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(1417 articoli)
  • Avviato 14 anni fa da Faust Cornelius Mob
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  1. llux

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    Sulla lavagna leggo:<<CATTIVI: MAESTRA>>
    "Ma come?! Perché mi hai scritto fra i cattivi adesso??"
    "Stavi in piedi sopra il banco"
    "Ma stavo appendendo l'alfabetiere al muro!!"
    "Mi dispiace per te, ma non e' mica una buona scusa. Sempre in piedi sul banco stavi"

    Fino a sei mesi fa non sapevano distinguere una consonante da una vocale.
    Impara a scrivere e dominerai il mondo.

    Pubblicato 10 anni fa #
  2. k

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    Bello.

    Pubblicato 10 anni fa #
  3. zaphod

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    Fondatore

    Su Eutopia il nuovo magazine online di Laterza dedicato all'Europa c'è un ricordo di Jacques Le Goff scritto da Franco Cardini:

    Jacques Le Goff, un buon timoniere

    Ebbene, sì. Ci sono caduto, quel lunedì primo aprile (non a caso, il giorno del "Pesce"…), nella trappola tesa da quel buontempone un po' iconoclasta un po' macabro che mise in giro – credo a partire dalla solita Wikipedia – la balla di un Jacques Le Goff autore, tra le millanta cose della sua sterminata bibliografia, anche di un racconto di genere fantasy. In fondo, mi sta bene: chi di spada ferisce eccetera. Appartengo difatti alla sconsiderata, allegra genìa di quelli che talvolta si sono divertiti a inventarsi falsi autori e falsi titoli di cronaca o di trattato medievali per vedere quanti austeri colleghi ci cascavano e facevano circolare la goliardica panzana. Di questi scherzi mancini le cronache accademiche sono piene: mi pare che a suo tempo ci si sia divertito anche Umberto Eco.

    L'offuscamento di senso critico era anche il frutto della consapevolezza che in fondo uno come lui avrebbe potuto indulgere a una sperimentazione di quel genere, per quanto non fosse certo un frequentatore del fantasy. E poi, mi sono detto, sai le risate che si sarebbe fatto se uno scherzo del genere lo avessero fatto lui vivente, sai le battute che avrebbe lanciato alla volta degli amici che ci fossero cascati? Perché la sua allegria, il suo ottimismo, la joye de vivre che lo rendevano tanto simpatico e che travolgevano sempre i suoi interlocutori erano tali da finir col giustificare anche quell'estrema blague, quella che De André definirebbe "l'ombra di un sorriso – tra le braccia della morte".

    In effetti me lo ricordo sempre così: sempre sorridente, anche in casi nei quali il sorriso poteva costare un po' di sforzo. Era una delle tante manifestazioni della sua proverbiale generosità. E' vero che negli ultimi dieci anni, in questo senso, era un po' cambiato: e non solo né tanto a causa del tempo che passava, dell'età che cominciava a pesare e della salute che dava qualche segno di cedimento. Il suo dolore profondo, che non lo abbandonava mai e che offuscava anche i suoi momenti più lieti, era legato all'assenza di Hanka. La moglie amatissima era scomparsa nel dicembre del 2004: un vuoto quasi inatteso per lui che, una decina di anni più anziano di lei, si era sempre semmai rattristato all'idea di doverla un giorno lasciar sola. Da allora, nei nostri non pochi incontri nella sua casa di Rue Thionville dalla quale ormai non usciva più, non ce n'è uno in cui mi ricordi ch'egli non ne abbia parlato. Potrei cominciare le mie poche note sul Le Goff "storico e maestro", mettendo da parte l'inevitabile Amarcord, da molti argomenti: eppure mi sembra che il modo più opportuno per avviarle sia proprio il suo splendido, struggente Avec Hanka, edito nel 2008 da Gallimard e con grande finezza tradotto nel 2010 per la Laterza da Valentina Parlato. Un libro autobiografico, certo. Un libro di ricordi. Perché no?, un libro d'amore.

    Sono molte, le sue opere che amo in modo particolare e che ho riletto più volte, a cominciare dai suoi due grandi ritratti di Francesco d'Assisi e di San Luigi: ma ogni volta che qualcuno mi chiede una lettura, una sola, per capire a fondo il Le Goff storico – e, badate, questo non è un paradosso -, immancabilmente consiglio questa. Perché è da queste pagine in cui si parla d'incontri, di viaggi, di episodi quasi tutti lieti o comunque sereni, di tante personalità anche eccezionali incontrate, di politica e qua e là anche di religione, ovviamente di libri di ricerche e di convegni, che emerge limpido e straordinariamente impregnante il legame forte, profondo, inestricabile, tra l'amore per la vita e l'amore per la storia, tra esperienza scientifica e intellettuale da un lato e capacità umana d'intendere e di ascoltare se stessi e gli altri. Si può ben essere eccellenti professionisti e ineccepibili studiosi senza queste qualità: ma non si può essere davvero grandi. Lui lo è stato. E lo si notava sempre non già nelle solenni e impegnative occasioni, ma quando gli capitava di dover abbozzare una nuova ricerca, magari alla buona su un foglietto di carta a un tavolo di caffè, o di affrontare i problemi di un allievo che sembrava non farcela, o giudicare il lavoro di un collega che non lo aveva del tutto convinto.

