Attenzione: il racconto che segue è frutto di invenzione, qualsiasi riferimento a fatti, persone e luoghi realmente accadudi ed esistenti è da considerare del tutto casuale.
REA SILVIA
I giudici sono riuniti in camera di consiglio.
L'attesa sembra non finire mai.
Aspetta la sentenza dal suo studio. Non vuole dare la soddisfazione ai suoi nemici di leggere la tensione sul suo volto. L'avvocato chiamerà al telefono appena annunceranno il rientro della corte in aula e potrà ascoltare la sentenza in diretta.
Il telefono è appoggiato sulla scrivania.
Muto.
La mente torna a quando tutto era cominciato.
1.
L'igienista dentale sapeva che era arrivato il suo momento. L'ambulatorio era deserto. L'appuntamento era stato fissato dopo l'orario di chiusura. Ufficialmente per motivi di sicurezza, ma lui era consapevole che c'era qualcos'altro dietro quella scelta. Doveva giocare bene le sue carte, e non se ne sarebbe pentito. Così gli avevano detto.
Per l'ultima volta si guardò nello specchio. Sperò di non aver esagerato col dopobarba mentre si passava la mano sul mento appena rasato. Dal camice bianco occhieggiava la t-shirt Armani nera. Slacciò un altro bottone.
Il campanello.
Aprì ed entrarono due uomini della scorta in completo nero, altri due rimasero fuori, ai lati della porta.
Lei entrò.
“Signora Presidente,” la accolse lui, mentre la scorta entrava a controllare tutte le stanze, “buonasera, si accomodi pure.”
Lei – il primo capo del governo donna della storia della Repubblica – lo fissò negli occhi e gli porse la mano.
“Mi hanno detto un gran bene di lei,” lo squadrò mentre lui portava la mano alle labbra, sfiorandola appena, “vedremo cosa sa fare.”
“Avevo intenzione di fare del mio meglio,” rispose lui accompagnandola nello studio, “ma adesso che l'ho vista qui di persona sono sicuro che non potrò dare meno del massimo, è un onore e un piacere averla qui.”
“Galante,” disse lei togliendosi il soprabito, e avvicinandosi alla sedia da dentista, “il che in un uomo non guasta, in un bell'uomo poi, è l'ideale.”
Le prese il soprabito e lo appese all'attaccapanni. I due della scorta erano rimasti in sala d'attesa. Era il suo momento.
“Nicola Mineo,” disse la Presidente leggendo il nome sugli attestati che tappezzavano le pareti, “non sarà mica parente di quel giornalista comunista della Televisione di Stato, vero?”
“Ma scherza?” rispose lui, “io neanche la guardo la Televisione di Stato.”
Rise mentre prendeva posto sulla sedia reclinata.
Nicola approfittò per guardarla meglio. Era come in televisione, ma da vicino i suoi 72 anni si vedevano meglio. Da ancora più vicino sarebbero stati evidenti. Scacciò quel pensiero. C'era il suo futuro in ballo.
La accompagnò sullo schienale tenendola per le spalle. Prese il bavaglino di carta e glielo sistemò davanti per evitare di sporcarle il tailleur. Gli sembrò che lei gonfiasse il petto per prolungare il contatto con le sue mani.
“Quanti anni hai, Nicola?”
“Ne compio 23 la settimana prossima.”
“Mmmmh, ventitré anni,” fece lei chiudendo gli occhi e rilassandosi sullo schienale, “che età meravigliosa, il fiore della giovinezza...”
Sollevò il braccio destro e glielo poggiò su un fianco.
“Devi promettermi che non mi farai male.”
“Sarò leggero come una piuma.”
“Mah, però con questi muscoli,” e gli tastò il bicipite, “sei uno che va in palestra, vero?”
“Sì, Presidente,” rispose Nicola inclinandosi su di lei e porgendole un bicchierino di plastica, “ecco sciacqui con questo, ci vado tre volte a settimana.”
“Si sente,” e allungò la mano a sfiorargli i pettorali.
Ci siamo. Nicola sbottonò il camice e lo aprì. La mano della donna gli accarezzò la pancia e salì a indugiare un po' più a lungo sui pettorali.
La Presidente prese un sorso dal bicchierino, sputò nella vaschetta e si riappoggiò sullo schienale. Nicola le asciugò le labbra e il mento con la salvietta e prese lo specchietto per guardarle i denti.
Intanto la mano destra della donna era arrivata al suo inguine e lo massaggiava delicatamente. Nicola non pensava a niente. Lo sguardo era fisso alla bocca di lei, ma la sua attenzione era concentrata a quella carezza sulle parti intime. Il suo corpo non tardò a reagire.
“Mmmh,” fece ancora la Presidente mentre sentiva i pantaloni gonfiarsi sotto il suo tocco, “proprio quello che ci vuole dopo una giornata di lavoro.” E aveva inspirato profondamente. Nicola lo aveva preso per un invito e le aveva posato una mano sul seno, delicatamente, pronto a toglierla di scatto, con la scusa della salviettina, al primo accenno di contrarietà. La Presidente invece aveva inarcato la schiena a spingersi di più contro la sua mano. E adesso gli stava anche slacciando la cinta dei pantaloni.
Nicola continuava a non pensare a niente.
La sua mano si stava infilando sotto la gonna della donna, ma il suo cervello si rifiutava di elaborare le informazioni sensoriali che riceveva. Indossava un reggicalze, la Presidente. Voleva far colpo, indubbiamente.
Lui la guardava sulla bocca, fisso. L'attenzione appuntata a mantenere salda quell'erezione.
Non pensava ad altro, Nicola. Solo a quella mano che continuava a toccarlo.
E al suo futuro.
(continua?)