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(1417 articoli)
  • Avviato 15 anni fa da Faust Cornelius Mob
  • Ultima replica da parte di big one
  1. sensi da trento

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    hanno ritoccato la statua del papa alla stazione termini.

    secondo me fa schifo come prima.
    qua comunque il servizio:

    http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/11/19/foto/statua_prima_e_dopo-46979508/1/?ref=HREC2-4

    Pubblicato 11 anni fa #
  2. Mah a me pare un vespasiano.

    Pubblicato 11 anni fa #
  3. llux

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    Ho appena letto che l'11 luglio The Boss suona a Roma...poi non iniziate a rosicare tre giorni prima!
    @Faust: il 3 giugno suona a Milano.

    Pubblicato 11 anni fa #
  4. Preparo una vasca di Red Bull.

    Pubblicato 11 anni fa #
  5. sensi da trento

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    http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/12/03/news/latina_a_fuoco_palestra_di_filippo_rossi-47972708/?ref=HREC2-1

    Viterbo, incendio doloso
    nella palestra di Filippo Rossi

    Il direttore de "Il futurista" ha subito già tre irruzioni da maggio nel circolo sportivo gestito dalla moglie e dalla figlia e a luglio è stato vittima di un'aggressione dei militanti di CasaPound durante l'evento "Caffeina cultura"

    Un rogo è divampato questa notte nella palestra 'Gymnica', a Viterbo, gestita da Alessandra Giannisi, compagna di Filippo Rossi, il direttore de 'Il futurista' e tra i fondatori di 'Caffeina cultura', e dalla figlia di Daniela Bizzarri, ex consigliera provinciale delle Pari opportunità. Non ci sono dubbi sulla natura dell'incendio, scoppiato fra le tre e le quattro del mattino, che è di chiara origine dolosa.

    Secondo le prime informazioni, infatti, alcuni malviventi, dopo aver forzato la porta di ingresso sul retro, sono entrati nella struttura appiccando il fuoco, per poi fuggire. Hanno anche scassinato le macchinette del caffè e delle bevande, forse per simulare un furto, ma i soldi delle quote degli iscritti in palestra, che erano stati lasciati alla reception, non sono stati toccati.

    A dare l'allarme sono stati i condomini che vivono nel palazzo in cui si trova la palestra, svegliati dall'acre odore di fumo che aveva invaso le loro abitazioni. Sul posto sono immediatamente giunti i Vigili del fuoco che hanno domato le fiamme.

    "Da maggio è la terza volta che entrano in palestra- spiega Alessandra Giannisi nelle parole riportate da Viterbonews24.it- ma l'incursione di stanotte è stata la peggiore. A maggio e a giugno erano entrati e avevano scassinato la macchinetta e rubato le quote dei saggi, stavolta, invece, i danni non si contano. Fortunatamente i macchinari si sono salvati, ma il danno più ingente riguarda l'impianto elettrico, che è andato completamente distrutto.
    Con il rogo si sono rotti anche dei tubi dell'acqua, ecco perché, oltretutto, c'è acqua ovunque. Ma, in ogni caso, è ancora presto per la stima dei danni. La speranza, ora, è quella di riaprire il prima possibile".

    Lo scorso luglio Filippo Rossi è stato anche vittima di un'aggressione da parte di alcuni militanti di CasaPound, tra i quali Gianluca Iannone, fondatore e presidente del movimento neofascista.

    L'associazione di estrema destra si dichiara però del tutto estranea al rogo: "Ci sentiamo in dovere di prendere le distanze dal folle gesto che nulla ha a che vedere con la discussione politica - scrive in una nota Cpi Viterbo - Ricordiamo che CasaPound rivendica sempre le proprie azioni con comunicati, scritte o volantini, così come anche quella dello scorso luglio che ha riguardato il signor Rossi. Non è nel nostro stile incendiare o attentare a sedi avversarie di notte, anzi è CasaPound che da sempre subisce attentati di questo tipo come l'ultimo di pochi giorni fa a Bologna. Chiudiamo esprimendo solidarietà a Filippo Rossi e alla sua compagna, ribadendo la nostra estraneità ai fatti".

    Rossi è anche il possibile candidato sindaco al Comune di Viterbo con la sua Italia Futura. Appena pochi giorni fa il renziano e consigliere del Pd viterbese Francesco Serra ha addirittura paventato la possibilità di un ticket elettorale tra i due partiti e ha indicato in Rossi il possibile candidato comune, da scegliere comunque attraverso il sistema delle primarie.
    (03 dicembre 2012)

    Pubblicato 11 anni fa #
  6. A.

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    solidarietà a Rossi, contro gli attacchi fasci

    Pubblicato 11 anni fa #
  7. zaphod

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    Ieri è stato comunicato il nome del disegnatore del fumetto tratto dal Canale. È Luigi Ricca, siciliano, ma vive a Roma, e ha già adattato a fumetti Il tempo materiale di Giorgio Vasta.
    Guarda la combinazione, sono due dei tre romanzi italiani scelti dalla fondazione Englishpen meritevoli di un contributo per la traduzione in inglese.

    Se ne parla qui.

    Pubblicato 11 anni fa #
  8. Una bella sfida per voi sceneggiatori, in bocca al lupo ragazzi.

    Pubblicato 11 anni fa #
  9. A.

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    Moderatore

    siete scrittori? ecco un capolavoro. commentatelo. a me ha fatto convertire (quasi)

    http://www.postadelgufo.it/maestro/Bartleby.pdf

    Pubblicato 11 anni fa #
  10. Woltaired

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    Preferisco no! (cit.)

