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cappa e l'intreccio romanzesco

(52 articoli)
  1. mauz

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    Qualche giorno fa: "...avevamo avuto in anteprima (esplicitata per iscritto credo per la prima volta) una dichiarazione di poetica di uno dei maggiori (non dico il maggiore perché è amico mio) autori contemporanei..."
    Vorrei ripartire da lì.
    Un manifesto poetico in piena regola non l'ha steso, però le basi del suo sistema (bel termine, minchia!) sono dichiarate. K crede nell'uomo. Non solo nel singolo, quell'animale adattabile e caparbio che tira fuori il meglio nelle condizioni più dure, che costruisce la città e la storia e tutte le opere, che sa all'occorrenza rimediare con atti virili ai guasti arrecati dalla propria incidentale ma persistente meschinità, stupidità, viltà. Crede anche nella specie. K crede in un progresso, forse in un progetto, in un finalismo positivo insomma. Crede che stiamo andando nella direzione necessaria e non casuale, in meglio e forse persino incontro al nostro destino di signori del mondo che ci è stato assegnato. Questa filosofia, in effetti è l'unica compatibile con la sua invidiabile vitalità ed è l'unica accettabile per tutti quelli che, possedendo un'anima appassionata, non s'accontentano di esaurirsi nel consumo egoistico del proprio tempo. Se così stanno le cose, ma naturalmente K potrebbe chiarirle meglio, allora le conseguenze sul piano del lavoro letterario ricadono in modo conseguente nella direzione di...

    Stop. Interessa a qualcuno? K apprezza? Se è solo per prendermi dei vaffanculi smetto subito. Oppure si potrebbe continuare. Dite voi.

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. mauz

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    Zafhod si riferiva ad alcuni interventi di K, il primo dei quali forse era questo:
    ...questo è un cosmo - se non te ne sei accorta - nato sotto il segno del male e non del bene, in cui la vita non può che cibarsi (e quindi uccidere) d'altra vita. Non c'è mai stato e mai ci sarà un momento X in questo cosmo, classificabile come punto d'equilibrio o "età dell'oro", non c'è stato un solo momento e mai ci sarà in cui il cosmo è stato uguale al momento precedente o a quello successivo. L'essere è divenire, Javhè in aramai antico non vuol dire "Io sono colui che è", ma vuol dire più esattamente "Sarò quel che sarò" e l'uomo è lo strumento più adeguato di questo suo divenire. E' l'uomo nel suo agire, l'unico agente del bene nel cosmo. Più modifica e più fa, e più avvicina Javhè a quel "sarò".

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. Zaphod oppure, foneticamente, Zafod. Perché la f seguita dalla h?

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. A

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    Raga', oggi è luna piena. Si nasce e si muore.

    K è un genio.

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. mauz

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    Torrearsa, ma tu c'hai sempre ragione, sarà mai che...

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. k

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    Boh... Che cazzo ne so?
    Fate voi.

    (Io, per me, ci debbo ancora pensare.
    So' quattro cazzate che m'erano uscite così,
    giusto pe' fa' arrabbia' Magda.
    Mo' andate avanti, se volete.
    Poi magari arrivo io
    (pure quella del dio vivente però era bella).

    (Forte sto Mauz però, eh? Intelligente, acuto, ammodino. Lei, Mauz, sta già d'autorità nel primo cerchio. Impari, Leon, impari.)

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. zanoni

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    Stop. Interessa a qualcuno?

    a me si'! anche se sul finalismo positivo ho dei fortissimi dubbi...

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. cameriere

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    ammodino,
    soprattutto.

