... mi macero ormai da qualche tempo intorno ad un finale per questo racconto deve esser pronto per una imminente ristampa il tono affabulatorio arzigogolato scanzonato di tutto il pezzo procede dinoccolato per grazia ricevuta o con qualche altro tipo di grazia forse... ma invece contrasta sorprende delude amareggia non solo i pochi lettori ma anche forse i protagonisti o coloro che fino a quel punto si eran sentiti tali il finale... improvviso e laconico raggelante come la realtà quando prende il sopravvento sui sogni...
comincia con una freddezza materiale e fisica mitigata poi dal buonumore dal cuor contento dei protagonisti alcuni naturalmente portati dall'indole altri fintamente artatamente compressi in quella rappresentazione dell'allegria dei buoni sentimenti dei come dovrebbe essere... finisce con quella stessa freddezza morale spirituale e fisica impossibile da mitigare una dichiarazione di resa una sconfitta percepibile percepita dalle scarne ultime righe dalle povere ultime parole... dice Gesù: non esistono uomini buoni.
spero di non esser stato chiaro
la vecchia scuola con un gesto modesto della mano delle dita sfregate a contrasto come per parlare di denaro sottolinea l'esile esigua consistenza della soluzione finale... io carverianamente mi attardo a considerare le suggestioni dei finali aperti dei finali amari tornando a casa nella fredda sera umida e ventosa a raffiche godendo dell'amarezza che segue sempre automaticamente sempre anche le più piccole vittorie... estote parati
Imperfezioni.
I piedi freddi sull’impiantito, lo spiffero raggelante sul collo, l’umore ne risente un poco ma ormai ha capito cosa voleva dire quel fuori dal letto nessuna pietà alla radio tanti anni fa. Da quella certa sera un trambusto inusuale coinvolge tutti i componenti della famiglia Venduti. Al mattino.
Li trova così, verdastri e giallognoli intorno al tavolo della cucina per la colazione.
-Papà… buongiorno
-Ciao come và, hai dormito bene?
-Si, forse mi sono raffreddato un poco.
-Non tirare su col naso, soffiati, lo vedi che non ti copri abbastanza.
Si sente un mormorio dall’altra parte del tavolo:
-Non è che per caso bisognava pagare il riscaldamento…
-No. Non è così, il riscaldamento non serve , di notte, se uno si copre.
-Anfatti…- la mamma sovrappensiero col pentolino del latte in mano, che scotta, in bilico con quello del caffè, ormai freddo, nell’altra e tradisce dicendo così le sue origini del sud di proposito, come di proposito esibisce la sua disapprovazione.
Ridono tutti. E a quel punto anche il burbero, invasato, molto compreso del ruolo, capofamiglia sorride sciogliendo pezzi di pane duro, scordato, nel cicarone del latte con quel poco di caffè che lo colora.
È una mattina come tante da due mesi a questa parte in casa Venduti. La mamma Genevieve che non approva, l’entusiasta oltre l’immaginabile figlietto Totò decenne di molte qualità e di altrettanta volontà, la murmure sfinge di là dal tavolo, silente e impenetrabile principessa Sissi figlietta primogenita, e il padre orgoglioso e sprovveduto emblematico schema di essere umano moderno con un piede nel passato e lo sguardo vacuo e confuso verso un futuro apparentemente minaccioso ma forse solo indifferente. Un uomo senza sostanza e senza speranza come tanti. Come i suoi amici. Come i suoi conoscenti. Come i suoi nemici. Come i suoi parenti.
-Chi accompagno? Siete pronti?
Col passo stanco di certe mattine livide Gianfranco Venduti si avvia alla porta di casa. Un bacio svogliato, un’occhiata svelta al vestito della moglie a valutarne le generose scollature o le micro gonne che si usano oggi per andare a lavorare.
- E tu quando esci … non farai tardi?
- No ti dico mi viene a prendere Gabriella
Quell’altra sbroccata, separata da un marito che odia da cent’anni ma molto presente tutt’ora nei suoi pensieri “di com’era ieri e anche per te.”
