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Mammut - 25 anni dopo

(24 articoli)
  1. zaphod

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    Fondatore

    Niente di personale

    Ancora non avevamo aperto un topic dedicato, con commenti e riflessioni.
    Mi pare un buon modo per cominciare.

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. k

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    Ma n'hai dormito pe' gnente, stanotte, Zapho'?
    Che cazzo je racconti, domani, a pacifico?

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. zaphod

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    Fondatore

    che ciò quindici copie sullo scaffale col quindici per cento di sconto e vorrei provare a venderle in tempi brevi.
    Come diceva malcolm x, con ogni mezzo necessario.

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. Finito ieri sera. Quasi arrivavo in ritardo per finirlo.
    Quello che scrivi nell'introduzione è vero : la narrazione è più frammentata. Si vede poi che è stato scritto in un certo periodo, comunica un certo senso di delusione e di nostalgia. Mi sarei dilungato di più in certi frangenti, però. E' stato comunque un piacere. Ora devo vedere Sensi che mi dà Palude.

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. A.

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    Sì, è vero, certe volte c'è una vena malinconica, ma non direi delusione, nostalgia forse. Ma del futuro. e anche questo scavo introspettivo, che altre volte, nei romanzi di Pennacchi, viene espresso dalle azioni (non che non ci sia, ma l'interiorità , ad esempio nel fasciocomunista, è tutta esplicata nelle azioni) Qui certe volte, il protagonista si ferma e pensa. [Non sto dicendo che è un romanzo borghese, per carità! Non è un vedersi l'ombelico. tanto più che nel pensare si pensa ad azioni. a res gesta].
    Penso soprattutto a questa scena:

    Allora scese le scale e si sedette in sala. Per fumare.
    Erano le tre di notte. Di martedì. Anche se, secondo il calendario, un nuovo giorno era cominciato da tre ore. Ma uno che fa la notte misura le giornate dalla notte da un'alba a un'altra.
    Fumava. "Domani che farò" riprese a chiedersi. Mentre il cervello era rintanato nello stomaco. A nuotare per conto suo.
    Poi una sigaretta dopo l'altra, ripensò agli anni della Crisi.

    Poi non lo so, non vorrei attirarmi le ire di Faust o torque, ma a me non sembra affatto un'opera acerba. Mi sembra già questo un capolavoro.

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. Acerbo magari no ma, avendo letto altri suoi lavori successivi, direi che si nota qualcosa che si sarebbe sviluppato dopo.

    Capolavoro mi sembra un parolone. Non c'è opera del nostro kappa che ancora io non abbia apprezzato, ma pur avendo fatto bene qui altrove ha fatto meglio.

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. egon

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    Ho scoperto che l'autore di Mammut ha un sito personale.Quando penso alla mia professoressa del liceo,che mi prese e continuò a prendermi per i fondelli dopo la mia risposta "Pennacchi!" alla sua domanda "e sentiamo, quale sarebbe il tuo scrittore preferito?",mi viene da pensare,specialmente ogni volta che alla melbookstore vedo le pile dei suoi libri, alle copie di Mammut e Palude e Nuvola Rossa che in una libreria di latina(ora c'è un discount) comprai con i soldi della paghetta.Poi puntualmente mi torna in mente mio nonno "quello andrà lontano!" diceva "è dell'annata mia!". Saggezza sezzese.

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. Sta tattica dialettica di A. - inquadrabile nel vecchio trucco del 'mettere le mani avanti' - non mi piace granché, però è pur vero che ognuno cià la sua.

    Trovo che Mammut sia splendido, così come sono splendidi Palude e il Fasciocomunista. Un po' meno 'Una Nuvola Rossa' che credo sia l'unico libro, fino ad ora, scritto con la testa e non di pancia.

    Canale Mussolini è invece un capolavoro, per dirla con l'autore è "l'opera di una vita".

    Il primo romanzo di K, proprio in quanto opera prima, anticipa tante caratteristiche che poi riscontreremo negli altri libri. Forse c'è una inventio comica più spiccata - o forse solo meno sofisticata rispetto ad altri romanzi - come le quattro pagine di secondi mestieri che è davvero fenomenale. Dal punto di vista linguistico c'è un accenno anche all'onomatopea. Ma lo stile dello scritto simile al parlato si affinerà ancora tanto, nel tempo. Così come la struttura sintattica, l'intreccio e tante altre cose.

