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(1417 articoli)
  • Avviato 14 anni fa da Faust Cornelius Mob
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  1. llux

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    Mi dispiace, Fer. Un abbraccio anche da parte mia.

    Pubblicato 10 anni fa #
  2. cameriere

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    un abbraccio forte

    Pubblicato 10 anni fa #
  3. Dopo la bella recensione di Vampiro Tossico a opera di Alessandro Preiser, posto qui un articolo apparso il 31 luglio sul Corriere della Sera edizione Brescia a cura di Nino Dolfo, già conduttore della presentazione della seconda edizione di Palude, di Antonio Pennacchi, al caffè Letterario di Brescia.

    «IO, WRESTLER, E IL MIO DRACULA ANNI OTTANTA»
    PERSONAGGIO QUANDO COMBATTE TEVINI INTERPRETA BENIAMINO MALACARNE, POLITICO CHE INCARNA I VIZI DEGLI ITALIANI

    Che ci fa un’anima gentile acquattata dentro un fisicaccio da Maciste? Laureato in Filosofia, impiegato nella vita perché questi sono tempi di micragna, scrittore esordiente non senza talento, Stefano Tevini, quando smette i panni di travet, diventa un wrestler, un lottatore.

    In verità, non è il solo, nella nostra città, ad essere membro della Icw (Italian Championship Wrestling),una delle principali federazioni italiane che organizza combattimenti-show, molto amati dagli adolescenti – qualcuno li ritiene anche diseducativi – in cui i contendenti sono «personaggi al confine tra i supereroi dei fumetti e i protagonisti dei cartoni animati». Puro teatro americaneggiante o sport che lascia i lividi? Tutto è falso ma anche parzialmente vero. Il canovaccio è scritto a tavolino, però le botte non sono finte. «Il teatro non è nulla se non contiene una parte di verità – commenta Tevini -. Quella per il wrestling è una passione che mi porto dietro sin da piccolo, quando guardavo i match in tv e sognavo di poter salire sul ring. Dopo aver assistito a uno spettacolo della Icw, ho capito che il mio sogno era lì, sul ring. Mi sono allenato, ho imparato, ho fatto sacrifici ma, al tempo stesso, esperienze che mi hanno arricchito moltissimo. Il wrestling è duro, certamente, ma restituisce molto di quello che si dà e i legami che si creano con i compagni di ring sono molto forti». La logica vorrebbe che un wrestler ambisse a interpretare un ruolo di facile identificazione popolare, un vincente, un vendicatore di torti. Invece no, Tevini ha scelto la strada più impervia. Sul quadrato diventa l’onorevole Beniamino Malacarne, politico fellone da basso impero, incarnazione di ogni disvalore e disgusto. «Beniamino Malacarne – commenta – è lo specchio del nostro Paese e del peggio che c’è in noi. Non solo dei politici, a cui faccio il verso, ma di tutti noi, del vizio che noi italiani abbiamo di considerare il rispetto e la correttezza un tratto di debolezza piuttosto che un importante perno del vivere collettivo». Fin qui il versante pittoresco. Ora parliamo di cose serie.

    Tevini ha scritto un romanzo, Vampiro tossico (La Ponga) il cui titolo aggancia un genere di lungo corso che va da Dracula a Twilight. Sì, anche qui si parla di morsi, di canini «snudati» e di sangue, ma senza nessuna deriva splatter. L’horror si insinua nella quotidianità e il caso fa deragliare le esistenze anonime di quattro ragazzi come tanti durante un’estate italiana di tanti anni fa. Una bravata e non c’è più ritorno per i devianti di una notte in una società che sta perdendo le sue coordinate, ma mantiene sempre stretti i cordoni immunitari del perbenismo. La storia si svolge dal 1979 al 1984. La cronaca (Vermicino, le stragi sui treni…) sta sullo sfondo ma fa lievitare l’allegoria sociale. «Gli anni ’80 – confida Tevini – sono stati l’inizio di una svolta radicale costruita su uno svuotamento di detto orizzonte di senso. I figli di quella perdita sono persone niente affatto dissimili dai protagonisti del romanzo, vite più o meno perse, prive di una direzione e non in grado di trovarne, o di tracciarne, di nuove». Le pagine si propongono come metafora sulla irreversibilità del destino e sulla ipocrisia del perbenismo. «Sono nato nel 1981 e sono cresciuto con il mito negativo del tossicodipendente. Queste persone ci venivano presentate come paria a cui non ci si poteva e non ci si doveva avvicinare. Molte cose le ho capite dopo. Ho capito la loro sete di vita, quella voglia che spesso portava molti ragazzi a finire propri giorni su una panchina in un parco. Di base nessuno vuole morire, ci si arriva dopo, e mai per motivi futili». E questo attrito tra slancio vitale, perdizione, emarginazione produce una combustione che Tevini rende con struggente lirismo.

