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Appunti per un romanzo

(64 articoli)
  1. k

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    Dopo le ripetute e pressanti richieste di un caro amico che voleva a tutti i costi che chiamassi con il suo nome uno qualunque dei personaggi del romanzo che sto tentando di ultimare - "Pure il più scalcagnato", diceva, "anche il più infame e malvagio, va bene qualunque cosa" - sottopongo al giudizio dell'Anonima il seguente brevissimo stralcio (è un'assoluta anteprima) della parte finale di 'Canale Mussolini'. Attendo naturalmente il vostro giudizio, con la premessa che si tratta ancora di una sola seconda scrittura. Altre revisioni dovranno venire. Nella prima, per esempio, c'era anche la moglie di questo personaggio, ma avendo poi pensato che la moglie vera non m'aveva di fatto chiesto niente, ho ritenuto che non meritasse questo onore e l'ho quindi sostituita con una fantomatica sorella. Decidete voi però. Ecco qua:

    ... un bel giorno dei primi del 1935 il Duce ha detto: “Basta! Mo’ i me gà roto i cojón tuti e trì”. E ha cacciato seduta stante Acerbo e Serpieri dal ministero dell’agricoltura e Cencelli dall’Opera nazionale combattenti: “Fòra da ‘e bale tuti quanti”.
    All’Opera ci ha messo Araldo di Crollalanza e al ministero dell’agricoltura, a fare proprio il ministro, indovini chi? Il Rossoni. Ci ha messo l’Edmondo Rossoni nostro.
    Mio nonno era contento come una Pasqua. Non quanto lui, naturalmente, l’Edmondo. Lui non si poteva proprio reggere, ci volevano i picchetti fissati a terra per non fargli prendere il volo come un aerostato: “At fàsso védere stavolta, no dìso per mì Peruzzi, dìso per tuti quanti: stavolta agh fémo un culo acsì” – e allargava le braccia larghe larghe – “agli agrari”. E a inaugurare Pontinia bella che finita il 18 dicembre 1935 – nel terzo mese di guerra in Abissinia e nel trentunesimo giorno esatto dall’inizio dell’iniquo assedio delle sanzioni imposteci da un‘Europa ingiusta e da un ancor più ingiusta Società delle Nazioni, come dicevano i miei – sono venuti il Duce e Rossoni. Cencelli si stava a rodere oramai il fegato a Magliano Sabina. Poveri maglianesi, chissà che hanno dovuto passare. Comunque come le dicevo e anche se lei non ci crederà, in giro per il podere ci deve essere ancora una copia del Mattino di Napoli che diceva come, dopo tutta l’acqua che aveva fatto ininterrotta dalla sera precedente e il cielo tutto nuvoloso e coperto di nubi, appena è arrivato lui è uscito il sole: “Era tutto nuvolo, s’è detto, ma in questo preciso momento una frustata di tramontana ha spinto la bruma verso i monti Lepini sbiancati di neve. E’ apparso anche nello strappo un po’ di celeste, e Mussolini vi ha puntato gli occhi, prima di guardare la folla”, controllare per credere. Quello era un Uomo le ripeto, come dicevano i miei zii: “Se nol xè bòn de mandàr gnanca via un fià de piova e de far sortìr el sol, che càsso de Omo sarìa se no?”
    Ora io adesso lo so che lei storce la bocca e dice: “Mito e propaganda”. Però quel giorno era il 18 dicembre 1935 e neanche cinque mesi dopo – il 21 aprile 1936, quindici giorni prima però che il maresciallo Badoglio e mio zio Adelchi entrassero in Addis Abeba alla testa delle truppe vittoriose e tra una coltre di calìps giganteschi, come peraltro già sappiamo – il Duce è venuto a fondare anche Aprilia. Lasciamo perdere che poi quelle sanzioni ce le hanno levate subito, questo non conta. Ce le aveva decretate la Società delle Nazioni a Ginevra il 18 novembre 1935 contro quella che loro ritenevano la nostra invasione immotivata dell’Etiopia – e questo sì che conta, o che almeno contava per noi – però poi ce le hanno tolte il 15 luglio del ’36, a fatti compiuti, quando l’impero oramai era già nostro, e hanno ricominciato a mandarci tutto quello che volevamo, ferro petrolio, carbone, caucciù, bastava che lo pagassimo ovviamente, poi se lo volevi pure regalato è un altro paio di maniche. Ma questo per noi è come se non fosse successo. La propaganda è andati avanti ancora a rotta di collo con la storia delle sanzioni e dell’iniquo assedio economico: ce l’avevano tutti con noi, nessuno ci voleva dare niente, eravamo accerchiati, nessuno riconosceva i nostri diritti, ci volevano strozzare. Tenga presente che a quel punto – nel 1936 – la propaganda aveva fatto passi da gigante. Il cinema poi non le dico. Adesso in ogni borgo la domenica c’era il cinema. A Littoria poi tutti i giorni – o meglio, le sere, subito prima o subito dopo d’essere andati al casino – lei entrava, pagava il biglietto e vedeva ogni sera un film diverso, banditi e indiani americani, commedie d’amore, quello che voleva, e prima del film c’era sempre il documentario Luce, dove le facevano vedere tutte le conquiste del fascismo, quello che avevano fatto la settimana prima il Duce, il re e il Principe di Piemonte, e soprattutto tutte le angherie che ci faceva il resto del mondo, che non voleva riconoscere il nostro sacrosanto diritto a quel famoso Imperium che noi reclamavamo, come si ricorda, non solo perché ci toccava di diritto ma soprattutto solo per poter imporre finalmente la pace nostra romana a questo mondo che ne aveva tanto di bisogno. E invece no, non ce lo riconoscevano quel diritto e in ogni discorso sia alla casa del fascio ma pure a casa nostra e all’osteria, prima o poi la gente quando parlava – e di qualunque cosa si stesse parlando – prima o poi s’arrivava alle sanzioni: “Maladèti lori e só sansión”.