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. k

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    Membro

    Non è solo un fatto formale, pure l'autore era diverso, lì. Mammut e Palude sono stati scritti prima dell'infarto.

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. A.

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    Moderatore

    Torquemada, capisco che tu debba tenere fede allo stereotipo che ti sei fatto di me, ma mani avanti non c'entra veramente nulla. Quelle le metto solo quando di notte devo andare al bagno e non posso accendere la luce sennò il pupo si sveglia

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. Woltaired

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    Sì, va beh, ma io Mammut l'avevo già letto, possibile che Mondadori non ne faccia una giusta? Palude, cazzo, Palude che mi manca, dai.

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. QUELLE LOTTE CHE HANNO SCRITTO UN'EPOPEA
    di Renato Minore su Il Messaggero del 28 - 02 - 2011

    'Mammut' fu scritto in otto mesi, dal novembre del 1986 al giugno del 1987. Fu pubblicato una prima volta nel 1994 da Donzelli, dopo un vero record di rifiuti editoriali, ben cinquantacinque: ognuno sentito come una 'coltellata', ricorda il suo autore nella introduzione alla nuova ristampa del romanzo, in questi giorni in libreria da MOndadori, sulla scia dell'effetto Strega da cui è stato investito Antonio Pennacchi dopo la vittoria di Canale Mussolini. In essa lo scrittore racconta come è nato il libro e come ha circolato per otto anni nella sua versione manoscritta; in più, a bocce ferme, ora che tutto sembra più chiaro e tutto paradossalmente torna in gioco, vi aggiunge alcune considerazioni sulla classe operaia che approdano all'oggi (una parte le anticipiamo qui accanto). Quella di Mammut è la storia dell'Alcatel Cavi di Latina Borgo Piave, la fabbbrica che si è chiusa lo scorso anno, dove Pennacchi ha lavorato per tanti anni come operaio impegnato anche nei turni di notte, alle coniche e alle bicoppiatrici. Tra figure di operai, impiegati e dirigenti si articolano le vicende della fabbrica fondata nel 1963, passata attraverso le lotte operaie degli Anni Sessanta e Settanta, la crisi economica e il rischio di fallimento all'inizio degli anni Ottanta, fino al risanamento e alla ristrutturazione, con la riduzione di tanta forza lavoro. Sono gli ultimi suoi dieci anni rivisti nei giorni di una settimana cruciale. La storia è quella del suo salvataggio ad opera degli operai guidati da uno straordinario Achille Benassa, storico rappresentante sindacale. Nel romanzo c'è l'occupazione, i blocchi stradali, l'assalto alla centrale nucleare di Borgo Sabotino. Sono vere e proprie battaglie di una vicenda a suo modo epica. Anzi essa è come l'ultima, o penultima, avventura di un secolo operaio che si è espresso con enfasi epica e che Pennacchi racconta come in un romanzo picaresco, con i suoi piccoli eroi coinvolti con tutte le loro paure e il loro coraggio, "la ragionevolezza e la bizzarria, il dovere e il senso di gioco che li anima".

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. IO, IL MAMMUT PARLO A MARCHIONNE E AL SINDACATO
    di Massimo Lomonaco sulla Gazzetta del Sud del 2 Marzo 2011 (e l'ANSA e Il Quotidiano della Calabria).