    Nino Dolfo

    Fonte : Corriere della Sera http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/13_luglio_31/tevini-wresler-scrittore-2222422883132.shtml

    Pubblicato 10 anni fa #
  4. A.

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    grazie, lo leggerò.

    Pubblicato 10 anni fa #
  5. cameriere

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    bravo ste',
    dove lo compro?

    Pubblicato 10 anni fa #
  6. Se vuoi ordinarlo in libreria fai presente che il distributore è Libri Diffusi, se no si IBS e internet store vari.

    Pubblicato 10 anni fa #
  7. Oppure quando vengo da voi a presentarlo.

    Pubblicato 10 anni fa #
  8. k

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    Bravo Foost, siamo tutti con te.

    Pubblicato 10 anni fa #
  9. Allora aspetto pure te quando presento dalle tue parti, eh.

    Pubblicato 10 anni fa #
  10. A.

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    Moderatore

    C'è la storia di Guido Morselli, autore pubblicato postumo, anzi letteralmente scoperto. Dopo che si era suicidato.
    Nel 1965 aveva mandato, il 15 giugno, il suo romanzo a Calvino, che allora era un direttore editoriale dell'Einaudi, chiedendogli di leggerlo, E Calvino gli disse che lo avrebbe fatto entro l'estate.
    Ma la risposta arrivò solo il 5 Ottobre, e fu una stroncatura. Dopo 9 anni, il 31 luglio del 73, Morselli si sparò un colpo.
    Tutta la storia la potete leggere qui al link:
    http://www.sagarana.net/rivista/numero13/saggio5.html

    Ora io non voglio dire (cosa che NON è sostenibile) che in questo suicidio c'entri Calvino. Molti altri, anzi quasi tutti quelli che lessero Morselli in vita, non vollero pubblicarlo. Fu pubblicato solo da morto. magrissima consolazione.
    Ma dico solo che Calvino ne fece di calzate, come direttore editoriale. Ad esempio impedì la traduzione di Blanchot, ma ci credo. Lui ragionava per -ismi. e Per lui Blanchot era solo un surrealista...
    Dico che questo tipo di categorizzazioni, che andavano di moda negli anni 60, e che forse (ma non lo so, non ho studiato lettere) ora non vanno più di moda, sono la morte della letteratura.
    Ogni scrittore è un caso a sé, e non si scrive per "inserirsi in una corrente" (stessa cosa che Calvino invece ripete sovente, nel suo libro : I Libri degli altri (raccolta di lettere editoriali, dal 1947 al 1981, edizione Einaudi).
    Ora io vorrei capire, quando ad esempio si annettono i romanzi di Pennacchi alla "New italian Epic", se questo sia ancora sensato, se non sia un retaggio di un passato "calviniano", o anche "sapegnano", non so.
    Voi che ne pensate?
    ciao
    A.

    Per non essere, a Lei, del tutto uno sconosciuto: sono emiliano, autodidatta, vivo solo su un piccolo pezzo di terra dove faccio un poco di tutto, anche il muratore; politicamente sono in crisi, con quasi nessuna speranza di uscirne.
    Mi creda
    Guido Morselli