    “Ma còssa xèle de presìso ste sansiòn?”, chiese una volta mia nonna a zio Adelchi.
    “Ah, mama: ‘na cosa pèzo de quota novanta”.
    “Mariavèrzine!” fece mia nonna.
    Comunque a noi che queste sanzioni ce le avessero già levate nemmeno un anno dopo – ossia il 15 luglio 1936 – non ce lo hanno mai detto. O almeno non lo abbiamo capito. Lei pensi che quando mio zio Iseo comprò una radio nuova nel 1954 – loro oramai già stavano nella casina nuova sulla strada di fianco al podere nostro Peruzzi, e io avevo sì e no una decina d’anni – e la portò a casa dicendo: “Spósa, agò catà l’aradio!”, mia zia Zelinda che era moglie era tutta contenta. La guardava di qua e di là proprio solo come oggetto questa radio, e non solo perché emettesse i suoni e le canzoni. Era una radio di queste nuove, marca CGE, piccolina – ossia grossa sì e no poco più d’una scatola da scarpe – e neanche tutta in legno o ferro, ma bianca di plastica e non un armadione di legno come quelle di una volta che parevano comò. “Che bel aradio!” faceva zia Zelinda. Poi però s’è messa a leggere anche quello che c’era scritto dietro lo chassis e allora ha detto, sopresa: “Ma dove ‘o ghètu catà st’aradio?”
    “Da l’aradiàro” ha fatto subito zio Iseo. Era il 1954 ripeto. “Parché?”, ha chiesto poi: “Còssa gàlo che non va?”
    “Ma xèo straniér!”
    “E alora?” ha richiesto meglio lui a só fémena.
    “E le sansión? Come ghètu fàto cóe sansión?”
    Comunque quindicianni prima dell’aradio di mia zia Zelinda le sanzioni c’erano davvero ancora – anche se per soli altri 86 giorni, fino al 15 di luglio appunto – e il 21 aprile 1936 il Duce venne a fondare Aprilia.
    C’erano anche i miei zii naturalmente e lo hanno visto di persona salire su una trattrice Fiat ultimo tipo – un cingolato giallo-arancione nuovo fiammante dalla linea modernissima, hanno continuato a farli così almeno fino agli anni sessanta – mettersi alla guida, partire e tracciare il sacro solco di fondazione con l’aratro attaccato dietro. Anzi, se lei guarda le fotografie, quello che sta in piedi a fianco a lui con la tuta da meccanico e che lo assiste nelle operazioni, è proprio il povero sor Augusto Reali che era il caposquadra alla Motomeccanica di mio zio Benassi. Quello che si vede invece di fianco da quest’altra parte con la divisa nera ed il fez e che guarda di straòcio da sotto in su con l’occhio falso, quello è quel grandissimo cornuto di un siciliano – “sisiliàn” dicevano i miei zii, e cornuto sia perché proprio cornuto d’animo sia perché cornuto da parte della sorella, e allora valeva pure quella, che a’ xèra proprio un putanón – un siciliano che faceva sempre la spia a tutti quanti all’Opera combattenti, e poi prendeva mazzette dalle imprese e faceva ruberie su tutto. Io me lo ricordo ancora da ragazzo quando mi mandavano qualche volta a Aprilia dai miei zii Lanzidei e con i miei cugini andavamo poi qualche volta al cinema, lui era già un po’ anziano ma stava sempre dentro al cinema a dare fastidio ai ragazzini. Ti si metteva seduto vicino nel buio, ti diceva: “Dopo ti pago il gelato” e subito si metteva lì a tirarti una pippa. Lo avessero saputo mio zio Adelchi e il compare Franchini, di sicuro se lo sarebbero portato con loro sull’Amba Aradam. Si chiamava Gerardo Rizzo se non sbaglio, sto grandissimo cornuto. “Mi chiamo Gerardo Rizzo”, faceva: “Vuoi che te l’attizzo?”. Pare che il vizio gli sia venuto durante la guerra, quando nello sbarco di Anzio restò prigioniero per una settimana – lui e la sorella, che si chiamava anche lei Gerarda Rizza, perché all’anagrafe l’impiegato s’era sbagliato pure con la a del cognome, e quelle le era rimasta – prigionieri di un plotone di disciplina di neri americani rimasto isolato dalle parti del Carroceto. Sa quei reparti di punizione e disciplina dove mettono i peggio delinquenti? Be’, uno di quelli. E pure neri. Quello che gli hanno fatto passare a lui e alla sorella lei non ne ha idea. Uno all’inizio pensa che il peggio sia per le donne. La donna invece bene o male – se la sa pigliare con lo spirito giusto e con la giusta disposizione d’animo e di corpo – ci si può pure divertire, può trovarci, come si dice, una certa qual sua convenienza. L’uomo no invece, per l’uomo sono dolori e basta. E difatti lì pure, la sorella del grandissimo cornuto all’inizio s’era divertita. Ma dopo s’è stomacata, quando ha visto che il fratello invece, dopo avere strillato un po’ il primo giorno, man mano ha cominciato a divertircisi lui e tutte le volte che i neri pigliavano la sorella per far divertire anche lei, lui subito strillava: “No, no: a me, a me!”. E’ lì che poi lei s’è stomacata e appena è tornata la pace non ha voluto più restare col fratello e è scappata subito col notaio Notarfarinoli – un altro bel tipo pure lui – e lui Gerardo Rizzo s’è messo a fumare toscani. Solo che lei Gerarda Rizza dopo un po’ s’è accorta che il notaio, di nascosto da lei, si faceva anche suo fratello e allora s’è stomacata del tutto, è scappata in Marocco a Casablanca, s’è fatta operare, è diventata maschio e s’è fatta cambiare anche nome, e per non incorrere più in eccessive omonimie s’è fatta chiamare – se lei la cerca, o meglio lo cerca sull’elenco del telefono di Aprilia lo trova ancora – Gerardo Rizzo361.