    Je ne serai jamais mandarin, disse una volta con una frase divenuta proverbiale. A dispetto della sua straordinaria notorietà ("Il più grande medievista del XX secolo"…: che vuol mai dire "il più grande?) non ha mai percorso una vera e propria "alta" carriera universitaria nel mondo francese che continua ad amare uniformi ricamate e decorazioni, non ha mai avuto una cattedra né pubblicato una solenne, ponderosa grande thèse. Diciamo la verità: non che disprezzasse tutte queste cose, magari in fondo la mancanza di certi riconoscimenti gli pesava. Solo che non era roba per lui; non erano cose che lo interessavano.

    Amava il medioevo. Non si limitava a studiarlo, questo è il punto. «C'est vers le Moyen Âge, enorme et délicat, - fu'il faudrait que mon coeur en panne naviguât…»: aveva sul serio fatto suoi questi due versi celeberrimi di Verlaine, nei quali pur senz'ombra di residuo romantico si riconosceva. A condurlo a interpretare così bene il connotato di fondo della braudeliana Nouvelle Histoire, il rapporto tra storia e antropologia, era l'interesse permeato di passione per come la gente del "suo" medioevo (che, per "lungo" ch'egli lo abbia teorizzato, fin quasi a lambire l'Ottocento e magari in qualche caso ad arrivar oltre, era per lui quello "pieno", sostanzialmente tra la fine del X e la metà del XIV secolo) concepisse il tempo e la vita, come potesse al tempo stesso vivere in un universo così concretamente e tangibilmente pieno di realtà metafisiche e immateriali - invisibilia, in tutte le possibili accezioni del termine – e al tempo stesso così fortemente, robustamente attaccato alla terra e ai valori più sanguigni e materiali. Lo affascinava, e lo induceva alla sfida di comprendere, quella capacità di vivere contemporaneamente e integralmente – per dirla con le parole del titolo di uno dei suoi libri più noti – il Tempo della Chiesa e il tempo del mercante, di credere non solo in Dio e nelle corti divina e diabolica ma anche nell'intermondo meraviglioso delle fate e dei draghi, d'immergersi nell'immaginario mistico e cavalleresco e al tempo stesso di affrontare e vincere le foreste, le paludi, le brughiere e le distese marine, di guadagnare e d'idolatrare la ricchezza, il corpo fisico, perfino il ridere. Alla domanda di come questo equilibrio fosse possibile cercò di rispondere sin dalla fine degli Anni Cinquanta, pubblicando il suo "classico" saggio sugli intellettuali nel medioevo; continuò poi dirigendo in due occasioni altrettante équipes di suoi allievi e/o colleghi prima con L'uomo nel medioevo, quindi con Uomini e donne del medioevo; infine affrontando quello ch'era sempre stato forse il tema secondo lui nodale, il rapporto tra il tempo e la vita, tra Anno Liturgico e Calendario, nel suo studio su Giacomo da Varazze e la Legenda Aurea.

    Ecco il suo effettivo sentire storico-antropologico, che mi sembra sia sfuggito a molti. La coscienza profonda, verificata attraverso lunghe e severe ricerche, dell'evidente prossimità e al tempo stesso dell'astrale lontananza tra il medioevo e quella che usiamo definire la "Modernità". La lontananza e l'inconciliabilità – a dispetto dei tantissimi elementi continuistici delle numerose eccezioni, delle forti contraddizioni - fra un'età integralmente per quanto sotto alcuni aspetti contraddittoriamente (e "barbaramente") cristiana e una di dubbio, d'incredulità e di disincanto; fra un tempo nel quale la persona non s'intende se non attraverso la comunità nella quale è inserita e uno nel quale si finisce con l'idolatrare individuo e individualismo; fra un'era che vive a proprio agio, come un pesce nell'acqua, tra visibilia e invisibilia e un'altra lacerata dall'opposizione tra un materialismo sempre più volgare e impietoso da una parte, la tentazione continua dell'irrazionalità e dell'irrealtà più sfrenate dall'altra. Per noi moderni e/o "postmoderni" il medioevo, al contatto del quale e per molti versi nel quale (fonti, documenti, monumenti, istituzioni, memorie, credenza, fantasie…) continuiamo a vivere, è presente fino all'ossessione, magari in tante forme di revival; eppure al tempo stesso è un insondabile, incomprensibile Altrove. In questo senso, forse, il saggio-chiave di tutta l'opera legoffiana resta il grande studio su L'invenzione del Purgatorio. Quel ponte gettato tra i vivi e i morti, tra la vetta irraggiungibile della santità e la dannazione evitata per un soffio, fu una "invenzione" che permise di dominare e di controllare l'angoscia dell'esistere di una potenza rispetto alla quale le invenzioni scientifiche e tecnologiche che hanno consentito all'uomo moderno e contemporaneo di governare e di gestire la realtà - vincendo magari il bisogno, appagando la volontà di potenza, ma senza riuscire a salvarlo dall'angoscia di vivere un tempo finito, una corsa irreversibile verso il Nulla – rischiano per certi versi d'impallidire.