    Pubblicato 11 anni fa #
  11. Woltaired

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    Preferisco no! (cit.)

    Pubblicato 11 anni fa #
  12. big one

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    L'Anonima nel nuovo numero di Fili d'Aquilone con un racconto di zaph

    Pubblicato 11 anni fa #
  13. A.

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    e comunque è "preferirei di no", caro woltaired.

    Pubblicato 11 anni fa #
  14. Woltaired

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    I prefer not to Questo nel testo originale. Se ci vedi dei condizionali...Trovo una netta differenza tra preferire no e preferire, forse, di no. Non ci sono titubanze né cortesie nelle risposte della scrivano, solo imperativi.

    Pubblicato 11 anni fa #
  15. Woltaired

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    E comunque caro un cazzo, mica ci stiam simpatici io e te, giusto?

    Pubblicato 11 anni fa #
  16. Woltaired

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    Membro

    Anche se, a pensarci bene, io a te, caro, l'ho detto più volte, quindi: scusa.

    Pubblicato 11 anni fa #
  17. A.

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    Tranquillo, nessun problema.

    Ps. E perché dovresti starmi antipatico? Mi sono perso qualcosa?

    Pubblicato 11 anni fa #
  18. zanoni

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    scusate l'intromissione, ma 'I prefer not to' e' seguito da un verbo che puo' ssere sottinteso (in questo secondo caso, 'preferisco di no')

    Pubblicato 11 anni fa #
  19. Woltaired

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    Non so, za', a quanto ricordo il verbo non c'è mai, ma certo ne potrebbero essere sottintesi decine. Io ne interpreto la totale mancanza come una volontà di oggettivare la negazione. Il no si concretizza virando da nulla a tutto.
    (Forse aver dato l'ultimo esame mi ha fatto male...
    A., c'è spazio sul lettino?)

    Pubblicato 11 anni fa #
  20. zaphod

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    Propongo di brevettarne uno a due piazze.

    Pubblicato 11 anni fa #
  21. A.

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    Sono sinceramente contento che tu abbia dato l'ultimo esame. Grande!

    Pubblicato 11 anni fa #
  22. zaphod

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    Fondatore

    Mammouth

    Pubblicato 11 anni fa #
  23. zanoni

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    Membro

    ho letto questo articolo sul New York Times: The Ghost of Mussolini Haunts a Former Marshland

    beh, arrivare sul NYT non e' da tutti: ma e' un peccato che la collega non abbia appreso che esiste un libro dal titolo 'Canale Mussolini'...

    Pubblicato 11 anni fa #
  24. llux

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    Cisterna come Detroit, la crisi della Findus in toni springsteeniani
    Su il manifesto del 2 aprile scorso

    Dalla padella alla banca
    ANGELO MASTRANDREA

    Il «dopo Cristo» di Marchionne alla Hydro Slim, il finanzcapitalismo alla Findus. Prima puntata di un viaggio-inchiesta nella Grande Depressione italiana

    Non sarà la Route 66 di Steinbeck, la via Appia, né il Lazio l'Oklahoma di Furore. Non c'è Tom Joad a fare l'autostop in questo cimitero industriale del Basso Lazio che avrebbe potuto essere come una campagna del West e invece rassomiglia più a una periferia di Detroit, ma qua e là qualche prostituta africana con tutt'altro obiettivo. Però, a passarci una giornata intera, capisci che la Grande Crisi è qui, ora, e non c'è inganno mediatico o escamotage politico che possa fermarne l'impetuosa avanzata. È economica ed ecologica, antropologica e collettiva, investe i modi di produrre e gli stili di vita, la vita quotidiana e il futuro imminente, tocca trasversalmente le persone di mezza età che vengono a trovarsi senza ruolo in una società che la Costituzione vuole fondata sul lavoro, esodate dal mondo che avevano conosciuto, e quella generazione che il premier Mario Monti, il giorno dopo essere stato incoronato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano erede di Silvio Berlusconi, in tutta onestà definì «perduta»: quei giovani-giovani sotto i trent'anni e i trenta-quarantenni che un lavoro vero non l'hanno mai conosciuto e hanno agito da inconsapevoli pionieri di un sistema «dopo Cristo» in cui il welfare che ha protetto i loro genitori non sarà più garantito a nessuno, e in cui ogni homo sarà homini lupus. Sarà importante provare a svelarne meccanismi e retroscena, da piccoli scienziati della contingenza quali noi giornalisti aspiriamo a essere.

