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Forum Benassi Peruzzi

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    A. Pennacchi

    QUESTIONI DI FAMIGLIA, QUESTIONI DI NAZIONE:
    IL VENETOPONTINO
    (In memoria di Gianni Pennacchi)

    C’è il primo dei miei nipoti – figlio d’una mia sorella e d’un campano, primo dei nostri nati della terza generazione qui, anche se poi vissuto a lungo a Santa Maria Capuavetere (Ce) – che dopo avere letto Canale Mussolini ha posto alcune questioni che sembrano esulare dal mero ambito familiare.
    Riporto il suo messaggio per intero.

    “Ciao Zio, non sono bravo a esternare sentimenti e quindi proverò a scriverteli anche se non sono bravo neanche in questo. Mannaggia a te! ho pianto e riso come un disperato. A piangere non ci vuole molto, visto che appartengo ad una famiglia di piagnoni. Ma a ridere e a commuovermi ce ne vuole un po’ di più. Tu sei riuscito nell'intento e ti devo ringraziare. Io non so se perchè alcune storie mi ritornano dalla memoria di racconti di famiglia, però sono sicuro che hai scritto la storia di un popolo con tutta la mitologia che si porta dietro. Concordo con tutto quello che ti ha scritto Marco Spal (d'altra parte l'ho scelto come amico dell'anima tanto tempo fa); non saprei esprimerlo meglio. Ho da farti soltanto una domanda: Ma secondo te, posso appartenere ad una sottoclasse sociologica, quella dei Napo-venetopontini? Mi piacerebbe molto se fosse possibile. Sento che questa è la mia storia, anche se con alcune varianti. Ti lascio con una piccola proposta: "Benedeti i Zorzi-Vila". Senza di loro noi non saremmo qui. Francamente son contento così. Firmato: Salvatore Omobono dei Benassi Peruzzi”

    Questa invece è la mia risposta:

    1° – Grazie dei complimenti, ma non ti pigliare meriti che non sono tuoi. Marco è un dono che dobbiamo tutto ad Allesandra. Va bene che sei il primo, ma mo’ le vuoi togliere anche questo?

    2° – Gli Zorzi Vila scòrdateli. E’ il comandamento dei padri. Maladéti i xè e maladéti i resta. Insieme a Pascale.

