Anonima scrittori

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[evidenziato]

L'Anonima Scrittori è morta, viva l'Anonima Scrittori

(79 articoli)
  • Avviato 9 anni fa da Torquemada
  • Ultima replica da parte di FernandoBassoli
  1. mjolneer

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    Per chi crede che nell'arte del narrare,
    ciò che conta è soprattutto il fatto di viaggiare,
    per chi è tra i molti che hanno preso questo treno,
    talvolta portoghesi, fosse vuoto o mezzo pieno,
    per chi ha pagato tutto il prezzo del biglietto,
    seduto in prima classe o in un lercio gabinetto,
    per chi nel colloquiare ha financo esagerato,
    colpa sua o del momento in cui l'ha vidimato,
    per chi ha condotto da bravo macchinista,
    oppure dal sedile s'è goduto l'ampia vista,
    per chi è salito solo all'ultima stazione,
    o anche chi è partito sbagliando direzione,
    per chi è rimasto in piedi giù in banchina,
    guardando le carrozze dondolare sulla china,
    per chi ha donato almeno un brivido d'inchiostro,
    oppure ne ha goduto sistemato lì al suo posto,
    per chi ha trovato sempre a bordo la scintilla,
    e quelli che a fatica hanno scritto una postilla.

    Per tutti, insomma, quegli anonimi scrittori,
    e gli altri ancor più oscuri spettatori,
    essendo ormai raggiunto l'imbrunire
    dell'anno e del decennio passati a scribacchiare,
    è giusto e doveroso rivolgere un saluto
    ma certi che quel viaggio sia ben lungi dal finire;
    perché se è vero che l'ultima fermata
    è quella dove a sera qualcuno s'accomiata,
    è certo che al mattino, tra un lamento e uno sbadiglio,
    qualcuno si rimette sul binario con cipiglio.
    Perciò, nel porgere la mano o tutto il braccio,
    a guisa d'un virtuale, caldo, abbraccio,
    si verga qui l'augurio di un nuovo divenire,
    ché il treno già partito, è tutto da inventare.

    Un caro augurio per un sereno 2015 a tutti voi, e un ringraziamento per la compagnia
    e l'ospitalità durante il viaggio.

    Luigi Brasili

    Pubblicato 9 anni fa #
  2. k

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    L'importante è che non siamo morti per mano degli hacker. Siamo morti per conto nostro. Mo' non so chi abbia dato l'ultimo colpo o - come si suole dire - staccato la spina. Torque dice che lui con il cugino era da tempo che ci stavano pensando. Io so solo che qualche giorno fa - subito dopo la gloriosa discussione della tesi - l'ho visto e abbiamo passeggiato per Latina, e tra una chiacchiera e l'altra m'è scappato: "Però l'Anonima mi sa che è finita. Siamo rimasti in tre (A, Bassoli ed io) a interloquire ogni tanto..."
    "Eeeh, mi sa di sì" ha risposto il Torque.
    Poi sono tornato a casa, ho acceso il computer e - più veloce della luce, manco Mazinga - ho letto il suo certificato di morte.
    Non è che adesso è colpa mia?

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    Pubblicato 9 anni fa #
  3. SCa

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    Membro

    Eeeh, mi sa di sì

    Pubblicato 9 anni fa #
  4. Woltaired

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    Membro

    Anche quando sembra esser in tre si è sempre in sei... che poi ognun si scelga i ruoli. Hiho non so...

    Pubblicato 9 anni fa #
  5. Woltaired

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    Membro

    In home, però, una lapide bisognerà poi posarla. Sarebbe brutto lasciare solo ghiaia smossa e fiori rinsecchiti, una foto senza cornice che s'accartoccia nel tempo e guano cotto dalle stagioni.
    Marmo nero e rosso, date di Α e Ω e una bell'immagine dei tempi d'oro.
    Di epitaffi non dovremmo scarseggiare...

    Pubblicato 9 anni fa #
  6. A.

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    Moderatore

    Se per anonima scrittori si intende il forum, come dice K, ha ragione. E la rassicurazione di zafod che non chiuda è molto positiva.
    se si intende qualcos'altro, allora non ci capisco più.
    Sto ancora aspettando il pezzo ragionato di torque

    Pubblicato 9 anni fa #
  7. Poi sono tornato a casa, ho acceso il computer e - più veloce della luce, manco Mazinga - ho letto il suo certificato di morte.
    Non è che adesso è colpa mia?

    No K, non è stata colpa tua.

    È da tempo, tanto tempo, che ne discutevamo con Zaphod. Ed uno dei problemi maggiori che ci facevamo era: chi glielo dice a K?

    Quando ho visto che era K a dircelo a noi, mi sono detto (sapendo che Zaphod sarebbe stato d'accordo): è ora di staccare le macchine che tengono ancora in vita il simulacro di Anonima Scrittori.

    E l'ho fatto.

    M'è piaciuto, tanto, il racconto di Zaphod intorno alla metafora che ho inventato. Perché alla fine ce n'eravamo accorti tutti che l'Anonima era in vita solo artificialmente, solo che ci faceva comodo - e più di tutti faceva comodo a me e a Zaphod - tenerla così. Non avremmo dovuto elaborare il lutto di una creatura che avevamo ideato e fatto nascere e cresciuto con tanto impegno e dedizione.