    Piazza dell'alluminio è vuota
    Questo viaggio, che si propone di osservare da vicino quella che il Premio Nobel per l'economia Paul Krugman ha definito «mezza Grande Depressione» ma che con ogni probabilità, per quel pezzo d'Occidente che affaccia su quel mare nostrum Mediterraneo un tempo considerato «culla della civiltà», è priva di mezze misure, ha inizio davanti a un cancello scorrevole che è impossibile oltrepassare, in una delle tante macchie d'asfalto che punteggiano come nei la campagna di Cisterna di Latina. Il piazzale della Hydro Aluminium Slim è denominato, con un pizzico di pomposità e scarsa fantasia, «piazza dell'alluminio».
    Non siamo venuti fin qui per errore. Non fosse stato annullato all'ultimo momento il sit-in dei dipendenti contro la più grande fabbrica metalmeccanica del Lazio, che ha deciso di congelare per due anni la quattordicesima e di restituirla a piccole rate a partire dal 2015, questa discesa nelle viscere della Grande Crisi avrebbe avuto un incipit più movimentato. Invece, alle due del pomeriggio di una giornata la cui luce promette primavera ma è oppressa da uno strato uniforme di nubi, di quelle che rendono l'umore cangiante come il vento che soffia con alterna intensità, la sensazione è quella di partire come quei tre emigranti che all'indomani dell'Unità decisero di attraversare l'Oceano al contrario, dall'Uruguay all'Italia, con un'imbarcazione costruita da loro, ma appena abbandonato il Rio de La Plata furono traditi dalla bonaccia.
    C'è aria di bonaccia anche nella «piazza dell'alluminio», ma il viaggio non è stato del tutto vano. C'è infatti, a sorvegliare l'entrata e l'uscita dei lavoratori, il segretario locale della Fiom, Tiziano Maronna, pronto a illustrare il perché l'esito della trattativa in questa fabbrica costituirà un piccolo paradigma per i futuri rapporti aziendali in tutta l'area. Alla Hydro Slim - spiega - è in gioco l'applicazione del Piano Marchionne in una industria che non sia la Fiat. E questo, con i suoi 430 operai, è lo stabilimento più grande di un'area in cui, ai tempi d'oro dell'industrializzazione del centro-sud, si contavano una quarantina di fabbriche metalmeccaniche. La partita in corso alla Hydro Slim riguarda le quattordicesime, appunto, e altri ammennicoli garantiti da un accordo integrativo: indennità per la sede disagiata, trasporti, mensa. Poco male, si potrebbe pensare, se salta la quattordicesima rimangono le altre tredici mensilità. Ma se si pensa che la paga base di un metalmeccanico di terzo livello - il più comune - è di appena 1.100 euro al mese, e se si considerano le spese di viaggio per arrivare fin qui si capisce come anche un piccolo bonus possa rappresentare una boccata d'ossigeno salvifica. In un Paese come l'Italia in cui la Grande Crisi ha provocato sinora - contrariamente alle previsioni degli esperti - un aumento dell'inflazione proporzionalmente commisurato al calo del Prodotto interno lordo - anche se da qualche mese a questa parte non è più così e i prezzi hanno preso a calare, ci informa l'Istat - a un operaio non rimane molto per condurre un'esistenza dignitosa. E quando leggiamo le aride cifre dell'Istituto nazionale di Statistica, secondo il quale 6,7 milioni di persone in Italia sono in una condizione di «grave deprivazione», non possiamo fare a meno di pensare che i 430 operai della Hydro Slim non possano essere tra questi, vieppiù se dovessero venire a mancare loro i 2.500 euro all'anno che perderebbero se passasse il piano aziendale.
    Si intuisce che la partita è grossa: il Piano Marchionne - una strategia pianificata a tavolino di compressione di costi e diritti, che utilizza la crisi come grimaldello per far passare restrizioni che in un altro contesto sarebbe stato impossibile anche solo immaginare - esteso a macchia d'olio su quel che resta del tessuto industriale italiano, dovrebbe garantire la convenienza per le aziende a rimanere in Italia piuttosto che a delocalizzare nei Paesi dell'Est o a produrre nell'Estremo Oriente. A maggior ragione se i costi vengono scaricati sullo Stato, che da quando è cominciata la Grande Crisi non ha lesinato la concessione degli ammortizzatori sociali a chiunque ne facesse richiesta, specie se si tratta di una multinazionale. Invece, spiega Maronna, più le aziende sono piccole e meno possibilità hanno di vedersi concedere stati di crisi, anche se spesso sono loro ad averne maggiore bisogno.
    Si comprende la frustrazione dei sindacalisti, specie dei più battaglieri. Stretti nella morsa del ricatto occupazionale, si trovano a dover negoziare sempre il meno peggio, al massimo la conservazione di qualche diritto e mai una loro estensione, con il risultato di risultare troppo estremisti agli occhi di quei lavoratori timorosi di perdere il posto di lavoro e troppo cedevoli per i gusti degli operai più arrabbiati.