    3° – E veniamo al punto più dolente: ho la strana sensazione che pur con tutta la buona volontà, con te non ci sia proprio niente da fare. Io ve l'ho sempre detto che ogni volta che da giovane venivo a trovarvi, come passavo il Garigliano era un’ira di Dio a schivare i cammelli che attraversavano la strada, e non hai idea delle cagate di scimmia sul cofano della macchina, quando mi fermavo a un bar (a Cascano una volta ho messo sotto un nosbari). Tu hai il Mal d'Africa, nipote mio, chi te lo cura più? E stai pure in fase acuta. Vatti a far fare un esorcismo dal parroco di San Marco. E' l'ultima possibilità che hai. Non lo fare per me, ma fallo per tuo figlio, almeno.
    Tu devi difatti sapere che perfino sotto il fascismo, il razzismo in Italia non era inteso in senso puramente “biologico” come i nazisti – almeno sul piano teorico – bensì razzismo "spirituale". Ergo, anche per il fascio non era l'hardware che determinava l'appartenenza o meno ad una razza, una communitas o una nazione, bensì il software. A Roma – per farti capire – fanno imperatore Filippo l'Arabo che era nero. Era nero però era romano e romanista. E' questo ciò che conta, esattamente come il bambino nero figlio di congolesi immigrati che gira sulla metro “A” con la maglietta di Totti e parla romanesco e attiene quindi tutto quanto – anima e corpo – al mito fondativo e identitario di Romolo e Remo. Certo continuerà pure a portarsi qualche cosa che era specificatamente dei genitori congolesi suoi, ma questo qualcosa entra dentro anche lui sincreticamente nel mito di Dea Roma, modificandolo secondo il principio di Heisenberg – e quindi contaminandolo pure, per certi versi – ma caricandolo sempre più progressivamente di nuove ed ulteriori linfe e significati, e soprattutto di nuove potenze, energie e forze. E così è per il bambino ex congolese che sta a Cisterna di Latina. Tu li devi sentire, Salvato', come parlano cisternese e bestemmiano – qualche volta – pure san Rocco. Figurati a Latina.
    Ma non li vedi tutti questi figli di moldavi in giro, di magrebini, pakistani, ucraini, rumeni arrivati appena l'altro giorno, che la prima cosa che imparano è la barzelletta sui sezzesi? Sono loro i primi a dire, quando vanno alle elementari o a scuola calcio: “Olim Palus! Qua stava tutto sott'acqua e avemo fatto un Giardino”.
    Questa è la nazione venetopontina, quella di mille razze e mille colori che s’è creata da sola il suo territorio e che oggi lo vive e popola con sempre nuovi afflussi in grazie ancora di quel fatto, di quel primo colpo di vanga che dato la stura all’acque. E’ è quel fatto lì che le dà il Genus, l'imprinting e la pulsione vitale a non fermarsi mai, a crescere ed ampliarsi ancora. Nella storia dell’umanità – Salvato’ – sono tante le genti che arrivate in un posto e visto che era bello e vivibile, ci si sono fermate divenendo man mano un tutt’uno con quel posto, divenendo popolo e nazione. E’ il territorio che li ha resi tali (si chiama determinismo storico-geografico). Noi invece era un inferno e il paradiso ce lo siamo fatti da soli: è il popolo – la nazione – che ha creato dal nulla il suo territorio: “Fiat Ager Pomptinus”. Va’ a vedere un po’ in giro per la Storia e per il Mondo quanti ce ne stanno come noi.
    E come in Australia o in America per esempio (in cui non si sentono americani e partecipi del mito del Mayflower e di John Piantadimele solo i discendenti diretti dei primi Wasp, ma anche tutti quelli arrivati dopo, esattamente come i cugini nostri dalla parte di Cristina e di Liliana), così in Agro Pontino è nazione venetopontina tutta quella che s’è formata, vive, procrea e genera – progressivostoricamente determinata – a partire da quel primo incrocio di masse bastarde, che violentando la natura si cementavano autogenerandosi. Nel mito arcaico di Gea è lei – la Terra, Dea Tellus – che sola al mondo lancia dietro di sé le pietre e queste, ricadendo lungo la sua strada, divengono uomini viventi. Qui invece – man mano che per la prima volta dalla nascita del Tempo, questo stuolo di nani diseredati affondava nell’acqua sotto il segno del Leone di San Marco le sue vanghe, portandone alla luce del sole ogni zolla ed asciugandole tutte una ad una espellendone ogni e quasivoglia umore d’acqua – man mano rinascevano nuovi essi stessi ad ogni rivoltare di zolla. Da nani – sotto il segno di San Marco – ad ogni rivoltar sorgevano Titani e Giganti. Padri, non figli della Terra. Figli di sé stessi e della loro dominatio. Ubris – adýnaton – su tutto l’Agro Pontino da Pomezia fino a Terracina, dal mare di Anzio e del Circeo fino ai Monti Lepini e ai Colli Albani, fino sopra alla Semprevisa. Pure i coresi, i normiciani, i calabresi, i velletrani, i pipernesi, gli iuventini. Chiunque sta qua e lavora, chiunque arriva e si ferma – “Qua stava tutto sott’acqua, mo’ ci vengo pur’io” – come si ferma rinasce. Rinasce venetopontino. Se no se ne restava a casa sua.
    Dice: “Ma pure i sezzesi?”