    Ma, proprio come dice cuginemo, meglio Père Lachaise.

    Pubblicato 9 anni fa #
  8. SCa

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    Membro

    A me le camere d'ospedale e i cimiteri non piacciono ed evito, se posso, gli uni e gli altri.

    Però possono essere fonte di ispirazione, così come, in questi anni, è stata per me AS. Tutto quello che ho scritto, da quando ho ripreso a farlo, è nato qui. Per un progetto, un intervento sul forum, un'impressione. Anche i racconti che poi sono finiti pubblicati da qualche altra parte sono nati qui, li avete letti prima voi.
    E' stato il mio "Periodo Anonimo", ed essendo periodo doveva finire, con un punto.
    Il mio, anche se non so bene cosa ho scritto, sta qui, nell'arcipelago.

    Pubblicato 9 anni fa #
  9. llux

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    Membro

    La prima volta che ho sentito parlare dell’Anonima Scrittori non ricordo che anno fosse, sicuramente prima del 2009. Forse era il 2006, o il 2007.
    Un mio amico mi regalò la raccolta dei Racconti di Sabaudia, alla quale aveva partecipato.
    “L’ha vinto uno di Latina, di Latina come te. Lo conosci?”
    Si, lo conoscevo. Eravamo a scuola insieme da piccoli.
    “Cercalo sul web, fa parte di un collettivo di scrittori”.
    La versione del sito era diversa allora, c’era la neonata Colonia e l’invito a partecipare per chiunque ne avesse voglia.
    Per settimane lessi quasi tutto quello che c’era da leggere, forum compreso. Ma non ebbi il coraggio di spedire nulla per la Colonia, né di iscrivermi al forum.
    “Stai zitta e impara” è forse la frase che mi hanno ripetuto di più, mia nonna e mia madre, fino ai vent’anni. Mi faceva veramente girare, questa frase. Ma ho imparato a tacere ed ascoltare.
    Leggevo anche il maestro K. Articoli su Limes –se non ricordo male-, segnalatimi da mia sorella, e poi Il Fasciocomunista, i racconti di Shaw 150, belli da togliere il respiro, e altro.
    Erano gli anni in cui vivevo in esilio, e Latina iniziava a mancarmi davvero.
    L’Anonima e i romanzi di K erano il fili che mi tenevano legata alla mia città, di cui andavo fiera in terra straniera: visto di cosa siamo capaci, a Latina?
    Ogni tanto andavo a fare un giro sul sito: leggevo, ridevo, mi arrabbiavo, imparavo.

    Finché, tornata non senza stravolgimenti a vivere nelle mia amate paludi redente, non presi coraggio a due mani e pubblicai sull’Arcipelago un racconto semiserio che era piaciuto a chi l’aveva letto precedentamente.
    “Mi ignoreranno. Oppure, peggio, mi butteranno fuori”.
    Invece Zaphod fu tanto cortese da dirmi cosa andava e cosa no. Il capo degli Anonimi mi aveva risposto senza buttarmi fuori! Allora non ero proprio malaccio.

    Ricominciai a frequentare assiduamente il sito, sempre come lettrice muta e invisibile, finendo di spolpare quel che non avevo spolpato, “Savile Row”, la “Trattoria Rossellini”, gli articoli di critica letterari, le recensioni, (r)esistenza.
    Imparavo mille, ma avrei voluto chiedere duemila.

    Mollai gli indugi e mi creai un account anche sul sito “grande”.
    Qualcuno mi disse, in quei primi momenti, “Guarda che ti masticano e ti risputano. Covo di maschilisti senza speranza.”
    Nessuno mi ci ha chiamato qui, ricordo di aver pensato. Se posso imparare qualcosa sulla scrittura, questo è il posto giusto. E poi non sono una che si offende facilmente.
    Evidentemente non ho un sapore allettante, nessuno m’ha mai neanche morso. Anzi. Ho sempre avvertito affetto e protezione, anche dietro le battute peggiori.
    Ho imparato tantissimo. Tutto quel che so sulla scrittura intesa come narrazione, come partecipare ad altre persone quello che hai dentro in maniera efficace e comprensibile, l’ho imparato qui, chiedendo ma soprattutto leggendo e ascoltando. Aveva ragione mia nonna.

    Sul maschilismo imperante però, m’è rimasto un dubbio.
    Quando ho creato il mio account, dopo aver fornito tutti i miei dati, mi fu chiesto, ovviamente, un nick. Scelsi “lux”, quello che uso sempre. Il sistema mi rispose che doveva avere almeno quattro caratteri.
    “E ora che ci metto? Ok, ripeto una lettera. luux però no, sembra l’ululato di uno sciacallo. E luxx nemmeno, quella doppia x mi sa di aberrazione cromosomica. Vabbe’, vada per llux, con due “l” all’inizio, il suono è quello”.
    Altre donne, almeno quelle che ho visto, hanno tutti nick da quattro lettere in su.
    La domanda è: ma K, A. , SCa , bdm…come hanno fatto? E’ forse perché sono maschi?

