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Latina sceglie il suo sindaco

(21 articoli)
  1. Io ora non so chi sia questo Galante (dice che ha un albergo, capirai, sticazzi) ma siccome un po' di giornali li leggo, seppure a scrocco, già il fatto che non so chi sia mi preoccupa. Dice che viene da destra e per qualcuno basta per avere la precedenza, come da codice della strada, ma siccome a Latina imperversano le rotonde, la faccenda si complica: sono infatti diminuiti i sinistri, ma sono aumentati i vaffa ed è quindi peggiorata la qualità della vita. Prima ti schiantavi, sì, ma col sorriso sulle labbra, e morivi felice, forse, pensando "Meglio un giorno da leone, che cento a Frosinone..."

    Al PD e più in genere, si sa, piace perdere facile, ma ora si esagera: andare a scegliersi un candidato che viene da una storia di destra sa un po' di autoflaggellazione Tafazzi-style. Più che prestare il fianco alle critiche della parte avversa, qui ci si mette direttamente a pecora, con tanto di ex democristo quale alternativa francamente moscetta.

    A sto punto, forse parrà banale, in una Latina in cui la cultura muore, tra teatri fatiscenti, cinema che si riciclano e librerie deserte, era meglio candidare Pennacchi, che davvero poteva mettere d'accordo destra e sinistra (non so cosa ne pensa l'interessato).

    Poi dice che uno vota M5S. Già, ma sto candidato a sindaco pentastellato quando arriva?

    Sarà una campagna elettorale tra le più interessanti, perché il centrodestra pontino non è mai stato così poco coeso, travolto da scandali di varia natura (ma pure la sinistra non scherza).

    Per perdere stavolta, cari piddini, si dice piddini?, bisogna essere veramente stronzi. Ma noi, modestamente, lo siamo.

    Pubblicato 8 anni fa #
  2. k

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    Membro

    Come giustamente ha sottolineato lei, anche Pennacchi è stato fascio; ma lo era stato pure Ingrao. Che male quindi c’è, se anche Galante è passato per di là? Siamo nati a Latina in fin dei conti, non a Marzabotto. Vogliamo adesso, per cortesia, guardare un po’ al futuro?

    (Non parteciperò al dibattito in corso in seno al Pd, non andrò a votare alle primarie e voterò alle elezioni vere – sempre se non mi faranno proprio incazzare – chiunque il Pd m’indicherà di votare. Lei si chiederà: «Perché non partecipa al dibattito?». Perché a quelli non gliene frega un cazzo di qualunque cosa gli possa andare a raccontare io. Si chiamano – caro Fer – fattori irrazionali burocratico-inerziali, che come la legge di gravità scoperta da Newton prescindono, incomparabilmente più forti, dal minimo barlume di razionalità umana. Per questo – se permette – evito il dispendio di energie e le risparmio per il mio lavoro: «Andè in malora va’, ch’agò altro da pensar».)

    a.p. – 2 ottobre 2015

    Pubblicato 8 anni fa #
  3. Deve lavorà, mi pare un buon alibi.

    Pubblicato 8 anni fa #
  4. k

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    Alibi? Ch'at vegna un càncher sèck!
    Te 'a ghessi fata ti, 'a sentèsima parte de 'e batalie polìtico, sivili e sindacal che go fato - squasi senpre pardendo - purtropo mi.
    Va a cagare, va'... mosca cochiera de stocasso.

    Pubblicato 8 anni fa #
  5. Date le nostre origini, mi sento più zanzara

    Comunque un saluto ai cronisti di Latina Quotidiano che hanno pubblicato oggi l'intervento di K in questo topic.

    Pubblicato 8 anni fa #
  6. k

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    anofele, però.

    stia bene.

    Pubblicato 8 anni fa #
  7. A.

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    Questi scambio è stato straordinario.
    Grazie

    Ps.
    bel l'articolo su ingrao lo potevo mettere su Politica generale, ma lo metto qui, visto che è stato citato. Di Piero Sansonetti

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    Già, chi era Ingrao? Mi vengono in mente, d’acchito, solo risposte banali. La sua morte è arrivata di sorpresa.

    Sì, sì, aveva cent’anni, ma a me pareva eterno. Non produceva più pensiero da un decennio, non faceva politica, era vecchio vecchio, ma era lì: seduto, o ingobbito, con il suo volto ciociaro, arcigno e dolcissimo, con quel naso speciale, con la mascella, con gli occhi che una volta ti intimidivano, ora non più, ora erano stupiti, curiosi. Sembrava che non dovesse finire mai, Ingrao. Che la sua vecchiezza servisse a dirci che la politica non è per forza Renzi o Berlusconi.