    La portaerei e il motoscafo
    «A fare i piani industriali ormai sono le banche, con i soldi pubblici», mi dice il segretario della Cgil Giovanni Gioia, che incontro nel suo ufficio alla Camera del Lavoro di Latina. Alle pareti della stanza non c'è il solito Pellizza da Volpedo che si incontra regolarmente in sedi di questo genere, ma una sorta di Quarto Stato col turbante. Sono indiani sikh, gli "invisibili" delle campagne non rovinate dal cemento e dall'industria, e l'immagine immortala la prima volta che sono scesi in piazza per rivendicare i loro diritti. Era il 26 maggio del 2010, e si capisce che l'esser riuscito a portare in piazza un migliaio di coraggiosi esponenti della "little India" pontina è il fiore all'occhiello dell'attivismo sindacale di Gioia, anche se da allora molto poco è cambiato per gli immigrati, impiegati negli allevamenti di bufale e nella raccolta di zucchine e cocomeri, sfruttati e malpagati oggi più di ieri. Già al telefono, Gioia si era presentato come una possibile miniera di infomazioni. A passarci una giornata insieme si fa in tempo ad apprezzarne la profonda conoscenza del territorio, delle sue storie e dei personaggi, di solito sconosciuti ai più, che lo rendono vivo. Sarà il primo, importante, compagno di strada di questo viaggio.
    Per capire cosa stia a significare l'affermazione che ormai sono le banche a fare i piani industriali non è necessario spostarsi molto. A qualche chilometro di distanza dalla Hydro Slim c'è l'unico stabilimento italiano della Findus. Lì dentro fanno i Quattro salti in padella, i Sofficini, i bastoncini di pesce e tutti gli altri prodotti surgelati che troviamo nei supermercati con il marchio del capitano dalla barba bianca che con un sorriso rassicurante ci garantisce la qualità del pescato. Il caso della Findus è paradigmatico di come il finanz-capitalismo - come l'ha efficacemente denominato, con un neologismo forse cacofonico ma lucidamente esplicativo, Luciano Gallino - abbia ormai in pugno anche la produzione e di quanto assoggetti quest'ultima alle esigenze finanziarie. A partire dal 2000, la società, nata in un paesino svedese negli anni cinquanta, ha cambiato proprietà tre volte, passando da un fondo di private equity a un altro, e in ogni passaggio ha lasciato per strada un impressionante numero di lavoratori, che dai 1.300 di inizio millennio sono ormai ridotti a 350, cosa che fa dire al nostro sindacalista cicerone che ormai lo stabilimento di Cisterna è «una portaerei che viaggia come un motoscafo», al 45 per cento della sua capacità produttiva.
    Alla Findus di Cisterna tutto comincia nel 2010, quando la Unilever Italia - ramo nostrano della multinazionale anglo-olandese che commercia anche i gelati Algida - vende il frozen food - ovverossia lo stabilimento di Cisterna, la sede di Roma e il marchio Findus Italia - alla Compagnia Italiana Surgelati (Csi), che a sua volta è di proprietà della Byrd's Eye Igloo, società che ha rilevato anche gli altri tre stabilimenti europei - due in Germania e uno in Inghilterra - e il marchio Igloo. La Byrd's Eye Igloo, a sua volta, fa capo a Permira, un fondo di private equity finanziato in gran parte da Goldman Sachs. L'operazione costa ai finanzieri 805 milioni di euro. Nonostante il credit crunch la società ha un giro d'affari di circa 450 milioni di euro e un margine operativo lordo attorno agli 85 milioni. I margini per rilanciare ci sarebbero tutti. Invece l'obiettivo è quello di ridimensionare, in nome dell' «incremento di produttività e di efficienza organizzativa». Il sospetto, fondato, è che ai finanzieri interessi molto poco la produzione e molto più ristrutturare l'azienda in modo da poterla in seguito rivendere, se sarà il caso, come un usato sicuro.
    A pochi mesi dall'insediamento la nuova società apre una procedura di cassa integrazione per 152 lavoratori e una di mobilità per altri 97, e disdetta immediatamente tutti gli accordi sindacali integrativi, tornando al contratto base dell'agroindustria. Nel marzo scorso arriva, del tutto inattesa, una seconda mobilità, con altri 127 esuberi. Nel frattempo, all'interno dello stabilimento aprono due uffici interinali, uno dell'Adecco e un altro della Ramstad, che sfornano contratti anche solo di un giorno per far fronte alle esigenze produttive, in particolare per sostituire il ricorso al lavoro stagionale. In questo modo, il capolavoro è compiuto: il personale è dimezzato, i salari diminuiti - «mediamente ogni lavoratore ha perso 4-5 mila euro all'anno», dice Gioia - i diritti dei lavoratori compressi e i costi della ristrutturazione accollati allo Stato, che nell'assenza di una politica industriale concede acriticamente stati di crisi. La domanda che si pone d'obbligo, a questo punto, è: potrà reggere una simile cura da cavallo?

    Febbre da cavallo
    A gettare un'ulteriore secchiata di benzina su un fuoco che già divampava da tempo è arrivato pure lo scandalo della carne equina nelle lasagne prodotte dalla Findus in Gran Bretagna. Tralasciando ogni approfondimento sulle proprietà nutritive di quest'ultima rispetto alla carne bovina - è stato accertato che non si trattava comunque di alimenti nocivi per la salute - e senza addentrarsi nei meandri della produzione - come si produce, qual è la filiera - quel che è utile mettere in evidenza è cosa si possa nascondere dietro uno stesso logo. Il giorno dopo l'esplosione dello scandalo, finito sulle copertine dei giornali di mezzo mondo, la Findus Italia ha diramato un comunicato in cui ha spiegato che con le lasagne inglesi non ha niente a che fare, non solo dal punto di vista produttivo ma addirittura da quello societario. Può accadere, infatti, che sotto lo stesso marchio - conservato per ragioni di brand - si nascondano proprietà diverse. Ad esempio, in Svizzera la Findus è proprietà di Nestlè. Ma lo scandalo britannico ha avuto sul mercato l'effetto di una slavina: la Coldiretti ha stimato un crollo delle vendite del 30 per cento dei prodotti della multinazionale del cibo surgelato.
    Difficilmente un boicottaggio ben organizzato sarebbe riuscito ad assestare un colpo più devastante all'immagine del marchio. I consumatori - ai quali l'ideologia neoliberista impone l'ignoranza di cosa si nasconda dietro il prodotto che acquistano nei supermercati - non hanno fatto distinzione: per loro il logo è lo stesso e la responsabilità pertanto unica. Il nuovo amministratore delegato di Findus Italia, David Pagnoni, nominato il 4 marzo scorso, ha di fronte a sé il compito di rinverdire l'immagine sorridente del vecchio Capitano svedese. Appena insediato, ha dichiarato: «Sono convinto che riusciremo a ottenere una crescita del business italiano, continuando a offrire prodotti di alta qualità che soddisfano i bisogni dei nostri consumatori». Grazie al calo dei consumi e ai piani industriali fatti dalle banche, oggi la Findus di Cisterna di Latina sforna 70 mila tonnellate all'anno in meno di Sofficini e Quattro salti in padella. Sarebbe già un successo se riuscisse a invertire la tendenza.
    (1 - continua)

    Pubblicato 11 anni fa #
  25. llux

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    Julian Assange raccontato da Saviano. Comunque la pensiate.