    Pubblicato 9 anni fa #
  10. SCa

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    Membro

    E' che c'hai pensato troppo; quando ti sei decisa i posti da tre erano finiti.

    Pubblicato 9 anni fa #
  11. zaphod

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    Fondatore

    [...]
    All'inizio dovevamo essere in cinque. Cinque scrittori per un anno. Un racconto al mese. Niente vincoli di lunghezza, ma ferrei nel termine di scadenza: la mezzanotte dell'ultimo giorno del mese. Un disegno come ispirazione. La Macchia. Rorschach.
    "Vabbè, siamo su internet, apriamo anche il progetto agli altri, che ci costa?"
    A noi niente, i pixel sono gratis, nessun costo di stampa, solo un po' di tempo strappato a quel santo di MrWhy.
    Scriviamo i nostri racconti, li leggiamo e ci divertiamo a parlarne. Nel frattempo arrivano anche quelli degli altri. Qualcuno che conosciamo e altri - tanti altri - che invece arriva sospinto dalle onde della rete.
    Ci inventiamo la categoria dei Fuoriquota per distinguerli da noi scrittori Residenti.
    È solo un artificio per facilitare la pubblicazione on line senza dover cambiare ogni volta la formattazione della pagina in Flash, ma subito scoppia la bagarre sul forum: "E perché fuori quota? E che discriminazione è mai questa?"
    E via a spiegare che in gergo calcistico Fuoriquota è uno più bravo degli altri.
    (Inciso: appena creato il forum - il primo forum dell'Anonima, considerate che questo che state usando ora è il terzo - sempre il solito MrWhy era pronto a usare i sotterfugi che si usano di solito per animare le comunità in embrione a base di identità fittizie e finte polemiche. Non ce ne fu bisogno, bastarono le nostre identità per innescare polemiche e discussioni a non finire fin dal primo giorno on line. Questo per dire che certe cose erano proprio nel Dna anonimo.)
    Alla fine però il bello della questione era proprio questo: aprire la mail e trovare ogni giorno una persona nuova che si avvicinava e mandava il suo racconto o la sua poesia. E il bello era proprio leggere quel racconto e quella poesia e sapere che senza il nostro intervento quel racconto o quella poesia non sarebbero mai stati scritti.
    ...che il potente spettacolo del mondo continua e tu puoi contribuire con un verso"
    Così diceva il Walt Whitman citato ne L'attimo fuggente e noi con l'Anonima contribuivamo a far girare l'ingranaggio che muoveva quel potente spettacolo.
    È la stessa sensazione che provo ora nel leggere gli epitaffi che state lasciando su questi lidi. È l'essenza del lavoro che abbiamo svolto in questi undici anni. Ho letto ogni riga di ogni racconto arrivato per i nostri progetti e ogni riga scritta su questo forum (oddio, forse qualche articolone di Paris e qualche elucubrazione di Molly mi sono scappate) e è vero che forse la maggior parte svanirà - aridaje con le citazioni - come lacrime nella pioggia, ma è pure vero che l'Anonima ha contribuito a liberare energie creative che altrimenti sarebbero rimaste inespresse. Quante persone mi hanno detto che grazie all'Anonima hanno trovato lo stimolo per prendere o riprendere la penna in mano?
    Leggere questi vostri messaggi di saluto mi riporta a quegli inizi in cui non vedevo l'ora di leggere un nuovo racconto o una nuova poesia. E leggendoli metto a fuoco anche una cosa che il Torque e io ci abbiamo messo anni a capire. Ognuno di voi ha puntualizzato quello che l'Anonima gli ha dato, noi eravamo concentrati a capire quello che l'Anonima poteva dare. L'Anonima ha funzionato finché quest'equazione si bilanciava. Non dico che noi - io e il Torque - abbiamo fatto tutto questo per spirito altruistico, badate bene, (per quanto mi riguarda a me l'Anonima ha cambiato, e forse salvato, la vita) ma che c'era una prospettiva sulle cose che ora è cambiata.
    E - come diceva un mio amico - "la vita non è Disneyland, le cose cambiano".

    Pubblicato 9 anni fa #
  12. 00.01 del 31 Dicembre 2014.

    Ognuno di voi ha puntualizzato quello che l'Anonima gli ha dato, noi eravamo concentrati a capire quello che l'Anonima poteva dare

    LO SPIRITO PUNK E L’ORIZZONTALITA’

    Voglio partire proprio da questa visione prospettica differente di Zaphod, che mi/ci facilita a capire una cosa semplice, che semplice però non appare ai più: Anonima Scrittori non poteva sopravvivere.

    «Le cose cambiano», dice un amico di mio cugino. Ma spesso, per quanto si sforzino di cambiare, non riescono a stare al passo coi tempi. Che, in quanto a cambiare, i tempi cambiano ancora più velocemente delle cose. Proprio per questo motivo si arriva all’essere superati, alla consunzione e alla morte.