    Pure i sezzesi, Salvato’. Loro non lo sanno, ma so’ venetopontini pure loro oramai. Neanche Martufello gli può levare sta fattura. Bisogna che se la tengono. Certo l’opposizione resta e resterà per sempre come a Roma la Lazio. Sono il nemico interno, il contraltare storico. Incarnano il concetto di differenza e distinzione che è necessario ad ogni gruppo – come pre-condizione appunto – per poter costruire al suo interno un minimun di sentimento e massa critica di unità/identità. L’unico modo di unirsi – da che mondo è mondo – è unirsi contro qualcun altro. E’ per questo che ci servono come il pane, a noi, i sezzesi. A parte che gli piace. Più so’ sezzesi e più gli piace. Però – mi devi credere – questo vale solo quando siamo qui, a casa nostra. Quando andiamo fuori non vale più. Fuori prevalgono le differenze fra noi e tutti gli altri (dice Polibio che era questa la forza dei Romani: la ferocissima divisione interna fra di loro in patria, ma che diventava titanica unità quando erano tutti loro contro tutti gli altri. I fratelli Benassi, fatti conto. I Peruzzi). Tu ricorderai di quella volta che in giro per Parigi con tua zia, a un certo punto sentimmo parlare in sezzese. Mi volto sul marciapiede e a una ventina di metri – quello strilla pure quando bisbiglia – non ti vedo Lidano Grassucci e un amico suo che se la chiacchieravano tranquilli (si credevano loro) sotto braccio? “Fratello!” gli ho strillato allora io, e lui – mi devi credere – è scattato come un matto, pareva Mennea per venirmi ad abbracciare. “Fratello mio!”, mi faceva Lidano Grassucci in mezzo a Saint Germaine De Près: “Ma i sì visti ssi cazzo de francesi? Littoria uber alles, Penna’, Littoria uber alles!”.
    Ora – dopo tutto questo – io che ti debbo dire più, nipote mio? E’ vero, tuo padre era napoletano – anzi peggio, mezzo casertano come l’agronomo Pascale; secondo il comandamento dei padri, noi gli avremmo dovuto sparare appena lo abbiamo visto la prima volta sul cancello, proprio come Maradona ai giornalisti, grande Maradona; ma a tua madre gli era piaciuto, che ci potevamo fare’? le fregnacce che ci raccontava quando eravamo ragazzini non ne hai un’idea – però tua madre era dei Peruzzi, anzi meglio, dei Benassi, e tu sei nato il 31 marzo del 1959 in via Benvenuto Cellini numero 20 allora (adesso è 30), a Latina, quando la strada non c’era proprio. Davanti casa nostra c’erano solo i campi e la vacche di Molon che pascolavano. I fossi d’inverno si riempivano d’acqua e straripavano. Tuo zio Fernando andava a rubare le porte al palazzo Emme o il legname sui cantieri per costruire le barche e navigarli. Con tutti i fratelli più piccoli sopra. Tu non hai idea di quante volte che ci ha mezzo affogati. Ma dove sta adesso via Guido Reni – proprio sull’angolo di casa nostra, la casa dell’Iacp dove sei nato tu – lì finiva la città e cominciava la palude.
    Via Guido Reni non c’era ancora e non c’era neanche l’Ospedale. Non c’era un cazzo. C’era solo uno stagno enorme lì davanti all’angolo di Zoe e della signora Nora – lì da Lidia – e le ranocchie, Salvato’, un mare di ranocchie che gracidavano notte e giorno. E quanto ci piaceva a noi, quel coro continuo e costante – costante al pulsare del cosmo – del canto infinito di infinite ranocchie. E ce le mangiavamo pure le ranocchie e mangiavamo pure i gatti a quel tempo, perché c’era la fame.
    Tu non sei solo un figlio dei Giganti, non sei solo il primo nipote maschio di Giovanni Pennacchi Bonificatore dell’Agro Pontino – tuo nonno, mio padre – tu sei in specie Gigante te stesso, perché nato in palude quando la palude circondava ancora tutta la nostra casa. Era il 1959, la nostra era “la casa in mezzo alla palude” e non erano passati neanche due anni che tuo nonno aveva avuto gli ultimi attacchi di malaria.
    Ora sono vent’anni che sei tornato ad abitare lì, nella “casa in mezzo alla palude”, dentro la stanza dove sei nato, e ci stai con la moglie che ti sei andato a prendere a Sermoneta (sì, è vero: sermonetana, te possin’ammazzà, terra dei Caetani; ma che ci posso fare? oramai ce la teniamo, ce la tenevamo pure se era di Sezze Scalo) e mo’ mi vieni a dire: “Scusa, zio, mi potresti mettere una buona parola? potrei per caso per cortesia, con una raccomandazione tua, un po’ di carte false magari, farmi passare ed essere considerato pure io un po’ napoletano-venetopontino pure io?”.
    Ma tu ti sei bevuto il cervello, Salvato’. Qua bisogna dire alla sermonetana che ti dia una fraccata di botte. Ma questo è l’8 settembre, la morte della Patria, alto tradimento, violata consegna, diserzione sul campo, connivenza col nemico. Ma manco i Savoia, te possin’ammazzà. E vaffanculo va’: tu sei Gigante e ti credi nosbari? Al muro! A processo a Verona devi anda’! Fucilazione alla schiena. Oppure fatti la valigia e torna in Africa di corsa. Tu, però. Non tuo figlio. Tu figlio no.
    Tuo figlio è roba dei Peruzzi e resta qua (ma l’hai visto che faccia che cià? Vagli a di’ che non è venetopontino e vedi se non ti caccia subito il coltello sotto al collo peggio ancora di tutto suo zio Pericle. Vagli a brucia’ un pagliaio, se ciài il coraggio).
    Tu – nipote mio – tu sei Gigante figlio dei Giganti che hanno bonificato l’Agro Pontino, sei nazione venetopontina ed io soffro e piango insieme a te, per la tua dissociazione psichica, per la tua crisi d’identità. Tu non sai chi sei? Tu sei Gigante – t’aripossin’ammazzà – tu sei Titano. Alzati e cammina, e sfida il mondo: c’è il Leone di San Marco dentro di te. Sta qua. Non sta più a Venezia. E’ venuto con noi quando ci hanno cacciati. Gli è rimasto stocazzo, mo’ a Venezia. Va’ a vedere se lo trovi. Se lo sono portati via i Peruzzi. Non ti ricordi quand’eri bambino, al podere 517, che zio Iseo ti strillava: “Non stà andar lààà” – dietro la baracchetta – “che ‘l lión ancora nol gà manzà, inquò” (non andare lì, che il Leone ancora non ha mangiato oggi)? Lui sta qua, su noi e sui sezzesi. Non lo senti ogni tanto – quando passi per piazza San Marco la sera se piove – che da dentro la chiesa fa: “Ròhargh”? Ma come avremmo fatto se no – pensaci bene – a respingere per oltre quattro mesi l’intero sbarco di Anzio? E mica penserai che ha fatto tutto tua zia Bìssola (lei sì ha fatto tanto, e vedessi che rispetto che le portava il leone, aveva quasi paura, bastava che gli dicesse: “Tàsi, sa?”, e quello le si accucciava a fianco buono buono e faceva le fusa. “Ch’at vègna un càncher” lo accarezzava allora zia Bìssola, e lui andava in giuggiole).