    Pubblicato 10 anni fa #
  11. zaphod

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    Ho finito di leggere Vampiro Tossico di Stefano Tevini. L'ho scaricato in ebook, solo 2,99 su Ultima Books, in attesa di avere il cartaceo dalle mani dell'autore, un vero affare.
    Non vi fate fregare dal titolo e dall'immeritata fama di sanguinario che l'autore si porta dietro sui ring del wrestling. Niente romanticismo in queste pagine - né quello classico di Stoker né, ovviamente, quello melenso dei Twilight - ma una storia di disagio sociale che è stata colta molto bene dalla recensione di Alessandro Preiser che ospitiamo nella home del nostro sito.
    È un romanzo che spiazza, e non solo perché dal titolo uno si aspetterebbe un classico libro di genere, magari con qualche trovata a effetto, e invece lo inizi a leggere e ti trovi a seguire le vicende di quattro poveracci che vivono una vita di merda.
    E il merito principale del libro è quello di aver riportato a galla quella che un tempo era una piaga sociale molto "in" tra gli autori . Dopo alcune stagioni in cui la tossicodipendenza (e qui la dipendenza da sangue è solo una delle tante in cui può capitare di restare avviluppati) è stata protagonista di innumerevoli opere di fiction più o meno riuscite, è un po' di tempo che di droga non si parla più, né nella finzione né, tantomeno, nella realtà. Passata la visione romantica del tossicodipendente in lotta contro una società opprimente, il fenomeno è stato relegato nel dimenticatoio riservato alle esistenze sfigate che è meglio non rimestare perché si finisce sempre con lo sporcarsi le mani.
    Bè, Tevini spazza via anche il romanticismo delle vite perdute e ci mostra la quotidianità di una vita che arranca ogni giorno appresso ai bisogni primari. Non c'è redenzione per i personaggi di Vampiro tossico, nessun colpo di coda, né loro né delle persone con cui vengono a contatto. Paradossalmente l'unico personaggio che brilla per aver compiuto un'azione che non era tenuto a fare è il commissario di polizia che consiglia ai tre protagonisti il ricovero in una casa di cura. Gli altri sono legati mani e piedi al loro destino, i tossici, i familiari che li abbandonano, anche quando la decisione estrema del suicidio potrebbe in qualche modo far sembrare che abbiano preso in mano per un attimo la loro vita, anche in quel momento la narrazione li accompagna fuori dalla scena con un'ineluttabilità disarmante.
    Non è un libro consolatorio, questo del nostro Faust, ma è un libro che vale la pena di leggere perché anche se le cose accadono dietro l'angolo, nascoste alla nostra visuale, a volte è meglio ricordarselo che ci sono degli angoli dietro i quali preferiamo non girare mai.

    Pubblicato 10 anni fa #
  12. zaphod

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    Fondatore

    Errata corrige: 1,99. E da oggi lo potete acquistare direttamente dalla nostra home page.

    Pubblicato 10 anni fa #
  13. Sei un pubblico meraviglioso, estendi e butta in home!

    Pubblicato 10 anni fa #
  14. A.

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    E non vide innanzi a sé altro che il solo suo terribile padre.
    «Ebbene, che abbiamo da fare adesso?» disse Taras guardandolo fisso negli occhi. «Di' figliuolo, ti hanno aiutato i Ljachi?»
    Andrea non rispose.
    «Tradire così! tradire la Fede? tradire i tuoi? Fermati qui, scendi da cavallo!»
    Tutto umile, come un bambino, si lasciò andare giù da cavallo e si fermò, né vivo né morto, innanzi a Taras.
    «Sta lì e non ti muovere! Io ti misi al mondo, io ti ucciderò» disse Taras, e, fatto un passo indietro si tolse di spalla il fucile.
    Bianco come un cencio di tela fine, era lì Andrea; si vedeva che egli muoveva pian piano le labbra e pronunziava un nome; ma non era il nome della patria, o della madre o del fratello: era il nome della bellissima polacca. Taras sparò.
    Come una spiga di grano recisa dalla falce, come un tenero agnello che ha sentito sotto il cuore il ferro mortale, egli chinò la testa e rotolò nell'erba senza dire una parola.
    [Nikolaj Vasilevič Gogol, Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Biblioteca Moderna Mondadori, 1954]

    Pubblicato 10 anni fa #
  15. k

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    Membro

    Ho letto con estremo piacere Marina Bellezza, il nuovo romanzo di Silvia Avallone.
    Sulla Weltanschauung che lo sottende nutrirei pure qualche riserva, ma questa i romanzi li sa fare, non c'è niente da ridire. Anzi. Scrive bene. Personaggi, plot, intreccio e macchina narrativa sempre a punto. Parecchie pagine di vera poesia - soprattutto quando esprime il sentimento dei luoghi - e un paio di inventio da grande autore. Quella finale è alla Ballantrae (che lei però ancora non conosce).
    Lo consiglio caldamente. Poi fate come vi pare.