    Dieci anni fa, sembra impossibile ma è così, non c’erano i blog, non c’era facebook, non c’era whatsapp, non c’era skype, non c’era il web 2.0. Dieci anni fa eravamo in un’altra epoca. Tanto che era quasi impossibile pubblicare un libro, era davvero complicato veder pubblicato un proprio racconto su una rivista e a nessuno era ancora venuto in mente che un libro si potesse leggere anche in formato elettronico. Eravamo immersi da valanghe di informazioni, ma nessuno di noi poteva esprimersi o aveva il coraggio di farlo. I cassetti erano pieni zeppi di racconti e romanzi che nessuno avrebbe pubblicato e nessuno avrebbe mai letto. Anzi, una volta i racconti si tenevano nel cassetto, proprio perché ci si vergognava un po’ a tirarli fuori. C’era del pudore che oggi abbiamo perso. Davamo per scontato che le nostre cose non fossero interessanti, che fossero scritte male. Che tutto sommato stavano bene lì, nel cassetto. E come lo pensavamo noi, lo pensavano un po' tutti.

    Poi è arrivato il punk.

    Non so a quanti di noi - tra Residenti e FuoriQuota del Progetto Rorschach - piacesse davvero il punk come genere musicale. Ma sono sicuro che lo eravamo un po’ tutti, nel profondo del nostro animo. Perché contribuimmo, insieme a tanti altri collettivi e singoli, in quel periodo, ad allargare le maglie del magico mondo della letteratura. Rendemmo popolare il reading, andammo in giro per l’Italia a fare proseliti nel nome di una sfida alla pagina bianca che tutti erano in grado di sostenere. C’è chi ci definì «teppisti della letteratura». Non la prendemmo mai come un offesa. Perché quello volevamo essere: agenti esterni, anche un po’ violenti nei modi e nei toni, ad un mondo che ritenevamo troppo ingessato, anchilosato, pieno di manierismi. C’è una frase di Giovanni Lindo Ferretti - sta in Live in Punkow, proprio all’inizio della traccia Radio Popolare - che m’ha sempre colpito e che, riferito alla letteratura, credo rispecchi lo spirito dell’Anonima di allora: «fanculo qualsiasi tecnica, quello che mi interessa è l’anima e non la qualità dello strumento».

    Non avevamo paura di niente, pensavamo di essere tutto. E, a nostro modo, eravamo bellissimi. Se non ci pubblicavamo, ci pubblicavamo da soli con una nostra fanzine. Senza alcun tipo di selezione. Tutti dentro nessuno escluso. Chi partecipava stava con noi. Sia con il Progetto Rorschach che con la Modica Quantità. Ma dentro la nostra utopistica orizzontalità - non c’era un vero e proprio capo, ogni decisione era presa dopo una votazione, nei reading effettuavamo la rotazione orologio alla mano - si iniziava ad intravedere qualche inevitabile crepa. Perché è vero che avevamo mandato a fare in culo la tecnica, ma saper scrivere abbiamo capito che non era poi un dettaglio. Che in giro c’era gente brava davvero, avevamo conosciuto da poco Antonio Pennacchi. Prima di lui ci eravamo avvicinati ai Wu Ming (anzi, ai Wu Ming all’inizio c’eravamo proprio ispirati) e a Vitaliano Trevisan, a Flavio Soriga. Ma fu proprio Antonio Pennacchi a convincerci che aver qualcosa da dire è condizione necessaria ma non sufficiente per aspirare a scrivere, a pubblicare e ad essere letti. Ci vuole il lavoro, ci vuole la fatica, ci vuole la tecnica.

    L’APPRODO AL POST-PUNK

    Quindi quello strumento, che per noi si traduceva in una miserabile penna, bisognava saperlo utilizzare al meglio. E quindi, insieme ai progetti all-inclusive di prima, cercammo di introdurre un po’ di qualità: il concorso (r)esistenza. E affidammo il giudizio ad una giuria al di sopra di ogni sospetto. Con Antonio Pennacchi e con Lorenzo Pavolini, tanto per fare due nomi di un vincitore e di un finalista del Premio Strega. Anzi, nel libro di Pavolini, «Accanto alla Tigre», viene citato proprio il concorso letterario (r)esistenza in un intero capitolo. Segno che l’esperienza ha significato molto per lo stesso Pavolini.

    In realtà, nell’arco di pochi anni, Anonima Scrittori mutò pelle, inevitabilmente. Iniziammo le prime pubblicazioni: dall’antologia di racconti «Storie di (r)esistenza» passando a «Il Bit dell’Avvenire». Ma non bastava. Perché quelli erano meravigliosi palliativi. La via della scrittura è solitaria. Da Collettivo di Scrittura dovevamo diventare un collettivo di scrittori. E così pensammo che un Laboratorio di scrittura potesse servire proprio a questo. Con tanto di insegnante d’eccezione, quell’Antonio Pennacchi a cui tutti, nell’Anonima, devono un qualche insegnamento nella scrittura. A lui piace dire che lo chiamiamo Maestro per prenderlo in giro. Ma sa benissimo che il titolo è meritato sul campo. Perché quello non fu il classico laboratorio, chi partecipò alla prima e alla seconda parte si è reso conto che era entrato proprio nell’officina di Antonio Pennacchi e l’aveva visto in azione, alle prese con la storia e l’intreccio e la forma e le frasi e i personaggio e la loro profondità. Un esperienza che pochi possono vantare. Così nacque la Colonia, e dal germe della Colonia ha poi preso forza e vigore «Storia di Karel», libro di Antonio Pennacchi pubblicato per la Bompiani. E la Colonia è stato il nostro canto del cigno.