    (attendo giudizi, critiche e commenti. grazie)

    Pubblicato 14 anni fa #
  2. big one

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    È sempre un piacere leggere A.P.. Spesso - come in questo caso, in alcuni passaggi - anche spassoso. Mi piace pensare che il Gerardo Rizzo al quale A.P. rende omaggio non è il "sisiliàn" pedofilomosessualfascista che incontriamo nella foto, bensì la sorella oramai transessuale che per ragioni di omonimia aggiunge al proprio nome e cognome la sigla 361.
    Però è proprio da quando entrano questi due personaggi che la storia a me pare deviare con un inserimento forzato. Ora non so se questa mia sensazione è dovuta alla brevità del pezzo mentre con una visione totale del romanzo l'episodio si sposa perfettamente.
    Questo è quanto.

    Pubblicato 14 anni fa #
  3. senediconodicazzate

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    Una porcata.
    Monologo a margine di un appunto per un romanzo.
    Riduzione teatrale di Gerardo Rizzo.

    Entra in scena un uomo alto ben piantato e si rivolge ad un vecchio rannicchiato su una sedia a fumare i suoi ultimi giorni. Di fianco uno spettinato oste squattrinato lo guata, annuendo di continuo.

    Uomo:
    “Scherzo greve di cattivo gusto se di scherzo si tratta . Lei caro k semplicemente non sa stare al mondo. Ma come uno le dà un po’ di confidenza le si rivolge con qualche cortesia e lei che fa lo ripaga in questo modo volgare da suburra svelando in quali condizioni di difficoltà materiali e morali s’è formato il suo carattere la sua personalità. E poi è scritto male è un’accozzaglia di parole e fatti male assortiti perde smalto caro k l’età si fa sentire e tornano a galla i suoi incubi le sue ossessioni sessuali che non è la prima volta che a qualche suo personaggio la abbarca a novanta gradi e lo fa trombare da qualche negro con la clava. E vuole pure essige una pubblica richiesta di non pubblicare questo sconcio mal fatto mal detto mal scritto io non glielo chiederò perchèèllei che dovrebbe arrivarci da soloaccapire che non si omaggiano così gli amici e ci voleva mettere pure le mogli vecchio pazzo ma dove ha sentito che si scherza così in quale cazzo di posto di capanna di procoio di negletto luogo lei vorrebbe con tutte le sue forze affrancarsi da questa grettezza che è la cifra della sua gente quella che invase questi luoghi scendendo appunto dalle montagne e scacciando i nativi giudicati inferiori marocchini ma da quale civiltà proviene lei a quali canoni estetici fa riferimento ai cazzi ai mazzi ai bimbi usati come sfogatoio guardi non mi voglio ancora abbassare a scrivere sordide partiture che la scrittura mi è diventata odiosa e come la musica del resto non cambia la natura degli uomini la sopraffazione è la regola e mi sembra di umiliarmi di ridurmi a correggere parole di concetti corrotti per persone perdute nelle loro ossessioni invecchiate dalle loro stesse passioni ambizioni smodate che la misura è smarrita per sempre e colma e ferita.”

    Esce di scena livido in volto, l’uomo alto.
    Gli altri due continuano come se nulla fosse a fumare i loro ultimi giorni.

