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Leggi ad aziendam e dubbi esistenziali

(17 articoli)
  1. A

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    Condivido le idee di P-K.
    Grazie Torque di aver fatto la raccolta.

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. Le polemiche sulla Mondadori
    Silvio editore di riferimento della sinistra
    di Pietrangelo Buttafuoco su Libero del 27-08-2010

    Silvio Berlusconi, con Mondadori, è il più importante editore di sinistra, è vero, ma non potrebbe - come ha chiesto ieri Antonio Socci su Libero - mutare la propria ragione sociale commerciale, diventare insomma di destra, per una ragione di spicciola economia: (...)(...) non avrebbe più clientela. Né, tanto meno, fornitori della materia prima, gli autori che sono quello che sono perché devono andare da Fabio Fazio in tivù, devono vendere e farsi amare dalle professoresse democratiche. Tutto qua. Ecco perché l'appello di Vito Mancuso - uscire tutti dal catalogo di Segrate, tutti fuori - è caduto nel vuoto.
    Non c'è casa più politicamente corretta della cultura. E Mondadori col suo prestigio, non può avventurarsi oltre i lidi sicuri del dogma. Compreso l'antiberlusconismo di maniera. Non c'è altro marchio tra gli acculturati, poi, che la sinistra. E sempre vale - ahimè - il teorema più che perfetto stabilito da Michele Serra: <<Sono doppiamente svantaggiati gli scrittori di destra. I lettori di sinistra non li leggono perché sono di destra, i lettori di destra, invece, non leggono>>.
    Quello che giustamente chiede Socci, <<raccontare fatti nuovi, la nuova cultura che germoglia>>, non può accadere per l'inamovibilità di un sistema collaudato nel luogo comune e nel riflesso condizionato: quello di buttarsi a sinistra. Lettori compresi. Io che vengo dal Cattiverio (restandoci, perfino in chiave saracena), sono un autore Mondadori, non sputo certo nel piatto in cui mangio e capisco le ragioni della Casa quando mi mandano a mangiare in cucina. L'apparato della cosiddetta immagine è assai attento nel veicolare un'aura di sacrale compostezza laica, democratica e de sinistra. La vittoria di Antonio Pennacchi allo Strega - e stiamo parlando di un grande scrittore, un comunista, non di un mammasantissima chic e radical - mi ha fatto godere oltre che per il merito, per tutto quello che ne consegue in termini di cautela. Pennacchi è un dio della parola forte e chiara, uno che non conosce la mezza misura e che ha il garbo rivoluzionario dell'Italia proletaria fascio-comunista. E' uno che non c'entra con la cricca delle mezze vergini di sinistra, uno che non potrà andare da Fabio Fazio o da Serena Dandini e non potrò mai dimenticare quando, all'indomani dello Strega, vidi gli amici in Mondadori segnati in volto dal terrore dell'idea di vedere Pennacchi alle prese con il suo primo appuntamento pubblico: nientemeno che una serata a Viterbo, al festival di 'Caffeina'. Non a Mantova, non a Capalbio, non in un posto adatto alle professoresse democratiche, ma 'in mezzo a tutti quei fasci'. Nella città, insomma, dove Giorgio Almirante andava a chiudere le campagne elettorali. Ovviamente fu un trionfo, 'Canale Mussolini' ebbe la sua festa ma ancora oggi, a me e a Pennacchi, c'intimano affettuosamente di stare lontani perché quando siamo insieme, io e lui, ci facciamo da reciproco detonatore per sparate fuori dal target delle professoresse democratiche (Dio le stramaledica!). E quindi zitti, a maggior ragione con il Campiello alle porte, con tutte quelle professoresse democratiche della giuria popolare, tutte così sensibili.
    Quella scena, quella di Viterbo, mi svegliò il ricordo di un altro episodio, quando agli inizi della sfolgorante ascesa di Paolo Giordano, l'autore de 'La solitudine dei numeri primi', misi a disposizione il Teatro Stabile di Catania per organizzare una serata. Un'occasione anche commercialmente ghiotta: grande folla, grandi numeri, ottima visibilità. Avevamo appena collaudato una formula semplice e accattivante: fare intervistare l'autore da un lettore particolare e il nome che, per simpatia, per affinità generazionale con l'autore e per il forte richiamo di pubblico ne sarebbe derivato, fu quello di Giorgia Meloni, il ministro. Non ci fu verso. Manco poco e avrebbero chiamato perfino Marina Berlusconi per scongiurare l'arrivo della Meloni. <<Se avessi scelto Giovanna Melandri avreste certamente apprezzato la scelta>>, la risposta fu: <<Ma è una cosa diversa>>.
    Certo che è una cosa diversa buttare a sinistra la fatica promozionale, il messaggio, il mezzo, la parola e l'alfabeto ma pranzare in cucina è più dignitoso dello sputare nel piatto in cui si mangia solo perché al ristorante si accomodano i garanti del conformismo, i critici dei punti qualità sul tasso di anti-berlusconismo degli sputacchiatori a libro paga.
    Ovvio che la cultura, a questo punto, specie di questi tempi, debba restare alle professoresse democratiche perché temo che nell'industria editoriale siano un tantino disinformati su quello che succede nel mondo vero. Non lo sanno che la gente preferisce la Meloni alla Melandri, non sanno neppure che 'Caffeina', il festival di Viterbo, è ambito dalla sinistra e che gli operai sono quelli di Pennacchi, non i compulsatori delle classifiche dei libri più venduti.
    Temo che dei giornali, gli addetti alla confezione editoriale, sfoglino solo le pagine culturali che sono solo verminai passatisti per dirla con il Filippo Tommaso, non sensori con cui catturare 'la nuova cultura che germoglia'. Ovvio che il cardinale Scola è più teologo di Mancuso, ha ragione Socci, ma temo che sarà dura risolverla in dibattito. E' l'eterna guerra tra la fuffa e la sostanza, l'invincibilità delle cicale sopravvalutate sulle formiche operaie, con la collaborazione attiva del Caimano il quale deve pur dare al pubblico ciò che vuole.
    E Mondadori non dovrà mai liberarsi dei compagni, anzi.
    Magari Berlusconi manco se lo ricorda di essere proprietario di Einaudi, della Mondadori sì perché, a voler essere pignoli, e a volerlo dire noi che siamo di casa, ci pubblicò un libro elettorale. Un titolo fuori catalogo, fuori collana, fuori dall'estetica perfino, cosa ben più importante dell'etica, solo che quella volta, la Casa, ebbe il buon gusto di confezionare la redazione del suddetto libro a palazzo Grazioli, non a Segrate. Giusto per non contaminare la fabbrica culturale con la propaganda. per fortuna l'episodio è stato dimenticato ma il commercio è il commercio, e migliore venditore di Berlusconi non ce n'è, prova ne sia che quando balenò l'idea di bissare il successo dei successi, ovvero, 'Il libro delle barzellette di Totti', con 'Il libro delle barzellette di Berlusconi', ai dirigenti della casa editrice che tentavano un timido sondaggio sull'eventualità di farlo un libro così, chiedendogli un parere, il più grande editore di sinistra nel mercato rispose: <<Fatelo pure il libro delle mie barzellette, altro che. Purché venda più di quello di Totti>>.