Appena fuori il cancello la faticosa realtà dell’accompagnamento quotidiano dei figli a scuola cala la sua mannaia fatta di mani gelate, ombrelli aperti, pozzanghere fangose da evitare per i due tre kilometri tragitto a piedi fino al traguardo.
Un passo indietro, però, si rende necessario.
La sera del tre ottobre 2008, a casa Venduti accadde quello che in altre case normali, in altri quartieri, in altre città sarebbe stato derubricato ad avvenimento consueto ad incidente serale di poco conto.
Si tirarunu a luci. Era andata via la corrente.
Erano giorni di blackout frequenti, i telegiornali riferivano di accordi internazionali non onorati, il gas della Russia, quei coglioni dell’Ucraina, e l’America ci marciava. Putin avvelenava il capo dello stato avversario che sopravviveva per miracolo e una certa bellissima Giulia prendeva le redini del governo con le trecce compostamente annodate sul capo, un vestito tradizionale casto e sexy di colore arancione, avvolgeva di occhiate timorose e ossequianti l’ex leader butterato, un gran casino insomma. Razionamenti si auspicavano, prevedevano, i politici si rimbrottavano gli uni gli altri. Responsabilità diffuse, imprevedibili, imprendibili i veri fatti ai telespettatori dei telegiornali, agli ascoltatori delle radio, ai lettori dei quotidiani.. Crisi internazionale, crisi locale, bollette da aumentare, già stratosferiche peraltro.
Comunque, palla al balzo. Quella sera al lume di candela il silenzio fu interrotto da una voce profonda meditata dal piano di sotto, dal soggiorno.
-Mi è venuta un’idea… è un po’ che ci stavo pensando ascoltate, … nessuno mi ascolta ? dove siete ? scendete un attimo per favore…
Tre pigiamini spaiati si accoccolarono sul divano, sui divani, le gambe sotto il sedere a proteggerle dal freddo per non disperdere il calore delle coperte abbandonate. Riunione nottetempo. Che poi erano appena le nove ma sembrava, con quel buio, con quel silenzio senza la televisione a gracchiare insensate notizie di nuovi stili di vita.
-Sentite questo silenzio, ascoltate, secondo me dobbiamo sfruttare questa opportunità che ci viene offerta in questa sera d’ottobre, il clima è ancora mite non c’è quel freddo intenso di dicembre… possiamo provare per qualche giorno per una settimana…
-A fa chè? . appena sfastidiata interloquisce la mamma forse un po’ assonnata. No forse, sicuramente.
-Fammi finire… . Che grazia, stava per dire ma non lo disse:
Preso com’era dalla sua non trascurabile idea.
-C’è un po’ di freddo va bene, ma con qualche maglione in più… più caldo forse possiamo provare a fare un esperimento. Cerchiamo di resistere… non accendiamo la televisione … anche quando torna la corrente, anzi non accendiamo proprio la luce … leggiamo al lume di candela come stasera, chiacchieriamo tra noi ci addormentiamo presto e domani ci alziamo con meno difficoltà, forse più di buon’umore. Capite cosa vi sto dicendo per una settimana o solo per qualche giorno proviamo a fare a meno delle nostre abitudini di quelle che usano, sprecano energia elettrica, combustibile, andiamo a scuola o al lavoro a piedi e nel mentre chiacchieriamo…
- E che ci diciamo?
Sissi principescamente fa notare a tutti l’incongruenza di questi esseri umani che si vogliono dire qualche cosa. Non è previsto non si fa. E l’incomunicabilità allora…? tra generazioni, padri e figli questi sconosciuti… che vogliamo ribaltare le cose, ma quando mai s’è sentito.
-Io non posso comunque, lavoro lontano e ci vado in macchina.