    Pubblicato 14 anni fa #
  4. sensi da trento

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    ... un bel giorno dei primi del 1935 il Duce ha detto: “Basta! Mo’ i me gà roto i cojón tuti e trì”.

    il duce che parla veneto mi sembra una stonatura storica e narrativa, anche se qui mi immagino che sia il narratore che riporta (ovviamente nel proprio parlato) il pensiero della Buonanima ( ). Rimane però una cattiva sensazione di dissonanza.

    il 21 aprile 1936, quindici giorni prima però che il maresciallo Badoglio e mio zio Adelchi entrassero in Addis Abeba
    ..................
    “Ma còssa xèle de presìso ste sansiòn?”, chiese una volta mia nonna a zio Adelchi.

    Piccola stonatura anche qui: Adelchi nel 1936 è ad Addis Abeba oppure a casa con la madre a discutere di politica?
    magari adelchi e la madre questo discorso possono averlo fatto anni dopo il ritorno; però il lettore, sul momento, quando legge, non "si sente proiettato" a dopo l'ipotetico ritorno di adelchi, ma si immagina in una contemporaneità di eventi.

    La donna invece bene o male – se la sa pigliare con lo spirito giusto e con la giusta disposizione d’animo e di corpo – ci si può pure divertire, può trovarci, come si dice, una certa qual sua convenienza.

    Secondo me qua qualche femminista alla Livia Turco le salta addosso e glielo fa a lei, quel lavoretto.
    Che vuole farci ? quelle sono comuniste ! Ragionarci è impossibile.
    ---------------------

    per me rimane sempre il discorso dei dialoghi in veneto.
    Io, per leggermeli e tradurmeli nella capoccia, devo fermarmi un attimo, a scapito della fluidità di lettura.

    Pubblicato 14 anni fa #
  5. k

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    Non se la prenda Sensi, questa è solo una prima stesura. Poi uscirà apposta un'edizione in marocchino per lei.
    _________________________________

    Gentilissima Gerarda Rizza invece,
    ci vuole stare o con ci vuole stare? Lei lo deve dire espressamente e qui sopra coram populo che vuole essere cancellata, così come aveva detto espressamente davanti non solo a me e all'oste ma pure a Leon800 e ai cugini Lanzidei che ci voleva stare a tutti i costi. Io glielo dissi chiaro e tondo: "Mi sono rimasti liberi solo i personaggi infami". "Vanno bene, vanno bene!" faceva lei. Anche i Lanzidei la avvisarono: "Guarda che poi ti manda a fa' le pippe ai ragazzini". Lei invece ha continuato a rompere i coglioni a un povero artista intento come dice lei "a fumarsi i suoi ultimi giorni", e incurante di questa agonia ha insistito che il suo nome venisse immortalato. Mo' che cazzo vuole? Non lo vuole più? Lo chieda esplicitamente: "Per piacere mi tolga". Sennò rimane. Poi mi chiami pure a Forum (esiste ancora?). La riempio di testimoni.

    Pubblicato 14 anni fa #
  6. aspadatratta

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    ... ma faccia un po' quel cazzo che le pare...
    ma po' esse che tra tutti quei cugini lanzidei uno bravo affà le pippe ai regazzini non l'ha trovato... mavaffanculovà.

    Pubblicato 14 anni fa #
  7. tataka

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    Molto bello anche se come dice big one, non avendo l'intero romanzo sottomano, sfugge un po' il collegamento fra la prima e la seconda parte.

    Però s’è messa a leggere anche quello che c’era scritto dietro lo chassis e allora ha detto, sopresa: “Ma dove ‘o ghètu catà st’aradio?”
    “Da l’aradiàro” ha fatto subito zio Iseo. Era il 1954 ripeto. “Parché?”, ha chiesto poi: “Còssa gàlo che non va?”
    “Ma xèo straniér!”
    “E alora?” ha richiesto meglio lui a só fémena.
    “E le sansión? Come ghètu fàto cóe sansión?

    La parte più bella insieme alle nuvole che spariscono non appena arriva Mussolini. Uno ci ride, ma è di un'attualità assurda.

    La donna invece bene o male – se la sa pigliare con lo spirito giusto e con la giusta disposizione d’animo e di corpo – ci si può pure divertire, può trovarci, come si dice, una certa qual sua convenienza.

    Qua ha ragione Sensi. Questa frase rischia di essere strumentalizzata.

    Pubblicato 14 anni fa #
  8. rindindin

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    era troppo tranquillo questo forum...comunque ora devo uscire di corsa ma mi riservo di commentare e criticare il pezzo di k sul nuovo personaggio al più presto.

    Pubblicato 14 anni fa #
  9. lapo

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    ... scusate e del pezzo di quell'altro, della pièce teatrale?!... nessuno dice niente???... con quei personaggetti così ben tratteggiati: il vecchietto sulla sedia fumante, l'oste scalcagnato, la scenografia essenziale, il livido signore dall'eloquio sconnesso e arrembante...
    secondo me ben cogegnato: usa un irrilevante spunto del precedente modesto racconto per disegnare la dolente realtà di un signore di mezz'età impotente di fronte alle ingiuste accuse, alle ingiurie di quella falsa voce narrante. Sa già di non poter averla vinta contro i maldicenti ma combatte strenuamente prima che il silenzio dei molti vigliacchi conniventi si ricomponga sull'attualità.