    Già, chi era Ingrao? Era l’uomo che non si arrendeva mai? Era l’uomo che dava battaglia tutte le volte e che in genere perdeva? Era l’uomo dell’utopia, dell’arzigogolo, del sogno politico? Era l’allievo di Togliatti? Era il nostro Mao, come gridavamo circa mezzo secolo fa? Era il nemico dei compromessi? Era il comunista dolce, aperto, che piaceva anche ai preti? Era un pensatore politico, innamorato dell’autonomia della politica e della convinzione che questa autonomia potesse essere garantita solo dal pensiero e dalla lotta, non dal governo e dall’amministrazione? Era un poeta, Ingrao, era quello che voleva la luna, un po’ perché era bella un po’ perché sapeva di non potere averla?

    Chi era davvero? Era il trentenne che approvò l’invasione dell’Ungheria o era l’uomo già anziano che si dissociò dal suo partito, alla Camera, si alzò e pronunciò un discorso radicalmente pacifista contro le navi italiane nel Golfo Persico? Era un leninista o era un libertario? Era il Presidente della camera, super partes, che gestì le giornate tragiche del sequestro Moro o era il combattente che a settant’anni suonati cercò di impedire la fine del partito comunista, quando ormai il comunismo era già scomparso, perito e sepolto sotto il Muro di Berlino?

    Potremmo cavarcela così, con una frase fatta: Pietro Ingrao era un gigante della politica, e di gente come lui, nel Palazzo, non c’è più traccia. Vero.

    E’ tutto un po’ vero, ma è anche tutto retorica. Ingrao nella sua vita politica attiva che è durata circa 60 anni (diciamo dal 1940 al 2000 ) ha commesso un sacco di errori e ha avuto ragione molte altre volte. E’ stato coraggioso ed è stato timido. Ha avuto un gigantesco carisma e non sempre lo ha saputo usare. Un po’ come tutti. Certo, sempre a un livello altissimo, ma come tutti.

    La sua grandiosità e il senso di tutta la sua vita, però, io sono convinto che siano racchiusi in pochi mesi, nel 1966 : l’XI congresso del Pci. Togliatti era morto da un anno e mezzo e da circa tre anni in Italia governava il centrosinistra di Moro e Nenni. Il Pci si divise. Non solo nella scelta del successore di Togliatti, ma soprattutto nella scelta della linea politica. E quella scelta – proprio quella, compiuta nell’inverno del 66 – determinò la storia della sinistra italiana in tutti i decenni successivi. Fino a oggi. I due leader contrapposti erano i due prodotti migliori del vivaio di Togliatti. Giorgio Amendola, altissima borghesia napoletana, figlio dell’ex ministro delle colonie (Giovanni, liberale, ucciso dai fascisti a bastonate negli anni Trenta) e Pietro Ingrao, intellettuale molto particolare che veniva dalla provincia, addirittura dal un paesino del frusinate, Lenola. E questi due dirigenti (Amendola aveva quasi sessant’anni e Ingrao un po’ più di cinquanta) si affrontarono su due ipotesi opposte di futuro. Amendola era per la presa del potere, per via riformista, attraverso il centrosinistra, e dunque per scelte tutte subordinate alla decisione di allearsi con il Psi, di creare un unico partito in grado di contrattare da pari a pari con la Democrazia cristiana. Amendola diceva: potere uguale riforme, uguale progresso, uguale avanzata dei lavoratori.

    Ingrao pensava l’opposto. Diceva: movimenti. Vedeva un grande subbuglio nella società italiana, aveva avvertito la forza e la spinta del Concilio Vaticano secondo, intuiva la rivolta giovanile che avrebbe poi travolto tutto due anni dopo, percepiva persino i primi segnali del femminismo. E pensava a una sinistra che non partisse dal Palazzo, non puntasse alla presa del potere ma radunasse attorno a sé – ai suoi valori, alla sua capacità di produrre modernità autentica – forze diverse, ceti diversi, generazioni diverse, in grado di formare un blocco ideale e culturale che avrebbe poi influenzato in modo determinate il governo del paese. Ingrao pensava che l’economia – e le relazioni economiche e le compatibilità dell’economia – non fosse il motore vero della storia. Pensava che il motore fosse la politica, e che la politica potesse vivere solo nella sua autonomia, nella sua “superiorità”, non ammettesse posizioni ancillari, subalterne. Non identificava politica e potere. Identificava politica e pensiero e movimenti. Immaginava una capacità delle idee – e anche delle classi sociali più deboli – di dominare la società senza necessariamente usare lo strumento del governo.