    Io ti perdono quindi, figlio. Rialzati e vai in pace, nipote tra i nipoti.
    Giustizia però è giustizia, è la legge di San Marco. Il tuo delitto – erga Patres, erga Patriam, erga Deos – quand’anche e pietosissimamente perdonato, non può essere cancellato o rimosso. Il diritto delle genti nol consentirebbe. All’8 settembre non può che seguire l’abdicazione. Un Primo cugino che fugge e che tentenna, non può più esercitare il ruolo storico di Pater familias della sua generazione.
    Sei destituito, o – se vuoi – hai abdicato. Fai tu. Per noi è uguale.
    Pur con tutto l’amore, la considerazioone e il conforto che continueremo tutti a darti, da oggi oggi non sei più tu il Primo cugino della vostra generazione. Non ti manderemo a Oporto. Resta pur tra noi. Nipote tra i nipoti. Ma l’auctoritas del Primo passa immediatamente sul tuo successore legittimo. Già dal prossimo pranzo, a capotavola dei cugini si insedierà lui e a lui – secondo i sacri e antichi riti – toccheranno i primi piatti e quando muoio io, il discorso in chiesa lo declamerà lui (non fate parla’ Zaccheo, che quello davvero è capace di morire dopo di me, per potersi levare sta soddisfazione. Non gliela dovete da’! Di’ che muore prima lui, e gli parlo io piuttosto. Attenti a Finestra. Finestra di sicuro parla sia al mio che a quello di Zaccheo. E’ una volpe, non lo riuscirete a fermare. Preparate solo un pacchettino di mischia e state buoni buoni, ma come lo sentite dire una sola volta “il destino beffardo” o “i ragazzi di Salò”, tutti addosso senza pietà, portatevelo via di peso. Non cercate di levargli il microfono, perché non ve lo molla. Se proprio state alle strette, fàteve da’ una mano anche dal figlio).
    Per quanto riguarda invece le più specifiche questioni legate alla successione, io avrei preferito designare Giannino come Primo cugino, perché si chiama appunto Gianni come suo zio e come suo nonno, ed è bello, intelligente, forte, audace e generoso come loro. Però è mio figlio e non volendo assolutamente fare nepotismi avevo ripiegato su Marcello. Mi dicono però che non sarebbe giusto, perché oramai il diritto delle genti va superando sempre più ogni discriminazione femminile. E’ il Tempo che avanza. Non ci si può fare più niente. Anche tra di noi è quindi giusto che la successione si trasmetta per linee assolutamente dirette. Così è giusto, così è deciso e così sarà.
    Da oggi in poi l’auctoritas, l’imperium e la potestas di Primo Assoluto tra Tutti i Cugini passano interamente sulle capaci spalle di Allesandra. Lo Spirito degli Antenati cammina adesso insieme a lei.
    Tu peraltro – Salvato’ – anche quando l’hai avuta e esercitata in pieno quell’auctoritas, tu non è che abbia dato grande prova di te. E’ tutta colpa tua se manca poco e fate cadere zio Gianni al suo funerale. Ma che si organizza così il trasporto di una bara? Invece di mettere gli alti di dietro, i mezzani in mezzo e i bassi più avanti – come t’avevo detto precisamente io – hai schierato tutti gli alti da un lato e i bassi da quell’altro. Ma che si fa così? C’era quella cassa sulle scale – quando siamo scesi dalla chiesa – che pareva sopra le montagne russe. Ballava su e giù. Di qua e di là. E tutta la gente che faceva: “Mo’ cade, mo’ cade”.
    Il mio povero fratello da lì dentro – ti giuro che l’ho sentito extrasensoriale – mi diceva sconsolato: “Ma che cazzo de nipoti! Ma manco bòni a portà ‘na cassa?”
    “E che cazzo vòi da me?”, gli ho dovuto rispondere extrasensoriale anch’io: “So’ i nipoti tua. Scendi e pòrtate da solo”. Ma intanto Giannino e Marcello – mentre insieme a sta cassa che tenevano in collo ballavano di qua e di là, su quella cazzo di scala ripida ripida, li mortacci sua, della chiesa di Montesacro, poi dice gli architetti; te la farei portare a te una cassa in collo, a tutti gli architetti a Valle Giulia, su e giù per quelle scale, prima di andare a far gli esami; le esercitazioni di Cad e di disegno? una cassa in collo te possin’ammazzà: famme vede’ come la porti, e solo dopo te faccio laurea’ – mi facevano a parole vere, loro, Gianni e Marcello, non extrasensoriali, in mezzo a tutta la gente che sentiva: “Mo’ cade, mo’ cade, mo’ cade”.
    E allora tutta la gente – pure Pietrangelo Buttafuoco – s’è messa a dirmi tutta quanta pure lei a me, come se fosse proprio colpa mia: “Eh! Mo’ cade! Mo’ cade! Mo’ cade!”.
    “Ma fatte l’affari tua, no?”, gli volevo dire a sto stronzo, “Ma che è, la cassa di La Russa?” quando avete ricominciato pure voi – da sotto quella cassa – “Zio, cade! Zio, cade!”. E’ lì che non ce l’ho fatta più, e pur con tutta la pazienza mia che come sapete non l’ho mai persa una volta sola in tutta la vita, m’è uscito de strilla’ in mezzo alla gente: “Ma che volete tutti da me? E se cade lo roccagliémo! Quanto male se potrà fa’, sto testadecazzi?”
    “Mica gliel’avemo detto noi”, ha chiarito a quel punto a tutta la gente mio fratello Fernando, “de buttasse dall’albero de Natale… Anzi, ma voi chi siete? Chi cazzo v’ha chiamato? Ma andate un po’ affanculo tutti quanti!”
    Lui rideva, dentro la cassa, e ci diceva extrasensorio: “Brutti fìdenamignotta! Tanto prima o dopo ve riacchiappo”.