    Pubblicato 14 anni fa #
  10. lapo, oggi quante 'botte' ti sei fatto?

    Pubblicato 14 anni fa #
  11. lapo

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    ... vigliacco connivente

    Pubblicato 14 anni fa #
  12. quindi tante, forse troppe?

    ho letto qualcosa su chi, imbottito di cocco fino a sopra i capelli, cerchi la rissa a tutti i costi. E poi n'altra cosa Lapettì. N'amico mio, uno che pare sia studiato e che legge i quotidiani tutti i giorni, dice che a fa le pippe, potresti essere un candidato coi fiocchi. Dice pure che ciai 'na certa esperienza.

    Un abbraccio dal tuo vigliacco connivente.

    Pubblicato 14 anni fa #
  13. big one

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    ma quand'è che decodificherete i post per tutti?

    Pubblicato 14 anni fa #
  14. Pantofola selvaggia

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    E' evidente che sono due facce della stessa medaglia. Un cerchio che alla fine si chiude. Gerardo, maschio, siciliano, omosessuale, pedofilo, corrotto e corruttore e Gerarda, donna, siciliana, troia, corrotta. Una storia drammatica raccontata purtuttavia con estrema delicatezza, (ad esempio nel dirci dello spirito con cui Gerarda affronta le violenze subite dai neri americani), e con una leggerezza che è quasi pudore nel tratteggiare due figure così torve e misere (come nell'affrontare con misura e sensibilità un argomento così spaventevole quale è la pedofilia). Pare quasi che l'autore fatichi, fino a soffrire, nel ritrovarsi tra le mani due personaggi che sembrano essersi presentati, all'interno del racconto, contro il suo volere, procurandogli un malcelato imbarazzo. Una sofferenza che induce il lettore a pensare che forse questi due tragici personaggi rappresentino, una ancora inesplosa dualità dell'autore, che, quale Giano bifronte, vigila l'ingresso e l'uscita della sua, e fors'anche della nostra, cattiva coscienza.

    Potenzialmente un vero capolavoro.

    Pubblicato 14 anni fa #
  15. k

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    Grazie, Pantofola Selvaggia, troppo buono. A parte qualche piccola ombra di dubbio sul periodo finale difatti, il resto è perfetto. Sarà contento pure Gerardorizzo.
    Adesso, però, scrivici in fretta un bel raccontino per il 'Bit', facci vedere che cosa sai fare. Se vuoi, puoi pure metterci naturalmente anche tu, lì dentro, un bel personaggio che si chiami, guarda caso, Gerardorizzo pure lui.
    Anzi, potrebbe essere proprio uno dei prossimi progetti dell'Anonima: "I racconti di e su Gerardorizzo".

    (Per Aspadatratta: si dia una calmata, magari si spalmi un po' di Preparazione H dove meglio crede e poi cominci a ragionare. Ma abbia pazienza, ma che sono venuto per caso io da lei a dirle: "La prego, entri in un mio romanzo, le faccio fare questo e quest'altro"? No. E' lei che è venuto a rompere i coglioni a me: "Mi faccia entra' per forza, mi faccia fare quello che le pare". Mo' che cazzo va cercando? Ma si rende conto che pure ad Agrigento oramai fanno tifo per me e non per lei? Non ci vuole stare più? Vuole uscire dal romanzo in cui ha preteso insistentemente di entrare? Lo dica chiaramente e vediamo quello che si può fare.)

    Pubblicato 14 anni fa #
  16. Pantofola selvaggia

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    Ha ragione ho anch'io dei dubbi sul periodo finale:
    "Potenzialmente un vero capolavoro"

    Pubblicato 14 anni fa #
  17. k

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    Comunque che le debbo dire? Mi sono stufato. Uno fa tanto per accontentare un amico, gli fa un omaggio di quella misura, e lui lo ringrazia così? Ah no, no, potevate tenervelo ad Agrigento un somaro di questa maniera ("va a far bene agli asini, va'", si dice dalle parti nostre; non so dalle vostre). Margaritas ad puercos.
    Però adesso basta, mi sono scocciato: non posso tenere con le catene un personaggio che ci ha ripensato e se ne vuole andare. Te ne vuoi anda'? E vaffanculo a un altro romanzo, va', voglio proprio vedere se lo trovi più bello. Motivo per cui diciamo definitivamente addio al Gerardo Rizzo che esce da 'Canale Mussolini' e se ne va. Ti sia lieve la terra. Riposa in pace.
    Posto quindi qui sotto la nuova versione, tralasciando ovviamente tutte le aprti precedenti che non hanno subito alcuna variazione.

    da 'Canale Mussolini', cap. III:

    ...Comunque quindicianni prima dell’aradio di mia zia Zelinda le sanzioni c’erano davvero ancora – anche se per soli altri 86 giorni, fino al 15 di luglio appunto – e il 21 aprile 1936 il Duce venne a fondare Aprilia.
    C’erano anche i miei zii naturalmente e lo hanno visto di persona salire su una trattrice Fiat ultimo tipo – un cingolato giallo-arancione nuovo fiammante dalla linea modernissima, hanno continuato a farli così almeno fino agli anni sessanta – mettersi alla guida, partire e tracciare il sacro solco di fondazione con l’aratro attaccato dietro. Anzi, se lei guarda le fotografie, quello che sta in piedi a fianco a lui con la tuta da meccanico e che lo assiste nelle operazioni, è proprio il povero sor Augusto Reali che era il caposquadra alla Motomeccanica di mio zio Benassi. Quello che si vede invece di fianco da quest’altra parte con la divisa nera ed il fez e che guarda di straòcio da sotto in su con l’occhio falso, quello è quel grandissimo cornuto di Berardo Frizzo, un siciliano – “sisiliàn” dicevano i miei zii, e cornuto proprio d’animo, non ci si poteva fare nessun affidamento perché ogni volta che diceva una cosa, poi può stare tranquillo che subito se la rimangiava, ci ripensava sopra proprio come i cornuti – che faceva sempre la spia a tutti quanti all’Opera combattenti, e poi prendeva mazzette dalle imprese e faceva ruberie su tutto. Io me lo ricordo ancora da ragazzo quando mi mandavano qualche volta a Aprilia dai miei zii Lanzidei e con i miei cugini andavamo poi qualche volta al cinema, lui era già un po’ anziano ma stava sempre dentro al cinema a dare fastidio ai ragazzini. Ti si metteva seduto vicino nel buio, ti diceva: “Dopo ti pago il gelato” e subito si metteva lì a tirarti una pippa. “Mi chiamo Berardo Frizzo”, faceva: “Vuoi che te l’attizzo?”. Lo avessero saputo mio zio Adelchi e il compare Franchini, di sicuro se lo sarebbero portato con loro sull’Amba Aradam. Abitava alle palazzine dell’Opera combattenti, al secondo piano, sul pianerottolo di fronte a dove abitava pure un’altra siciliana come lui, che si chiamava però Gerarda Rizza. “Ah, quella sì”, dicevano i miei cugini Lanzidei, “che te l’attizza”. Si pigliava solo trecento lire. Degli anni cinquanta.

    Ecco, tutto qua. Contento mo', Spadatra'?
    (Per la foto del Duce e di Berardo Frizzo, vedere a pag. 17 di 'Fascio e martello')

    Pubblicato 14 anni fa #
  18. rindindin

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    oh! Adesso sì! prima inserendo un personaggio di nome Gerardo Rizzo si poteva pensare fosse "quel" Gerardo Rizzo che tutti noi conosciamo, quel ragazzone di Agrigento che ha una montatura di occhiali per ogni maglietta, adesso invece questo Berardo Frizzo chi lo conosce? Mi andrò a vedere le foto a pag. 17. Mi rimane solo un dubbio su Gerarda Rizza...non è che per caso è la storpiatura al femminile di Gerardo Rizzo?

    Pubblicato 14 anni fa #
  19. leon8oo3

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    Topic da Oscar

    Pubblicato 14 anni fa #
  20. rindindin

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    mettici pure Oscar!

    Pubblicato 14 anni fa #
  21. Pantofola selvaggia

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    Sto meditando se accettare l'invito del signor K a scrivere qualcosa per il "Bit". Il problema è che non sono uno scrittore e non aspiro a diventarlo, però non si sa mai...potrei provarci. Il tema mi è peraltro familiare. Se dovessi buttarmi nella mischia, consideratelo l'ennesimo divertissement. A costo di sentirmi dire da qualcuno: "Ao' questo passa 'a vita a divertisse(ment)".

    Pubblicato 14 anni fa #
  22. A

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    A me questo pezzo piace moltissimo. Uno stile narrato, corale.
    Non vedo l'ora di leggere il libro.
    Cari saluti a K
    A

    Pubblicato 14 anni fa #
  23. k

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    Quel qualcuno mi sa di conoscerlo, non è che per caso girava qualche anno fa per i cinema di Aprilia? Comunque, Panto', ma che vuol dire che non sei scrittore? Nessuno nasce imparato. E poi diciamocelo, ma se c'è riuscito Gerardorizzo ci potrai riuscire pure tu, no? Tu pensa la prossima volta che viene a Agrigento e gli fai vedere un tuo libro. Anzi, mandamelo prima, che ti ci faccio una recensione che lo stende. Questo non ci viene più laggiù, te lo dico io, le ferie le va a passare a Cernusco sul Naviglio.

    Si deve pentire come un cane di quei suoi amanti afroamericani che ha preferito abbandonare solinghi al Carroceto. Stanno tutti là - a fucile dritto, come si suole dire - che lo aspettano ancora.

    Pubblicato 14 anni fa #
  24. leon8oo3

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    Si deve pentire come un cane di quei suoi amanti afroamericani che ha preferito abbandonare solinghi al Carroceto. Stanno tutti là - a fucile dritto, come si suole dire - che lo aspettano ancora.