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. mauz

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    Dichiaro subito che tenterò di ragionare come se mi rivolgessi a un liceale scoglionato e non do per scontato che tutti abbiano studiato W.Benjamin e B.Croce.
    Vediamo se il sistema ammodino ci porta da qualche parte. Nel frattempo è arrivata la domanda retorica (da F.Bassoli): “Lei sarebbe contento se io scrivessi di suo nonno attribuendogli anche azioni che non ha mai compiuto e mescolando verità storica con fantasie letterarie?” Immagino no! Infatti tutti scrivono dei nonni di un terzo e se a quello poi non piacesse, ciccia. Questo servirà dopo.
    Riprendo il filo...
    ... le conseguenze sul piano del lavoro letterario in modo conseguente portano a una scelta di tipo realistico. Se il mondo fisico e psicologico dell'uomo è istituito su un presupposto di realtà e razionalità condiviso e accettato (mi scuso per il ragionamento pedissequamente scolastico e semplificatorio, ma devo prevenire almeno qualcuna delle puntualizzazioni di Sciatobrulé), se questo mondo ha un senso, una direzione, una storia, eventualmente uno scopo, allora il racconto (la narrazione, l'enunciato, la rappresentazione) dovrà corrispondere se non proprio a un criterio di ripetizione, di specchio della realtà difficilmente praticabile, almeno a un'accettabile verosimiglianza. Ogni causa reclamerà le sue conseguenze, ogni cosa dovrà tenersi coerentemente alle altre, l'autore non inventerà a capocchia ma si documenterà coscienziosamente per esempio sui casi del nonno di Bassoli, fino a ricostruire una realtà per quanto possibile esatta come forse nemmeno saprebbe accertare l'anima del nonno in persona.
    Se il mondo funziona con regole positive anche la letteratura dovrà ubbidire a tali regole.
    K ancora scrive, e non fa una grinza, viste le premesse: “L'essere è divenire, Javhè in aramai antico non vuol dire "Io sono colui che è", ma vuol dire più esattamente "Sarò quel che sarò" e l'uomo è lo strumento più adeguato di questo suo divenire. E' l'uomo nel suo agire, l'unico agente del bene nel cosmo. Più modifica e più fa, e più avvicina Javhè a quel "sarò". Immagino sia chiaro a tutti che "Sarò quel che sarò" non una risposta sprezzante di Dio a chi chiedesse metti caso: “embéh (non so scrivere embéh, m'aiuterà Palazzoinfiamme), e tu chi sei?” Risposta tipo: “Sono chi mi pare, non rompere le palle!” Vuole indicare, anzi vorrebbe, e logicamente è assai discutibile e discusso nei secoli, un Dio immerso nel tempo e nello spazio, un Dio già implicato con la sua creazione, un Dio di secondo grado, un demiurgo, Demonio, infatti: (sempre K) “...questo è un cosmo ... nato sotto il segno del male e non del bene, in cui la vita non può che cibarsi (e quindi uccidere) d'altra vita”. La vita sarebbe per K quindi azione e l'uomo... l'unico agente del bene nel cosmo”. Perché solo “del bene”, questo dovrebbe specificarlo K, se nell'ottica dichiarata il male e il bene sembrerebbero avere ognuno il suo ruolo, forse intendeva del bene e del male, ma non è il punto saliente. “Più modifica e più fa...”, ci importa quindi anche la quantità dell'azione dell'uomo e l'accelerazione, diciamo pure, in base alla nostra esperienza, il precipitarsi dei fatti. Zanoni però dice: “sul finalismo positivo ho dei fortissimi dubbi”, pure io. E qui Zanoni o chi per lui abbia la bontà d'aiutaci se vuole. Perché l'azione è il nodo micidiale sul quale rischiamo di strangolarci nel senso che il romanzo dl '900...

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. zanoni

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    E qui Zanoni o chi per lui abbia la bontà d'aiutaci se vuole

    mi riservo d'intervenire in un secondo momento, a discorso meglio chiarito e avviato.

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. mauz

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    il romanzo del '900...
    Un passo indietro. Torno all'azione. Qual'é l'azione per antonomasia, quella che dichiaratamente mira a trasformare il mondo. Possiamo dire: il lavoro? Ci può stare? Il lavoro governa e mette in forma il mondo dell'uomo, trasforma l'uomo stesso e lo definisce, almeno nella vita sociale, secondo i rapporti di produzione. Il mondo del del Denaro naturalmente è anche il mondo del Diavolo. L'argento governa ogni cosa attraverso il lavoro, ma ricordiamoci per favore che il lavoro con sudore è la punizione divina specifica maschile, si badi bene, proprio come la procreazione e la cura della prole sono la maledizione “Genetica” della donna (rinunci Magdala, Almendra, alla sua mandorla priva di sapienza, guscio vuoto, soffra se vuole ma almeno taccia, en passant). L'azione (il lavoro) ha un suo risvolto di punizione dunque, in cambio abbiamo attinto alla mela della conoscenza e dobbiamo farcelo andare bene. Siccome poi dobbiamo farcelo andare bene per forza e l'uomo è sentimentale e abitudinario, va a finire che magari ci piacerà il lavoro, lo ameremo; come le donne, se stanno rilassate e sono un po' esperte, possono anche godere nel parto. Ci saremmo così resi liberi (tendenzialmente), attraverso il lavoro, dalle costrittive dipendenze imposte dalla natura. Se per K così stanno le cose (in linea di massima, ma spero che vorrà lui eventualmente aiutarmi ad aggiustare il tiro), anche la letteratura dovrebbe prodursi attraverso il lavoro, a rigor di logica infatti K dice a Bassoli, più o meno, non ritrovo il pezzetto: Lavora, impegnati, scrivi tu di tuo nonno, se no lo fa un altro, ci sono sotto le stelle infinite cose e meritano di essere descritte e cantate!
    Un momento, ma allora, se il lavoro è una punizione e le belle lettere sono un lavoro anche le belle lettere sono una punizione. Esatto dico io, se non per l'autore, spesso per chi legge. Si dirà: ma noi non siamo mica fedeli del libro, ce ne impippiamo della Bibbia. Calma... e allora cosa saremmo? Da quando ci siamo lasciati derubare del magnifico poiliteismo di Dioniso, cari miei, non possiamo non dirci “dei pirla”, o “cristiani” come diceva Benedetto Croce.
    Già, ma cosa si diceva? ...il romanzo del '900... E' che non ho il coraggio di pronunciare certi nomi enormi, il pudore mi frena, devo farmi coraggio.
    ..il romanzo del '900, in alcuni dei suoi risultati più celebrati ed effettivamente grandiosi, ha preso una strada ben diversa. I personaggi di Kafka, Musil, Joyce, Proust, Pessoa non fanno nulla (cito solo alcuni a titolo di esempio). Non parliamo della trilogia di Beckett.
    Da fastidio a qualunque autore essere ficcato in una categoria, ma non c'è niente da fare è la cosa più comoda.
    Dunque dovremmo distinguere (oltre agli inclassificabili per sublimità Hesse, Mann; ai cinici, furbi Calvino, Eco; agli svizzeri che sono svizzeri Bishel, Frisc; ai cazzoni come chi li stima Hemingway, Moravia, questo inciso serve solo ad agitare un po' le acque, non rientra nel ragionamento) due tipi di autori. I primi credono nell'uomo e i loro libri vengono scritti attraverso la punizione del lavoro. Ci metterei (solo a titolo di esempio)Doblin, Gary, i realisti sovietici e non sovietici. I secondi sono disillusi dall'uomo e dalla sua razza, i loro personaggi stanno immobili, senza trama, senza intreccio. Quelli che se dici plot ti sputano in faccia.