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. Esegesi del quaquaraquismo moralista e del fighettismo delle anime belle
    di Pietrangelo Buttafuoco su Panorama in uscita il 02-09-2010.

    Gli autori di libri, scrittori civili con coscienza immacolata, non possono pubblicare con Mondadori. L'assetto proprietario della casa editrice, infatti, è delinquenziale: non paga le tasse. E non solo: il padrone, Silvio Berlusconi, s'è fatta una legge "ad aziendam" per fare marameo all'etica. E lo scrittore, si sa, è etico. Così la pensa Vito Mancuso, star alla voga della teologia new age. Lui è uno che sostiene una tesi da rogo, tipo: "Se solo si trovasser le ossa del Cristo, a smentire dunque la resurrezione, la mia identità di cristiano non cambierebbe". Ma lui è solo uno spretato nella cucuzza e fra le tonache che ha buttato alle ortiche non poteva dimenticare quella di essere stato autore Mondadori e consulente dello stesso catalogo. Ebbene, nel nome di un suo privato principio di autosuperiorità morale, grazie a Repubblica che gli ha pubblicato una lettera-denuncia, il Mancuso ha indovinato la polemica di fine stagione chiamando a raccolta le file di autori-colleghi, in particolare quelli della scuderia di Repubblica, e preparare così lo scisma.
    Invece nulla. Ben poco. A parte don Andrea Gallo, non l'ha seguito nessuno. Non Eugenio Scalfari, che ha lasciato il cerino nella mani di Mancuso ribandendo che lui in Einaudi sta benissimo e non ha alcuna intenzione di andare via. Non Andrea Camilleri, che tutto è tranne che un fesso. Non la pletora di magistrati scrittori democratici, a cominciare da Gustavo Zagrebelsky. E nemmeno Roberto Saviano. Nel tipico parlare a nuova finché suocera intenda era ben chiaro il riferimento di Mancuso a Saviano la cui uscita, da Mondadori, provocherebbe un terremoto politico-culturale internazionale, ma l'autore di Gomorra ha ben chiara, in onestà e onore, una consapevolezza: di essere ciò che è anche in virtù dell'officina Mondadori. Essere uguale e consequenziale a quella tribù di editor, redattori e direttori che gli hanno fatto quadrato quando poteva essere solo un ragazzo di paese. Uno da silenziatore con l'arma delle armi: l'indifferenza. E la differenza, invece, l'ha fatta Mondadori. Saviano, che è uno maschio, lo sa, il quaquaraquismo moralista di Mancuso accampa ragioni extraletterarie e paraintellettuali, assai comode in tema di luoghi comuni, di stucchi e pelo, ovvero: la famosa pelosa e stucchevole arte del buttarsi a sinistra per rilanciare nel mercato.
    Tutto fa brodo, per carità, ma proprio Mondadori che nella sua casa editrice vanta il polmone sano di un'identità plurale al punto di non avere mai toccato una parola, fosse pure di harakiri per l'assetto proprietario, ha una così proverbiale regola del non censurare che non ha strappato neppure le pagine, tutte copiate altrove, di Corrado Augias, coautore pop del Mancuso.
    A conti fatti, quel che resta in mente e in tasca agli autori è l'assoluta libertà. Tutto il quaquaraquismo moralista è solo fighettismo. Facciamo nostro il ragionamento che Antonio Pennacchi, sublime scrittore, militante stalinista, ha proposto: "E' come se io chiedessi agli operai di licenziarsi dalle fabbriche perché il loro padrone non è comunista".

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. Caccia all'autore
    Dopo le polemiche sulla 'legge ad aziendam', gli altri editori corteggiano le grandi firme della Mondadori. Da Saviano a Lucarelli a Giordano.
    di Enrico Arosio sull'Espresso in edicola fino al 02-09-2010.