    Rifiutato per ben 55 volte da 33 editori diversi, 'Mammut' (Mondadori, pp. 188, euro 17), il romanzo primo (finito di scrivere nel 1987) di Antonio Pennacchi, vincitore dello Strega dell'anno scorso, riappare ora per la Mondadori. Solo nel 1994 la Donzelli infine lo aveva pubblicato: testa dura Pennacchi che per ben sette anni aveva errato - con tanto di viaggio a Milano per piazzare il testo - da una casa editrice all'altra. Ed aveva ragione, perché 'Mammut' parla di lui, dell'operaio che ha lavorato fino a 50 anni alla Fulgorcavi di Latina. Di lui e della classe operaia. E lo fa bene. Ed oggi che - a distanza di anni - il romanzo ritorna in libreria, Pennacchi non trascura l'attualità rivolgendosi nella prefazione sia a Marchionne sia al sindacato. Al primo dice, chiaro e tondo, che un operaio "prima di tutto è una persona, ma questo nelle fabbriche se lo scordano spesso". "C'è più democrazia in una caserma di carabinieri - scrive Pennacchi, il 'fascio-comunista' - che dentro i reparti delle fabbriche". Ma soprattutto, "prima Marchionne e suoi compagni capiscono queste elementari cose e meglio è per tutti. Non si può stravincere, non si può tirare la corda. Prima o poi la gente si incazza". Perché, ricorda Pennacchi all'ad della Fiat, all'azienda "gli voglio più bene di te. Io ho solo quella. Tu forse no. la mia vita stessa è invece legata a lei. Non sono un suo nemico. Io sono il suo primo alleato, la sua prima ricchezza, se solo mi sa prendere". Ma neppure il sindacato è immune: "Tutti e tre insieme, Cgil, Cisl, Uil, hanno dato l'assalto al 'sindacato dei consigli', quello unitario, ed hanno teso a salvaguardare ognuna la propria e singola organizzazione". Però "quando un sindacato si spacca l'unico che ne trae vantaggio... è il padrone, non l'operaio o il lavoratore in genere". Un sindacato oggi spaccato in due "tronconi": da una parte, il "duro e puro" (la Fiom Cgil?) che non firma nulla, dall'altra quello che firma tutto. "E l'unico che paga per tutti è l'operaio - scrive Pennacchi - perché il padrone passa in mezzo alle divisioni come un carro armato. T'affila con il rasoio". Schema semplice, ma implacabile, e non si pensi di liquidare 'Mammut' come figlio di un mondo diverso, perché invece parla al cuore (e all'intelligenza) dicendo cose forse dimenticate e tuttavia non per questo meno vere e importanti. Come dice Pennacchi stesso nel libro, dal 1994, non è cambiata "una virgola", anche se riconosce di scrivere oggi "in maniera diversa" con più pietas e meno rabbia. "E' l'unico dei miei libro, mi verrebbe da dire 'figli', che non voglio - spiega l'autore - più toccare... è lì che ho imparato il mestiere". Sarebbe però sia per Marchionne sia per il sindacato una grandissima leggerezza non leggere la storia di 'Mammut': potrebbero fare entrambi lo stesso errore di quelle 33 case editrici che respinsero il libro. Ma sarebbe un errore ben più grave.

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. Get the Flash Videos

    Pubblicato 13 anni fa #
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    Pubblicato 13 anni fa #
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    Pubblicato 13 anni fa #
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    Pubblicato 13 anni fa #
  18. la lavandaia

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    ammè mi piaceva deppiù la prima copertina col mammut

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. rindindin

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    Zaphod una copia per me!

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. "VOLEVO FARE LA RIVOLUZIONE, ORA RACCONTO STORIE CORALI"
    di Guido Caldiron su Liberazione del 13 Marzo 2011