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. mauz

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    Mi scuso ma stasera proprio non riesco a finire. Sto' perdendo il passo ammodino. Andrò avanti domani. Avrei potuto scrivere tutto prima, è vero, ma l'esperimento che immaginavo comprendeva la possibilità di procedere con integrazioni provenienti dal forum. Pazienza.

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. A

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    nessun problema, avrai tempo e modo di esprimerti

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. zaphod

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    Fondatore

    Seguo con attenzione ma pur sempre da liceale scoglionato. Non ho studiato né Benjamin né Croce quindi, per favore, continua a non dare per scontato che tutti sappiano quello che sai tu.
    C'è in qualche passo un po' di "gigioneria" (cito Bruno Pizzul, io) a far vedere quanto sei bravo. Ancora devi convincermi, ma vai avanti così...

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. k

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    Io purtroppo dovrei lavorare ad altro e non ho quindi molto tempo per starvi dietro. In verità, avevo capito che questo lavoro lo avrebbero fatto Zaphod - che lo aveva promesso - e Mauz, che intanto ci si era accinto. L'idea di un saggio teorico a scrittura collettiva mi piaceva ed ero pure tutto speranzoso: "Vediamo un po' che cazzo mi spiegano di me? Hai visto mai...". Invece pare che tra i due non sia scattato il feeling. Mo' vediamo come va.
    Intanto però alcune brevi chiarificazioni.

    PREMESSA
    Quando parlo di uomo, sia chiaro che qui parlo di Homo sapiens come specie, sia maschio che femmina quindi. Anzi, prima la femmina e dopo il maschio. Va bene, Magda?
    E adesso procediamo.

    1) - Il finalismo
    No, io non sono esattamente convinto che la mia interpretazione dell'essere, del non essere e del divenire sia giusta. Anch'io ho fortissimi dubbi sul finalismo positivo, la mia non è un'adesione totale o fideistica, di tipo religioso. Che cazzo ne so di come stanno di là le cose per davvero? Che ne so se l'essere e la vita abbiano un senso? Anzi, tutto - secondo ragione - lascerebbe pensare che non abbiano senso alcuno, se non il puro, casuale e loro essere. Però io ci sto - e questo è un dato di fatto - sto nel mondo. E a questo punto un senso alla mia vita - anche ammesso che non abbia senso alcuno - a questo punto un senso alla mia vita sono io che debbo dargliela. Non m'importa che ce l'abbia o meno, io ci sto e glielo do, e cerco di darglielo tentando di trovare un filo che leghi me a tutti quelli come me, sia che siano venuti prima o che vengano dopo. E questo filo si chiama Storia. E' l'unica cosa di concreto che ho in mano, per poter tentare di capire qualche cosa. Quindi, ripeto, io non lo so se c'è una finalità nell'essere o nel divenire, e non so nemmeno se questa finalità sia positiva, ma quello che so è che se io voglio stare degnamente nel mondo (degnamente rispetto alla mia natura di "uomo nella Storia"), io debbo comportarmi come se questa finalità ci fosse e ci sia e – se c’è – non possa essere che positiva. Poi so' cazzi sua - dell'essere o del divenire – come stanno le cose. Io la partita e il dovere mio li ho fatti.