    Subito dopo infatti, l'Anonima ha mostrato evidenti segni di cedimento. Perché la battaglia dello spalancare le porte della letteratura l’avevamo vinta, noi insieme a tanti altri. Ma non avevamo avuto la forza di mantenerci all’avanguardia di questo vastissimo movimento. Ci abbiamo provato, anche con Arcipelago Anonima. Ma abbiamo fallito perché avevamo rinunciato da tempo ad essere un punto di riferimento per chi voleva scrivere. Tanto per fare un esempio: anni prima, Christian Raimo e Nicola Lagioia, che all’epoca, ed insieme ad altri, facevamo parte del collettivo Babette Factory che aveva appena pubblicato un illegibile libro per Einaudi, erano voluti passare per Latina - con tanto di cena ai Prati di Coppola - per avere un contatto con noi. Oggi loro stanno nell’iperuranio della letteratura, mentre noi stiamo qui a piangere la scomparsa di quello che è stato per un decennio il nostro gioiello. Ognuno di noi ha fatto il proprio percorso: alcuni pubblicano, altri vincono concorsi, altri ancora partecipano a riviste, altri hanno mille idee in mente. E’ evidente che in maniera collettiva, per dirla alla Faust, avevamo pure spaccato culi, ma singolarmente ognuno di noi doveva/deve trovare una propria individualità.

    IL FUTURO UCCIDE IL PASSATO. E NE FA UN TESORO.

    La pubblicazione non è più un traguardo, se non con una casa editrice che investe sul prodotto, che ha intenzione di valorizzare il romanzo. Oggi come oggi, diciamoci la verità, pubblicano tutti. A pagamento o no, la differenza è sempre più sottile nel florilegio delle case editrici italiane. E lo sarà sempre di più. Una volta si diceva che c’era più gente che scriveva di quella che leggeva. Oggi c’è più gente che fa l’editore di quanta gente che scrive. Siamo arrivati troppo tardi. Forse la nostra strada era quella di diventare una - l’ennesima? - casa editrice. Forse no. Sta di fatto che anche questo treno è passato. Oggi diventano sempre più importanti la riflessione, la lettura, il saper individuare la qualità nelle nuove forme di narrazione (dal videogioco alla serie tv, passando per il fumetto e il cinema) e imparare a realizzarle nel miglior modo possibile. Sono d’accordo quando si dice che il romanzo non è UN genere letterario ma è IL genere letterario, per antonomasia. Ma scrivere significa tante e tante altre cose. Si scrivono articoli, sceneggiature per fumetti, cinema e teatro, si scrivono saggi e si scrivono milioni di altre cose volte ad un fine solo, primordiale nell’uomo: raccontare.

    Questa è la possibile nuova frontiera, almeno a mio avviso. Sicuramente è questa la strada che, insieme a Max, ci siamo trovati ad affrontare. Forse è questa la via che tanti addetti ai lavori, commentando lo stato di crisi della letteratura e del libro, stanno provando ad individuare.

    Non so se lo faremo tutti insieme appassionatamente o se ognuno lo farà per conto suo. Non so se sarà utile creare i vecchi e cari circoli di lettori, trasformandoli in circoli di ‘raccontatori’, oppure se è meglio non fare proprio più niente.

    Sono sicuro che dovevamo andare oltre l’Anonima Scrittori. Perché l’Anonima Scrittori potesse riposare in pace. Ed entrare nella Storia.