    Ciao Gia’, te possin’ammazzà. Saluta mamma e papà.

    -

    P.S. – Così t’impari però, Salvato’, a votare ogni volta per lui allo Zio dell’Anno. Mo’ il vento è cambiato. Spoil system si chiama. Di’ che viene lui adesso a votare per te, se sei capace.
    Anzi, a pensarci bene, quasi quasi faccio una piccola forzatura giuridica e nomino Primo Cugino Assoluto a tutti gli effetti proprio Marco Onorati detto Spal, e ve la pigliate in culo tutti quanti.

    Antonio Pennacchi – 7 aprile 2010

    Pubblicato 14 anni fa #
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    Posto a nome di Allesandra dei Benassi Peruzzi la mail che mi ha inviato:

    Per quanto bello il libro e per quanto grande il vuoto di storie e radici che ha colmato, io rivendico l'importanza degli altri nostri luoghi e miti.
    E a proposito di hardware e software: fino a prova contraria il linguaggio è software, e quello di Salvatore non suona esattamente venetopadano.
    Crescere nel Rione Ventrone, poi, vorrà pur dire qualcosa.
    Io sono per due quarti marchigiana e pure nonna mia di Falerone era una gigantessa.
    Tutti i giorni andava e veniva dalle colline vicine (hai presenti le colline marchigiane? E' tanta strada) e passava dalla fabbrica di cappelli ai lavori in casa d'altri. Orfana di padre, aiutando la madre a crescere i fratelli più piccoli, anche se lei i bambini non lichiamava putei ma frighì.
    Però è vero che, solo dopo averla letta, mi sono accorta che stà storia dei Peruzzi mi mancava e che ne avevo bisogno.
    Ma del libro ti ho già scritto qualche giorno fa in un messaggio che proverò a rispedirti.
    Quello su cui vorrei richiamare la tua e vostra attenzione è il tema dell'abdicazione, o meglio della deposizione, e della relativa successione. E qui mi scuserai se prendo la forma dell'invettiva.
    Ma sarai mica impazzito?
    Ancora non ci hai ammesso (a noi femmine) nel cenacolo degli eletti che tutto insieme ci catapulti al posto di comando?
    La successione diretta?? Ma questa è fantascienza.
    Ma veramente una di noi? Noi femmine isteriche piagnone permalose, ma soprattutto GNORANTI; che possiamo giusto scegliere tra i ruoli della "maiala" e della "bissola"! Proprio una di noi deve comandà?
    Ehh....peccato si capisca che è una decisione obtorto collo.
    Lo dici pure, che avresti preferito Giannino. Che è bello, intelligente, forte, audace e generoso.Lui.
    Ehh.....però non si può.
    Non sta in piedi.
    Non c'è il minimo appiglio giuridico.
    Tanto meno Marcello. Sarà almeno terzo o quarto in linea di successione.
    Come si fa?
    Non se ne esce, bisogna proprio nominare lei, la Bissola (non c'avrai mica il coraggio di classificarmi tra le maiale?).

    E INVECE NO!!
    Colpo di scena! Sul filo di lana la nominèscion va a Marco detto Spal.
    Peccaaaato! Riprovi un'altra volta, sarà più fortunata.
    La verità è che c'avete un bel paio di corna tutti quanti, te e i tuoi nipoti, naturali ed acquisiti.
    E vi meritate tutte le maiale e le bissole che vi è capitato di incontrare.
    Questo Mito del Maschio, l'Epica del Combattente, è proprio questo: un mito.
    Che vi raccontate perchè la realtà è dolorosamente diversa.
    Chi comanda veramente sono le donne, sia quelle dei Peruzzi che le vostre, quelle attuali.
    Si si, proprio loro, le mie zie e le amiche mie.
    Perciò, scusate, lo sapete che c'è? Io, come Primo e Ultimo Editto del Nuovo Regno, vi mando tutti a quel paese.
    Con immutabile e sincero affetto, la vostra Regina per Un Giorno
    Allesandra

    Pubblicato 14 anni fa #
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    Questa invece è la risposta di Salvatore Omobono dei Benassi Peruzzi:

    "A' Zio troppa grazia. Comunque per rimettere i puntini al punto giusto dico:
    1) Per quattro Lettere (napo) tutto sto Casino! e checazzo!!
    2) La cassa hai voluto tu che la portassimo noi di famiglia e ci hai pure
    disposto come formazione. Anzi ti ci sei voluto mettere pure tu e a momenti te
    prendeva un infarto. Ergo, il disequilibrio l'hai generato tu, e chissà che non
    pensavi già a queste cose da dirmi.
    3) Cinzia è corese
    4) Ma ti brucia ancora così tanto non essere mai stato eletto come zio
    dell'anno? Comunque la tua volontà è legge e mi rimetterò umilmente alle tue
    decisioni. La decisione di scegliere Sandra o addirittura Marco Spal mi trova
    d'accordo. Chissà se gli altri nipoti hanno la stessa sintonia. Ma te
    l'immagini tu le reazioni di Francesca oppure Emanuele alla notizia
    dell'elezione di una persona diversa da loro? Potresti organizzare un incontro
    e spiegare le ragioni, così ci facciamo una bella litigata come è giusto che
    sia per una famiglia il cui soprannome è Processo.