    A Ingrao è stata sempre mossa questa critica: “Sei un acchiappanuvole, tu parli, getti semi, idee, ma poi c’è bisogno di una sinistra riformista che sappia prendere e gestire il potere”. Ingrao non pensava che fosse così decisiva la presa del potere, o forse addirittura la temeva, e in questo rovesciava completamente lo schema leninista. Certo, allora non lo si poteva dire. E Ingrao, che era coraggiosissimo e spericolato nelle sue capacità di pensiero, era timido, disciplinato e comunista nell’esprimere le sue idee. Non perché avesse paura, intendiamoci. Ma per un certo modo di concepire il comunismo, il dovere, la comunità, che non lo ha mai lasciato, del quale non ha saputo mai fare a meno. All’XI congresso Ingrao fu l’unico a criticare l’Unione sovietica, ma non ebbe il coraggio di chiudere i conti con il leninismo, di denunciarlo apertamente.

    Sapete come andò: fu sconfitto. E allora se ti sconfiggevano era guai seri. Alla fine del suo discorso (che iniziò con una frase famosa: “Compagni, non sarei sincero se dicessi che mi avete persuaso…”) ricevette una ovazione gigantesca dalla platea. Imbarazzante. Ma nessun dirigente, di quelli che stavano sul palco, si alzò per stringergli la mano, come era usanza. Tranne una signora coraggiosa e isolata: Marisa Rodano. I suoi uomini, quelli che si erano schierati con lui furono dispersi, emarginati. Lui fu isolato. Un pezzo di partito gli fece una guerra spietata, totale. Negli ultimi anni Ingrao raccontava di quanto gli stesse sulle scatole Pajetta, perché – ricordava – Pajetta, per schernirlo, quando lui parlava in Direzione si metteva a sfogliare il giornale per dimostrare che neppure lo stava ad ascoltare…

    Perse, ma aveva ragione. Almeno, io credo così. Cioè penso che se la sinistra avesse dato retta a Ingrao, nel 1966, e avesse rinunciato alla sua ossessione “poterista” (della quale è figlia anche la politica berlingueriana del compromesso storico) oggi sarebbe ancora viva. Invece oggi la sinistra non c’è più. Oggi c’è Renzi che è la perfetta realizzazione delle teorie politiche che all’XI congresso vinsero, guidate da Amendola e da Napolitano. E’ vero che Amendola e Napolitano non conquistarono mai la segreteria del partito, che toccò a Berlinguer (uomo di mediazione tra Amendola e Ingrao) però da quel momento in poi furono loro a dettare la linea. Il Pd è un po’ figlio di quella idea: al potere, al potere, al potere, anche eventualmente per condurre una politica di destra. Si diceva: è tattica, è la via giusta… Tutto è tattica: anche una sinistra che si scopre liberista.

    Ecco, Ingrao era il contrario di questo punto di vista. Perciò resto sorpreso dalla sua morte. E un po’ impaurito. Mi sembra proprio che allora l’ingraismo è finito, che resta solo Renzi. Che il potere ha sopraffatto definitivamente la politica.

    Pubblicato 8 anni fa #
  8. zaphod

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    Fondatore

    Non conosco molto bene le questioni tra Amendola e Ingrao che cita Sansonetti, ma pensare che la politica possa dominare l'economia e muovere le proprie strategie intorno a quest'idea è un errore fatale. Che lo abbia commesso Ingrao - secondo Sansonetti - ci può stare. Che lui perseveri nell'idea è - come sempre succede nella sinistra italiana - diabolico.

    Pubblicato 8 anni fa #
  9. A.

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    Moderatore

    Il tema del diverbio credo fosse l'idea di rivoluzione vs riformismo.
    Come sempre.

    Pubblicato 8 anni fa #
  10. k

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    No, A, il diverbio vero era (e soprattutto purtroppo è) tra principio di realtà e nostalgia dell'eterna splendente sconfitta.

    Pubblicato 8 anni fa #
  11. A.