    2) - Il bene, l'uomo e il male
    Certo, se questo cosmo è significato dal male (cioè dalla violenza), è evidente che il male non possa non essere anche nell'uomo. Anzi, era od è già nel Dio eventualmente creatore di questo cosmo. Era ed è in lui, non si scappa (questa cosa - che avevo in parte ripreso da Umberto Eco - sta già nella parte finale dell'Autobus di Stalin, che, se volete, domani vi posso pure postare), ed è in ogni e qualunque manifestazione della vita del cosmo. Quando sostengo quindi che "l'uomo è l'unico agente del bene", non intendo dire che in lui non ci sia il male. Anzi, lui è portatore come tutti gli altri esseri di tutto il male del cosmo. Intendo però dire che lui è l'unico - rispetto a tutti gli altri esseri ed al cosmo stesso - che ha in sé anche il germe del bene, la sua consapevolezza, la "conoscenza", ed agendo questa conoscenza lui è l'unico che può agire il bene (la non violenza) fino a risvegliare il Dio dormiente e mutare il corso generale dell'essere e del divenire.
    Il mio povero fratello Gianni che ora non c'è più e che aveva amato molto però l'India e l'induismo, diceva che tutti noi, ossia il reale, non siamo che un sogno di Dio. Lui sta dormendo (durante l'eternità ogni tanto si stanca, e allora s'addormenta) e nel sonno e nel sogno lui non governa con il suo Io tutto il suo Es, ed il suo Es - ossia ogni parte di lui, compreso il male - se na va in giro libero e giocondo e si fa i suoi sogni, i suoi giochi, la materia. E noi - il nostro cosmo - siamo questo: un suo sogno, o parti d'un suo sogno, se non d'un incubo. Sta a noi svegliarlo, unici agenti del bene e del suo Io.

    3) - Il lavoro come punizione?
    Non lo so, non sono d'accordo. Per me il lavoro è liberazione, poiché solo da un lavoro ben fatto - e soprattutto condiviso - nascono le poche occasioni di felicità vera (questa cosa credo sia esplicitata in quel piccolo testo Il piacere che sta in home e che trovate comunque sullo speciale di Limes, Stregati da Pennacchi, ma se volete si può ripostare. Un'altra breve cosa invece - sempre su questi argomenti - dovrebbe uscire su D, la Repubblica delle donne, sabato 4 settembre. Poi la posteremo).
    Ora è anche vero che questa interpretazione del lavoro come felicità potrebbe pure essere una manifestazione masochistica di un mio eventuale “parossismo pionieristico”, però è anche vero che l'interpretazione che dà Mauz del lavoro come punizione, nasce esclusivamente sulla base delle fonti bibliche. Sì, nella Bibbia è scritto proprio così. Si tratta però di vedere qual è il Dio che parla nella Bibbia (dando pure per scontato, ovviamente, che lì sia davvero un Dio che parla, e non la pura e semplice raccolta di una serie di racconti e di leggende popolari, di creazione esclusivamente umana). Ma diciamo che è Dio.
    Qual è il Dio che lì parla, però? Il Dio vivente, padrone del suo Io, o il Dio dormiente, creatore nel suo sonno di questo cosmo?
    E se è il Dio dormiente, come sono da prendere le cose che dice? E' quello che veramente lui pensa, o è un'altra alterazione del suo sogno, un altro aspetto dell'incubo? Ora Mauz ricorderà che c'è un brano del suo Mann nella Morte a Venezia che dice proprio:

    "Chi è fuori di sé non teme nulla quanto il tornare in sé".

    Allora, Mauz, siamo proprio sicuri che il lavoro sia la punizione per l’aver mangiato il frutto della conoscenza, o che non sia invece il lavoro la conoscenza stessa? E il Dio che si incazza per questa nostra acquisizione della conoscenza (e qui è bene ricordare sia a Magda che a tutti noi, che questa ascquisizione la dobbiamo tutta ad Eva) è il Dio vigile e vivente, o è il Dio dormiente “fuori di sé”, terrorizzato che dal nostro lavoro e dalla nostra conoscenza possa essere determinato il suo risveglio, ed il ritorno alla ragione? Per quella che è la mia visione del cosmo e dei doveri dell’uomo – la mia “poetica”, come dice Zaphod – la scelta obbligata sta nella seconda: il lavoro è la conoscenza.

    POSCRITTI
    1) - Per Mauz
    Kafka ci penserei due volte a metterlo in quella lista. In Kafka c'è racconto, c'è storia, c'è azione. La ricerca di sé non viene fatta guardandosi dentro attraverso l'ombelico, ma guardando fuori, cercandosi nel mondo e dentro gli altri, per tornare poi a sé, e da sé di nuovo agli altri.
    Anche su Hemingway & C. (poichè basta pure un’opera sola, non sono necessarie tutte, per significare appieno un autore) ci andrei più piano. Ne Il vecchio e il mare, per esempio, lei non trova che ci siano tutte - e dette magnificamente - le cose di cui stiamo trattando qui? E ne La ciociara?

    2) - per A
    Non so cosa ne pensi lei, ma ci tengo comunque a precisare che tutto quanto da me detto qui, non ha nessuna pretesa di logica filosofica. E' solo estetica. "Poetica", come dice Zaphod. Ma del resto - nella storia dell'uomo - tutto quanto c'è di mito, di cosmogonia e di religio non è, esso stesso, che pura mitopoiesis?

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. A

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    Non so cosa ne pensi lei, ma ci tengo comunque a precisare che tutto quanto da me detto qui, non ha nessuna pretesa di logica filosofica. E' solo estetica. "Poetica", come dice Zaphod. Ma del resto - nella storia dell'uomo - tutto quanto c'è di mito, di cosmogonia e di religio non è, esso stesso, che pura mitopoiesis?