La quieta signora guardando di sottecchi l’ingenuo marito illuso di un’ altra illusione ancora. Un dito nel naso ad esplorare gli ultimi dubbi, la mano sullo slip appena accennato, una pancia ultra piatta da accarezzare, chirurgico regalo di qualche natale fa.
-Vabbè per una settimana puoi chiedere a Gabriella di accompagnarti. Potresti dirLe che la macchina si è rotta e la stai facendo riparare… la settimana successiva porteresti lei per ricambiare.
Non le dice che in gergo tecnico si chiama car sharing che lo ha letto chissà dove e si risparmia e si va in compagnia e si fanno quattro chiacchiere; che se no va su tutte le furie, che già lo sapeva, che è una vita che lo sa, che a dire tutte ‘ste cazzate non la fa dormire, che ci ha sonno, che è tardi e domani i bambini non si svegliano…
Che è un refrain di tutte le volte che lui prova a parlare a dire qualcosa che non sia normale… una serranda da aggiustare, la spesa, l’acqua che è finita e che si deve comprare, due casse però, una liscia e l’altra gassata per i tuoi figli. “Non lo dico per me.”
Totò invece l’unico a sembrare interessato sorride della nuova avventura.
-Dai proviamo, possiamo sempre sospendere l’esperimento. Pensate che bello un sacco di tempo in più per stare insieme, un sacco di soldi in più risparmiati dalle bollette, biciclette nuove, vi leggo un libro, una favola prima di dormire, mangiamo le cose del luogo: le uova della gallina della vicina, niente supermercati, la frutta di quello sull’ape, carciofi all’angolo della strada, un fiore per la mamma tornando dal lavoro, la carne poi vediamo ma c’è un macellaio che conosco che ha anche le bestie e quella cooperativa che non abbiamo mai visitato… dice che hanno organizzato un gruppo di acquisto equo e solidale. Ma poi vediamo non facciamoci prendere la mano. Se non ci piace, se è troppo difficile sospendiamo.
Gli occhi felici, le parole vibranti, l’attenzione si addensa su quell’uomo che parla nella penombra. Forse sarà la luce soffusa, i colori caldi ma sembra di essere a teatro le parole rimangono sospese in cerca di orecchie attente, lo sguardo silenzioso di quelli più increduli più disattenti si trasforma, li trasforma in pubblico pagante. Li ha convinti quasi tutti, certo i ragazzi, un po’ meno la donna che rassegnata ma non più disgustata si risolve a dire un flebile:
-Va bene, proviamoci. Ma adesso tutti a dormire. – E domani chiama quelli dell’Enel- dice salendo le scale. Sorride dispettosa. I sogni tanto muoiono all’alba.
Quelli dallo spiccato senso pratico hanno la vita facile scandita dalle cose da fare. Non dico non faticosa, che si riempiono sempre la giornata di tante cose da fare, che quasi non hanno la forza poi alla fine che di andare solo a dormire. E dormono un sonno profondo senza sogni che domani c’hanno da fare e mica possono perdere tempo a sognare. È questo che mi fa impazzire come fanno ogni giorno a ricominciare; un dubbio chessò qualcuno da blandire che non sai come va a finire, un’impresa rischiosa, un calcolo mal fatto che ti porta lontano dalla riva, fuori dal fiume che placido scorre sicuro fino alla fine, fino alla morte.
Li avevamo lasciati infreddoliti e zuppi sulla strada della scuola a bordo del nuovissimo piedi bus.
Funziona così in fila indiana o in fila per due sotto l’ombrello a ridere di quella pioggia autunnale… la mamma che grida fin fuori la porta: -Attento non ti bagnare.
-Pà ma tu come fai ad andare al lavoro?
-Lascio voi e dopo continuo, se piove più forte salgo su un autobus
- Ah quindi lo vedi che la usi l’energia
-Si ma di meno che se prendessi l’auto e poi non è detto solo perché oggi piove…
Arrivati in fondo alla strada il primo elemento della brigata lascia la fila e varca il portone d’entrata.
-Ciao, mi sono divertito.