    "L'ho scritto a penna - con una penna stilografica a cartucce blu comprata alla Standa - su tre quadernoni grossi. Man mano che andavo avanti, ogni tanto lo battevo a macchina. (...) L'ho riguardato, ricorretto, fatto le fotocopie, rilegato da solo ogni volume con il vinavil, riempito il bagagliaio della macchina, caricati moglie e figli (...) e partiti tutti per Milano ai primi di luglio con la Fiat 127 gialla a fare il giro degli editori. Mi pensavo - che ne so? - che se ci andavo di persona era meglio". Antonio Pennacchi racconta così l'inizio di un'avventura: quella di Mammut, il suo romanzo d'esordio, uscito nel 1994 per Donzelli e che viene riproposto ora da Mondadori (pp. 190, euro 17,00). Nelle poche pagine scelte per introdurre la ristampa del libro, lo scrittore che ha vinto nel 2010 il premio Strega con Canale Mussolini (Mondadori), racconta come, all'epoca, prima di trovare un'editore il suo manoscritto si sia beccato ben 55 rifiuti, accompagnati dalla lettera di rito che spiegava come il testo "Non rientra nella nostra linea editoriale". Per Pennacchi, nato a Latina nel 1950 e figlio di una coppia di coloni arrivati rispettivamente dall'Umbria e dal Veneto per la bonifica dell'Agro pontino, quella non era però solo la prima prova letteraria. Con Mammut, scritto alla fine degli anni Ottanta, e che racconta, intorno alla figura di Benassa, il più deciso tra i rappresentanti sindacali della Supercavi di Latina, Borgo Piave, la fine dell'epopea operaia iniziata dopo il '68/'69 e il venir meno della spinta 'rivoluzionaria' che nasceva dentro le fabbriche, lo scrittore prendeva in qualche modo commiato da quella che era stata fino ad allora la sua stessa storia. Lui, già operaio e sindacalista della Alcatel Cavi, la 'Fulgorcavi', di Latina, che dopo una giovanile militanza nel Msi aveva aderito ai gruppi marxisti-leninisti e quindi al Psi prima e al Pci poi, e alla Uil prima e alla Cgil poi, aveva infatti deciso di laurearsi in lettere, sfruttando un periodo di cassa integrazione in fabbrica, e quindi di provare a fare lo scrittore.
    Oggi Antonio Pennacchi è uno dei più noti narratori italiani, ha pubblicato una mezza dozzina tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, dal suo romanzo autobiografico Il fasciocomunista (Mondadori, 2003) il regista Daniele Luchetti ha tratto il film Mio fratello è figlio unico, mentre Canale Mussolini, che mette in scena, intorno alle vicende della famiglia Peruzzi, coloni veneti nell'Agro Pontino, l'intera storia di quella zona, dalle bonifiche fasciste fino alla caduta del regime e alla guerra mondiale, si è aggiudicato il più prestigioso tra i premi letterari nazionali. Lo abbiamo incontrato a Roma.
    Alla ristampa di 'Mammut' ha aggiunto alcune pagine introduttive che spiegano ai lettori di oggi il contesto dell'epoca in cui il libro fu "vissuto" e scritto. Temeva che a chi ha ora vent'anni quello della fabbrica potesse apparire come una sorta di mondo perduto del passato?
    Dovremmo chiederlo a un lettore di vent'anni. Credo che quando si racconta una storia tutto stia nel modo in cui la si racconta: se l'ho raccontata male faranno fatica a capire di che si tratta, se, invece, l'ho raccontata bene credo proprio che potranno comprendere fino in fondo. Anche perché queste mie storie, sono quelle che hanno accompagnato da sempre la storia dell'uomo. Sono storie di emancipazione, di classi subalterne che provano a liberarsi. Storie che partono da Prometeo, da Spartaco. Ma credo che siano anche le storie dei ventenni di oggi. Perché se è anche vero che non saranno più gli operai di una volta e (ride), soprattutto, i sindacati di una volta, però le condizioni di sfruttamento non mi pare siano sparite. Anzi, a volte ho la sensazione che si siano fatti dei passi indietro da questo punto di vista. Oggi i ragazzi che lavorano nei call center prendono 500 euro al mese, con i contratti di formazione di tre mesi, sei mesi e via dicendo: che stanno messi meglio di noi che lavoravamo in fabbrica? Perciò credo che si potranno ritrovare nelle storie di Mammut...
    Quando in fabbrica le cose cominciano a cambiare, proprio Benassa, il rappresentante sindacale più determinato, tanto da essere diventato un simbolo di combattività per i propri compagni, decide di andarsene, di cambiare vita, di misurarsi con un'altra parte di sé. E' il segno di una disillusione personale, dalla fine di un sogno collettivo? E quanto c'è in questa scelta della decisione di Antonio Pennacchi di lasciare la fabbrica e di mettersi a scrivere?