    Per K. Innanzitutto è bello quanto dice. Il fatto che non abbia una logica..non credo. La vita è frammentaria e l'immaginazione cerca di intuirne unità di senso senza il dovere di forzarle in una logica, che la storia del pensiero condanna al totalitarismo speculativo (e non solo). Tranne che uno non voglia essere fedele allo Hegel dell'"Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio" . (Ma trovo invece molto sinistra-hegeliana certe eco, come il discorso che l'essenza della vita è il divenire. Per non parlare del lavoro come essenza dell'uomo: Marx lo prende da Hegel e lo sviluppa, come sa) Tuttavia, come ho detto sopra, c'è molto del tardo Shelling [secondo me] in quanto Lei dice: (il dio che si risveglia nella natura antropizzata, nonchè la ripresa del mito dello Tzimzum, forse)
    Ora sto un po' di corsa, ma ci terrei a dire qualcosa di più argomentato, non appena avrò un po' di tempo.
    Ps. Anche la distinzione aristotelica di Mithos e Logos è ampiamente superata. Quindi "poetica" in senso di concezione generale mi sembra plausibile. A presto.

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. magda

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    Homo sapiens inteso come termine che individua una specie di femmine e di maschi è già di per se indicativo dei limiti sessisti di Linneo. Ma poverino lui neanche lo sapeva seppure come voi nato di donna. Noi tutte prese a portare a termine la vita a nutrire e cucinare anche l’ultima cena, in quanto genitore femmina occupate nel modo della madre, da subito li confinate, mentre il sapere è stato fondato da voi maschi e dalle vostre proiezioni monoteiste, altro che bene e male. Va là ragazzi, ma fino a che non si pensi anche il modo di vedere di una Dea resta tutto molto settario.

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. mauz

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    Grazie per i contributi, vedi che mo' esce un bel lavoro!? Per ora preciso due cose a Magda in base anche a ciò che dice K chissamai che cade da cavallo.
    "il Dio che si incazza per questa nostra acquisizione della conoscenza (e qui è bene ricordare sia a Magda che a tutti noi, che questa ascquisizione la dobbiamo tutta ad Eva)".
    No K, Dio non si incazza, Magda (Eva) se l'era presa proprio la conoscenza, una volta per tutte doveva essere, eterna la punizione ma eterno anche il beneficio, e Dio poteva prevederlo mi pare! L'attributo iconologico della (Santa ma anche Zoccola) MaGdalena è una mandorla piena di luce. La mandorla, la Magda, racchiude ERMETICAMENTE (Ermete, Ermes) la conoscenza. Nella donna starebbe dunque una certa specifica rivelazione. I fedeli d'amore e i provenzali, le Laure, le Silvie, erano il pane dei nostri denti, erano l'anima della nostra anima, quando potevamo essere poeti. L'espressione Conoscenza Carnale dovrebbe indirizzarci a qualcosa. Per questo l'ignoranza belluina e la mancanza di modestia nella donna moderna (scusate la generalizzazione, ed evviva alle magnifiche eccezioni) fa inorridire perché la sua sordità spirituale è uno degli effetti demoniaci che generano la maggiore sofferenza possibile, in particolare nel bambino, suo succube purtroppo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. magda

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    Si forse è vero Dio creò l’uomo a sua immagine; e lo creò a immagine di Dio; ma li creò femmina e maschio. Io ero Lilith. Poi ti dissi :Non starò sotto di te, tu rispondesti: E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra. Me ne andai lasciandoti nel tuo bel giardino e tu ti mettesti con una sciacquetta. Con lei tra la prima volta e la seconda ti ci son voluti centotrentanni, con lei ti perdi in chiacchiere e la ritrovi ogni volta più vecchia. Con me la passione è eterna, non muore mai. Occupo i tuoi sogni come una civetta.

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. Io ritengo che K non creda nell'uomo. Ma nella capacità di trasformazione, sia in positivo che in negativo, che il lavoro riesce a produrre nell'uomo che lavora o non lavora. Insomma ognuno di noi sarebbe operaio di sé stesso. Operaio e quindi artefice, nel bene o nel male, indirettamente, del proprio destino. Se operi bene evolvi, se operi male involvi, come insegna "Palude". Puoi salire di cerchio o retrocedere, a seconda del lavoro che fai. Ma fermo non stai mai, perché evidentemente chi si ferma è perduto.

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. la lavandaia

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    si parla di Dio e si arriva a (D)io.

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. mauz

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    E' vero la lavandaia, ma io esce con qualunque argomento. Pare che i pigmei e gli aborigeni vadano indenni da questa affezione.
    Scusate ma devo tornare a Magda per un attimo. Era mela... diventa mandorla dietro la bocca. Passa (tutto) il tempo e i nostri scienziati decidono che non serve a niente. E' una ghiandola inutile l'amigdala: è un relitto evolutivo. Tanto casino per niente. Sta lì così nel cervello e non fa un cazzo, aspetta solo di beccarsi eventualmente un cancro. Poi arrivano i dottorini new-age, dio li aiuti, e ci informano di quanto segue:
    la ghiandola detta Amigdala che assieme al Talamo ed all’Ipotalamo, fa(nno) parte del sistema limbico, quello che soprassiede alle emozioni, al piacere ed alle principali funzioni fisiologiche: battito cardiaco, circolazione sanguigna, linfatica e nervosa; l’Amigdala agisce anche sul sistema vegetativo e in maniera positiva sui vari organi del corpo; sollecita il Talamo ed il Timo e si attivano le difese immunitarie rendendole sempre vigili ed attive, inducendo particolarmente la produzione dei Linfociti T, quindi rafforzando il sistema immunitario; (hai capito perché senza la mandorla siamo tutti più malati e infelici, le allergie ecc.?)
    ...e ancora...
    in particolare dell'amigdala, il centro che presiede alla valutazione dell'intensità emotiva e concorre alla formazione della memoria emotiva.