Dice e si volta allegro verso un compagno di scuola.
-Oggi siamo venuti a piedi da casa, non è lontano mi sa che torno da solo.
-Pure io aspetta lo dico a mio padre.
-La strada la faccio insieme a lui, mi lasci?
Il padre incravattato poco incline al sorriso è già incazzato, la macchina in seconda fila il vigile col blocchetto in mano si deve sbrigare:
-Non combinare guai se no sono cazzi tuoi.
Che gente si nasconde dietro l’apparenza per bene, poi dice la scuola. Un vestito di marca, la macchina grossa all’ultima moda e poi si rivolge al figlio, appena un bambino, con un fare aggressivo che manco un camallo.
Seconda fermata non è previsto neanche un saluto. Un cenno col capo, lo sguardo fermo: fin qui può bastare, non c’è bisogno, non ti avvicinare.
Il sorriso che manca lo vedi che appare quando incontra la sua amica del cuore. Del cuore non so, che forse è troppo sperare che abbiano un cuore sotto tutti quei desideri, sotto tutti quei pensieri confusi che si limitano solo a guardare come spettatori di vite di altri. Ma gli altri siamo noi. La perde di vista. Oltre il cancello di ferro. Le sbarre alle finestre, le telecamere nell’atrio, all’ingresso un nerboruto bidello la sera farà il buttafuori in qualche locale del centro.
Il sigaro acceso, il solito bar, ordina un caffè macchiato e ristretto e quello lo guarda non guardandolo, pensando però: che rottura di cazzi. Ma oggi c’è una novità, è tutto bagnato, è allegro lo stesso, chissà cosa gli è successo.
-Ma che ti dico. Se n’è uscito così che eravamo già tutti a letto e ci ha chiamati: “grande pensata” ha detto e s’è messo lì a raccontare questa sua idea e ti devo dire m’era sembrata simpatica pure a me mentre la diceva, così ispirato al lume di candela. Poi non ho preso sonno subito, mi sono girata e rigirata dentro al letto ho pensato ma chi mi sono sposata e poi subito dopo però è simpatico e poi ancora chissà quanto dura questa ennesima cazzata però mi faceva sorridere l’idea di avere gente intorno mentre cucino che mi aiutano che mi intralciano meglio di stare sola sempre di là mentre vedono la televisione e gridare inascoltata è pronto è pronto cinquanta volte … “inascoltata” ma come parlo è che sto leggendo un libro antico: tempi difficili di Dickens che poi significa diavolo e parlano così ne sto’ libro tutte parole strane che se le ridici sembri strana pure tu… a una del negozietto a fianco gli ho detto – per favore me le mette da canto – le buste - dopo aver fatto la spesa; e quella per un sacco di giorni mi chiedeva: “ signora gliele metto da canto? ” Da non crederci che fanno ste’ parole e mi guardava pure diversa, più co’ due piedi in una scarpa.
A sera aveva già fatto il pranzo per i due insigni studiosi, messo i piatti nella lavastoviglie, apparecchiato, levato il piatto dal tavolo, arronzato un secondo alla bell’e meglio non in quest’ordine ovviamente. A sera, dicevo, era già passato il pomeriggio consueto con i compiti e le uscite con gli amici e le compere d’emergenza una penna, un quaderno, un litro di latte: “è finito il pane!”
