto difetto, e sia pure con tutto il rispetto per il signor Nasso che non conosco se non dai giornali - e con cui però non ho mai scambiato una sola parola, ripeto mai - dica a suo cugino di non associare più il mio nome a quello di persone o cose che hanno molto più a che fare con le classi sociali e con le storie vostre, che con le mie, non essendo neanche lontanissimo parente degli omonimi costruttori (quelli erano velletrani, noi umbri per parte di padre e veneti di madre, ma tutti operai e contadini; nessun costruttore o zingaro, sia pure detto, ripeto, con tutto il rispetto sia per i costruttori che per gli zingari).

    Pubblicato 9 anni fa #
  10. Sì sì ma forse il tema non è chiaro. Il tema non è se gli zingari sono buoni o cattivi o se sono più stronzi dei latinensi (cosa che dubito): il casus, la novità è che qualcuno per una volta si è preso una mazzata in fronte e non si è genuflesso per salvare il culo, come mille volte accaduto almeno dai primi anni '80 ma ed è andato a sporgere denuncia. E' questo, per Latrina, il fatto clamoroso.

    Pubblicato 9 anni fa #
  11. k

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    E questo ragazzo ha fatto benissimo. Ma credo che non sia affatto la prima volta. Forse in questi ultimi tempi, ma quando ero giovane la gente andava e denunciava.

    E la smetta di dire Latrina, perché mi fa girare i coglioni. Sono i ciociari che lo dicono.

    Pubblicato 9 anni fa #
  12. Mio cugino dopo aver fatto il log-in non riesce ad entrare immagino per i problemi dovuti agli spammer. Come si può risolvere?

    Pubblicato 9 anni fa #
  13. admin

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    admin

    Era inattivo. Dovrebbe provare adesso.

    Ora i nuovi iscritti ottengono automaticamente il ruolo di membro, così come era prima; l'avevo cambiato mettendoli inattivi per cercare di fermare gli spammer, ma sembra che il controllo con l'incipit in registrazione sia sufficiente.

    Pubblicato 9 anni fa #
  14. Bernardo Bassoli

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    Buongiorno. Grazie all'amministratore, e grazie per i commenti. Fanno sempre piacere. Coloriti in verità, d’altra parte noi latinensi non sappiamo fare altro che mandarci a quel paese vicendevolmente; è un tratto caratteristico.
    Mi proverò nel rispondere, chiedendovi scusa, in anticipo, per la confusione.

    Io non sono ricco e i miei soldi, pochini a dir la verità, vengono dal lavoro molto precario che faccio. Se si riferisce ai denari di un qualche mio parente lontano o vicino sono stati guadagnati onestamente, con il sudore della fronte. Da persone perbene.
    Parla di classi sociali? Credo che adesso le cose si siano invertite: lei è benestante, io sono povero. E non v’è niente di male a essere benestanti o poveri, l’importante è essere onesti. E sia io, che lei, o mio nonno lo siamo e lo siamo stati. Pensi che è morto povero, e quando faceva il sindaco lo faceva senza beccare un quattrino.

    Lei insiste sui costruttori. Mio nonno lo era, ed era, come detto, una persona onesta. Non ha mai insozzato la città: quando faceva il costruttore lui, Latina è stata conservata nell'integrità della sua struttura; le devastazioni sono venute dopo. Quindi, di grazia, non accosti lei il nome di Nasso a quello di mio nonno. In più, io non accosto il suo nome a quello di Nasso equiparandone i valori etici o economici di costruttori (sarei pazzo, lei non è un costruttore!), ma perché, da persone note della città, entrambi avete minimizzato il problema “criminalità organizzata” a Latina. In sostanza: non c’entra un tubo il fatto di essere un costruttore.