    Saviano incontra Assange
    "Le nostre vite blindate"
    Da quasi un anno il fondatore di WikiLeaks vive come in prigione. "Ma non pensate sia disperato". Il racconto dello scrittore che è andato a trovarlo
    di ROBERTO SAVIANO

    KNIGHTSBRIDGE, a Londra, è un quartiere elegante. Lì si trovano case tra le più costose del pianeta. Costeggia Hyde Park, tutto è ordinato, persino anonimo. Su Hans Crescent si trova una palazzina in mattoncini rossi con le finestre incorniciate di bianco. È l'Ambasciata dell'Ecuador e potrebbe passare inosservata se non fosse per un piccolo presidio, notte e giorno, di persone che espongono uno striscione: "Free Julian!". Qui, dal giugno 2012, vive come rifugiato politico Julian Assange.

    Quando arrivo all'ambasciata, mentre vengo perquisito e consegno passaporto e telefono, non so esattamente cosa aspettarmi. Come tutti quelli che subiscono una narrazione mediatica, anche Assange quando lo si incontra di persona provoca un senso di straniamento. Pensavi di trovare un uomo e invece te ne trovi davanti un altro, completamente diverso. Succede sempre così. Dalla conoscenza personale si evincono quelle sfumature e quei tratti che la narrazione ha cassato, assolutizzando in qualche tratto il tutto.

    Davanti a me c'è un ragazzo molto bello - direi angelico - piedi scalzi e maglietta del Brasile con dietro scritto il suo nome. Dopo le presentazioni mi porta in una stanza, la sua. È una stanza incredibilmente piena. Un disordine che conosco e riconosco bene. Le stanze di chi vive senza mai poter uscire hanno un disordine tutto loro. Non è il disordine di chi entra ed esce, o di chi è troppo impegnato per poter mettere in ordine. Neppure di chi lì dentro porta il caos della propria vita professionale, come spesso sono le scrivanie dei giornalisti dove si accumulano cose che non si ha mai il tempo di archiviare o sistemare. No. Il disordine di chi non esce è il disordine di uno spazio che si satura. Di oggetti o carte che attendono qualcuno. Continui a ripeterti che quando riuscirai a vedere quella determinata persona gli darai quella determinata cosa che conserverai chissà per quanto tempo. E intanto tutto resta in attesa. È il disordine di una vita che si deve comporre lì dentro, in un unico spazio. È molto difficile mettere in un sol posto il rum, i dossier e una cyclette. In queste stanze ci sono pezzi di una quotidianità che spesso - anzi sempre - si divide in tanti altrove.

    Mendax è cresciuto ma i suoi principi sono rimasti intatti. E per questi principi oggi paga un prezzo drammatico. Mendax era il nome che Julian usava a sedici anni quando fondò un gruppo chiamato International Subversives e ne scrisse la regola base: "Non danneggiare i sistemi nei quali entri, non modificare le informazioni che trovi e condividile".

    Condividere. Non usare, mistificare, modificare, piegare, omettere. No: condividere. Condividere informazioni significa renderle pubbliche a uso di chi legge, di chi guarda, di chi ascolta. A sedici anni Julian Assange aveva un'idea molto chiara di cosa significasse per lui democrazia ed era un'idea basata principalmente sulla libera circolazione delle informazioni. Poi nel 2006 fonda WikiLeaks, una rivoluzione mediatica di dimensioni incalcolabili. L'assunto: i regimi non vogliono essere cambiati, ecco perché per conoscerli è necessario utilizzare tecnologie che chi è venuto prima di noi non aveva a disposizione. Più un'organizzazione è ingiusta, più le fughe di notizie provocano timore e paranoia.

    Il punto di svolta è il 28 Novembre 2010, quando WikiLeaks inizia a rendere pubblici alcuni dei 251mila cablogrammi statunitensi in suo possesso. Ha inizio così anche la caccia alle streghe.
    Oggi Julian Assange trascorre le sue giornate come un detenuto, e come un detenuto ogni giorno fa ginnastica, cinque chilometri al giorno, tra cyclette e tapis roulant.

    Mi hanno detto che ha una lampada abbronzante, ma non la vedo: dovrebbe servire a stimolare la melanina in un corpo già pallido e da troppo tempo costretto tra luci elettriche e buio. Nella sua camera il flebile sole londinese non arriva mai, non affaccia verso l'esterno. Tra le poche stanze dell'ambasciata ecuadoregna, un semplice appartamento trasformato in ufficio in cui Julian vive da ospite, si sposta perlopiù scalzo per disturbare il meno possibile il lavoro degli impiegati e dei funzionari alle prese con passaporti, carte, fax. C'è un cucinino, ma sembra troppo piccolo per poter organizzare una vera cena. E poi il cibo arriva da fuori, ed è il peggior cibo del mondo, gli assicuro, "Sei italiano... non vale" mi risponde.

    Julian vive in una prigione per non finire in prigione. Siccome non c'è spazio le pareti diventano spazio. Un enorme foglio di cemento bianco su cui attaccare pensieri, post it, progetti, ordini del giorno. Cose da fare. Le finestre sono i soli squarci concessi all'aria. Ma quelle finestre senza sbarre e la gentilezza che lo circonda ogni giorno gli ricordano che questa non è una cella. "Come si vive qui? Riesco persino a ballare..." mi dice ridendo. Credo stia scherzando, mi informano che non è così. La notte è il momento più difficile. Conosco le ore dell'insonnia, dell'ansia nell'attesa del giorno dopo. Ma Julian ha il suo computer ed è lì dentro che passa la possibilità di disciplinare la vita. Sa che da qualche parte del mondo è sempre mattina, e va a cercarsi quella parte. La sua stanza, mi dice, è una "navicella spaziale".