    In ogni caso fai come ti pare. Io sono contento così.
    Ti voglio bene.
    Tuo Salvatore

    Pubblicato 14 anni fa #
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    Mi vuoi bene ma votavi per lui.
    E se mi volevi male, che cazzo mi facevi?

    In ogni caso, per dare un minimo di informazione anche a quelli che eventualmente arrivino a match già iniziato, riposto qui l'intervento di una decina di giorni fa di Marco Spal nel topic "Canale Mussolini-2", che ha dato la stura

    "(Dopo la presentazione di ieri a Roma all'Auditorium)

    Antonio, mi sarebbe piaciuto dirti queste cose ieri, lì davanti a tutti, se ci fosse stato più tempo ma un’ora per te e per questo tuo libro è veramente troppo poco.

    Una volta dicevi che uno scrive per essere amato, non so se lo credi ancora (io sì) ma io, che ti volevo bene già da Mammut, adesso ti amo che non te lo puoi nemmeno immaginare.

    E ci credo davvero che sei venuto al mondo per scrivere questo libro, anche per tante altre cose ma per questo cazzo di libro sicuro.

    Non so ancora che cosa mi abbia smosso dentro, il libro, e forse ci metterò tutta la vita a capirlo.

    So che la storia dei Peruzzi non è quella della mia famiglia.

    Mia madre era profuga dell’Istria (in verità di un’isola della Dalmazia, Lussino) ma è arrivata a Latina nel 1950, era una di mare e non di terra e faceva la maestra, all’inizio a Borgo Sabotino, però era stata fascista e pure monarchica – e lo è rimasta sempre, anche se non lo poteva dire – ma soprattutto Italiana, con l’idea di Patria nel sangue, forte come ce l’avevano dalle sue parti. La bonifica dell’Agro l’ha letta sui giornali e poi sui libri, ma non l’ha vissuta. Ha trovato tutto fatto.

    Mio padre, lo sai, era un marocchino di Bassiano ma di quelli che avevano studiato e poi democristiano e antifascista per trasmissione familiare. Troppo riservato, anche con noi, per mettersi a raccontare storie. Troppe ferite dell'anima, forse.

    Insomma, la mescola c’era ma gli ingredienti erano molto diversi. (Ma quel dialetto che usi tu nel libro ce l’ho ancora nelle orecchie e nel cuore perché quello di mia madre non era mica tanto diverso.)

    Eppure ho letto Canale Mussolini come se fosse stata la mia storia. Ho riso e ho pianto. Anzi ho cercato di non piangere per tutto il libro, proprio trattenevo le lacrime. Poi alla fine so’ crollato e alle ultime pagine ho pianto tutto quello che m’ero trattenuto prima. Come se fosse stata la mia storia anche se sapevo che era la tua, la vostra.

    Ma però era anche la storia di una terra e di un popolo, fatto di tanti Peruzzi ma non solo, la storia di tante migrazioni, la storia due guerre, di tanti figli, fratelli, mariti morti, e del dolore delle madri. E tutto questo ce l’ho pure io.

    Di più: sociologicamente (si fa per dire) io sono stato “ragazzo” a Latina dal 1968 (prima stavo a Latina Scalo, mio padre lavorava al MAP) al 1977 (poi sono scappato a Roma), alle medie ero di destra come gli amici miei poi al liceo di sinistra, senza mai essere né fascista prima né comunista poi. Ma gli anni del liceo erano quelli più importanti, gli anni di formazione, e tutto quello che era la storia della bonifica e della fondazione di Littoria lo cancellavamo, c’erano gli schieramenti, ognuno andava con le bandiere sue.

    Rimozione. Il tuo libro mi ha salvato da questa rimozione. L'ha rimossa. Mi ha ridato le radici. Forse nemmeno le mie ma non me ne frega un cazzo.

    Non so se pancia e cuore sono la stessa cosa, tu dici che sei uno scrittore di pancia, io credo che questo sia un libro scritto di cuore. E ce ne vuole tanto di cuore per scrivere un libro così.

    Poi però bisogna pure leggerlo di cuore (o di pancia, come ti pare) perché altrimenti se ne perde il senso più profondo, il gusto e l’emozione. Se uno non lo legge di cuore e non ci si commuove, allora che lo legge a fare. Glielo devi dire a tutti che è meglio se fanno così, se lo leggono come tu lo hai scritto.

    Il resto viene dopo. La letteratura. Anche se è chiaro che Canale Mussolini è un capolavoro. Ho letto un po’ in giro le cose che sono state scritte, i riferimenti, i collegamenti. Ma per me, che non capisco un cazzo, è proprio un poema epico, e tu sei un Omero dell’Agro Pontino. Anche se per prima cosa ci ho ritrovato l’emozione di quando ho letto Cent’anni di solitudine, ma questo era Cent’anni di solitudine della terra mia. Non c'è paragone.