    Lei non ha mai conosciuto nessuno del clan, dice. Certo e chi ha mai sostenuto il contrario? Anzi, quando la cito (due volte) è proprio per sottolineare il fatto che lei sminuisce, come altri intendiamoci, perché non conosce l’associazione per delinquere di cui racconto. Non si offenderà se le dico che lei, come altri, siete fuori dalla Storia quando riducete a nulla questi discorsi.
    Inoltre, la prima volta che la cito non mi sembra affatto di offrirle un cattivo tributo - segno che non ho nessun pregiudizio, diversamente da lei che mi bolla come un ricco che deve stanare le sue ipocrisie (“chiedetevi da dov'è che vengono i vostri soldi”).

    Se li metta a cercare quelli del clan, e si faccia raccontare: è proprio questo il punto. Lei non conosce - e non per menefreghismo, ma probabilmente per una questione generazionale - cosa hanno fatto queste persone alla città; come del resto le cosche casalesi interrandoci di tutto da B.go Montello in poi. E dico queste cose, corroborate da fatti, storie vissute, indagini, sentenze. Non me le sono sognate.

    La questione razzistica non ha nulla a che vedere con quanto da me scritto: il problema massimo non sono gli zingari, ma i delinquenti. E i sottili distinguo vengono fatti anche con Al Karama, che non c’entra nulla con la cosca da me (e dalla magistratura) raccontata. Sono sottili perché nel mio articolo si parla di mafia, non di persone oneste.

    Sulle aree rese edificabili, con me lei sfonda una porta apertissima. Ma chieda anche al partito che vota quanto era rilassante dormire quando gli altri consentivano a uno come Malvaso di aumentarsi le volumetrie per costruire un mostro a B.go Piave e altro (per questo fatto specifico abbiamo una giunta comunale, compreso il sindaco, indagata). La soluzione che propongo è innanzitutto che questi temi siano al centro del dibattito pubblico. Le persone hanno paura a parlarne, perché taglieggiate, minacciate, offese negli anni; lotto in prima persona per una politica vicina a suddetti temi, che agevoli l'educazione al bello e il rifiuto totale del puzzo del compromesso. Ma la questione è molto complessa, e non la tedierò di più.

    Sulle accuse di nazismo, non mi soffermerò molto ma le vorrei far notare: se lei si indigna solo perché ho messo il suo nome insieme a quello di Nasso nella medesima frase, cosa dovrei fare io che mi dà del razzista finanche del nazista? Le rispondo: ne sorriderò.

    È vero. Non è stata la prima volta che quelli del clan sono stati denunciati. Il processo Caronte parte grazie anche a dieci persone che hanno sporto denuncia. Salvo, poi, che qualcuno, durante il dibattimento, ha scordato o confuso cose che prima aveva riportato molto chiaramente.
    Invece è la prima volta che un ragazzo denuncia qualcosa del genere. Da anni, questi hanno fatto il bello e il cattivo tempo senza che nessuno li abbia mai denunciati. Ho visto persone brutalizzate che non denunciavano per paura, omertà, logiche, per l’appunto, mafiose. Infatti, particolare non da poco, il ragazzo non è di Latina.

    Da ultimo, convengo con lei su una cosa: anche a me non piace che Latina venga chiamata Latrina (a mio cugino piace essere sarcastico; fermi i suoi zebedei, non ne vale la pena!). Perché sono un latinense anche io, e ho a cuore questa città. E per questo la racconto, proprio come fa lei. C’è posto per tutti, spero.