    amìgdala (definizione wikipedia) sing f
    1. (medicina) ghiandola del retrobocca, a forma di mandorla; tonsilla (estensivo) ogni altra formazione anatomica simile
    2. (medicina) formazione anatomica del cervello (telencefalo) facente parte del lobo temporale. Si ritiene sia responsabile delle risposte emozionali condizionate
    3. manufatto preistorico di pietra scheggiata, a forma di mandorla, usato come strumento di lavoro o come arma
    4. concrezione minerale nella cavità di una roccia
    Nell'ottica della fisiologia yoga: adja chakra, il sesto.

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. la lavandaia

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    Il mandorlo è il simbolo della primavera, della nascita, della resurrezione.
    Il primo albero che fiorisce. E non è un caso se a Girgenti, nella valle dei templi, davanti al Tempio della Concordia ogni anno si svolge la sagra del mandorlo in fiore.
    Volendo approfondire anche il primo sator palindromo era a forma di mandorla.
    Molte iconografie di San Giacomo Campodistelle sono a forma di mandorla ed anche alcune icone votive alpine, vedasi Castelmagno prov. di Cuneo.
    Mandorla dal guscio duro e chiuso come a voler indicare che le vere perle vanno protette e rivelate solo a chi è in grado con l'aiuto di (D)io a penetrare sin dentro la vera essenza.
    Per arrivare al centro dell'essenza è necessario il sacrificio, il duro lavoro, l'abnegazione, l'onestà intelletuale e morale, ma sopra ogni cosa la costanza. Senza costanza il guscio non si spezza e la perla non si rivela.

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. mauz

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    Membro

    ...Gianni che ora non c'è più e che aveva amato molto però l'India e l'induismo, diceva che tutti noi, ossia il reale, non siamo che un sogno di Dio.
    Stiamo dunque con K al gioco, al sogno di Brahma, alla danza di Shiva, se si vuole, la maya, e prendiamo tutto questo sul serio. E' un gioco serio, non per convinzione definitiva, le regole del gioco le abbiamo accettate anche perché non eravamo nella posizione di fare altrimenti, ma partecipiamo in modo forse un po' convenzionale, dentro quelle regole, e per dignità di buoni giocatori giochiamo come si deve. Se gioco a Rialzo, sono anche disposto a rompermi i denti sul gradino e spicco un salto che di regola non mi sognerei di fare manco morto, ma nel gioco ci può stare, se mi sarò rotto i denti dirò: pazienza, stavo giocando, ce l'ho messa tutta.
    Ora vediamo il lato della scrittura, un autore che prende sul serio la vita dovrebbe necessariamente prendere sul serio anche la letteratura? Certamente sì. Non come gli scrittori svizzeri che sembrano voler giocare, con classe, con stile, con ironia, ma giocare. Prendi Durrenmatt, è magnifico quello che scrive, ma sembra che metta al mondo i suoi personaggi al solo scopo di prenderli poi per i fondelli. La condizione dell'uomo nei suoi libri sembra micidiale, stupida, tragica, ma mai seria (questa battuta non l'ho inventata io). K invece immagino che ami i suoi personaggi, che li rispetti, che creda in loro.
    Se ha ragione Bassoli (Io ritengo che K non creda nell'uomo. Ma nella capacità di trasformazione, sia in positivo che in negativo, che il lavoro riesce a produrre nell'uomo che lavora o non lavora), crede almeno in loro in quanto esseri suscettibili di evoluzione che non è poco. In Durrenmatt questo non c'è, i suoi svizzeri iniziano la storia da storditi e rimbecilliscono ulteriormente a vista d'occhio durante il racconto.
    Bassoli qui però potrebbe spiegare meglio un punto, ad essere amati, creduti, rispettati devono essere i singoli o la specie? Perché la cosa è ben diversa. Il singolo potrà evolvere, ma poi il figlio ricomincia daccapo e alcune volte peggio, assai peggio!
    Esistono due teorie opposte: Una (la nostra moderna) dice che il mondo va sempre avanti in meglio. L'altra, negletta ma formidabile, dice che la civiltà umana (non si parla dei singoli, attenzione) altro non sarebbe che una parabola discendente di oscuramento progressivo e irrimediabile nella quale tutto alla fine si ritrova a rovescio, i peggiori prevalgono eccetera ecc.
    Allora il lavoro ci porta avanti o indietro? Serve a distruggere il mondo o a perfezionarlo? Perché il lavoro non lavora (sic) solo su chi lo esegue, ma anche sulla Terra, anzi soprattutto (malauguratamente) sulla Terra.
    L'Azione, qualunque azione, qualunque intreccio, qualunque dinamismo romanzesco, in questo caso sarebbe il primissimo dei mali da evitare assolutamente. Il lavoro, l'azione dunque, è punizione? Dov'è, se c'è, il nesso? Bisogna rileggere Bassoli: ...la capacità di trasformazione, sia in positivo che in negativo, che il lavoro riesce a produrre nell'uomo che lavora o non lavora...
    Se ci rifletto, sempre per gli indiani, mi accorgo che Azione si deve tradurre esattissimamente con Karma e anche tutti gli effetti dell'Azione sono Karma. Non solo, quello che in occidente si chiama Peccato, e da loro non esiste, é sempre Azione, Karma, dunque Karma che genera Karma. Un peccato che genera la corrispettiva, naturale punizione in India non è altro che Azione che genera Azione, senza dunque il peso inutile di queste coscenze cattoliche sbriciolate sul nascere... fottuti già in origine. Originali (generalmene solo in quello).
    Lavoro Peccato Originale o unica possibile liberazione.
    E' vero che, come dice K: “il lavoro è liberazione, poiché solo da un lavoro ben fatto - e soprattutto condiviso - nascono le poche occasioni di felicità vera”. Potremmo metterla così: se si tratta di una punizione sia almeno una punizione con intenti rieducativi. E poi chi ha detto che una punizione dev'essere necessariamente spiacevole? Ogni punizione deve essere quella giusta e adatta al soggetto. In più, come già detto da Simenon, l'uomo alla fine ama il proprio tugurio più di una reggia. E amerà facilmete, quando davvero è nato fortunato, il proprio lavoro utile, nel quale egli impiega se stesso, i propri tendini, le propie capacità.
    L'intreccio del romanzo, ugualmente, dovrebbe rispettare questa regola: azione che genera azione. La libertà s'intende, esiste, ma dentro questi limiti. I limiti del REALE.
    Si dà però il caso che nella storia della letteratura gli autori assolutamente realisti siano pochissimi. Adesso lascio stare i novecenteschi del tutto non realisti (speriamo, perché la realtà di Kafka è un po' burocratica), sui quali mi stavo incartando ieri sera; perché dovremmo chiederci correttamente se invece le cose un po' strane che vedono loro non siano quelle, davvero reali e con questo usciremmo dal tema.
    Chi riesce a ricordare il nome di scrittori realisti, prima dell'anno milleottocento: Luciano, Sade (no scherzo), gli storici romani, Lao Tze? Persino le storie di Erodoto che dovrebbero essere una relazione oggettiva di viaggi sono infarcite di panzane colossali e fantasmagorie bestiali. Ecco, su questo mi piacerebbe essere contraddetto... tenedo conto che:
    (spero di azzeccarla questa) Realismo significa credere alle informazioni che provengono dai nostri organi di senso (i soliti cinque) e dalla nostra ragione (solo una, quando va bene).