    E allora sto facendo come faceva Garcia Marquez con un libro di Juan Rulfo (Messico, un'altro un pezzo della mia famiglia migrante, da parte di mamma, s'è radicata lì), il libro è Pedro Paramo, che gli piaceva così tanto da regalarlo a tutti gli amici, per poterne poi parlare con loro. Io pure lo regalo (anche Sandra sta facendo lo stesso), trovo tutte le occasioni buone per regalarlo, ma solo a chi se lo merita, a mio insindacabile giudizio.

    E per finire, vaffanculo. Vaffanculo perché ho pianto pure ieri alla presentazione del libro, e che cazzo! Vabbè quando lo leggevo, ma alla presentazione che c’entra. E invece pure lì ridevo e piangevo e c’era Marta mia che c’ha dodici anni e che non ci capiva niente, proprio qualche giorno fa mi aveva detto che non mi aveva mai visto piangere (quando leggo non mi faccio vedere e al cinema stiamo al buio) e ieri non so se si stupiva, se si vergognava, non lo so, però mi abbracciava e mi consolava e mi asciugava le lacrime e mentre me le asciugava io già ridevo di nuovo.

    Quindi, lo capisci, anche il vaffanculo è veramente di cuore. E zio Pericle ormai è anche mio zio. E pure tu.

    Tutto questo volevo dire ieri ma non si poteva. Non per vergogna, non mi sarei vergognato neanche un po’ – continuo a fare il delegato sindacale, ci sono abituato a parlare in pubblico – ma non c’era proprio tempo.

    Invece della SPAL non ne avrei parlato ma adesso te lo posso raccontare. Perché da piccolo, a Latina Scalo, quando non andavo ancora scuola, e mia madre e mio padre lavoravano, il mio vero amico era Zeno. E Zeno era di Ferrara, anzi di Cento. E aveva un cuore grande così. Non so quanti anni avesse: settanta? ottanta? Ma lui veniva a dare una mano a mio padre con l’orto e con il pollaio. E mi lasciavano con lui. Si fidavano. Aveva le mani dure. Le unghie nere. Raccoglieva le cicche e con il tabacco avanzato si faceva le sigarette, certe volte con la carta di giornale. Aveva una voce calda. Odorava di buono. Mi raccontava storie. E io quando stavo con lui ero felice, stavo bene, mi sentivo sicuro, mi sentivo amato più che con mia madre e mio padre, per davvero. Mi portava con lui all’osteria, dall’Amelia, mi faceva bere vino e gazzosa, poco vino, io lo guardavo in silenzio mentre giocava a carte. E poi veniva il giorno che faceva la schedina e mi chiedeva consiglio, per scherzo, ma io gli rispondevo serio. E la SPAL stava in serie A e quando toccava alla SPAL non c’erano santi, la SPAL doveva vincere per forza. E io poi sentivo le partite alla radio e facevo il tifo, mi disperavo e gioivo, ma soprattutto mi disperavo, perché la SPAL non è che vincesse tanto. Poi però ero cresciuto e a scuola contavano altre squadre, la SPAL non la conoscevano neppure, mica tutti erano amici di Zeno, e mi prendevano in giro, e dell’Inter qualche parente mi aveva perfino regalato la maglietta... E alla fine siamo andati a Latina, che a 10 anni è una specie di migrazione pure quella. E Zeno non c’era più. Non l’ho più visto. Gli mandavamo i saluti tramite una sua nipote che lavorava alla Standa. Quando Zeno è morto siamo andati al suo funerale. E mentre camminavamo da casa sua alla chiesa gli ho chiesto scusa per averlo tradito e gli ho fatto la promessa che sarei rimasto della SPAL per tutta la vita. E così è.

    Alla storia dei salmoni comunque non ci credo. Al gatto sotto la fontana forse sì, ma non l’ho mai sentito.

    Abbasso le centrali nucleari.
    Viva la SPAL.

    Con affetto smisurato
    Marco Spal

    Pubblicato 14 anni fa #
  5. rindindin

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    beh, k hai già iniziato il secondo canale...

    Pubblicato 14 anni fa #
  6. tcd

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    Col che Accio m'ha mandato l'incipit di 'sta thread, non potevo non passare di qui e leggere il resto.

    Ho riso ininterrottamente per mezz'ora.

    Su 'sta cosa de Lo Zio dell'Anno e mo' stavorta del/la Prim* Cuggin* (quest'ultima novità totale globale per me, la disinformata cronica dell'anno de 'sto secolo e de quello passato :)), in tutta onestà sono sempre rimasta fortemente perplessa.

    Vuoi perché non capivo cosa diamine ci trovaste in mio padre, vuoi perché non capivo perché fare tutte 'ste manfrine x scroccargli 'na cena coi fiocchi e controfiocchi e fatta pure cor core.