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    Moderatore

    Sì, K, ma se non ci fosse stato lo spirito dell'utopia, il reale non si sarebbe dialettizzato così

    Pubblicato 8 anni fa #
  12. k

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    Membro

    Ah, be'! Ma se è per questo, pure se non ci fosse stato il crimine, il male, i terremoti, il capitalismo, l'imperialismo, il viagra, i testimoni di Geova e tutto quello che le può venire in mente, "il reale non si sarebbe dialettizzato così".
    Che cazzo di ragionamenti sono, A?
    "Il reale è quello che è, perché è stato quello che è stato", mi pare sia il principio base del grande filosofo Lapalisse.

    Nel mio piccolo, però, mi permetto di credere nella grande funzione propulsiva dell'utopia, quando questa si traduce - per una sua anche parziale realizzazione - nell'elaborazione di piani e metodi oggettivamente compatibili con il campo di forze espresso storicamente dal reale.
    In caso contrario, purtroppo, essa diviene usbergo ed alibi di onanismi velleitario-avventuristici, destinati inevitabilmente alla sconfitta e - pertanto - oggettivamente reazionari, antistorici ed antiproletari, controrivoluzionari.

    (Sono fortissimamente togliattiano, in questo periodo)

    Pubblicato 8 anni fa #
  13. A.

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    Moderatore

    Sì, sono per la sconfitta.
    Nella storia, Che è solo apparenza.
    Il Valore resta eterno.
    E ad esso dobbiamo mirare.
    Altrimenti ci appiattiamo sulla realtà e accettiamo qualunque totalitarismo.

    Pubblicato 8 anni fa #
  14. k

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    Membro

    Ma sta studiando Evola, per caso? O magari Mishima?

    Io comunque resto sempre carducciano:

    "Contessa, che è mai la vita?
    E' l'ombra d'un sogno fuggente.
    La favola breve è finita,
    il vero immortale è l'amor
    ".

    Vada in mona, A.
    Stia bene.

    Pubblicato 8 anni fa #
  15. A.

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    Moderatore

    Caro K, no assolutamente.
    Sono kantiano.

    Ricambio i saluti

    Pubblicato 8 anni fa #
  16. Io resto Baggiano. Era il numero 1.

    Pubblicato 8 anni fa #
  17. A.

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    Moderatore

    Sto seguendo da lontano le cose che stanno succedendo a latina, e ieri la manifestazione organizzata da Torquemada . Bellissime cose. Continuate così

    Ps. Una vita fa, a Latina, cercavamo, con la Rete, di far passare le stesse idee. Ma il tempo non era propizio. Ora pare di sì.

    Pubblicato 8 anni fa #
  18. Stranamente le cose accadono quando c'è un commissario e non un sindaco. Sarà un caso.

    Pubblicato 8 anni fa #
  19. k

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    Membro

    Oppure sarà un caso che succedano quando c'è l'intera classe dirigente di una città sotto scacco, dal tribunale alla politica tutta, alle attività professionali di avvocati, commercialisti, ingegneri ed architetti, che tra lecito e non lecito, tra pubblico e privato – vedi fallimenti e/o piani urbanistici più o meno particolareggiati – hanno giocato letteralmente a zecchinetta: "Carta vince, carta perde, famo il copincolla, costruisci andò te pare: tu fallisci, tu no; a te t’assolvo, quell’altro non si sa".

    Poi però sbatti lo zingaro in prima pagina e tutto sembra miracolosamente risolto. Tutti felici, tutti contenti: "Latina è finalmente pulita!
    Resta solo da chiedersi quindi se non sia il caso – insieme al foro, alla politica, agli avvocati, ai commercialisti, ingegneri ed architetti – di metterci pure i giornalisti e/o gli scrittori, i professori, intellettuali, come me e come lei.
    Stia bene, Fer, e vada a cagare anche lei.

    Pubblicato 8 anni fa #
  20. Ha ragione. Tra criminali "di professione" e professionisti criminali non c'è nessuna differenza. Ma anche il Lollogate scoppia sotto Barbato, o sbaglio? Sarà un caso? Io dico di no. Da notare che nell'operazione Don't touch non ballano mica solo rom ma anche italiani, italianissimi: sono in netta maggioranza.

    In prima pagina non sono stati sbattuti solo rom vari ma anche giudici, veterinari, commercialisti, poliziotti.

    Pubblicato 8 anni fa #
  21. k

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    Membro

    Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

    Pubblicato 8 anni fa #

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