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. Secondo me i personaggi di K lottano disperatamente per migliorare e riscattarsi perché inconsciamente sanno di avere un karma negativo (e infatti menano, dicono parolacce etc.). Hanno una specie di senso di colpa che riescono ad esorcizzare solo attraverso una lotta continua fatta da una successione di azioni più o meno efficaci, ma che in realtà mirano sempre alla conquista di qualcosa (maggiore benessere, maggiore conoscenza del mondo, maggiore cultura).

    Il mondo segue sempre la logica del saliscendi: le cose non vanno mai in un'unica direzione, o migliorano o peggiorano. Hai presente l'andamento delle azioni in Borsa, no?

    Pubblicato 13 anni fa #
  26. zanoni

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    Membro

    Il mandorlo è il simbolo della primavera, della nascita, della resurrezione.

    faccio un off topic clamoroso, chiedendo anticipamente scusa per la digressione e per l'ignoranza clamorosa che manifesto. ce l'hai qualche fonte sul mandorlo come simbolo della resurrezione? non potro' mai dimenticare quelli piantati attorno al tempio di Adone e Afrodite a Idalion (a Cipro, nel luogo esatto in cui secondo il mito il cinghiale di Ares fece fuopri Adone). piu' primavera, mascita e resurrezione di Adone... e quel giorno ero quasi posseduto per l'emozione, non facevo che aprire e mangiare/distribuire mandorle. mi dicevano che era ora di andare e io non volevo sentire, comtinuavo imperterrito...

    Pubblicato 13 anni fa #
  27. mariuccia

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    Membro

    Gentile A, spiegherebbe questo passaggio per favore, se ha voglia?: Anche la distinzione aristotelica di Mithos e Logos è ampiamente superata.

    Pubblicato 13 anni fa #
  28. Per Zan: ma scusa è così semplice... sei la reincarnazione der cinghiale...

    Pubblicato 13 anni fa #
  29. zaphod

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    Fondatore

    avevo capito che questo lavoro lo avrebbero fatto Zaphod - che lo aveva promesso - e Mauz, che intanto ci si era accinto. L'idea di un saggio teorico a scrittura collettiva mi piaceva ed ero pure tutto speranzoso: "Vediamo un po' che cazzo mi spiegano di me? Hai visto mai...". Invece pare che tra i due non sia scattato il feeling.