    In Italia ci si concentra sul gossip per non approfondire segmenti che portano informazioni ben più importanti ma non altrettanto immediate. E per diffondere questo tipo di informazioni proliferano siti di retroscena, a volte macchine estorsive che spifferano dicerie perlopiù false che mettono in difficoltà i vari poteri fotografandoli in mutande. Nulla di tutto questo ha a che fare con la mappatura dei meccanismi sotterranei del Potere. Ed è questo invece il lavoro di WikiLeaks. È il racconto di come il Potere comunica.

    Ricordo un cablogramma in cui si parlava di Silvio Berlusconi come di un politico ridicolo che crede di essere un leader internazionale: il diplomatico americano riteneva che continuare a farglielo credere fosse il modo migliore per condizionarne il comportamento. Wikileaks ha svelato il Dna del meccanismi di potere, le strategie e le tattiche che il potere tiene nascoste. E il grande merito di Assange è stato proprio questo: non aver mai fatto o fomentato campagne personali, mai utilizzato i file diffusi per attaccare singole persone. Ha invece lavorato per mostrare il sistema. Mostrare come i grandi gruppi bancari condizionino le nostre vite. Come media e fango distruggano spesso l'esistenza delle persone. Lo stato di sorveglianza a cui siamo sottoposti, la fusione transnazionale di governo e corporazioni, il crollo dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Il suo pallore sembra quasi entrare in contraddizione con il lercio che Julian Assange ha tirato fuori attraverso il suo lavoro.

    Ma anche in WikiLeaks esiste un punto debole da cui non possiamo prescindere. Si può riassumere in quell'"intercettateci tutti" detto spesso con troppa leggerezza. Un punto debole che individuo nella violazione, talvolta, di informazioni private, irrilevanti rispetto al quadro d'insieme, alla conoscenza dei meccanismi e che passa sopra le persone, travolgendole. Qual è l'assunto? Se non abbiamo nulla da nascondere non c'è nulla di male a essere intercettati. Ma questo è anche il principio della tirannia mentre, al contrario, la riservatezza delle informazioni personali è il principio della libertà. Se in un'intercettazione diffusa è presente un giudizio negativo su una persona che in questo modo viene diffamata e se a farlo sono rappresentanti di uno Stato verso rappresentanti di un altro Stato, la conversazione smette di essere privata e diventa il giudizio di un Paese su un altro Paese. Io stesso venivo citato in alcuni cablogrammi diffusi da WikiLeaks riguardanti la penetrazione della camorra in Spagna. Ero stato ascoltato da consoli e ambasciatori americani in Italia e in Spagna; avevano verificato le notizie che avevo dato loro e comunicato agli Stati Uniti la situazione. Se in quel contesto ci fosse anche stato un giudizio verso di me e se quel giudizio non fosse rimasto cosa privata, sarebbe stato preso come il giudizio ufficiale degli Stati Uniti su Roberto Saviano. Non solo. Ci sono informazioni sulla sicurezza nazionale che secondo alcuni avrebbero potuto mettere a rischio i cittadini. Sono queste le contraddizioni che si trovano dentro l'incredibile operazione che ha messo in moto Julian Assange.

    I giornali lo descrivono come un uomo triste, io me l'ero immaginato malinconico. Non è così. Anzi, sembra quasi infastidito dalla mia di malinconia. Per lui vivere questa incredibile esistenza è un privilegio. Perché, sostiene, questo è il miglior periodo di sempre per la formazione di una classe politica diversa, più consapevole. Per la creazione di nuove reti, alleanze e idee, risultato della rivoluzione nelle comunicazioni. Il momento migliore per comprendere quale sia la linea di demarcazione tra chi ha coraggio e chi non ce l'ha. Perché, nonostante tutto, WikiLeaks continua a diffondere informazioni.

    Mi domando come riesca a trovare un equilibrio, che cosa gli dia la tranquillità. Sapere che come nemici si hanno i più grandi gruppi finanziari del mondo, che la tua vita è stata delegittimata e continuare a mantenere il sorriso, senza lamentarsi mai, questa secondo me è una rivoluzione incredibile. Julian sembra essere un uomo di grande equilibrio, che riesce a gestire questa situazione con una forza che definirei zen. Lo invidio. Non ne sono capace. E forse il suo più grande segreto è proprio questo: la capacità di mantenere l'equilibrio nel mare in burrasca. La mia - mi ha detto - è una vita straordinaria. Si tratta solo di essere consapevoli del fatto che se si vogliono capire e raccontare certi poteri alcune conseguenze sono inevitabili.