    E' forse per questo che ci sorprendiamo talvolta a navigare verso il medioevo enorme e delicato. E allora possiamo affidarci a Jacques Le Goff, nato nella marinara solare Tolone da una famiglia di vecchi marinai bretoni. E' un buon timoniere.

    Pubblicato 10 anni fa #
  4. k

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    Bello.

    Pubblicato 10 anni fa #
  5. A.

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    Moderatore

    È questo che dico, è questo che scrivo e questo racchiudono le parole che traccio, le righe che queste parole disegnano, gli spazi bianchi che traspaiono tra una riga e l'altra: se anche facessi la posta ai miei lapsus (…) non troverei, pur ripetendomi, mai altro che l'ombra fugace di una parola assente alla scrittura, lo scandalo del loro e del mio silenzio: non scrivo per dire che non dirò niente, non scrivo per dire che non ho niente da dire.
    Scrivo: scrivo perché abbiamo vissuto insieme, perché sono stato uno di loro, ombra tra le loro ombre, corpo vicino ai loro corpi; scrivo perché hanno lasciato in me un'impronta indelebile e la scrittura ne è la traccia: il loro ricordo muore nella scrittura; la scrittura è il ricordo della loro morte e l'affermazione della mia vita.

    George Perec, "W o il ricordo d'infanzia", Einaudi.

    Pubblicato 10 anni fa #
  6. k

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    Ecco, A, questo è già un po' meglio, ma - se vuole - c'è pure Bukovski:
    "Non sei tu che scegli di scrivere. E' lo scrivere che sceglie te".

    Pubblicato 10 anni fa #
  7. A.

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    Moderatore

    K, io le voglio bene.
    Ma non può sostenere che Bukovskj è superiore a Perec.
    So che non lo pensa. quindi non ci provi a dirmelo, perché non le crederei.

    ps. ci vediamo a Pasqua da Piermario

    Pubblicato 10 anni fa #
  8. Anzi, magari non ti scegliesse. Sai che pace?

    Pubblicato 10 anni fa #
  9. zaphod

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    Fondatore

    Perec non lo conosco, ma ci metto un attimo a dargli un'occhiata e a sbilanciarmi verso Bukowski (con la w doppia e la i) anche da sobrio.

    Pubblicato 10 anni fa #
  10. Perec non lo conosco nemmeno io, Bukowski sì. A ogni modo, se dovessi confrontare i due brani qui sopra riportati Bukowski tutta la vita.

    Il problema grosso di Bukowski è la marea di stronzi che ne leggono solo la superficie e che credono che il suo essere un grande scrittore stesse nel fatto che scriveva di figa, sbronze e cavalli, e il gioco è fatto, generazioni intere che esauriscono il proprio fare arte nell'alzarsi la domenica mattina con il mal di testa da sambuca.

    Pubblicato 10 anni fa #
  11. (Io amo Bukowski, ma per altri motivi)

    Pubblicato 10 anni fa #
  12. k

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    Membro

    ma se non è sambuca sempre birra o affini sarà, I suppose.

    Pubblicato 10 anni fa #
  13. Sarà che la sambuca così zuccherosa mi lega un po' in bocca...

    Pubblicato 10 anni fa #
  14. zaphod

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    Fondatore

    Visitando questo interessante blog si può leggere in lingua originale, o tradotto in italiano, il discorso di accettazione del Nobel da parte di William Faulkner nel 1949. E, anche, ascoltarne una buona parte dalla viva voce dell'autore.
    A proposito di scrittura.

    Pubblicato 10 anni fa #
  15. La notizia che tutti e tre gli storici Cinema del centro di Latina hanno chiesto il cambio di destinazione d'uso mi pare culturalmente un segnale molto preoccupante. Questo ho letto oggi sui giornali.

    Pubblicato 10 anni fa #
  16. k

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    Membro

    L'importante è che non glielo diano.
    Ma non ne sarei tanto sicuro.