    Pubblicato 9 anni fa #
  15. k

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    Membro

    Oberato di impegni, mi spiace non averle potuto rispondere prima, mi spiace di non poterle rispondere diffusamente e mi spiace soprattutto di doverla disilludere, ma il reale non è purtroppo così semplice, semplicistico o semplificabile come se lo figura lei.
    Il reale è un campo di forze in cui concorrono innumerevoli vettori di segno anche opposto. E ciò che conta nel reale dei fatti storico-sociali non è l'etica individuale o la singola autopercezione della onestà o disonestà. Tutti, a questo mondo, ci consideriamo onesti o quanto meno innocenti od assolvibili, a partire proprio dal capomafia o capoclan da lei raccontato, che sostanzialmente dice: "Io non ho mai fatto del male a chi non lo meritasse, l'ho fatto solo a chi lo meritava". Ciò che conta nel reale sono gli accadimenti, e gli accadimenti non sono che la risultante di quel campo di forze. E' un principio elementare della fisica che si applica anche alle scienze cosiddette umane e storico-sociali.
    Nella fattispecie, sulla storia della politica edilizia della città di Latina ho già scritto abbondantemente nel mio ultimo libro, Camerata Neandertal, alle pagine 72-80. Se le vada a guardare. Nel frattempo, si guardi pure qualche fotografia d'epoca della Littoria d'anteguerra - con particolare riferimento all'odierno Corso della Repubblica, paragonandolo agli anni successivi e a quelli attuali - e si chieda quando e sotto quali amministrazioni le aree verdi e gli edifici più o meno pubblici (quali ad esempio la prima stazione delle corriere) hanno cominciato ad essere oggetto di trasformazioni d'uso, privatizzazioni ed edificabilità. A differenza sua e di suo cugino Fer, io purtroppo non credo, avendola studiata, che esista una "età dell'oro" nella storia della città - situabile tra l'immediato dopoguerra e i tardi anni cinquanta - in cui era tutto giusto pulito ed onesto, rispetto a quanto avvenuto prima, e quanto soprattutto avverrà dopo, nelle da voi presunte "età di merda". Se mai c'è stata un'età dell'oro, quella si situa nel periodo delle Origini e basta. Poi c'è un continuum, nella storia edilizia, che parte dal dopoguerra e arriva, tra i tanti, al signor Nasso. Signor Nasso che, le ripeto, non conosco personalmente, ma a quanto io sappia non sembra aver commesso alcun reato penale - se non giusto quello estetico dei suoi palazzi in stile Assurbanipal - che lo possa in qualche modo differenziare, sul piano del giudizio storico, da tutti i politici "costruttori" che lo hanno preceduto. Dal dopoguerra, ripeto, sino ad oggi, fatte salve le dichiarazioni d'onestà di chicchessia.

    Per il resto, non posso che confermarle quanto già detto: il suo pezzo è razzista e fa di tutta un'erba un fascio. Vorrei scrivere di più, ma non ne ho proprio più il tempo. La rimando a qualche prossimo libro.

    (Questo pezzo è naturalmente coperto, per lei, da copyright. Come insegna Grillo, se lo porta anche parzialmente da qualche altra parte senza autorizzazione e pagamento di royalties, se la vedrà con i miei avvocati.)

    Pubblicato 9 anni fa #
  16. Più che di "età dell'oro" basta parlare di "boom economico" che caratterizzò quasi inevitabilmente l'Italia del dopoguerra, come anche i sassi sanno.
    C'era da ricostruire un intero Paese distrutto e affamato, certo il lavoro non mancava, in particolare nell'edilizia.
    Vuole forse negare, caro K, che nel dopoguerra l'economia di Latina (e di tutto il paese) ripartì? L'età dell'oro ci fu, ma non fu merito di qualcuno, fu solo un processo storico ampiamente prevedibile, com'è ampiamente prevedibile che in tempo di guerra si fa la fame e si finisce per cadere nelle mani dei borsari neri.

    Lei deve condannare il male. Punto. Poi si passa alle attenuanti, che peraltro ci sono sempre e non a caso esiste il concetto di attenuanti generiche che si riconoscono a cani e porci.

    Pubblicato 9 anni fa #
  17. A.

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    Moderatore

    Fernando, credo che K pensi che "il male" non sia univoco. Ma che dentro di noi ci sia il male e il bene, e che solo le circostanze articolano il campo di forze concreto in cui l'individualizzazione avviene, di volta in volta. Poi la storia lavora, hegelianamente, come la talpa sotterranea. L'intellettuale non può giudicare, ma solo comprendere.

    Pubblicato 9 anni fa #
  18. Che dentro di noi coesistano bene e male è scontato.