    E' rinchiuso, ha contro i governi di mezzo mondo, un'estradizione pendente e un'attenzione mediatica che va scemando, eppure quello che incontro non è un uomo disperato. Vogliono farci una foto insieme in questa sorta di appartamento chiamato ambasciata. C'è Nicol che è stata autorizzata. Acconsentiamo. Julian mi guarda e dice, "No, così seri no, sembriamo sconfitti. Ridiamo, sempre". Mi stringe, sorridiamo, ed è la vera vittoria.
    (La Repubblica 21 aprile 2013)

    Pubblicato 11 anni fa #
  26. leon8oo3

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    Mirava a un pensiero elevato e, insieme, concreto, capace di tracciare una strada precisa e inequivocabile nel suo procedere, che migliorasse il mondo e fosse chiaro anche ai fanciulli e agli sciocchi, come sono evidenti il balenare di un lampo o il rimbombo del tuono che s'allontana. Era un uomo che anelava al mutamento delle cose

    Borìs Pasternàk

    Pubblicato 11 anni fa #
  27. k

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    C'era questo articolo di Pietrangelo Buttafuoco sul Giornale di mercoledì 12.06.2013:

    http://www.ilgiornale.it/news/interni/926360.html

    Quel viaggio che ci rende uomini
    Da Caronte al "Presente" chiamato dai soldati, nel rito del "passaggio" ci sono dolore e meraviglia dell'esistenza

    Prendere respiro e farsi avanti. Accostarsi con grazia. Toccare quindi. Chi sta per morire coltiva la meraviglia della situazione e quel toccare acuisce in lui la gioia di averla avuta tutta quella vita mentre i vivi, sazi, lasciano accesa la propria esistenza come una macchina ferma al semaforo, pronta a ripartire, senza spegnere il motore.
    Per i vivi, infatti, dopo il rosso torna sempre il verde.
    Per i defunti non c'è altra luce che la candela, fin tanto che resta qualcosa delle esequie.
    Intanto l'attesa. La fibra è diafana e nell'occhio di marasma e fatica di chi muore si trascolora il racconto delle sensazioni. La stanza del degente è subito abitata dalle voci e dai rumori del passato. Chi sta per morire odia, ama, sprofonda, s'erge ma, infine, assorbe ogni cosa come a voler risucchiare in un buco - un tascapane da viaggio - il calore di quel contatto. Chi sta per morire ascolta, anche a sproposito, e qualcuno - succede sempre - gli affida messaggi di saluto per i propri cari già arrivati nell'aldilà.
    C'è un cammino al confine tra la vita e la morte. Il sentiero ha un'unica direzione. Secondo regola però si va avanti e basta: verso un eterno grande Uno che non è dato conoscere né capire ma c'è chi ha fatto il passo indietro ed è tornato.
    Chi è tornato dalla morte - venendo via da uno stato di coma, da valori di azoto e globuli incompatibili con la vita - ha fatto sempre lo stesso racconto di luce e di incontri. Ha rivisto se stesso bambino. Umberto Scapagnini - così mi raccontò quando, da uno stato di morte clinica, fu incredibilmente restituito alla coscienza - si ritrovò tra le braccia di sua madre.
    Chi torna indietro si ripresenta nella casa dell'infanzia, quindi si accende d'innocenza e d'entusiasmo per la propria vita resa meravigliosa ancor di più nella completezza del paragone. C'è il prima della morte riunito nell'istante della serenità al dopo della morte, anche questo mi disse Scapagnini. Dopo di che c'è un risveglio. E anche su questo Scapagnini ebbe a svelarmi i dettagli della riacquisita sensibilità. Ebbe sulle proprie dita il brivido di una seta struggente quanto a delicatezza: la schiena della sua giovane fidanzata. Si era addormentata accanto a lui per vegliarne il trapasso.
    Tornò, invece, Umberto e mi spiegò che si torna al tic tac dell'orologio che è una nuova nascita ma anche una ben precisa morte. Le moire, infatti, rinnovano la scadenza. E Umberto, adesso, non è più. È in cammino.
    Per chi torna e chi non torna, dunque, c'è il viaggio. Ed è per questo che negli eserciti si discute dell'opportunità di chiamare il «Presente!» a ogni commemorazione per i caduti. Al funerale o in una qualunque cerimonia del ricordo i vivi convocano l'appello e alla chiamata del morto - con nome, cognome e grado - i militari in adunata gridano a un sola voce «Presente!». Tutto ciò non fa che procurare lustro terreno e perciò un provvisorio lume al morto proclamandolo eroe ma al prezzo di una sosta imposta alla rotta del suo Walhalla senza per questo dargli la possibilità di tornare effettivamente indietro.
    Resta in spirito, dicono quelli che praticano l'appello. Ne interrompono il guadagnato cammino verso il grande Uno, replicano quelli che, pur essendo anche loro soldati, ritengono più sacro far riposare il combattente e lasciare che lo spirito dell'arma si saldi alle insegne, alla bandiera e alla patria.
    Antonio Pennacchi si dispera per tutte le volte che i ragazzi fanno l'appello in memoria di Aldo Bormida, il primo caduto della Repubblica Sociale, colpito dagli americani sul fronte di Nettuno, lungo la Pontina. Quelli lo celebrano, portano ogni anno tricolori e fiori al cippo e Pennacchi si dispera per proteggere il povero morto: «È uno spirito che cerca la pace. Lasciatelo andare verso il suo cammino! Ogni volta che si chiama l'appello Bormida è costretto a tornare».
    Tra la vita e la morte c'è quindi l'andare, il dovere andare. È il cammino oltre il quale, prima della destinazione, c'è il pedaggio. Mi ricordo della morte di zio Peppino. Sua figlia, Concettina, gli mise una banconota da mille lire in tasca. È un retaggio, questo, di sana sensibilità pagana. Serve a saldare il debito con Caronte. Qualcuno, il solito moderno, s'infastidì del gesto: «I soldi?». Fu Santina Lo Gioco, spiritosa sempre, a rendere chiaro il tutto ai parvenu della laicità obbligata convenuti al consòlo. Parlò con estrema serietà, Santina: «Nessuna meraviglia. E così, quando arriva, con i soldi che gli restano, zio Peppino si compra il gelato».
    Nel quando si arriva c'è il senso tra la vita e la morte, il cominciare a esistere oltre la vita e la morte è il pedaggio, ovvero, anche l'eventualità di comprarsi un gelato.

    di Pietrangelo Buttafuoco

    Pubblicato 10 anni fa #
  28. zaphod

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    Fondatore

    Sul blog Segnavia, Annalisa Terranova riflette sui temi di italiano per la maturità:
    E per la prossima maturità facciamo il tifo per il tema su Pennacchi...

