Giorni fa, senza troppe aspettative sull'esito (ma tentar non nuoce), ho inviato a uno di questi giornali gratuiti che distribuiscono nelle stazioni romane il pezzo sottostante. Ciao a tutti e buone vacanze a chi le fa e buon lavoro a chi ce l'ha e in bocca al lupo a chi attende tempi migliori.
Quando la misura è colma
Metro “B”, fermata Garbatella, mese di luglio nell’anno del Signore 2012, in un giovedì pomeriggio (ma potrebbe essere qualsiasi altro giorno della settimana) intorno alle 19 (ma sarebbe lo stesso se fossero le 17, o le 15). Guardo scorrere due convogli bianchi diretti a Conca d’oro, e aspetto rassegnato il prossimo, sperando che sia bianco pure quello… Dopo oltre dieci minuti arriva il treno per Rebibbia: ovviamente non è bianco e, ovviamente, è pieno oltremisura. Guardo sconsolato la gente cercare di salire a bordo spingendo il muro di carne sulla soglia e butto un occhio al tabellone per valutare il da farsi. Secondo l’oracolo luminoso la prossima corsa per Rebibbia arriva tra quattro minuti: decido di aspettare; in fondo, come si dice, fatto trenta (per la precisione tredici minuti) facciamo trentuno (che saranno diciotto, alla fine). Finalmente arriva l’agognato treno, ma il colore è sempre da fumata nera. Salgo rassegnato nel girone infernale consapevole che un’ulteriore attesa comporterebbe la certezza matematica di perdere almeno la penultima se non l’ultima corsa del Cotral via autostrada diretta a Tivoli. Il tempo di mettere i piedi a bordo del vagone e già le gocce di sudore si moltiplicano sulla fronte, sul collo e lungo la schiena. Mi cerco a cortesi spintoni un angoletto dove prendere un po’ d’aria dal finestrino quando il treno è in movimento. Ma già dalla fermata successiva il vagone si riempie fino all’inverosimile e mi ritrovo circondato da una moltitudine di dannati, che imprecano e sbraitano; in silenzio alcuni, a voce alta gli altri. Una turista americana al mio fianco muove con frenesia il ventaglio e parla a raffica con i suoi compagni di viaggio. Mi avvicino col viso per rubarle un pizzico di vento caldo e attendo, fermata dopo fermata, che il lento trapasso giunga a compimento. Quando la signora scende a Termini ho collezionato solo poche battute del suo slang, ma emblematiche dell’impressione che l’efficienza della nostra capitale le ha regalato: Jesus Christ, incredible, like a shower, e, last but not least, shit…
Decido di sedermi sul sedile che si è liberato di fronte a me, e intanto il fiume umano continua a inondare la carrozza. Mentre ci lasciamo alle spalle la stazione Termini sbircio l’ora e valuto che salvo complicazioni forse riesco a prendere addirittura la penultima corsa via autostrada a Ponte Mammolo. Le pagine del mio libro mi chiamano come sirene in quell’aria liquida e provo a tuffarmi nel loro abbraccio nella speranza di un diversivo “rinfrescante” almeno per il cervello. Ma non c’è verso di concentrarsi nella lettura: a quelle latitudini, senza quel brandello d’aria che ogni tanto s’insinua attraverso i finestrini, e con la muraglia vivente che si erge sopra di te, anche il libro inizia a sudare lacrime di carta. Una ragazza al mio fianco si terge la fronte con un fazzoletto e, mossa a compassione, me ne offre uno. La ringrazio e, da cosa nasce cosa, iniziamo a parlare del nostro gaudio, essendo il mal comune. La chiacchierata e la comunanza di dispiaceri quotidiani hanno il potere di distrarmi, al punto tale da non farmi quasi rendere conto della prolungata sosta alla stazione Policlinico, la cui conseguenza diretta è la perdita della penultima corsa da Ponte Mammolo. Ma pazienza, c’è sempre l’ultima, giusto? Giunti a destinazione, dopo il saluto di rito con la gentil donzella e l’augurio di rivedersi in circostanze meno avverse, c’è da affrontare l’esodo nevrotico verso le banchine dei bus in partenza, ma prima bisogna attraversare, o meglio imboccare, i pertugi asfittici di un’incredibile porta a vetri scorrevoli (che non scorrono da anni e spesso si chiudono al passaggio degli sventurati come fauci d’un Cerbero che non vuole saperne di lasciar scappare i dannati). E poi, finalmente, la terra promessa: Ponte Mammolo e quella maledetta ultima corsa… Soppressa, come accade spesso e volentieri in quei luoghi "ameni”, ma questa è un’altra storia, e la dovremo raccontare un’altra volta…
LB – 14 luglio 2012