    Un mite teologo ha il mal di Mondadori, ma quanto infettivo è questo virus? Quante vittime mieterà? Il caso di Vito Mancuso, dotto saggista che dà l'addio alla casa di Segrate perché a disagio per la cosiddetta 'legge ad aziendam' con cui il governo Berlusconi ha risolto il contenzioso fiscale tra il gruppo editoriale di Berlusconi e lo Stato, eccita questa fine estate già fibrillante di crisi di governo. Ma forse la vicenda, oltre a creare dibattito (osserva un editore concorrente che non vuole essere citato: "La novità è che, con l'applicazione di questa legge, Marina e Silvio Berlusconi sono diventati la stessa persona") è la spia di qualcos'altro. Inquietudini che riguardano il mercato librario in una fase molto delicata. Processi di ristrutturazione, cure dimagranti, prospettive incerte. La sfida dell'e-book, la concorrenza tra carta ed elettronica. E, una volta di più, la caccia all'autore in un mercato in piena mutazione genetica, in cui i direttori editoriali sono ormai, citando Huxley, maschi Beta rimpiazzati da maschi Alfa: gli uomini marketing, sacerdoti della religione vincente.
    Cominciamo dai mal di pancia: fino a quando resterà in Mondadori Roberto Saviano? L'uomo di 'Gomorra' è inquieto. Ha trovato nella editrice milanese una squadra di professionisti che ha prima creato e poi gestito un caso letterario di rilevanza internazionale. Ma certo lo scrittore non cela il suo disagio, civile prima che politico, rispetto all'azionista. Il suo agente, Roberto Santachiara, non desidera commentare le indiscrezioni sul suo autore: ma Saviano si sta guardando intorno, lacerato tra la gratitudine (la Mondadori, va pur detto, ne ha fatto un uomo ricco) e la propria coscienza di narratore engagè. Già quest'anno il libro-Dvd 'La parola contro la camorra' non è stato edito a Segrate ma a Torino, da Einaudi-Stile Libero. La stessa Einaudi che già nel 1994, quando fu acquisito da Berlusconi, fu subito abbandonata da due pionieri del dissenso, Carlo Ginzburg e Corrado Stajano. Non è un mistero che Saviano piaccia anche ad altri. Per esempio a un Carlo Feltrinelli, la cui maison ha almeno quattro caratteristiche interessanti: è l'ultimo marchio nobile di una certa dimensione esterno alla trojka che controlla il mercato del libro in Italia (Mondadori, Rcs, Gruppo editoriale Mauri Spagnol); è forte nella distribuzione con le Librerie Feltrinelli; è abbastanza liquida da voler rilanciare l'attività editoriale cercando autori, o da spendere cifre elevate per nomi di prestigio come i Nobel Herta Muller e José Saramago, morto a giugno a 87 anni; è pronta a investire oltre 40 milioni nel progetto della nuova sede a Milano, con gli star architects Herzog & de Meuron.
    Quanto all'iniziatore del caso, Vito Mancuso, sembra che piaccia assai all'editore romano Fazi, che negli ultimi quattro anni è tornato con pepite d'oro dalla New Moon di Stephenie Meyer, la narratrice cult per adolescenti (di Fazi, Mancuso è già oggi consulente). E tuttavia una certa qual prudenza è calata intorno a lui: s'intuisce che non è il nuovo 'Herbert Mancuse', ispiratore di un Sixty-Eight anti Berlusca. "Ho stima per Mancuso, che non è un ingenuo e ha convinzioni sincere", commenta Andrea Romano, ex Einaudi, autore (anche) Mondadori, direttore della think tank Italia Futura: "Ma separerei la qualità di una casa editrice dagli interessi dell'azionista; malgrado quella pessima legge in materia fiscale. La Mondadori sopravvivrà tranquillamente". Anche perché tanti autori importanti, per dirne uno David Grossman, in Mondadori ci stanno benone: sono affezionati al loro editor, non al papà della presidente che sta a Palazzo Chigi.
    Certo, la Mondadori si ritrova, una volta tanto, a giocare in difesa. Si mormora di turbamenti anche di altri due signori delle tirature, Carlo Lucarelli e Paolo Giordano. Prolifico giallista il primo, esordiente-boom il secondo ('La solitudine dei numeri primi', premio Strega e un milione di copie solo nel 2008), sono entrambi in ambasce. Anche se Lucarelli pubblica principalmente con Einaudi; e di Giordano la Mondadori, ad onta delle voci, ha in tasca il contratto per il prossimo libro previsto nel 2011. In generale, a palazzo Niemeyer si ostenta sicurezza. I due nuovi capi editoriali, Riccardo Cavallero e Antonio Baravalle, diffondono ottimismo. Sono i periodici, non i libri, l'anello debole della produzione. Su un fatturato dell'area libri di 420 milioni di euro, che sarà mai l'eventuale fuitina di un autore o due? Basta il prossimo Ken Follet a fare il botto consolatore.
    La scommessa dei prossimi anni riguarda l'investimento nel libro elettronico, dove gli apocalittici (i giganti di Google si papperanno tutto) si alternano agli integrati (si creerà un solido mercato parallelo, la carta e l'e-book) e non si sa oggi chi avrà ragione. Del resto Mondadori può acquistare chi le pare, la disinvoltura non manca: proprio il superlaico Piergiorgio Odifreddi, che ha snobbato l'invito allo sdegno di Mancuso, fu strappato da Mondadori alla Longanesi con un'offerta succulenta (il che spiega il due di picche a Mancuso). E se anche, come parrebbe, il sofisticato Pietro Citati preferisce sempre più l'Adelphi, che già da tempo gli ripubblica l'opera non più riedita dalla Mondadori, non per questo Segrate chiuderà i conti in rosso.
    Piuttosto ci si chiede: che sarà di Gian Arturo Ferrari, il Platini dal tocco magico, per anni stratega massimo di casa Mondadori? In neghittiosa vacanza greca, e di umo capriccioso ("Non so nulla di Mancuso"), il Professore ha sottoscritto un accordo che gli impedisce per qualche tempo attività in concorrenza. Nessuno crede che l'espertissimo Ferrari, oggi presidente del Centro per il Libro istituito dal ministro dei Beni Culturali, si adagerà in un ruolo di 'gloriously retired', o pensionato d'oro.
    Nella chiave del 'che succederà', del resto, circolano ipotesi suggestive. Hanno avuto successo piccoli editori come Fazi, come Marsilio, e marchi nuovi come Chiarelettere? Non è dunque vero che l'editoria ristagna. Colpisce la fantasia che un primario banchiere come Corrado Passera, in questo agosto interventista tra interviste politiche e ospitate al Meeting di Rimini, investa mezzo milione di euro (personali, non di Intesa Sanpaolo) nell'Encyclomedia, la storia multimediale della civiltà europea ideata da Umberto Eco con Danco Singer. Passera lo fa, spiegano nel suo entourage, anche per motivi affettivi (l'opera nacque sotto l'egida della Olivetti, di cui Passera fu alla guida prima del tracollo) e si impegna a sostenerla sino al completamento. Si è così vociferato, sommando più suggestioni, di un suo futuro ingresso nel mercato editoriale; voci che lui nettamente smentisce. E tra le suggestioni rientra la ridda di voci, e di segnali, riguardanti il gruppo Rcs.
    Il concorrente storico di Mondadori, Rcs Mediagroup, non ha oggi nella divisione Libri il suo punto di forza. Non a caso nel toto-autori in fuga da Mondadori, i marchi Rcs sembrano esclusi. Il gruppo deve ristrutturarsi a fondo. Hanno chiamato dal Sole-24 Ore, come nuovo amministratore delegato di Rcs Libri, Alessandro Bompieri. Non è un commissario liquidatore, ma qualcosa dovrà sforbiciare. La società Boston Consulting, che da mesi studia il nuovo assetto del gruppo, suggerirebbe di tagliare qualche marchio proprio o partecipato (Adelphi, Bompiani, Fabbri?). La Rizzoli non ha più redditività, e campa su glorie passate. L'indebolita Sonzogno è stata affidata alle cure del veneziano Cesare De Michelis editore di Marsilio, bravo a intuire il potente fenomeno Stieg Larsson e il filone del noir scandinavo. Rcs, a differenza di Gems (Messaggerie italiane) e Feltrinelli (Librerie) è assente dal business distributivo, che è ancora redditizio. Da qui, passin passetto, il gossip agostano ha ipotizzato un interesse dell'irrefrenabile (o infrequentabile?) senatore Dell'Utri per qualche boccone della casa; fors'anche perché, con stupore di molti, Bompiani ha dato corda a Dell'Utri mediatore dell'annosa questione dei Diari di Mussolini, rifiutati a raffida da altri editori, acquisendo i diritti degli eredi. Antonello Perricone, ad di Rcs Mediagroup, fermamente smentisce.
    Andrà, infine, ricordato che sui giornali oggi c'è la Mondadori, ma i veri problemi con l'azionista li hanno avuti gli autori Einaudi. L'anno scorso 'Il corpo del capo' di Marco Belpoliti, saggio iconografico sul Cavaliere, fu stoppato da Ernesto Franco per timor di conflitto. "Belpoliti è venuto da me, e l'ho preso subito", ricorda Luigi Brioschi, presidente di Guanda, che dello stesso autore pubblicherà a novembre il nuovo libro 'Pasolini in salsa piccante'.
    'Il Quaderno' di José Saramago fu rifiutato da Einaudi per i duri passaggi su Berlusconi, descritto più o meno come un delinquente. Nel 2006 la casa torinese rispedì alla vedova Patrizia Valduga gli 'Ultimi versi' di Giovanni Raboni, che uscirono da Garzanti; e nel 2004 disse no al 'Duca di Mantova' di Franco Cordelli. Sempre per i giudizi su di Lui. Osserva con distinzione un einaudiano mai pentito, Sebastiano Vassalli: "Più che all'Einaudi, Berlusconi mi pare che si occupi del Giornale. Quanto a Mancuso, si è svegliato in ritardo. Viviamo in Berlusconistan, d'accordo, ma i libri, in questo Paese, danno poco fastidio".