    Pubblicato 9 anni fa #
  19. k

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    Membro

    No, A, la colpa è mia che perdo pure tempo a ragionarci.
    Costui vede solo il male che è negli altri e solo il bene o le attenuanti che valgano per lui.

    Pubblicato 9 anni fa #
  20. No guardi io non ho mai detto di essere cosa buona e giusta, anzi.

    Pubblicato 9 anni fa #
  21. Ho collaudato oggi, nel mio piccolo, la nuovissima ciclabile nel centro di Latina. Pensavo peggio, l'importante è non cadere sennò l'arrotamento è automatico. Negli incroci invece prevedo situazioni fantozziane tipo passi tu passo io...
    Il problema più serio mi pare quello che se il ciclista, magari anziano, cade sulla sua destra (o sbanda, magari perché mbriaco), viene travolto dalle auto che arrivano dal senso opposto: non mi pare un problema da poco. Me la tengo comunque, magari si può migliorare.
    Cosa ne pensate?

    Pubblicato 8 anni fa #
  22. k

    offline
    Membro

    Che ne penso?
    1) - Che in tutto il mondo, che io sappia, allargano le strade. Solo a Latina le restringono.
    2) - Che su via del Lido, quand'ero ragazzo, c'erano due larghe e stupende piste ciclabili contrassegnate da striscia gialla, ai due lati della carreggiata: una in un senso e l'altra nell'altro. Adesso c'è questo aborto a doppio senso di circolazione - marcato dal jersey in cemento - in cui se c'è gente non puoi camminare, né in un senso né nell'altro, né a piedi né in bicicletta. La pista ciclabile deve essere - a meno che non sia larga tre metri - ad un solo senso di circolazione.
    Questa in città è pure peggio.
    3) - Il lungomare lo hanno ammazzato.

    Aridateme Littoria

    Pubblicato 8 anni fa #
  23. Sul lungomare non ho parole: possiamo solo organizzare un bel funerale.

    Pubblicato 8 anni fa #
  24. Gira voce, ma girano anche foto, che a Latina la palla della fontana della piazza non sarebbe più nella sua sede naturale. A questo punto per i motivi che certamente saprete siamo fottuti. Usciranno tutti gli spiriti, compresa l'animaccia del gatto sul camion sotto la piazza. E mo' chi ci salva?

    Pubblicato 8 anni fa #
  25. Alla luce dei recenti terremoti dentro e fuori dal tribunale di Latina ("Lollogate" e operazione "Don't touch") pare di cogliere qualche significativo segnale di risveglio della coscienza di una parte della cittadinanza. Fusse che fusse la volta buona?

    Pubblicato 8 anni fa #
  26. (Temo però che ci siam giocati il "giocattolo" Latina Calcio)

    Pubblicato 8 anni fa #
  27. da
    http://ilmanifesto.info/gli-affari-neri-di-latina-spunta-un-fratello-ditalia/

    È arri­vata come un fiume in piena l’ultima inchie­sta deno­mi­nata “Don’t touch” fir­mata dal Gip di Latina Giu­seppe Cario, ese­guita dagli agenti della que­stura coor­di­nati dal capo della squa­dra mobile Niglio. Un fiume che ha tra­volto uno dei clan più peri­co­losi del pon­tino, espres­sione di una con­sor­te­ria cri­mi­nale che ha dira­ma­zioni nella poli­tica locale e nazio­nale, nell’imprenditoria, nello sport e nel com­mer­cio, spesso age­vo­lata da liberi pro­fes­sio­ni­sti e impren­di­tori dediti al malaffare.