    Ho una domanda per K. Ma adesso che G.Rizzo, ehem scusate volevo dire (se no si capisce troppo visto che è permaloso sulla privacy) Gerardo.R ha dato buca il personaggio scompare del tutto?

    Pubblicato 14 anni fa #
  25. gerardorizzo

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    ... qua però la dobbiamo finire di nominare il mio nome invano...

    Pubblicato 14 anni fa #
  26. Pantofola selvaggia

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    e ricordatevi di santificare le feste

    Pubblicato 14 anni fa #
  27. Pantofola selvaggia

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    Presi per buoni i consigli del sig. K, sottopongo alla Sua. e alla Vs. attenzione le prime righe del mio racconto d'esordio. Sicuramente il primo, probabilmente l'ultimo. Dunque siate sinceri, anche brutali se ritenete.

    COLLOQUIANDO

    Bussò al citofono con una certa riluttanza. Era talmente scintillante, con tutti quei tastini in acciaio inox incastonati in una lastra di vetro fumé, e con tutte quelle targhette, cromate come le marmitte di un Harley, che istintivamente si passò l’indice sui pantaloni per non lasciare tracce di unto. Su dodici delle diciotto targhette era inciso il logo della stessa azienda: TrendH Management & Consulting. “E ora? Dove cazzo busso?” pensò. Alla fine li pigiò tutti e dodici, lentamente e ordinatamente. Pochi istanti dopo una cacofonica ridda di voci in tailleur rispose all’unisono, ordinando con cordiale perentorietà: “Prego al piano…”. “Che minchia hanno detto? Parlavano tutte insieme! Non mi piace per niente ‘sta storia”.
    Diciamo che l’operazione “rilassati, è solo un altro colloquio” non stava andando per il verso giusto quella mattina. Aprì il portone ed entrò nell’atrio. Rimase basito. Non aveva mai visto un ingresso così ostentatamente lussuoso. Praticamente c’era scritto: “Entra merda, oggi è il tuo giorno fortunato e ringrazia il destino che ha concesso a un pezzente come te di vedere tutto ciò”. Ebbe l’impressione che tre generazioni di falegnami, ebanisti e indoratori avessero lavorato per arredare e decorare quell’atrio. Dietro quella che, per un attimo, gli ricordò gli scranni della Corte Suprema degli Stati Uniti, ma che in realtà era solo la portineria, c’era una enorme vetrata. Lunga una dozzina di metri e a tutta altezza, sembrava affacciarsi nel buio sebbene fosse primo pomeriggio. Gesu si avvicinò incuriosito ma non vedeva nulla, se non il riflesso di un abnorme lampadario, un incongruo oggetto volante apparentemente sospeso in aria, che illuminava oltre ogni ragionevole necessità la hall. Appena fu a poco più di un palmo dal vetro accadde qualcosa di imprevedibile: la luce si smorzò delicatamente, senza spegnersi del tutto, e contemporaneamente decine di spot illuminarono a giorno, fuori dalla vetrata, più in basso, le fondazioni del palazzo.
    Proprio così. Pilastri e plinti in cemento armato riemersi dalle tenebre. Poggiavano però su qualcosa che sembrava essere molto ma molto antico. Gesu ebbe un attimo di smarrimento, poi cercò di capire ma non ci riuscì. Cercò con lo sguardo un portiere che non c’era. Era sabato. Solo quando si accorse di una targa esplicativa ebbe chiaro di che si trattava: i resti di una antica villa romana rinvenuti durante la costruzione dell’edificio. “Cioè, ‘sto palazzo poggia su una villa romana! E il culo del palazzinaro dove poggia? Spero a Regina Coeli” disse tra sé incredulo.
    Ancora stordito, si mosse in cerca degli ascensori. Dopo una trentina di metri di passeggiata tra marmi, boiseries, e piante rare, trovò sei ascensori. Salendo, indugiò a guardare nello specchio se stesso, nel suo abito da colloquio, l’unico decente del suo guardaroba minimal e pensò che, obiettivamente, aveva una faccia poco acconcia ad un ufficio all’ottavo piano di un palazzo con vista EUR e piedi nell’impero romano. Per non dire della cravatta.
    Al quarto piano entrò un ragazzo che lo ignorò. Gesu si sforzò di inventarsi qualcosa da dire, e quando stava per farlo una voce lo interruppe, dicendo dall’altoparlante dell’ascensore “Ding, quinto piano”. Era cosi sensuale quella voce che ti saresti aspettato a seguire: “Terza porta a destra, non bussare è aperta, chiudila e spogliati che arrivo tra un attimo”. E invece “Ding, sesto piano”, “Ding, settimo piano”, “Ding, ottavo piano”. Era comunque una trovata geniale, pensata proprio per evitare l’imbarazzo di dover dire qualcosa in ascensore.
    Quando si aprirono le porte automatiche si ritrovò direttamente davanti alla reception dell’”Ufficio Ricerca e Selezione - Divisione Risorse Umane - TrendH Management & Consulting – NHC Group”. Gesu provò un grande disagio. Neanche il tempo di fumare una sigaretta, e soprattutto neanche un campanello da guardare mentre pensi se non sia il caso di lasciar perdere. “Molto scorretto” masticò incazzato. “Prego?” disse la segretaria dall’interno di un tailleur che la stritolava. “Si, ecco, sono Gesualdo Pizzo, sono qui per il colloquio, ho ricevuto l’e-ma…”. “Oh bene, mi segua”. La seguì. Praticamente lo fece accomodare tre sedie più in là, non più di ottanta centimetri di spostamento, però già nel corridoio, di fronte a una porta; l’unica a doppio battente. “Ha l’aria di essere la porta giusta”. Dopo mezz’ora di attesa arrivò il ragazzo dell’ascensore: “Piacere Ciro Protano, responsabile delle selezioni. Si accomodi qui, la chiamerò io fra poco”, sparendo dietro la porta senza neanche dargli il tempo di pensare “deficiente io mi sono già accomodato qui”. Rimediò subito dopo. Aveva avuto però il tempo di notare la sua cravatta. Diciamo che, quanto a eleganza e raffinatezza, tra le due era una bella lotta e la cosa, inspiegabilmente, lo rese molto più nervoso. Si soffermò allora ad osservare i dettagli della scena, le cose intorno, la loro disposizione, persino il cestino gettacarte e i portapenne sulla scrivania della segretaria, ed ebbe la sensazione che c’era qualcosa da capire, ma non riusciva a capire cosa. Un messaggio nascosto, un segnale da decifrare. All'improvviso gli venne da vomitare.