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. Scrittori e pomodori [rubrica La battuta (im)perfetta]
    di Carlo D'Amicis sul Corriere della Sera del 27-08-2010

    "Lo scrittore è come un contadino che porta i suoi pomodori al mercato": le parole con cui Antonio Pennacchi affronta il caso di coscienza degli autori Mondadori fanno rimpiangere i pomodori di una volta, tema di una vecchia polemica tra Pietro Citati e Antonio Pascale. Allora si discusse se un letterato può parlare di ciò che non conosce, ovveero l'agronomia. Oggi il dubbio si ripropone per l'etica. "Lo scrittore è responsabile solo di quello che scrive", conclude Pennacchi. Speriamo che il lettore sia responsabile di quello che legge.

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. Chi è don Gallo? No, chi è Pennacchi
    di Giuseppe Conte su Il Secolo XIX del 26-08-2010

    Odio l'estate... Almeno questa, piena di veleni e di fango. Antonio Pennacchi, in un'intervista al Secolo XIX di ieri, si chiede "chi è" don Andrea Gallo e lo fancula (così si dice nel galateo di oggi). Ma farebbe bene a chiedersi innanzitutto chi è lui. Un miracolato, un parvenu, un chiacchierone, e si potrebbe dire peggio, se volessimo usare il suo linguaggio che è poi quello dominante in questa estate orribile (un pirla? un coglione?). Lo Strega gli ha dato alla testa. Ma si sa che ha battuto Silvia Avallone, la vera novità di questa stagione, soltanto grazie alla forza d'urto della Mondadori. Ha scritto un libro su cui non mi pronuncio, avendone letto soltanto trenta pagine. Un libro per l'estate, in ogni caso, che gode della pubblicità come un qualunque prodotto da supermercato. L'altro giorno in un negozio una signora ben vestita lo aveva in mano e diceva al marito "ho preso Petacchi, ma no, Peracchi, ma no..."-
    Dunque non si illuda di essere qualcuno più di don Gallo, che da una vita profonde il suo impegno per i poveri del mondo. Non si illuda di aver fatto l'operaio e credere nella dittatura del proletariato gli meritino d'ufficio il paradiso. Si goda il suo momento di gloria fasciocomunista e lasci perdere i giudizi sulla letteratura, di cui sa poco. Parola di vecchio chierico, un po' più giovane e un po' più anticonformista di lui.

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. Don Gallo a Pennacchi: <<Pensi a chi evade le tasse>>
    il sacerdote, che ha lasciato la casa di Segrate, replica al vincitore del premio Strega.
    di A.PL. su Il Secolo XIX del 26-08-2010

    "Stanotte me la ridevo, davvero. Leggo il Secolo XIX appena arriva in edicola e quando ho visto quello che aveva dichiarato Pennacchi su di me non mi sono offeso, anzi. In un'epoca di disaffezione come questa, quando si discute, finché si discute, va bene".
    In realtà lo scrittore ex operaio, vincitore del premio Strega, ha mandato don Andrea Gallo 'affa' dopo che il sacerdote genovesse ha annunciato l'abbandono di Mondadori, editore di entrambi, a causa della vicenda delle tasse evase, 'sanata' con una legge definita 'ad aziendam', che ha consentito alla società di Segrate di chiudere con 8,5 milioni di euro un contenzioso da 350, che durava dal 1998.
    "Pennacchi è un tipo simpatico, ha appena vinto un premio prestigioso, adesso guadagna... - chiosa il sacerdote - Non ricambio il suo invito, però lo invito a riflettere sull'evasione fiscale, proprio lui che è stato operaio. Si sa che il lavoratore dipendente non evade le tasse e che chi lo fa danneggia anche gli altri. Dopo essermi documentato sul caso Mondadori, nel mio piccolo ho deciso che di non essere complice, sia pure piccolissimo".
    Don Gallo non si sente in prima linea nella battaglia contro la Mondadori. "Ho fatto una scelta piccola piccola, non certo un autore di primo piano, anzi non sono neanche un autore, in fondo. Con Mondadori ho pubblicato due libri, anzi tre, visto che 'Angelicamente anarchico' del 2004 è diventato anche un Oscar e Marina Berlusconi mi aveva scritto proprio per chiedermi se accettavo che venisse ripubblicato".
    Nei confronti della casa editrice di Segrate, don Gallo si dichiara riconoscente: "La Comunità ha ricevuto dei soldi e nell'ultimo libro 'Così in terra come in cielo' c'era anche una frase su Berlusconi, che non è stata tagliata. Quindi riconosco di non aver subito censure e condizionamenti, e di questo non posso che essere grato alla Mondadori". Dopo il suo annuncio di abbandono di Segrate, Baldini Castoldi Dalai ha contattato il sacerdote proponendosi come suo nuovo editore: "Ma io non ho un libro pronto o in uscita, non so neanche se lo scriverò".
    Detto ciò, le posizioni di don Gallo e Antonio Pennacchi divergono completamente. "Sia chiaro - dice il sacerdote genovese - io non criminalizzo chi decide di continuare a pubblicare con il gruppo Mondadori, però in quello che è accaduto ho visto un'occasione, un'opportunità, di fare qualcosa per il bene del nostro Paese. Io dico agli italiani, e anche a Pennacchi: meditate sui temi come l'evasione delle tasse e la legge bavaglio".