    Ma andiamo con ordine. Secondo la Pro­cura la sede della tifo­se­ria del Latina Cal­cio, la “Curva Nord”, sarebbe un luogo di «par­ti­co­lare offen­si­vità» sociale per­ché al suo interno avve­niva, secondo gli inqui­renti, lo spac­cio e il con­sumo di cocaina. È que­sto uno dei pas­saggi dell’ordinanza che lunedì scorso ha por­tato all’arresto di 24 per­sone di una pre­sunta orga­niz­za­zione cri­mi­nale di “zin­gari” il cui capo indi­scusso sarebbe Costan­tino “Cha Cha” Di Sil­vio: uno dei nipoti di primo grado di Vit­to­rio Casa­mo­nica. «Lo spes­sore cri­mi­nale del gruppo è molto ele­vato — spiega il que­store di Latina Giu­seppe de Mat­teis — Sarebbe un errore sot­to­va­lu­tarlo». Per gli inqui­renti la capa­cità di que­sti cri­mi­nali di met­tere le mani sulla città pon­tina è evi­dente: da qui si è arri­vati a cac­ciare di fatto l’ex pre­fetto Frat­tasi, ad inviare let­tere mina­to­rie e pro­iet­tili a que­stori, capi della mobile, pro­cu­ra­tori e gior­na­li­sti. Nell’inchiesta risulta coin­volto anche uno sto­rico amico di Cha Cha: il depu­tato Pasquale Maietta, teso­riere alla Camera di Fra­telli d’Italia — Alleanza Nazio­nale, ex asses­sore al Bilan­cio di Latina e pre­si­dente del Latina Cal­cio: squa­dra che milita nel cam­pio­nato di serie B. L’onorevole è accu­sato di vio­lenza pri­vata ten­tata in con­corso, per­ché inter­cet­tato men­tre chie­deva a Cha Cha di risol­vere per le vie brevi una vicenda per­so­nale. È lo stesso depu­tato che un anno fa ritirò in extre­mis un’interrogazione par­la­men­tare pre­pa­rata dal suo staff pro­prio con­tro il que­store di Latina De Mat­teis, accu­sato di get­tare discre­dito sulla città per aver denun­ciato la pre­senza di una cri­mi­na­lità autoc­tona capace di con­di­zio­nare set­tori nevral­gici, a par­tire dall’urbanistica. Un attacco mal dige­rito da chi ha gover­nato Latina negli ultimi venti anni.

    L’inchiesta evi­den­zia l’operato di un’associazione a delin­quere spe­cia­liz­zata in estor­sioni, usura, minacce e lesioni, porto e deten­zione abu­siva di armi (anche da guerra), furto in abi­ta­zioni pri­vate, inte­sta­zione fit­ti­zia di beni, cor­ru­zione, rive­la­zione di segreti d’ufficio e spac­cio di droga. Anche se ripe­tu­ta­mente arre­stati e con­dan­nati, i suoi appar­te­nenti con­ti­nua­vano a taglieg­giare le loro vit­time. Inol­tre con­ti­nua­vano ad avere col­le­ga­menti con ele­menti deviati delle forze dell’ordine dai quali rice­ve­vano infor­ma­zioni, die­tro paga­mento, sulle inda­gini sul loro conto. Ma soprat­tutto con­ti­nua­vano ad intrat­te­nere rap­porti con la pub­blica ammi­ni­stra­zione e con i politici.

    E sopra tutti c’era lui, Pasquale Maietta, con il quale Cha Cha pas­seg­giava tal­volta in pieno cen­tro della città. Una di que­ste occa­sioni è stata notata su face­book. Ne nac­que una inti­mi­da­zione dive­nuta poi oggetto delle inda­gini a carico del depu­tato. All’appello comun­que risul­tano altre “col­la­bo­ra­zioni” poli­ti­che del clan. Per esem­pio con l’ex vice­sin­daco Udc di Latina Mau­ri­zio Galardo e con l’ex con­si­gliere comu­nale Mas­si­mi­liano Car­ne­vale (anche lui dell’Udc), figlio di Ari­stide Car­ne­vale, eletto a sua volta al con­si­glio comu­nale di Latina nel 2011 in quota Pd. Lo stesso Maietta del resto ha rap­porti eco­no­mici diretti con alcuni poli­tici locali. È il caso di Anto­nio Aprile, anche lui socio del Latina Cal­cio, già can­di­dato a sin­daco alle ultime ele­zioni del Comune di Ser­mo­neta (Lt): tutte le aziende della fami­glia Aprile hanno sede legale nello stu­dio com­mer­cia­li­sta di Maietta.