    A distanza di tanti anni io ancora non lo so. E non so dire con precisione come è andata davvero sia per me che per Benassa. Per Benassa l'ho scritto, lui spiega che vuole andar via perché tutto è cambiato intorno a lui. Per me... non so. Certo, in un determinato momento l'ipotesi rivoluzionaria è caduta, questo non si discute. Ancora fino al '78, fino al sequestro Moro, io ero per l'ipotesi rivoluzionaria. Divento 'socialdemocratico' (sorride) quando andiamo in crisi, quando la fabbrica ci tocca gestirla noi. Lì smetti con il concetto di conflittualità permanente e ti rendi conto delle contabilità di mercato. Divento riformista in quel momento, in quegli anni. Dopodiché gli anni successivi sono una valanga. Da un lato cambiano le condizioni complessive, è ad esempio di quel periodo il referendum sulla scala mobile, dall'altro emergono anche alcune contraddizioni. Già all'epoca intravidi che gli operai, come classe, erano finiti. Non c'era più il soggetto rivoluzionario che, forse, a pensarci bene, era stato soprattutto un mito: in realtà non c'era voglia né di fare la rivoluzione né di costruire, come si diceva, il nuovo modello di sviluppo. Invece di diventare la classe che doveva dirigere tutto avevamo finito per mutuare i modelli di vita della borghesia. La classe operaia che avevo idealizzato era quella col basco in testa de mi' padre, tutto con le biciclette: noi invece c'avevamo tutti le macchine nove. Era cambiata la società, era cambiato tutto. E poi, diciamoci la verità, visto come è andata a finire in Unione Sovietica, meno male che non l'abbiamo fatta la rivoluzione, no? Forse non avremmo costruito un mondo più felice... la storia che ci dobbiamo inventare è un'altra. Questo non significa accettare l'ingiustizia, manco per niente: io la voglio ancora un'altra società.
    In Mammut ci sono molte cose, c'è il lavoro, il sindacato, la politica, la comunità della fabbrica. A distanza di tanti anni, qual'è la cosa che le manca di più?
    I miei compagni, quelli mi mancano più di tutto. Di allora, mi mancano la "condivisione", la "coralità". Noi stavamo bene anche quando litigavamo, facevamo a botte, chessò per un picchetto o una manifestazione. Però, alla fine della giornata ci facevamo certe risate su tutto quello che ci era successo. Ci divertivamo insieme nell'affrontare tutte queste situazioni. E questo devo dire che mi manca molto, come mi mancano quei compagni che non ci sono più.
    Tra Mammut e Canale Mussolini, il romanzo con cui ha vinto il Premio Strega 2010, sono trascorsi più di vent'anni. Eppure sembra di cogliere un legame tra i due libri: qual è?
    Mammut è il mio primo libro, non è il migliore dei miei libri, l'ho scritto venticinque anni fa e oggi scrivo in maniera diversa. Sono cresciuto, ho studiato e lavorato. E' davvero cambiata anche la mia scrittura... Però io sono la stessa persona, c'è lo stesso filo a legare le due storie. Canale Mussolini è un'epopea contadina, Mammut è un'epopea operaia: gli operai di Mammut sono i figli dei contadini di Canale Mussolini. Benassa è il figlio di una Peruzzi (la famiglia le cui vicende sono al centro di Canale Mussolini, nda). Entrambi sono poi romanzi corali, questo è chiaro per Canale, ma anche in Mammut, intorno a Benassa ci sono le storie di tutti gli altri compagni. Sì, credo proprio di aver scritto in entrambi i casi della storie corali.
    Queste narrazioni corali sono costruite intorno al lavoro e ai sogni di due comunità che sembrano voler realizzare con grande determinazione il proprio futuro: la vita degli individui si proietta così nella dimensione del mito?
    Sì, certo. Ma non so se sta bene che sia io a dirlo. Non so se lo scrivo tra le pagine o solo nella dedica del libro, ma c'è un riferimento preciso all'Iliade. Perché so tutte uguali ste storie, sono universali. Se la letteratura e la poesia sono fatte bene - ma sulla mia opera non sono certo io che posso dare un giudizio -, questo è l'esito: racconti la tua storia che può diventare universale se sei in grado di farla davvero comprendere agli altri. Quando Benassa ferma le macchine per strada, e tutti gli altri compagni gli vanno dietro, è un po' come quando Achille si lancia in combattimento e gli altri lo seguono... Perciò è chiaro che dietro tutto c'è il mito e la sua forza: il mito di Carlo Marx, di Dio, di Che Guevara, di Gagarin...
    Negli ultimi anni lei ha spesso rimproverato alla "sinistra dei fighetti" di essere lontana dai problemi quotidiani delle persone. Secondo lei perché a sinistra si fatica a comprendere e a opporsi in modo efficace al berlusconismo?
    E che ne so? Io faccio il narratore, mica posso sape' tutto. (Ride) Il problema è che quelllo che hnon ha capito la sinistra, o a fatto finta di non capire, è che non è vero che Berlusconi è l'origine di tutti i mali della democrazia italiana. Berlusconi è solo l'effetto e se la nostra democrazia avesse funzionato lui non sarebbe arrivato dov'è ora. E l'altro dramma vero è che il berlusconismo non sta solo dentro Berlusconi: ci sono atteggiamenti della sinistra che sono speculari a quelli della destra. Questo ve posso di' io. Così, quando se ne andrà Berlusconi - che comunque prima se ne va e meglio è - noi resteremo da punto e d'accapo, perché siamo prima di tutto noi a non essere tanto diversi da lui. E questo me terrorizza. Siamo noi a non essere troppo diversi dai nostri padri quando erano fascisti e quando tributavano un consenso di massa al fascismo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. A.