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. leon8oo3

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    meditate sui temi come l'evasione delle tasse
    Immagino che anche la Chiesa dovrebbe meditare su questo tema visto che non solo di tasse ne paga pochine, ma si prende anche l'8xmille, pure quello senza destinatario che dovrebbe andare allo Stato(almeno questo scriveva Curzio Maltese nel suo libro "la questua"). Il suo tono pacato dovrebbe però far riflettere su una cosa. Se uno è libero di tenersi una casa editrice senza essere giudicato, cosa che ritengo giusta, dovrebbe anche essere libero di abbandonarla per sua decisione senza essere "sfanculato". Comunque il contenuto dell'intervista di K metteva in evidenza uno spunto più interessante forse. Berlusconi come palla al piede della Mondadori è una immagine che quasi nessuno ha colto e ritengo anche molto veritiera. Forse è il punto vero della vicenda. E poi è stato mandato affanculo pure lui, che di questo tempi non è poco.
    Goffo invece il commento di Giuseppe Conte che si sofferma su un particolare poco attraente della discussione. Una tirata rabbiosa e scomposta, senza appigli di rilievo che non aggiunge niente, se non il suo tentativo di fare il difensore delle cause vinte(o perse a secondo di chi ne parla). E come riesce a desumere questo signore che la Avallone è stata battuta solo per le pressioni della Mondadori se il libro non lo ha letto nemmeno sotto l'ombrellone? "MIsteri italiani"!!!

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. k

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    Questa è la risposta inviata oggi al Secolo XIX

    DON GALLO, PENNACCHI E LA MONDADORI

    Dice: “Ma questo è matto, ma come gli è saltato in mente di mandare in quel posto don Gallo?”. Be’, a parlare dopo, sono buoni tutti. Bisogna vedere prima, però, quello che ha fatto o detto don Gallo.
    Adesso dice che sono un tipo simpatico e lo ringrazio. Pure lui – fino a qualche giorno fa – stava simpatico a me. Ma è lui che aveva espresso di fatto un giudizio morale negativo su di me e su chiunque altro continuasse ancora a pubblicare con Mondadori. Lui in realtà – aveva detto – non se ne era accorto subito, aveva peccato anche lui, pubblicando pure lui coi reprobi. Poi però sull’avviso ce lo aveva messo un angelo – il padre spirituale suo, Beppe Grillo – telefonandogli una mattina presto: “Ma che stai a fa’?” (è così che funzionano le annunciazioni oggi). E allora lui lì se ne è accorto, s’è pentito, e con Mondadori non pubblicherà mai più, perché – dice – non paga le tasse, e lo stesso dovrebbero fare tutti quelli che ci pubblicano, se davvero hanno a cuore gli interessi del Paese. “Pensi a chi evade le tasse, Pennacchi” dice don Gallo.
    Ci penso, don Ga’, ci penso. Ci penso da una vita – vita che ho passato soprattutto in fabbrica – pagandole ogni mese in busta paga e pagandole adesso regolarmente sui miei diritti d’autore. Sapesse quanto ci penso e ci ho pensato, soprattutto a quelle che non paga la chiesa sull’Ici. Com’è, quando gli sconti Berlusconi li fa a voi, allora vanno bene? Quando invece se li fa a sé stesso, ci debbo pensare io? Fammi capire, don Ga’: non lo ha risolto Prodi in quattro anni di governo il conflitto d’interessi, e adesso vuoi che te lo risolva io? La Rivoluzione ve la debbono fare – da soli – gli autori Mondadori? E i Padri della Patria chi sarebbero a questo punto, Rizzoli e Feltrinelli? Paolo Mieli premier? Don Ga’, se tu non lo sai, queste a casa mia sia chiamano contraddizioni in seno alla borghesia. Io sono proletariato. E’ un’altra cosa.
    Io faccio lo scrittore, don Ga’. Scrivo i libri. E sono responsabile di quello che scrivo. Se non ti piace ciò che scrivo, hai tutto il diritto di dirmelo, ci mancherebbe altro. Ma solo di quello, però, non altro. Quando stavo in fabbrica non t’è mai venuto in mente di dirmi che ero responsabile anche di quello che poi faceva il padrone mio. Perché dovrei esserne responsabile solo adesso e solo io, e non magari pure l’operaio, il redattore o lo stampatore di Mondadori? Ci licenziamo tutti allora e andiamo tutti da Rizzoli, toccando ferro e facendo le corna, nel caso magari che anche lì non paghino le tasse? Ma che ti dice la capoccia, don Ga’? Io – come allora – rispondo della mia produzione e basta. Si chiama economia di mercato. Divisione del lavoro. Capitalismo. Io sto dall’altra parte. Proletariato. Porto il frutto del mio lavoro al mercato e lo vendo – derubato sempre (si chiama plusvalore) – a chi lo compra. Sono un lavoratore come gli altri. E a me tutti gli altri editori non m’hanno voluto. Rizzoli e Feltrinelli – tanto per non fare nomi – i miei libri me li hanno rifiutati più volte. Mo’ che debbo fare, don Ga’: me li debbo venire a pubblicare al ciclostile della parrocchia tua?
    Dice: “Vabbe’, ma che c’entra: quello è stato prima, mo’ che hai vinto lo Strega ti pubblicano di corsa tutti quanti”.
    Eh no, troppo comodo – oltre che a casa mia si chiamerebbe “infamità” – mo’ se ne vanno loro in quel posto, se mi permetti, e ci vanno, per me, con tutte le scarpe. A me da Mondadori – oramai – mi debbono cacciare solo con il manico della scopa. Sennò non me ne vado, don Ga’. Mi lego con le catene. E voi piangete quanto vi pare.
    Ciao, e amici come prima. Anzi, pure più di prima per me, se vuoi.