    Pubblicato 10 anni fa #
  17. zaphod

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    Fondatore

    Ci ha lasciati Gabriel Garcia Marquez. Ne parlavamo spesso, negli ultimi tempi, da Piermario o in giro per Latina, si vede che era nell'aria.
    Che la terra gli sia lieve.

    Pubblicato 10 anni fa #
  18. zaphod

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    Fondatore

    Con grande efficienza Il post pubblica la traduzione italiana del discorso di accettazione del Nobel di Marquez: qui.
    Qua invece potete sentirlo dalla voce dello stesso Marquez.

    Pubblicato 10 anni fa #
  19. llux

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    Membro

    Ne parlavamo spesso, negli ultimi tempi,

    Ma pensa un po'...giusto ieri sera, una manciata di minuti prima che il web diffondesse la notizia, mi ero ritrovata a parlare di Cent'anni di solitudine: con un leggero senso di imbarazzo, ho pensato di essere una janara, una strega. Invece era proprio nell'aria, a quanto leggo.
    Hasta siempre, Gabo.

    Pubblicato 10 anni fa #
  20. zaphod

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    Fondatore

    "Cent'anni di solitudine" me lo fece leggere mio nonno - non il Lanzidei, quello materno, nonno Nello Antonini - che ancora andavo al liceo. Lo diede a mia madre: "Fallo leggere a Massimiliano, è un po' difficile, ma secondo me gli piace". Era difficile. E mi piacque. Era però come se m'avesse riempito e non ho avuto la solita mia reazione dell'epoca di andarmi a cercare tutto quello che l'autore avesse scritto.
    Recentemente l'ho ripreso in mano, ne ho rilette le prime trenta/quaranta pagine, e solo l'urgenza di altre letture e altri impegni mi hanno impedito di essere trascinato di nuovo via tra le sue correnti, i suoi mulinelli, i suoi anfratti. "Cent'anni di solitudine" è un fiume in piena di invenzioni, magie e fuochi d'artificio. Io, il Nobel a Marquez, glielo avrei dato anche solo per quelle prime trenta/quaranta pagine.

    Pubblicato 10 anni fa #
  21. Poi so' io che porta sfiga...

    Pubblicato 10 anni fa #
  22. k

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    Be', stavolta ha ragione.

    Pubblicato 10 anni fa #
  23. llux

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    Membro

    Poi so' io che porta sfiga...

    Aspetta un po', ciccio: quando ho nominato Gabo, lui era già morto: sarà passato un quarto d'ora, che sul web è iniziata a circolare la notizia della sua scomparsa.
    La cosa che mi ha inquietato, è stato il fatto che mi è venuto in mente all'improvviso, in mezzo ad altri discorsi, quasi avessi "sentito" che era successo qualcosa che lo riguardasse.
    Non hai ragione manco per niente.
    Io janara e strega, tu menagramo. A ciascuno il suo, tzè!

    ps. quante interviste hai fatto per Pino Radiolina? Io quattro, tu zero scommetto. Pure pigro.

    Pubblicato 10 anni fa #
  24. A.

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    Non sono mai riuscito ad iniziarlo quel libro

    Pubblicato 10 anni fa #
  25. Una cosa è certa: con lo sforzo cerebrale compiuto per scrivere una roba come "Cent'anni di solitudine" dio solo sa come ha fatto Marquez ad arrivare a 87 anni.

    Pubblicato 10 anni fa #
  26. A llux: non abbiate fretta, per scrivere un buon racconto servono anni e spesso manco ti esce bene. La storia di Radiolina va meditata a lungo... ma la cosa più formidabile sarebbe che fosse proprio lui a raccontarcela...

    Pubblicato 10 anni fa #
  27. llux

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    Membro

    Se trovo il modo di parlare direttamente con lui, mando i Caschi Blu a schiodarti dal bunker antiatomico in cui sei rinchiuso.

    Pubblicato 10 anni fa #
  28. A.

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    Moderatore

    Vorrei leggere quello che hai scritto.

    Pubblicato 10 anni fa #
  29. k

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    Membro

    Ho letto questa cosa su repubblica.it e mi sono venute subito in mente le cazzate dette pochi giorni fa da Paolo Villaggio sulla presunta inferiorità storico-culturale dell'Africa, vecchio luogo comune, peraltro, dell'intellighentia europea.

    http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2014/05/04/foto/il_bibliotecario_di_timbuct-2115167/1/?ref=HRESS-48

    Ho provato a postare un commento, ma non ci sono riuscito. Se qualcuno mi usa la cortesia:

    "Sarebbe forse il caso che qualcuno della redazione si premurasse di far avere questo articolo a Paolo Villaggio ed insistesse caldamente perché lo legga. Così può essere che si risparmi qualche katzata."
    a.p.

    Pubblicato 10 anni fa #
  30. Si sa che Villaggio è un provocatore... Fa parte del gioco.

    Pubblicato 10 anni fa #

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