La febbre del gioco: un nuovo, pericoloso virus sociale
Ho letto un bel pezzo di Angela Iantosca sulla rivista “Acqua & Sapone” di marzo 2011, opportunamente dedicato al dilagante fenomeno del gioco d’azzardo – nelle sue molteplici manifestazioni -. Negli ultimi anni, si è andato affermando come autentica novità/emergenza sociale, con tutte le controindicazioni del caso, vedi il sorgere della classica dipendenza psicologica e della tendenza all’indebitamento costante, pur disostenere i crescenti flussi di liquidità da investire (o sperperare?) nel quotidiano obolo da versare al demone del gioco. Un demone che parrebbe colluso con uno Stato che, a un certo punto della sua storia, ha rotto ogni indugio e si è affidato senza riserve a questo anomalo mezzo di finanziamento a carico dei cittadini italiani, la maggior parte dei quali mostra un’evidente assenza di spirito critico e una conseguente non capacità di controllare i propri istinti più elementari.
SEMPLICEMENTE UN VIZIO - Chiunque frequenti bar e ricevitorie varie conosce benissimo la natura compulsiva e i suoi meccanismi più elementari (la curiosità iniziale, la voglia di rifarsi, la competizione con gli altri giocatori, il conseguente circolo vizioso) alla base di tale nevrosi, che andrebbe studiata a fondo dai medici competenti, anche e soprattutto per individuare possibili terapie di disintossicazione atte a curare persone che forse sono molto sole, oltre che, molto spesso, in una situazione di oggettiva difficoltà economica.
CIFRE ALLARMANTI - I numeri parlano chiaro: il 92% dei “Gratta & vinci” prevede premi pari a 5 o 10 Euro. Cifre risibili, in modo – osserva puntualmente la Iantosca – “da creare la dipendenza dal gioco e spingere a comprare un altro biglietto”. Perché è proprio nel sorgere del legame psicologico morboso che si crea il problema. Ovviamente c’è anche chi ci guadagna: davanti a un fesso c’è quasi sempre un furbo. Già, perché dalla vendita dei 30 milioni di biglietti stampati lo Stato ricava qualcosa come 150 milioni di Euro, una cifra impressionante. 105 milioni vengono rimessi in circolo sotto forma di premi, mentre 45 milioni vengono incamerati da chi organizza la lotteria, cioè il banco. In realtà, anche gran parte dei 105 milioni ridistribuiti torna allo Stato, sotto forma di nuove giocate che non vanno a buon fine. Alla resa dei conti, i veri fortunati, cioè quelli che possono dire di essersi arricchiti, sono pochissimi. Di loro, però, si parla moltissimo, dato che finiscono in prima pagina. Fanno notizia! E anche questo meccanismo serve ad attirare clienti, cioè giocatori che, non si sa per quale motivo, si riversano nella ricevitoria della vincita fantasmagorica come se questa fosse garanzia di nuove supervincite. C’è poi un dato matematico in particolare, che dovrebbe fare riflettere: le probabilità statistiche di vincere il jackpot del Superenalotto con una sestina di numeri sono 1 su… 622.614.630… Quasi impossibile! Eppure la gente partecipa in massa, da anni. Magari facendo debiti per comprare una quota di sistema, settimana dopo settimana, mese dopo mese…
L’INVOLUZIONE CULTURALE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI – Anche l’analisi sociologica più superficiale applicabile a tale questione è desolante. Diamo uno sguardo all’Italia del 2011, un Paese indebitatissimo, messo in ginocchio non solo dalla crisi economica, ma anche da quella politica e morale degli ultimi decenni, ricco di contraddizioni, scandali e paradossi infiniti. E soffermiamoci a riflettere su quanto vediamo. Viviamo in un’epoca difficile, in cui la mancanza oggettiva di lavoro ben retribuito non permette di progettare un futuro. Tutti, chi più chi meno, si lamentano della precarietà in cui si trovano, e le forti tensioni internazionali di queste settimane (crisi libica) non lasciano certo ben sperare. Anzi, gli effetti sul prezzo del carburante e quindi sull’inflazione sono già preoccupanti. Eppure, in un contesto così misero, molte persone utilizzano i loro (pochi) soldi in modo completamente sbagliato: giocando d’azzardo, sfidando la sorte e riponendo speranze nella dea bendata - che in realtà ci vede benissimo – acquistando cioè biglietti da 5… 10 e perfino 20 euro quasi ogni giorno, oppure buttando via discrete somme per giocare con le micidiali slot-machines. Tutto questo in modo completamente patologico, nella generale indifferenza, o forse dovrei dire complicità.
I TEMPI ANDATI - Una volta era diverso. Esistevano giochi basati su una buona percentuale di ragionamento – ad esempio la schedina del totocalcio. Amatissima dagli italiani, finanziava le manifestazioni sportive -. I sistemi, sempre più raffinati, da quelli “ridotti” a quelli “a correzione di errore”, costicchiavano, ma dietro a quel gioco, che comunque era limitato alla domenica (non è una differenza di poco conto, dato che oggi, con le scommesse sportive, si punta ogni giorno), c’era un percorso logico anche piuttosto semplice, con varianti mirate a ridurre il rischio di errore: le mitiche doppie o triple, da riservare alle partite dall’esito più incerto. Ora, invece, molti disperati “nuovi poveri” si aggrappano al sottile filo delle lotterie di Stato che, facendo leva sul sogno piccoloborghese dei guadagni facili e quasi miracolosi, che cambiano completamente le carte in tavola, trasformando l’esistenza dell’individuo in maniera radicale. Ma forse pochi sanno che solo una piccolissima percentuale di tutti i biglietti di “Gratta e vinci” offrono premi in grado di cambiare la propria condizione economica.
L’ESPERIENZA DIRETTA – A chi non è capitato di notare persone di ogni età che passano ore ed ore a giocare con le slot-machine, magari nel bar sotto casa, cambiando di continuo in monete banconote da 20-50 euro come se nulla fosse? A chi non è successo di vedere persone comprare dei Gratta & vinci uno dietro l’altro e, dopo l’esultanza per una piccola vincita, spendere tutto in altri giochi? Oggi, in Italia, questi non sono casi isolati. E spesso queste persone sono le stesse che, quando incontrano un clochard per strada, che chiede aiuto economico, rispondono che sono al verde. Sono gli stessi che, se donano denaro per qualche nobile causa lo fanno di mala voglia. Sono quelli che magari rinunciano, o fanno rinunciare a qualcuno loro vicino, a beni di prima necessità, per sperperare lo stipendio, magari modesto, e inseguire “svolte” epocali che non arriveranno mai. È fin troppo facile prevedere che questa forma di follia collettiva è destinata ad aumentare ogni giorno di più, anche a causa della scarsa informazione al riguardo. Spendono 100 Euro, magari ne vincono 25 ma sono contenti perché pensano che se ne comprano altri due o tre potrebbero vincerne 100.000. E così spendono anche i 25 vinti. Certo, c’è anche qualcuno che ha davvero cambiato la sua vita spendendo pochi euro, non voglio negarlo. Ma è solo l’eccezione che conferma la regola che vuole (quasi) tutti inesorabilmente perdenti, perché è bello sognare, ma la realtà è tutta un’altra cosa. L’altro giorno mi trovavo in un locale. A un certo punto una slot ha scaricato una manciata di monete e il ragazzo che stava giocando, rivolto agli amici, ha commentato raggiante “Visto? Con 1 Euro ne ho vinti 100”. Peccato – per lui – che non abbia detto quanto aveva speso complessivamente prima di quella singola giocata…
(da Reset Italia)