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    Bello.
    Tra l'altro oggi è l'anniversario del rapimento di Aldo Moro.

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. k

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    Sì. Bisogna vedé che ha detto Oggionni, però.

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. Se n'annasse affanculo pure lui.

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. LA CLASSE OPERAIA NON VA IN PARADISO
    di Maria Pia Ammirati su MOBYDICK libri, inserto di Liberal

    Sarà rimasta nelle orecchie, e nella memoria, di Antonio Pennacchi quella letteratura industriale di Paolo Volponi per indurlo a dare un taglio netto alla letteratura industriale, con una scrittura "dal vero" della fabbrica e della fabbrica degli anni Settanta. Sarà rimasta anche come primo punto di riferimento di una scrittura che vorrebbe cambiare il mondo partendo da un mondo preciso come quello degli operai della fabbrica. Ma tanto tempo è passato da allora e tanto tempo è passato dalla prima scrittura di Mammut, oggi ristampato dalla Mondadori dopo che, come premete l'autore nella sua giocosa e ironica Introduzione, dall'87 fino alla prima edizione di Donzelli, riceve in otto anni 55 rifiuti da tutte le case editrici: "55 rifiuti da 33 case editrici diverse... tutti gli editori italiani dai più grossi ai più piccoli".
    Mammut, scritto a penna all'età di trentasei anni, è il primo libro di Pennacchi, il vero esordio narrativo testo scritto e riscritto, dopo che lo scrittore di Canale Mussolini lascia la fabbrica, la Supercavi-Fulgorcavi di Latina-Borgo Piave, per poter studiare Lettere e scrivere. Il testo uguale a quello di quasi trent'anni fa, a cui Pennacchi non cambia per ostinata volontà una virgola, nacque quando "c'era ancora l'unità sindacale... l'Unione Sovietica e i Paesi del blocco socialisti... il sindacato era ancora unitario in Italia. Cgil, Cisl e Uil non si sarebbero mai sognati di andare a firmare un contratto o un accordo ognuno per conto suo". Cioè un altro mondo, un mondo dove un accordo raggiunto a Mirafiori tra fabbrica e Azienda, dopo un referendum come accaduto pochi mesi fa con la Fiat di Marchionne, sarebbe stato impossibile da immaginare.
    In realtà questa rivoluzione di fabbrica, questo processo di cambiamento era stato già percepito e stigmatizzato dal protagonista del romanzo di Pennacchi, una sorta di alter-ego, un rude e intelligente rappresentante sindacale dei lavoratori della Supercavi di Latina, Benassa. L'uomo che incarna la passione della Fabbrica come luogo fisico e come simbolo, l'uomo pronto a tutto, a occupare e a trattare con dirigenti e padroni, terrore dei direttori del personale, temuto per la verve paroliera ma soprattutto per i comunicati che compone come fosse poesia, ma che hanno la forza e l'energia di vere e proprie "mazzate a rotta di collo sull'Azienda".
    Benassa incarna la parabola della classe operaia, segue le contorte anime delle fabbriche legate alla produttività italiana, le ambigue vie della politica, l'anima post-contestataria degli anni Sessanta che incrociano gli anni Ottanta dell'edonismo. Il romanzo segue la traccia di una settimana di fabbrica di Benassa e compagni, tra tinelli familiari, tresche amorose, turni notturni ma soprattutto occupazioni e manifestazioni contro i Padroni o la Politica. Benassa è l'anima di tutto, lo stratega e il trascinatore fino al giorno in cui sente che il mondo sta cambiando e non solo perché succede a quasi tutte le industrie intorno, la crisi arriva di soppiatto e trancia di netto il tran tran della vita degli operai. Certo c'è anche lo strano effetto che il padrone non è più così padrone (è il primo che tenta di salvare la fabbrica rimettendoci del suo), ma è la classe operaia che è cambiata, c'è una nuova generazione che preme che non può più appartenere a quella classe. Benassa decide di raggiungere un accordo con il personale e di uscire dalla fabbrica per dedicarsi allo studio, non prima però di aver arringato i compagni prevedendo una nuova era, la vecchia si lascia dietro grandi carcasse come quelle dei mammut: "L'egemonia operaia? Siamo una classe estinta. Ci siamo estinti già da un pezzo. Come il bisonte dell'Europa. Come i mammut... Ci siamo estinti. Culturalmente. Politicamente. Numericamente. Come i mammut". Forse per questo Pennacchi ha voluto ristampare un testo stilistamente così diverso dai suoi testi più maturi, perché la testimonianza non è meno importante dell'arte.

    Pubblicato 13 anni fa #

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