    ....

    Pubblicato 14 anni fa #
  28. Pantofola selvaggia

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    E infatti vomitò. Ma in un modo così violento che manco Linda Blair avrebbe saputo fare meglio. La porta di fronte, mezzo corridoio e un’intera parete apparivano irrimediabilmente compromesse. Svariati oggetti nel raggio di un paio di metri furono investiti dagli schizzi, compresa una fotocopiatrice che stava fascicolando centinaia di fogli di chissà quale documento. La segretaria sobbalzò nel sentire quello scroscio torrenziale, si alzò e, vista la scena, pensò bene di dare la sua pennellata su quel magnifico affresco. E due. Colpiti l’ascensore, il citofono, il portaombrelli e, solo di striscio, la boccia dell’acqua fresca. Vogliate crederci o no, non era finita lì. Ignaro di tutto, il signor Protano, che stava fingendo come sempre di fare qualcosa di importante nella sala riunioni giusto per alimentare un po’ l’ansia di chi sta fuori ad aspettare, chiuse la sottocartella “Anal” della cartella “Video scaricati” sul suo PC e andò finalmente a chiamare il candidato; aperta la porta fu investito da un puzzo così mefitico che sentì le budella implodergli. D’istinto corse verso il bagno in fondo al corridoio ma scivolò malamente (causa piogge precedenti), e nel cadere all’indietro perse il controllo del proprio esofago producendosi in una delle più spettacolari emesi acrobatiche, del tipo che potrebbe definirsi “ a girandola”. E tre.
    Nessuno disse una parola per almeno dieci interminabili minuti. La segretaria si era messa un fazzoletto cosparso di profumo sulla bocca, e stava a guardare l’unico angolo dell’ufficio che era stato risparmiato. Ogni tanto sbirciava di traverso la scena, nella speranza di aver vissuto solo un brutto sogno e di trovare tutto a posto, ma non appena le porte dell’ascensore entravano nella coda del suo occhio, partiva un altro conato che stentava sempre di più a frenare. Il signor Protano era senza dubbio quello messo peggio. Rialzatosi dolorante per la botta, si portò la mano alla schiena per conforto, ma non aveva calcolato che il suo lato posteriore era interamente insozzato, così lanciò una bestemmia che riecheggiò per almeno gli ultimi tre piani dell’edificio. Gesu era emotivamente annientato. Inseguiva invano lo sguardo degli altri due per capire come muoversi: cercare il dialogo, o programmare la fuga? Non seppe fare di meglio che fare il peggio che si possa fare in un momento del genere: parlare, ma a cazzo. Infatti si lasciò dire, consolatoriamente: “Adesso mi sento meglio, però”. Inutile dire che, nonostante il miglioramento, il colloquio non si fece più. Non quel giorno, almeno.

    .....

    Pubblicato 14 anni fa #
  29. tataka

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    Complimenti! Una vera figata! (e non volevi nemmeno scrivere...)

    Ci sono però dei pezzi che devono essere più fluidi, ma credo che rileggendo il racconto li noterai tu stesso.

    Pubblicato 14 anni fa #
  30. SCa

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    Il commento più banale sarebbe che fa vomitare. E invece no. Il modo di scrivere mi piace, fila che è una bellezza. Sul contenuto, boh, vediamo dove vai a parare.
    Comunque mi dispiace per te, ma la tua affermazione

    Sicuramente il primo, probabilmente l'ultimo.
    è chiaramente sbagliata nella seconda parte: ti sei infettato anche tu.

    Pubblicato 14 anni fa #

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