    Lo sapevate benissimo che per lui ogni scusa era buona per sfoggiare i suoi mille talenti, specialmente in cucina! Lo sapevate benissimo che ADO-RA-VA cucinare per tutti voialtri :))))

    Se mo' ora volete da *me* una scusa per rieleggere Zio Gianni anche ora che sarà chissaddove a farsi una nuova vita, co' er su' karma rinnovato/alleggerito da quel che ha accumulato in 'sti 65 anni....

    VE SBAJATE DE GROSSO :)))))))))))))))))

    Il motivo è molto semplice: Non so' bbona a cucina'!

    La piccola "Lucrezia Borgia" dei Benassi

    Pubblicato 14 anni fa #
  7. rindindin

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    dovevi aumentare le dosi...in parte son vivi

    Pubblicato 14 anni fa #
  8. tcd

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    Sono vivi perché non sono mica scemi

    Pubblicato 14 anni fa #
  9. tcd

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    E comunque qua il veneto-pontinismo resiste nonostante le reiterate fughe da Littoria e le ripetute commistioni con sangue "di fuori".

    L'ultima nipote di K è stata amorevolmente definita come "idrovora dormigliona".

    Pubblicato 14 anni fa #
  10. big one

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    due eleganti sinonimi per il romano "magna e dorme"

    Pubblicato 14 anni fa #
  11. k

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    Ciao Tcd e ciao Dormigliona Idrovora, bella di zio.
    Anch'io sono tornato ieri dall'ospedale. M'hanno fatto la schiena di ferro, m'hanno meso due sbarre di titanio e sei bulloni per stablizzare la colonna vertebrale. M'hanno rifatto nuovo. Manco all'officina della Fulgorcavi. Ciao belle di zio, prima di un mese non posso muovermi, ma poi vi vengo a trovare, se non volete venire prima voi. Ciao pure a Marco. V'abbraccio forte.

    Pubblicato 14 anni fa #
  12. sensi da trento

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    in bocca al lupo, mister K.

    Pubblicato 14 anni fa #
  13. k

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    Caro Sensi,
    sto in cerca di qualcuno da candidare a sindaco di Latina con una lista trasversale. Tutti i giochetti di quegli altri - nessuno escluso - hanno oramai rotto i coglioni. Non se ne può più uscire, se non inventandosi davvero un nuovo sparigliagiochi destra/sinistra. Ci vuole un candidato sindaco che unisca in un sol blocco tutti i fasciocomunisti che costituiscono di fatto il vero popolo di questa città. Io - come sa - non lo posso fare per le note ragioni cardiocircolatorie. Sono il cuore e le coronarie che non me lo consentono. Lei invece è più giovane ed in perfetta salute. Che ne dice di farlo lei? (e non cominci a dire: "Ma non è il mestiere mio" perché non è nemmeno il mestiere di quelli là, anzi, quelli proprio non ciànno nessun mestiere, lei invece è un ingegnere meccanico, dottore e cultore di ricerca con pubblicazioni all'estero, un vero genio, rispetto a tutti quei ciucci messi assieme). Non si tiri indietro. Torni in Palude a fare il sindaco. In ogni caso ci divertiamo.

    Se c'è qualcun altro disponibile lo dica subito e facciamo la Primarie. Primarie che, qui da noi, si decidono con un voto solo: il mio.

    Pubblicato 14 anni fa #
  14. Esperti in materia chiamati da Brescia hanno effettuato rilievi sul campo che confermano : il soggetto k tiene le palle fumanti.

    Pubblicato 14 anni fa #
  15. Maronn ciavemo lo scrittore bionico con la schiena di Ironman e la capoccia di Mr. Fantastic. Tanti auguri K.

    Sensi Sindaco Sensi Sindaco subito...

    Sensi, inoltre, è una persona ONESTA. Dico, ma ci rendiamo conto?

    Pubblicato 14 anni fa #
  16. sensi da trento

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    lei invece è un ingegnere meccanico, dottore e cultore di ricerca con pubblicazioni all'estero, un vero genio

    questo K mi è proprio simpatico.

    Pubblicato 14 anni fa #
  17. tcd

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    Con che nonno era meccanico, ci credo che zio K mostra molto interesse nei confronti del sig. Sensi....

    K, ma te lasciano quel po' po' dde robba dentro? Se sì, prevedo per il futuro divertenti inconvenienti agli check-in negli aeroporti ghghghgh

    Comunque, vedremo chi riesce ad andare a trovare l'altro per primo.

    Pubblicato 14 anni fa #
  18. tcd

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    Ah dimenticavo, zia F s'e' presa in prestito il "Canale Mussolini" e qualche giorno fa mi ha detto che era andata alla biblioteca per vederti, ma c'e' rimasta male che non c'eri... le ho detto che se me lo diceva prima la avvisavo che eri indisposto.

    Va be'. Se mi ricordo le passo la tua email va'.

    Poi scappo a rifugiarmi in un bunker che non voglio vedere cosa succede.

    Pubblicato 14 anni fa #
  19. zanoni

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    Sensi sindaco? Yes, we can?

    Pero' il movimento fasciocomunista lo dobbiamo fare sul serio, io sono a disposizione (per il lavoro dietro le quinte, ovviamente).

    Z

    Pubblicato 13 anni fa #

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