    Pubblicato 10 anni fa #
  16. zaphod

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    Fondatore

    Su Il Foglio Pietrangelo Buttafuoco tira in ballo Bacchelli e Pennacchi:

    Elogio della massaia rurale
    Mamma, mormora la Boldrini, mai più con la pappa e coi biscotti. Ma dire che non se ne può più di mamme col grembiule e la pasta pronta significa dire che non se ne può più della mamma in quanto mamma, parliamone pure, sfasciamo volentieri tutti i tabù e l’enunciato ha solo questo significato: liberiamoci della mamma.
    Mamma, mormora la Boldrini, mai più con certi spot. Se Laura Boldrini, dunque, non vuole saperne di pubblicità dove il genitore 1 fa il genitore 1 – cioè la locomotiva – e il genitore 2 fa il genitore 2 – dunque la vivandiera – significa che non vuole saperne più di una divisione di ruoli dove la femmina è quella che mette a dimora la vita, nutrendola, e il maschio, civilizzazione a parte, è quello che la difende, la vita. Procurando il cibo.
    Mamma, mormora ancora la Boldrini, basta con un’idea della donna relegata ai fornelli. Ma la natura ancora non lo sapeva di tutti questi problemi derivati dalla modernità. L’ignorante natura neppure lo immaginava che dopo le bocche da sfamare sarebbero sopraggiunte le bollette da pagare. Nessuno, neppure Rousseau, nell’affollarsi di lavatrici, poteva immaginare la necessità di lavorare in due, correre in due, uscire di casa in due e siccome con la correttezza ideologica la nostra razza sarà sempre assai più povera di desideri che di buoni propositi, parliamone pure, tanto di mamma ce n’è una sola e quella solo questo fa: accudisce. E stampa in faccia al pupo il marchio indelebile di un monoteismo travestito da bisogno primario, questo: non avrai altra mamma che la mamma.
    Mamma, ha mormorato infine la Boldrini, mai più donne accudenti. All’estero – ha detto il presidente della Camera – cose così non le fanno. E però – va bene – parliamone. Ci fosse stata Maria Antonietta di Francia avrebbe già risolto: si sarebbe fatto carico la servitù di portare a tavola le brioche per lei e per i pupi ma non si può pensare di anticipare a tal punto l’avvenire chiedendo alla mamma di trasformarsi in un’infelice, orba del predominio assoluto sul rito del focolare.
    Ecco, il focolare. Se proprio non c’è più, c’è un retaggio. Ancora meglio: un istinto. E il focolare non è nel celebrato angelo retorico col grembiule e il mestolo.
    Il focolare è quel trasfigurare d’amore nella sostanza di roba e ciccia. Boldrini che è magister del sentimento diffuso nel bla-bla umanitario forse sa di diritti, certamente di emancipazione e di sicuro sa anche di sessualità liberate ma sembra non conoscere la scienza umanissima dell’economia domestica. Il mettere a cuocere è il mettere mani sul destino dei propri figli. Perfino il marito, l’uomo, quel simulacro di autorità qual è il maschio, è solo un tramite di panza e presenza laddove quest’ultima però, già nel ruolo suo di vir, è spirito vivo di un procedere di carni che fanno il mestiere dell’eredità.
    Roba, ciccia e spirito, quindi. Ed è un qualcosa che gli spot, oggi, replicano nella necessità di far commercio sapendo di trovare in Italia, nella patria delle massaie, una vena ricca di rimandi profondi, giusto per cantare “La Canzone della Terra” con Lucio Battisti: “Al risveglio alla mattina / quando il gallo mi apre gli occhi alle quattro di mattina / prima cosa polenta a fette e nell’aria voglio sentire il profumo del caffellatte”. In verità, il testo, ha strofe pericolose sul tipo “devi, devi e devi”.
    I rimandi sono rimandi e tutto quel cantare del villico, nell’interpretazione di Battisti, non è un capriccio decorativo, ma un cantar chiaro: “Prima cosa voglio trovare il piatto pronto da mangiare e il bicchiere dove bere”. Certo, la natura resta ignorante e non si può determinare la provenienza di tutto un retaggio attenendosi a una canzone. Anche la vedova Battisti, per come la conosciamo dalle cronache, durissima e invincibile qual è, rivela un profilo coriaceo e terragno ma se un solo remo è insufficiente indizio per conoscere un grande mare, la sceneggiatura di un qualsiasi spot, con tanto di papà e pupi, quando verte su quel codice, sta riportando in scena la massaia. Come da bisogno primario. Come da monoteismo travestito.
    Certo, mormora la Boldrini, ma la massaia, specie quella rurale, è il modello unico di grande madre su cui l’identità italiana – dal “Mulino del Po” di Riccardo Bacchelli a “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, giusto per citare due capolavori della letteratura – ha da sempre confermato l’istinto, anzi, il principio: quello di realtà. Di mamma ce n’è una sola perché nell’essenza, questa, è massaia. E solo una cosa, fa: accudisce.