    Pubblicato 9 anni fa #
  13. Woltaired

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    Va bene, siamo al di là, oltre la terra smossa, è il primo giorno Dopo Anonima, d.a. un'inversione demoniaca, il vuoto, il nulla, il tutto, la libertà totale di raccontare tacendo, di comprimere il mondo fuori rimanendo dentro. Mi permetto di gioire tra queste righe come più mi è congeniale, senza pensare, senza brutte, senza correzioni, sputando tutto ciò che mi sale in gola, annodandomi la lingua in caso di vergogna, fiero di quella cripto poeticità affibbiatami da zaphod che mi son tatuato dentro. Non ve lo voglio dire come ci sono arrivato qui, perché ve l'ho già detto in cento modi e ora non li ricordo tutti, forse uno in più, magari quello vero, comunque, non disturba. E se v'annoia mi frega un cazzo, perché ciò che ho amato ( e resta ) di quest'ammasso di bit e di neuroni, di baffi, di sigari, di dita lunghe, di ombre d'occhi azzurri è proprio questo: la possibilità di dire, anche con la lingua lappa o il senso che flappa.
    Stavo lì, dentro un tribunale, a smazzar polizze da pochi soldi a cancellieri e guardie carcerarie, a qualche giudice, a un nugolo ristretto d'avvocati e m'annoiavo forte. Sfogliavo il giornalino del C.R.A.L. Giustizia e chiedevo l'ora, sempre la stessa, invariabile e pesante. Trovai un indirizzo, un annuncio, due righe leccate a celare un comunicato, una richiesta di collaborazione, un messaggio criptato. Mica ce l'avevo ancora un cellulare, esistevano, certo, ma ero già un vecchio, imborghesito, snobbino, mi disturbava sentire gli altri parlare a voce alta dei fatti loro, della cottura della pasta, dei moduli da compilare, delle croste nuove sulle ginocchia dei figli, dei turni per portar fuori il cane.
    Ecco un'altra cosa che ho sempre fatto: divagare.
    Va beh, che cazzo, presi una scheda e andai a telefonare.
    Ma dove voglio arrivare? Che c'entra l'Anonima in tutto ciò? Teoricamente nulla, era il 2003 e non si stava ancora nemmeno per formare.
    Sarebbe bastato che un basco azzurro fosse entrato un attimo prima, per un preventivo qualunque, e avrei lasciato stare. Invece non successe e mi trovai lì, all'apparecchio arancione, composi il numero e andai a farmi esaminare.
    La storia è lunga, ma non c'entra nulla e ora che spiegherò il collegamento, molti non sapranno nemmeno di che parlo.
    Ci sono delle parallele che convergono e non l'ho inventato io, ma comunque mi fa sempre un po' impressione e così un giorno, un bel po' d'anni dopo, vagando per le lande rocciose del web, affamato di avventura, mi fermai a un bivacco e m'arrostii una fata. Ci bevvi sopra una birra e andai al mio turno. Fu con sommo stupore che ritrovai tra i fili la stessa salsiccia e così ne cominciammo a parlare.
    La prima botta in testa l'avevo ricevuta un anno prima volando in mezzo a un altro stormo, guardai così con più curiosità in questo nuovo stagno e mi decisi a entrare.
    Inventai un nuovo nick, un alias, un me scrittore. Da poco avevo letto Galindez di Montalban e il personaggio di Voltaire ( che lapalissianamente portava il nome del poeta ) mi aveva appassionato, ma usarlo senza una lunga spiegazione mi sembrava pomposo e sciocco, sostituii la prima lettera con la w e mi parve "elettrico", cercai quindi di smorzare con la d per inserire un'anglo fonetica stanchezza e cliccai invio.
    Non ricordo con dovizia che successe, ma fu una pillola di sesso e poi una d'amore ( che mi creò parecchi problemi con il mio nuovo amore, perché per criptico che fui ci si riconosceva il vecchio ), poi come una polluzione dovuta all'astinenza spruzzai Dammi quattro diamanti e ciò mi fece percorrere la Pontina fino alla piazza dedicata al mio Santo, nella città che porta il nome di mia madre e lì capii che quel signore col cappello a cui avevo scroccato un MS fuori dal Photografer, a casa mia, a Milano, scappando poi a metà reading verso una cotolètta, era lo stesso che aveva scritto un libro che mi ero letto in una terza parallela ( che ora tralascio, se no poi mi perdo ).
    Sulle scale del Cambellotti incontrai un compagno di classe del mio primo amore, un cane nero in cui quasi sicuramente si era incarnato mio nonno e un uomo peloso che, forse mio nonno, se l'era mangiato.
    E un mondo.
    E il mondo è infinito, eterno e immanente e pure il suo contrario.

    woltaired 1 gennaio d.a.
    (invio e non leggo e non correggo, come facevo a scuola con i temi, perciò perdonate sciocchezze, strafalcioni e spasmi)

    Pubblicato 9 anni fa #
  14. k

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    Membro

    "Stavo lì, dentro un tribunale, a smazzar polizze da pochi soldi a cancellieri e guardie carcerarie, a qualche giudice, a un nugolo ristretto d'avvocati e m'annoiavo forte. Sfogliavo il giornalino del C.R.A.L. Giustizia e chiedevo l'ora, sempre la stessa, invariabile e pesante".

    Scusami Volt, ma credo che qui dentro ci sia un romanzo. Magari sui giudici. Fallo.

    Pubblicato 9 anni fa #
  15. big one

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    Membro

    Sottoscrivo l'opinione di k

    Pubblicato 9 anni fa #
  16. Il vissuto di Wolt ne contiene in abbondanza, di materiale per romanzi.

    Pubblicato 9 anni fa #
  17. Potrebbe essere addirittura l'incipit.

    Pubblicato 9 anni fa #
  18. Woltaired

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    Membro

    lo farò

    Pubblicato 9 anni fa #
  19. A.