    Non aveva torto quel tizio che ha scritto su twitter che Claudio Magris è diventato famoso solo grazie alla maturità 2013 e grazie ai tanti studenti che ha fatto bestemmiare. Gli studenti di Magris non sanno nulla, e questo è un fatto. Gli amici di mio figlio impegnati nell’esame di maturità confermano. Quasi tutti hanno fatto il tema sull’omicidio politico. Ne ricavo che la storia, per loro, è un bene-rifugio, perché almeno hanno una griglia per interpretarla, cioè i tanto discussi manuali scolastici. La letteratura, invece, soprattutto se ti è ignota, è un viaggio su terreni sconosciuti. E alla maturità, forse, i diciottenni non vogliono dimostrare di essere colti e informati ma vogliono conferme rispetto a un curriculum di studi sperimentato e digerito. Ne ricavo pure che parlarne con i diciottenni è più istruttivo che parlarne tra quaranta-cinquantenni, il cui bagaglio di saperi è del tutto differente, così come la visione dell’esame di maturità, che per loro è il primo esame importante, per noi è la memoria del primo esame importante.
    Vedo poi, dai giornali, che l’esercizio del commento al tema di maturità è un vezzo giornalistico radicato e che le tracce vengono giudicate buone o superficiali o scontate o avveniristiche a seconda di ciò che dicono opinionisti che non stanno da decenni tra i banchi. E però hanno anche ragione questi opinionisti, perché le tracce scelte sono un riflesso, un segno, di come si evolve la mentalità contemporanea.

    E nel caso specifico questi segni ci dicono di una tendenza ad andare al di là dei codici esegetici dei manuali (anche se Magris in alcune antologie ci sta, e ci sta da tempo) mettendo alla prova la capacità di chi fa il tema di allontanarsi dalla didattica convenzionale per dimostrare quanto gli studenti siano figli del loro tempo. Gli amici di mio figlio direbbero che queste sono solo “cazzate”. Per loro l’universo della maturità è tutto racchiuso nella polarità “facile-difficile”. E le tracce, hanno ragione loro, erano difficili. Viene anche in mente la polemica innescata dall’ex ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer che voleva valorizzare il Novecento, e forse aveva ragione, a dispetto di tanti censori, anche e soprattutto di destra, che videro nella sua proposta il tentativo di perpetuare l’egemonia culturale marxista. Ma non siamo più nel Novecento. E se contemporaneità dev’essere, allora speriamo che l’anno prossimo scelgano come autore del tema di italiano Antonio Pennacchi (anche lui Premio Strega come Magris) non solo perché il suo libro Canale Mussolini è bello ma perché si presta a tante interpretazioni che meritano di essere valutate come prova di maturità. Perché lì non c’è solo revisionismo storiografico (come in un “semplice” tema sulle foibe), lì c’è un soggetto corale che fabbrica storia e civiltà, ci sono pagine ignorate (altro che il delitto Moro… del quale ancora sappiamo troppo poco), c’è uno stile di scrittura personalissimo, c’è l’idea di fondo che gli “umili”, con la loro fatica e la loro tenacia, vincono su un destino avverso, c’è il coraggio degli italiani, c’è l’elemento primigenio dell’acqua che si ritira dinanzi al dominio dell’homo faber. Prima o poi accadrà, e leggeremo altri commenti e altri editoriali e gli studenti si lamenteranno e malediranno.

    E intanto la maturità continuerà a ripetersi come rito identitco a se stesso, in cui ciascuno mette la sua ossessione del momento, in cui ciascuno porta la sua dose di originalità perché resti nell’album dei ricordi il carattere speciale dell’evento. Io, da fascistella presuntuosa, volli sfidare la docente di italiano della commissione che a tutti faceva come ultima domanda: “Chi è l’autore del cattivo gusto, del superomismo pacchiano, che diceva di avere letto Nietzsche e invece pensava a farsi mantenere dalle donne?”. E tutti rispondevano compiacendola: “Gabriele D’Annunzio”. E io le portai invece una tesina proprio su D’Annunzio e tenni il punto durante il colloquio orale sostenendo che era il mio autore preferito. Così, per farle dispetto. E quella fu la mia prova. Con i miei compagni di classe tutti dietro a fare il tifo, a guardare come se la sarebbe cavata la “fascistella” che non capivano e che poco apprezzavano. Io mi ricordo di questo. Il resto è stato tutto inghiottito. Anche l’autore che scelsero quell’anno (1981) per il tema. Perché ognuno si crede e si giudica maturo quando si misura nel proprio Campo di Marte immaginario.

    Pubblicato 10 anni fa #
  29. cameriere

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    Membro

    ho letto
    su un manifesto
    che il 30
    giugno
    e ppi per 5 giorni ancora
    ai giardini pubblici di latina
    pernarella ha allestito
    canale mussolini

    Pubblicato 10 anni fa #
  30. zaphod

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    Fondatore

    Ai giardini del comune.
    Si paga.

    Pubblicato 10 anni fa #

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