Sissi con le sue borsette, i capelli eccessivamente sistemati, l’eloquio eccessivamente contratto, i modi eccessivamente bruschi col fratello ma almeno co’ quello ci parlava. Totuccio con le lacrime della sua ultima nota presa a scuola da una inflessibile professoressa che non capisce che se uno scrive sui muri: “non mi lavo e puzzo e mi chiamo fjli” non è perché uno è razzista e maleducato ma solo perché è vivace e ha tante energie. A sera ormai, era già tornata la moglie di casa che è a part-time ma è tanto stanca. A sera… la cena tutti insieme, cena da preparare, Sissi torna un po’ prima del solito perché c’è da aiutare a cucinare. Totuccio irrefrenabile accondiscendente ruffiano pela le patate le carote le riduce alla julien e non è contento e vorrebbe togliere la pentola dal fuoco mescolare il purè aprire il microonde per vedere che c’è ma si accontenta di apparecchiare… ma che ti dico figlio la prossima volta non ti fare mettere la nota così non avrai niente da farti perdonare. A sera. Finita la cena sul divano e sulle poltrone. Spostato il candelabro nel soggiorno a sette bracci, forse da ebrei ma fa tanta luce, illumina i volti e le parole scivolano lente e naturali e pacate nel tempo che le accoglie paziente e i piccoli, gli piace chiamarli così, giocano a ramino, i grandi leggono libri o riviste, i cellulari giacciono spenti. All’improvviso tira fuori la scacchiera forse esagera.
-Partita?
La signora modera il suo disgusto. Lo ha sempre battuto facile. E accondiscende alla sfida. Si avvicina al suo divano. Non sia mai dovesse spostarsi di qualche centimetro. La reginessa.
-Neri o bianchi?
-Bianchi.
Non cede mai un vantaggio. Senso pratico e convenienza. Che male c’è. In tre mosse è già in difficoltà. I piccoli reprobi ridono e lasciano stare il ramino. Seduti a tifare per la mamma. A guardare con simpatia mista a commiserazione l’autorevole padre. Accigliato la pipa spenta in mano. La gamba che batte un tempo immaginario.
-Okkei m’arrendo… anche se non vince nessuno direi paro e patta ma siccome sono nobile d’animo rinuncio.
-Come sempre - fa lei, ma sorride. Anche quando scherza fa male.
-Vi leggo qualcosa ?
-No è tardi e domani si va a scuola .
La solita tiritera.
Adesso è buio si sono portati via anche l’ultima candela.
-Appena a letto spegnetele che se no ci va a fuoco tutta la casa.
Risatine di sottofondo.
Adesso è buio e silenzio tutt’intorno.
Passano lenti i minuti, le mezz’ore. Si alza senza fare rumore. Le chiavi nel giubbotto, l’accendino in mano si guarda intorno gli occhi socchiusi ma i sigari non li trova. Chiude dietro di se la porta piano. Forse ce n’è qualcuno in macchina, una scatola scordata di qualche tempo fa.
Seduto col finestrino abbassato del sigaro si gode l’amaro, accende il cellulare una regola che può violare. Dormono tutti, non lo possono vedere. Accende anche il motore s’avvia con i fari spenti lungo la statale. Attraversa un cavalcavia solo con i suoi guai e perso nel fumo e nell’umidità. I fari li ha accesi solo da poco.
-Che faccio la chiamo: che faccio… che faccio…
Compone il numero, dovrebbe avere qualche altra mano in più per fare quello che sta per fare: volante sigaro cellulare il pollice opponente non basta più la marcia la deve cambiare in terza da qualche tempo anche quei pochi passanti si girano a guardare. “È forte però andare in giro la sera che non c’è quasi nessuno oddio qualcuno c’è nei pub nei caffè ancora aperti a quest’ora.” E questo quando l’ho detto.
-Ciao, ancora non dormi?
-Non dormo mai.
Civetta.
-E che facevi m’aspettavi?
-Eccerto, aspettavo te… ma quando mai!
-Non sei uscita? Ma non esci?
-Ci facciamo un giro?
-Non so se è il caso
-Ti passo a prendere. esci fuori.
Quasi subito se ne pente. Ma la macchina non gli da il tempo di pensare in un attimo è già lì e lei è già fuori.
-Ciao. Che fai fuori di notte a quest’ora.
-Non fare lo scemo. Sei proprio un coglione.
Mi guarda con riprovazione. Mista a soddisfazione.
Un’altra intellettuale.
-Scopami.
E se la scopa, nel suo micro albergo a ore.
Gerardo Rizzo.