    Nella vicenda non si può tra­scu­rare il ’det­ta­glio’ dello spac­cio presso la sede della tifo­se­ria della squa­dra. Un det­ta­glio che oggi ci per­mette di chiu­dere un’inchiesta che il mani­fe­sto per primo aveva aperto un anno e mezzo fa, fon­data su alcune rive­la­zioni rela­tive alle con­ti­nue inti­mi­da­zioni, minacce di morte e anche di aggres­sioni sel­vagge del “clan degli zin­gari” ai danni di espo­nenti del Latina Cal­cio. Gli epi­sodi si sareb­bero veri­fi­cati tra il primo e il secondo tempo o alla fine di alcune par­tite. Le ragioni di tali vio­lenze erano legate al risul­tato otte­nuto sul campo, non in linea con quello che il clan aveva “ordi­nato”. La fonte si rife­riva alle scom­messe clan­de­stine nelle quali anche il Latina Cal­cio risul­te­rebbe coin­volto (inchie­sta “I Treni del Gol”, dove l’ex pre­si­dente del Cata­nia ha ammesso di aver com­prato cin­que par­tite tra le quali una con il Latina). Nell’ordinanza della pro­cura oggi si legge che pro­prio Cha Cha Di Sil­vio «risulta avere il con­trollo degli eventi spor­tivi con­nessi agli incon­tri di cal­cio (…) in occa­sione di una par­tita ras­si­cura Maietta, al quale dichiara la sua dispo­ni­bi­lità ad un inter­vento, anche in forma vio­lenta». Sarà la magi­stra­tura a sta­bi­lire in cosa con­si­sta il «con­trollo sugli eventi spor­tivi». Resta evi­dente il clima nel quale tutto que­sto è avve­nuto.
    In rispo­sta all’articolo pub­bli­cato dal mani­fe­sto venerdì 27 giu­gno 2014 dal titolo «I mira­coli in nero del Latina Cal­cio» rice­vemmo un’intimidazione attra­verso uno stri­scione affisso all’ingresso dello sta­dio di Latina e fir­mato, guarda caso, dalla “Curva Nord”: pro­prio la tifo­se­ria nella cui sede si sco­pre che avve­niva lo spac­cio e il con­sumo di cocaina.

    Una sto­ria inquie­tante che oggi si ritrova den­tro un pro­cesso penale con esiti che si atten­dono cla­mo­rosi. A rispon­dere del pro­prio ope­rato ora dovrà essere anche l’accondiscendente ammi­ni­stra­zione comu­nale pon­tina. Mal­grado le segna­la­zioni infatti, lo stri­scione inti­mi­da­to­rio rimase affisso su una strut­tura di sua pro­prietà per quasi due giorni, secondo alcuni accu­ra­ta­mente custo­dito da un espo­nente del clan Ciarelli-Di Sil­vio. Insieme sono rima­sti attac­cati ai can­celli dello sta­dio anche altri stri­scioni che mani­fe­sta­vano soli­da­rietà ai due co-presidenti del Latina Cal­cio allora in carica: l’imprenditrice Paola Cavic­chi e lo stesso Pasquale Maietta. Entrambi i per­so­naggi otten­nero altre bene­vo­lenze dall’amministrazione comu­nale di Latina, e pro­prio in quei mesi, a par­tire dalla sana­to­ria per degli abusi edi­lizi com­piuti nelle loro abi­ta­zioni. Que­sta inchie­sta può forse aiu­tare a fare puli­zia in una pro­vin­cia in cui clan mafiosi e malaf­fare, poli­tica e impren­di­to­ria incro­ciano troppo spesso i loro destini e rela­tive fortune.

    Che sia arri­vata l’ora di fare i conti sui troppi affari “in nero” rea­liz­zati a Latina?

    Pubblicato 8 anni fa #

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