    P.S. - Rispetto al Conte “chierichetto” di don Gallo però – che prima mi riempie d’insulti, poi dice che avrei vinto il premio Strega “solo grazie alla forza d’urto di Mondadori”, e infine ammette candidamente di non avere letto il libro, che per inciso si chiama Canale Mussolini – che cosa dire, poverino? Ma stai zitto, no? Che parli a fare? Leggiti almeno il libro, prima. Di’ che non ti piace. Come fai sennò a poter sostenere che ho “miracolato” lo Strega, senza neanche averlo letto? Poi dice che non ci sono più i chierici di una volta, e gli Strega gli tocca di vincerli agli operai. Altro che “forza d’urto di Mondadori”, beato a te. Qui al contrario, sotto l’usbergo dell’opposizione a Berlusconi – che se mi si permette è pure battaglia mia – qui è in atto una classica guerra di mercato tra gruppi editoriali contrapposti (contraddizione in seno alla borghesia, appunto), condotta attraverso una vera e propria campagna di intimidazione ai danni degli autori Mondadori. E’ questo che è ignobile, caro il mio “chierichetto”. Battiti il petto – se hai onestà intellettuale – e prega Mea culpa.

    (a.p. – 28 agosto 2010)

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. GabSan

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    Don Gà, impacchetta e porta a casa!

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. A

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    Grande K!

    La classe operaia deve dirigere tutto

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. tataka

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    Legge ad aziendam, per il giudice Gratteri “la Mondadori esempio tangibile di liberalismo” dal Fatto Quotidiano del 30 agosto 2010

    Il magistrato calabrese partecipa così al dibattito innescato dal teologo Vito Mancuso che si chiedeva se fosse etico scrivere per la casa editrice dei Berlusconi dopo l'ennesima legge che la salva dal fisco ”Non mi sento affatto in imbarazzo a pubblicare i miei libri con Mondadori”. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, autore della Malapianta, interviene così nella polemica tra gli autori più importanti della casa editrice di Segrate. Il dibattito è stato lanciato da una lettera del teologo Vito Mancuso pubblicata su Repubblica il 21 agosto, dopo la notizia dell’ennesima legge “ad aziendam” che permette alla Mondadori di proprietà della famiglia Berlusconi di salvarsi dal fisco, pagando solo 8,6 milioni di euro rispetto ai 350 che deve al fisco. In sostanza Mancuso si chiedeva se fosse etico pubblicare con Mondadori. “Come posso continuare a pubblicare con Mondadori? – si chiedeva Mancuso – . Con un’azienda che non solo dell’etica ma anche del diritto mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?”.

    Da sempre in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta e dal 1989 sotto scorta, nel 2007, Nicola Gratteri ha iniziato la sua attività pubblicistica. Con una piccola casa editrice calabrese (Luigi Pellegrini editori) ha dato alle stampe il libro Fratelli di sangue in collaborazione con il giornalista Antonio Nicaso. Il testo è un’impietosa ricostruzione degli assetti economico-criminali della mafia più potente e ricca del mondo. Nel 2009, dopo il grande successo della prima edizione, Mondadori ne compra i diritti e pubblica lo stesso libro con qualche aggiornamento, ma con lo stesso titolo. Dopodiché, sempre la casa editrice della famiglia Berlusconi, pubblica la Malapianta (libro-intervista in cui il magistrato risponde alle domande di Nicaso). Il punto di partenza è la strage di Duisburg che il 15 agosto 2007 fuori dal ristorante da Bruno lasciò a terra sei affiliati alla cosca Pelle-Vottari.

    “Quando scrissi il libro – ricorda Gratteri a proposito di Fratelli di sangue – nessuna casa editrice lo volle pubblicare, né Rizzoli né Einaudi”. Al contrario “si fece viva la Mondadori che pubblicò il libro senza modificare neanche una virgola di un testo che in alcuni passaggi è durissimo contro i provvedimenti della politica sulla giustizia”. Per questo motivo il procuratore non ha alcun dubbio sulla Mondadori: “Un esempio tangibile di liberalismo”.

    Le affermazioni di Gratteri chiudono, per il momento, un dibattito iniziato il 21 agosto a cui hanno partecipato diversi scrittori della casa editrice di Segrate da Carlo Lucarelli a Pietrangelo Buttafuoco a Vittorio Zucconi, tutti e tre sulla stessa linea del magistrato calabrese.

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. sensi da trento

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    su Panorama di questa settimana vari interventi, tra cui Buttafuoco e Ferrara

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. Baruch

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    http://blog.panorama.it/opinioni/

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. A

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    Mondadori, mi si nota di più se me ne vado?

    A Mantova scrittori e lettori si confrontano sull'"affare Mancuso". Augias: "Dico quello che penso di B. e resto a Segrate". Al Nobel Naipaul non piace una domanda e lascia l'incontro tra le proteste del pubblico
    Dice che “l’antiberlusconismo in questo paese è accecante”. E poi: “In questi mesi sono state dette cose contro di noi, come editori e azionisti, a cui non si può non rispondere”. Marina Berlusconi intervistata dal Corriere di ieri usa il plurale. Non maiestatis, è plurale da famiglia reale. E infatti il cuore della “questione Mondadori” sta nel milione di interessi in conflitto. Se ne parla anche qui, tra un libro, un risotto con le salamelle e un tormento di coscienza, al Festival della Letteratura di Mantova.

    Il salotto che ospita la disputa è quello di Marino Sinibaldi, in diretta con Fahrenheit su RadioTre da piazza della Concordia. Sfilano ospiti per tutto il pomeriggio, da Crainz a Forsyth a Lucarelli. C’è anche il premio Nobel Naipaul che, qualche ora dopo il passaggio radiofonico, ha abbandonato con clamore e proteste l’appuntamento di cui era protagonista. Motivo? Si è indispettito (come sono star le star) per una domanda della sua intervistatrice Caterina Soffici, che aveva riportato i giudizi taglienti della stampa internazionale su di lui, definito razzista e islamofobo. Naturalmente, la scusa è sempre la stessa e lui le ha detto: “Mi sembra che lei abbia una mentalità troppo ristretta. E di estrema sinistra”. C’è sempre un comunista che non t’aspetti.

    Capricci a parte, alle 15 si presentano ai microfoni di RadioTre due autori di punta di Einaudi: Michela Murgia, freschissima di Campiello e Gustavo Zagrebelsky. Solleticati dalla domanda di senso del teologo Mancuso (andarsene o non andarsene da Mondadori?), i due non si sottraggono. La Murgia mette in chiaro che il suo problema nei confronti di B. non è che sia il padrone di Segrate, piuttosto che sia il padrone di tutto e insieme il presidente del consiglio. Restare è resistere, senza svuotare un patrimonio culturale immenso. E poi: “I più famosi autori Einaudi troverebbero altri editori. Ma i piccoli?”. Zagrebelsky torna a parlare del teologo amletico: “Mancuso ha ritenuto che si fosse raggiunto un punto oltre il quale non si potesse andare. Il gruppo Mondadori ha potuto avvalersi di una legge formulata in termini generali ma che, guarda caso, aveva conseguenze particolarmente favorevoli per la casa editrice.