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    Moderatore

    Michel Houellebecq: «Niente in Francia sarà più come prima. Sì, ho paura anch’io...»
    Il giorno del massacro era uscito nelle librerie il suo ultimo libro Sottomissione, da domani disponibile anche in Italia
    di Stefano Montefiori, nostro corrispondente a Parigi
    CORRIERE DELLA SERA 15 GENNAIO

    Dopo l’attentato a Charlie Hebdo, il più celebre scrittore francese Michel Houellebecq ha lasciato Parigi, protetto dalla polizia. Il giorno del massacro alla redazione, il 7 gennaio, è uscito in Francia per Flammarion il suo ultimo romanzo, Sottomissione, che sarà nelle librerie italiane domani, edito da Bompiani. Houellebecq immagina una Francia del 2022 dove il presidente musulmano Ben Abbes vince le elezioni, islamizza la società e progetta di ricreare in Europa e nel Mediterraneo una sorta di impero romano, unito dall’Islam. Houellebecq aveva sospeso la promozione del suo libro, ma ha scelto di mantenere l’impegno preso con il Corriere della Sera .
    Michel Houellebecq, lei ha paura?
    «Sì, anche se è difficile rendersi conto completamente della situazione. Cabu per esempio, uno dei disegnatori uccisi, non era del tutto cosciente del rischio, c’era in lui l’anima sessantottina mescolata con una vecchia tradizione di mangiapreti, e in Francia essere un mangiapreti espone a un processo in tribunale che in genere si vince. Penso che Cabu non abbia colto che la questione è ormai di un’altra natura. Siamo abituati a un certo livello di libertà di espressione, e non ci siamo fatti una ragione del fatto che le cose sono cambiate. Anche io sono un po’ così, a livello inconscio. Ma l’idea della minaccia ti viene in mente, ogni tanto...».
    Come ha vissuto il 7 gennaio, che avrebbe dovuto essere la sua giornata, quella della pubblicazione del libro atteso da mesi ?
    «Quando ho saputo dell’attacco a Charlie Hebdo ho chiamato il mio amico Bernard (l’economista Bernard Maris, tra le vittime, ndr), ma non pensavo che fosse coinvolto. Collaborava con loro, non immaginavo che fosse alla riunione di redazione. Ho continuato a chiamarlo, dalle 12 alle 16, non rispondeva. Poi ho saputo».
    Pensa che dopo gli attentati di Parigi la libertà di espressione sarà più difficile da esercitare? Nonostante l’immensa manifestazione di domenica?
    «Sì, certo. Niente sarà più come prima. Sicuramente è più dura, per esempio per un disegnatore che comincia adesso».
    Ma «Charlie Hebdo» ricomincia con un nuovo numero che ha in copertina Maometto. Forse quel che è successo potrebbe al contrario dare forza ai giovani.
    «Adesso non c’è problema, faranno lo stesso tutti i disegnatori di Francia anzi del mondo. Dopo non so».
    Lei è sulla copertina del numero uscito la mattina stessa della strage. Il nuovo «Charlie Hebdo» riparte da Maometto. Che cosa pensa di questa scelta?
    «Sì, è quel che bisogna fare, è la scelta giusta. Charlie Hebdo ha sotto la testata la scritta “giornale irresponsabile”. È questo il loro motto, ed è giusto che restino fedeli alla loro linea».
    Lei aveva paura anche mentre scriveva il suo romanzo?
    «No, per niente. Quando si scrive non si pensa affatto a come verranno accolte le proprie parole. Scrittura e pubblicazione sono due fasi separate. È adesso che uno capisce i rischi».
    Il libro non mi è sembrato islamofobo, anzi al limite islamofilo. Ma in fondo neanche quello, l’Islam viene abbracciato un po’ per opportunismo.
    «È così. I miei grandi riferimenti in letteratura sono Dostoevskij e Conrad. Entrambi hanno dedicato romanzi all’argomento di attualità più importante dell’epoca, ossia gli attentati anarchici e nichilisti, la rivoluzione russa che covava. Sono molto diversi nel modo di trattare il soggetto, ma questi rivoluzionari per loro si dividono in due tipi: farabutto cinico o naif assurdo, talvolta altrettanto pericoloso. Io descrivo invece, quasi unicamente, dei farabutti cinici attraversati talvolta da un pizzico di sincerità».
    Questa parte di sincerità, che finisce per essere sconfitta, la si vede anche nel momento chiave del romanzo, quando il protagonista François si rivolge alla Vergine nera di Rocamadour, ma desiste, non trova la fede.
    «Sì quella è la svolta del romanzo. È li che ho deluso i miei lettori cattolici, oltre a quelli laici. Nel progetto iniziale il protagonista si converte al cattolicesimo, ma non sono riuscito a scriverlo. L’avanzata islamica mi è parsa più credibile».
    La settimana scorsa era cominciata con la parola chiave «Sottomissione»; si è conclusa con titoli come «La rivolta di Parigi», «La Francia in piedi», a proposito della marcia. È sorpreso dalla reazione dei suoi concittadini?
    «Non credo che quella marcia pur immensa avrà enormi conseguenze. La situazione non cambierà nel profondo, torneremo con i piedi per terra».
    Davvero per lei è solo un episodio quindi?
    «Sì. Non vorrei sembrare cattivo... Ma invece un po’ sì. Quando c’è stato l’incendio della redazione, il primo attentato a Charlie Hebdo nel 2011, non pochi dei colleghi giornalisti e dei politici dissero “sì, la libertà va bene, ma bisogna essere un po’ responsabili”. Responsabili. Questa era la parola fondamentale».