    Pubblicato 10 anni fa #
  17. A.

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    Moderatore

    Non c'è lo deve spiegare butta fuoco che pennacchi è un genio. Anche se per me palude talvolta è superiore al canale. Talvolta però. In assoluto ovvio che il canale è un capolavoro da antologia .

    Pubblicato 10 anni fa #
  18. zaphod

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    Fondatore

    Fra un po' bisogna iniziare a studiare il danese...

    In occasione del Louisiana Literature 2013.

    Pubblicato 10 anni fa #
  19. zaphod

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    Fondatore

    Ho letto questo...

    Vediamo il primo che nota qualcosa di interessante...

    Pubblicato 10 anni fa #
  20. cameriere

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    Fichissimo
    Il nuovo Romanzo di
    Gabi Gleichmann

    Pubblicato 10 anni fa #
  21. zaphod

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    Fondatore

    Lo sapevo che bastava buttarti l'amo...

    Pubblicato 10 anni fa #
  22. SCa

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    Membro

    Quindi ci siamo...

    Pubblicato 10 anni fa #
  23. Dorcopio!

    Pubblicato 10 anni fa #
  24. Woltaired

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    Gleichman non male, ma credo salterò subito a Scaraffia!

    Pubblicato 10 anni fa #
  25. zanoni

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    @ Zaphod piu' che al danese (o al turco), bisognerebbe interessarsi allo svedese...

    Pubblicato 10 anni fa #
  26. zanoni

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    @K qualcuno la Avallone la ritiene un po' sopravvalutata (o ritiene gli editor incapaci): http://www.linkiesta.it/marina-bellezza-avallone

    Pubblicato 10 anni fa #
  27. zaphod

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    Fondatore

    Be'... quando uno scrive una stroncatura e la chiude con "un libro ben scritto, ben strutturato, con delle parti descrittive notevoli" secondo me legge i libri decidendo di stroncarli a prescindere. Perché fa più fico.
    Ridurre Marina Bellezza alla semplice trama e prendersene gioco - come fa Alessandra Malvestio in questa recensione - è semplicistico e riduttivo. Ed è un gioco che puoi fare con qualsiasi testo, da Guerra e pace a Le cinquanta sfumature. Però in quel caso fai come le Recinzioni di Johnny Palomba, almeno fai ridere.
    Marina Bellezza è un bel libro perché è ben scritto, ben strutturato, con delle parti narrative notevoli e soprattutto con una furia e una rabbia che percorre tutto il romanzo e le vite dei suoi personaggi che rendono la storia credibile e viva.
    Sono personaggi in cerca di redenzione, colti nel periodo della scelta del passaggio dall'adolescenza alla vita adulta. E il libro ha il pregio di non chiudere le storie in facili finali preconfezionati. Alla fine del libro i personaggi hanno fatto le loro scelte, dove li porteranno queste scelte è un'altra questione. E - forse - un'altra storia.

    Pubblicato 10 anni fa #
  28. zaphod

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    Fondatore

    Oggi sul Sole 24 ore c'è questo articolo firmato da MrWhy.

    Pubblicato 10 anni fa #
  29. Mecojon.

    Pubblicato 10 anni fa #
  30. sensi da trento

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    Membro

    oggi è 25 ottobre, giorno di san crispino e crispiano.

    questo è il mio modesto contributo a shakespeare.

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    Pubblicato 10 anni fa #

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