    Una legge che consentiva di sottrarsi a un obbligo tributario di diversi milioni di euro pagando una cifra irrisoria. Riconosco che il problema esiste: verrà pure il momento in cui il degrado culturale del nostro paese sarà tale per cui ciascuno di noi sarà chiamato a chiarire da che parte sta e sarà necessario prendere le distanze”. Evidentemente, non abbiamo ancora toccato il fondo. Infatti, il professore continua: “Credo che la mia collaborazione debba continuare, perché Einaudi è un pezzo della cultura del nostro Paese. Chi gestisce lo Struzzo ha sempre rispettato l’autonomia degli autori: il giorno in cui dovessi subire un intervento censorio naturalmente me ne andrei. Einaudi continua a pubblicare libri nel solco della sua tradizione. È opportuno non sabotare l’attività di questa casa editrice perché ha una storia lunga e io voglio che continui”.

    Alle 17.30 in piazza Concordia arriva Corrado Augias, sotto braccio porta “I segreti del Vaticano”, ultimo titolo Mondadori. Appena scoppiato l’affaire Mancuso, aveva immediatamente annunciato che si sarebbe confrontato con i lettori a Mantova. E loro ci sono. Si parte dall’intervista di Marina Berlusconi. “Rivendica il suo merito di essere liberale. È vero, anche se non so se il dar voce a tutte le posizioni sia solo obbedire al comandamento della libertà . E possibile che sia un’astuzia. Ho scritto in un libro – “I segreti di Roma” – delle circostanze truffaldine con cui è stata comprata la villa di Arcore . Credo che censurarlo avrebbe provocato un danno maggiore che pubblicarlo. L’etica non ammette deroghe. Se me ne vado da Mondadori, poi posso andare in libreria e comprare un libro Mondadori? O segnalarlo sul giornale? Io resto per l’affetto, l’amicizia e la stima che mi legano a chi lavora a Segrate”.

    Di figlia in padre, Augias non risparmia il premier editore: “Se quest’uomo che oggi è il presidente del Consiglio, amico e abituale frequentatore di pregiudicati, utilizzatore finale di prostitute, dovesse essere eletto presidente della Repubblica, come è suo disegno, noi che dovremmo fare? Che ne sarebbe di noi? Capite in che gorgo siamo ridotti? Davanti alla grandezza del problema, che senso ha andare via da Mondadori?” Un signore tra il pubblico si fa avanti: “ La risposta di Mondadori a Mancuso è stata durissima, io me ne andrei solo per quello…”. Augias sorride: “Quella risposta era goffa e volgare. Forse figlia del nervosismo del momento. Erano volgari, anche se più morbide, anche le parole di Marina Berlusconi su Mancuso, quando ha parlato di eroismo a tassametro, sapendo bene che il libro era già in programma”.

    Però i lettori sono testardi e uno si fa avanti: “Scusi, Augias, ma i resistenti, i partigiani, non si fermavano davanti all’amicizia, rinunciavano alla giovinezza e alla vita per la libertà”. E lo scrittore: “Sto dicendo cose forti sul premier, non ho ancora visto due agenti che mi portano via. Non è il fascismo”. Ma poi tutti concordano che “è peggio del fascismo”. Ultima domanda: “Cosa deve succedere ancora, dopo 38 leggi ad personam e mille tentativi di strappo istituzionale, per farvi prendere una posizione, per farvi dire basta?”. La calma olimpica un po’ se ne va. “Adesso basta non lo dice un autore che va via da Mondadori, ma quelli che vanno a votare. Lui ha i media, ha i soldi, sta cercando di comprarsi i parlamentari per rifare la maggioranza. È la difficoltà davanti alla quale ci troviamo, senza questo non ci troveremmo in un momento così buio”. Dopo il fuoco di fila, una signora chiude il dibattito: “Ma guardi che forse saranno loro a cacciare lei…” “Alla mia età, anche se mi cacciano, poco cambia. E un altro editore lo trovo di sicuro”. Appunto.

    da Il Fatto Quotidiano del 11 settembre 2010

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. tataka

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    "Chi ha paura della libertà di Mondadori?"

    L'ad Maurizio Costa contempla i colori dell'autunno che arriva dalle grandi finestre del palazzo Mondadori di Segrate. L'estate, ammette, ha portato «amarezze». Accuse, polemiche, sospetti, veleni. Non è facile guidare un'azienda che ha più di cent'anni ma che ora appartiene al capo del governo più chiacchierato d'Europa. Costa, vicepresidente e amministratore delegato, si consola con i riconoscimenti di professionalità e libertà editoriale che alla fine sono venuti anche dai polemisti più accaniti. E guarda al futuro annunciando l'arrivo, a giorni, del primo pacchetto di e-book: entro Natale mille e 400 titoli in formato digitale. La nuova era dell'editoria comincia due anni dopo il punto di caduta più basso della crisi, quando pochi avrebbero scommesso sul futuro.

    Ingegner Costa, lei è appena tornato da Berlino dove ha celebrato i 175 anni del più grande gruppo di carta stampata del pianeta, Bertelsmann, e dove ha incontrato gli editori del mondo. Che aria tira?

    «Direi maggior consapevolezza, non euforia, ma le nebbie si stanno diradando, i conti economici delle aziende cominciano a respirare un po' di più e abbiamo la possibilità di ragionare sul futuro e investire risorse in questo new deal. Siamo a un punto di svolta epocale, paragonabile a quella di Gutenberg di cinquecento anni fa. Adesso come allora un'altra grande discontinuità tecnologica: il digitale».

    Lei crede che la carta sparirà?

    «No, anzi. Ma per l'editoria sarà un altro inizio, la nuova tecnologia che ci darà la possibilità di diffondere nuovi contenuti. L'editoria ha un grande futuro, con rischi e opportunità».

    Le opportunità?