    Mi corre l'obbligo di precisare che non avevo promesso proprio di fare alcunché - ma avevo solamente sottolineato con soddisfazione che il nostro umile sito era teatro di dichiarazioni che un giorno avremmo studiato nei libri di scuola, e tanto mi bastava - e pure che con il nostro sempre più simpatico topomaus (sia letto senza ironia e con affetto) avevo aperto speranzoso un credito, anzi, avevo cercato di sollecitare una maggiore chiarezza espositiva per evitare quel tono da "iniziati" che questa discussione rischia di prendere a ogni post.
    (Su una cosa cià ragione magda: quando si scrive una parola difficile c'è subito qualcuno che vuole far vedere che ce l'ha più lungo e spara un concetto criptico e arcano. La stessa Magda non è esente da questo vizio falloquantofrenico con tutta la pippa su Lilith e i sette arcani maggiori della giostra delle vanità)
    Ripeto: sono un liceale scoglionato. Normalmente passavo le ore di lezione a studiare per le eventuali interrogazioni delle ore successive o a scrivere insieme ad altri debosciati una pubblicazione nomata "Sadicux" che non ha mai visto altra carta che quella del diario su cui la scrivevamo. Però ciavevàmo un professore d'italiano che - il Cameriere lo sa bene - certi giorni partiva per la tangente e - solo perché sul libro di letteratura trovava scritto "questione strutturale" - e ti spiegava per filo e per segno e con dovizia di particolari tutta la teoria marxista. Era un fenomeno: un giorno è entrato in classe e mentre poggiava la borsa sulla cattedra ha detto: "Lanzidei oggi non hai studiato!". Ma che dice, professore, altroché se ho studiato. "Alora vieni qua e fammi sentire", e ho fatto una delle figure più barbine della mia non esaltante carriera scolastica.
    Ecco. Se qualcuno le cose me le racconta con passione io lo sto a sentire. Se vuole solo farmi sapere che ne sa più di me, passo oltre. Sai quanti ce ne stanno che ne sanno più di me.

    A me questa cosa del "finalismo positivo" ha stonato subito appena l'ho letta. E mi ha richiamato invece una lettura che mi è stata molto utile per la tesi di laurea. Si trattava di un volume Psicologia dei costrutti personali, autori certi Bannister e Fanzella, preso in prestito proprio alla biblioteca di Latina. Ecco, sto libro mi ha permesso di mettere un punto fermo intorno al quale far ruotare le idee che andavo elaborando all'epoca.
    E' importante trovare il punto fermo quando scrivi una tesi di laurea. Quando arrivi alla tesi ti trovi a rispondere alla domanda:"Cosa ci sto a fare io qua?" E se non sei bravo e svelto a trovare una risposta rischi di affogare in un maelstrom di incertezze. Una mia amica/collega d'università ha cominciato a interrogarsi prima sul suo oggetto di studio, poi sul perché stava studiando questa cosa, e poi manca poco che si rimette a dare tutti gli esami daccapo per rifare il piano di studi come le pareva più giusto. Io mi sono fermato prima. Dovevo fare una ricerca. Ho dovuto - se non l'avessi fatto sarei stato male - approfondire cosa significava la parola Ricerca e i signori Bannister e Fanzella hanno messo la ciliegina sulla torta con la loro teoria dell'uomo ricercatore.
    Insomma, secondo questa teoria "costruttivista" l'individuo si comporta essenzialmente come uno scienziato fa (o dovrebbe fare) in laboratorio: elabora teorie sul reale, conduce esperimenti, a seconda dei risultati delle sue sperimentazioni modifica la sua concezione del reale e procede con nuovi esperimenti. In questo processo l'individuo "costruisce" la sua Identità che non è data una volta per tutte, ma è in continua elaborazione. In questo processo non c'è né pedissequo adattamento all'ambiente, né teleologia spicciola. Tutto grava sulle nostre spalle. Siamo responsabili del nostro destino in quanto decidiamo con la nostra azione (consapevole o inconsapevole) quello che vogliamo essere.
    Pochi giorni dopo la nascita di mia figlia - la tenevo in braccio e la guardavo estasiato respirare, muovere la bocca, le sopracciglia, gli occhi - cercavo di capire che aspetto avesse. Come sarebbe stata da grande. Mi sono reso conto che non era già scritto niente. Certo, c'era una chiara impronta genetica, ma sui lineamenti di quella bimba ho letto le infinite possibilità che quel volto avrebbe potuto scegliere. Sono passati dieci mesi e ha già fatto delle scelte che la fanno essere questa Ilaria e non una delle infinite bambine che avrebbe potuto essere. C'è un fine in questo? Non credo. C'è sforzo, fatica, soddisfazione, impegno.
    Fine - per come la vedo io - è troppo sinonimo di termine.
    L'umanità è fatta per andare oltre.

    buona notte
    (e scusate lo sproloquio)

    Pubblicato 13 anni fa #
  30. capirai cosa ci mette a diventare più bella del padre...

    Pubblicato 13 anni fa #

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