    «Intanto innovazione nel mercato. Nel passato c'era un'egemonia, un rapporto gerarchico tra prodotto e lettore nella quale guidava il prodotto. Oggi il rapporto si inverte perché il lettore ha molto più potere, è bombardato da proposte e suggestioni, può scegliere. A noi tocca il compito di raggiungerlo e proporgli quello che cerca. L'altro giorno leggevo su La Stampa un articolo di Guido Ceronetti in difesa dei giornali. Mi ha colpito un passaggio. Diceva: torniamo agli strilloni. E questo è il punto: dobbiamo andare a cercare i lettori».

    Sembra il quadro dell'«editoria senza editori» guidata dal marketing raccontata nel pamphlet di André Schiffrin: scelte editoriali dettate dall'ufficio vendite. È così?

    «No. Intanto il marketing non è un'attività spregevole, anche se io preferisco chiamarlo servizio al cliente: conoscerlo per fargli la proposta giusta e consegnargli in tempo rapido il prodotto, che siano libri, periodici o quotidiani. Oggi il digitale ci dà la possibilità di interpretare il cliente e suggerirgli ciò che desidera».

    Appunto, detta così sembra una rinuncia al ruolo culturale dell'editore che pubblica dei libri per il valore che hanno e non perché pensa che assecondino il gusto del pubblico.

    «No, è il contrario. Noi pubblichiamo mille e 500 nuovi titoli all'anno. Per pubblicare questi ne vengono scartati migliaia, purtroppo. Pubblicare un libro oggi significa fare un investimento molto importante: carta, stampa, promozione. Nel futuro si potrà fare in termini economicamente molto più vantaggiosi. E si potranno pubblicare molti più autori».

    Insisto: ma se non avete la certezza che un certo libro venderà, lo pubblicate o no?

    «Con le nuove forme di diffusione i rischi economici saranno minori, potremo allargare enormemente l'offerta. Però chi conosce il lavoro editoriale sa che non esiste editor che dica: questo libro è buono ma non si pubblica. Il nostro è ancora un lavoro da idealisti».

    Eppure questa è stata la polemica letteraria dell'estate sostenuta dal critico Andrea Cortellessa nel suo film Senza scrittori. L'ha visto?

    «No».

    Cortellessa ha fatto un'inchiesta per dimostrare che ormai le scelte editoriali sono dettate dal marketing, a cominciare dai grandi premi che negli ultimi anni sono sempre stati vinti dal gruppo Mondadori. Perché?

    «Non me ne posso certo rattristare. Ma non è una questione di marketing: è un tema di qualità editoriale della proposta. Prendiamo l'ultimo Campiello: su cinque finalisti tre erano nostri e il primo e il secondo sono stati un libro Einaudi e uno Mondadori. Quest'anno è andata bene. L'anno prossimo non so. D'altra parte non sempre i buoni libri vincono i premi...».

    E non sempre i libri che vincono i premi sono buoni...

    «Infatti. Invece sono convinto che la qualità degli uomini che fanno i libri in Mondadori è molto alta e hanno un rapporto unico con gli autori. È questo che determina il circolo virtuoso. Comunque le do una notizia: fra pochi giorni presenteremo a Francoforte mille e 200 e-book di cui duecento novità. Ed entro Natale ne arriveranno altre duecento. Stiamo cavalcando questa opportunità. Vogliamo essere all'avanguardia».

    Gli ultimi mesi sono stati difficili per la Mondadori accusata di essere condizionata dalla politica del suo proprietario-premier, incalzata dagli altri editori per la legge sulle intercettazioni, minata dalle polemiche di alcuni tra i suoi stessi autori. Come ha vissuto questi ultimi mesi?

    «Con amarezza, certo, ma non voglio entrare nel merito. Già prima vi erano stati tentativi di tirare in ballo la Mondadori in maniera strumentale, creando una sorta di dicotomia tra azienda e proprietà. Penso che Marina Berlusconi abbia risposto con grande chiarezza: non c'è dicotomia. Io sono a capo di questa azienda da quindici anni e lo posso testimoniare».

    Tutto è cominciato quando Berlusconi ha detto che i libri come Gomorra di Roberto Saviano (che viene pubblicato da Mondadori) fanno male all'immagine dell'Italia. Che ne pensa?

    «Mondadori è un editore libero, per la sua storia, per il rispetto che ha per ogni idea, per i libri e le riviste che pubblica, per i suoi autori, giornalisti, per i suoi manager. E lo è anche per il suo azionista. Lo hanno testimoniato le decine di dichiarazioni di questi mesi».

    Nel dibattito sono entrati anche numerosi autori Mondadori.

    «Rispondo con i fatti: se c'è un confronto di idee, un editore non può che essere contento. Se sono gli autori ad animare questo dibattito, ancora meglio. Noi siamo per la libertà di espressione. Quello che non possiamo accettare è il fatto che ogni idea venga letta sotto la lente deformante della battaglia politica. In questo paese ci sono fin troppe corporazioni e ideologismi. Guardate il nostro catalogo storico e quello che abbiamo pubblicato. Ma nell'amarezza di questo agosto, c'è stato un riconoscimento unanime di qualità, di professionalità e serietà della Mondadori. Merito delle nostre strutture editoriali, di quegli editor che sono innamorati del nostro lavoro».

    Ma se siete così gelosi della vostra indipendenza, perché al Salone del libro di Torino non avete firmato l'appello degli editori contro la legge sulle intercettazioni?

    «Per rispondere sarei costretto a entrare in polemiche ormai superate. Preferisco tenere un tono più alto. Quella fu un'operazione di marketing dei nostri concorrenti, come dicemmo allora. Noi avevamo sottoscritto la presa di posizione di associazione e federazione editori. Perché avremmo dovuto firmare un appello sopra e oltre a quello? Solo perché qualcuno in piena bagarre ha alzato il dito per metterci presuntamente in imbarazzo?».

    Però di là siamo arrivati al caso del teologo Mancuso, il quale ha annunciato - con molti ondeggiamenti - che lascerà Mondadori. Come lo spiega?

    «Ormai è un capitolo chiuso. Si sono fatte fin troppe illazioni. Restiamo ai fatti, e mi torna in mente un episodio del '94, quando il gruppo Mondadori assunse il controllo dell'Einaudi. Fui proprio io a incontrare Giulio Einaudi e il gruppo dirigente di via Biancamano per favorire l'ingresso in Mondadori. Allora un giornale titolò: il Biscione si mangia lo Struzzo. Sono passati sedici anni, l'Einaudi vive una straordinaria stagione editoriale, è tornata in piena salute e lo Struzzo corre libero e sereno».

    da La Stampa del 24 settembre 2010

    Pubblicato 13 anni fa #

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