    Anche a lei, di recente, è stato chiesto se non sente di avere una responsabilità in quanto grande scrittore. La trova appropriata questa domanda?
    «No, io mi sento sempre irresponsabile e lo rivendico, altrimenti non potrei continuare a scrivere. Il mio ruolo non è aiutare la coesione sociale. Non sono né strumentalizzabile, né responsabile».
    Qual è il problema alla base di tutto, in Francia?
    «È il punto di partenza del libro. Il Paese è sempre più a destra ma la rielezione di un presidente di sinistra non è totalmente impensabile. E questo è destabilizzante».
    Il Front National era assente dalla marcia di Parigi.
    «Sì, sembra che non li abbiano voluti. Se vogliamo parlare nello specifico del Front National, hanno due deputati e il 25% dei voti (alle Europee, ndr)... C’è uno scarto evidente. Il Front National ha un peso nella società che non corrisponde affatto alla sua rappresentanza parlamentare. Mi domando fino a che punto una situazione simile sia sostenibile, con questa astensione poi. C’è un sistema che dovrebbe essere democratico e che non funziona più».
    Hollande ha detto che leggerà il suo libro. È curioso di conoscere la sua opinione?
    «No, dell’opinione letteraria dei politici mi interessa poco. Se François Hollande sarà rieletto presidente nel 2017 forse molte persone emigreranno. Per ragioni fiscali ed economiche, per l’idea che è difficile fare granché in Francia, un Paese che appare bloccato. E poi potremmo vedere qualcuno alla destra del Front National che si innervosisce e passa a un’azione violenta».
    Nel suo romanzo la guerra civile sembra cominciare, poi per fortuna si ferma subito. Ma lei mi sta dicendo che nella realtà questa le sembra un’ipotesi possibile.
    «Sì, è un’ipotesi possibile. Sono allarmista, certo. Declinista no, perché ci sono cose bizzarre e positive che accadono in Francia, per esempio abbiamo una demografia molto alta, una cosa tutto sommato misteriosa».
    Il grande soggetto del suo libro è in generale il ritorno della religione.
    «Sì, è un fenomeno che i media non riescono a cogliere, pensano che la religione sia un fenomeno passato di moda. Ma prima di domenica le grandi manifestazioni di piazza sono state le manif pour tous. Fatte da cattolici molto diversi da quelli che mi ricordavo da giovane, ovvero gente complessata e all’antica oppure di sinistra insopportabilmente perbenista (ride, ndr)».
    Ha letto «Il Regno», il romanzo di Emanuel Carrère, e il suo testo su «Sottomissione» pubblicato dal «Corriere»?
    «Si. Carrère ha capito certe cose fondamentali del mio libro».
    Per esempio la tentazione di liberarsi della libertà?
    «Si. Della libertà l’uomo non ne può più, troppo faticosa. Ecco perché parlo di sottomissione. È un piacere parlare di Emanuel Carrère e del suo libro che ho molto amato».
    Carrère spera che possa esserci una relazione feconda tra l’Islam e la libertà cara alla civiltà europea erede dei Lumi. È uno scenario possibile?
    «I miei valori non sono quelli dell’Illuminismo. Ora, senza andare verso un progetto di fusione grandioso alla Carrère, diciamo che Cattolicesimo e Islam hanno dimostrato di poter coabitare. L’ibridazione è possibile con qualcosa che è davvero radicato in Occidente, il Cristianesimo. Mentre con il razionalismo illuminista mi pare inverosimile».
    Rispetto al 2001 e alla sua celebre dichiarazione «l’Islam è la religione piu stupida del mondo», lei ha chiaramente cambiato opinione sull’Islam. Come mai?
    «Ho riletto con attenzione il Corano, e una lettura onesta porta a supporre un’intesa con le altre religioni monoteiste, che è gia molto. Un lettore onesto del Corano non ne conclude affatto che bisogna andare ad ammazzare i bambini ebrei. Proprio per niente».
    È il dibattito cruciale. I terroristi sono pazzi che stravolgono il messaggio dell’Islam, o la violenza è inerente alla natura stessa di quella religione?
    «No, la violenza non è connaturata all’Islam. Il problema dell’Islam è che non ha un capo come il Papa della Chiesa cattolica, che indicherebbe la retta via una volta per tutte».
    I suoi romanzi hanno sempre una parte di osservazione della società e un tocco profetico, a cominciare dal capitalismo applicato ai sentimenti di «Estensione del dominio della lotta»...
    «Sì, è stata la mia prima scoperta (ride, ndr)».
    ...per continuare con turismo sessuale e terrorismo di massa, clonazione, Francia trasformata in parco giochi per ricchi turisti, fino alla sottomissione all’Islam.
    «Comincio dall’osservazione della realtà, ma resta letteratura. So che è difficile da credere ma l’Islam, nel romanzo, all’inizio non c’era. Uno dei motivi che mi hanno fatto scrivere il libro, oltre al fatto che essere ateo mi è diventato insopportabile, è che tornando in Francia dall’Irlanda mi sono reso conto che la situazione era molto peggiore di quanto pensassi. Ho pensato che le cose potevano precipitare in modo spiacevole, e questo mi ha sorpreso». L’intervista finisce, ci salutiamo. «Spero che avremo l’occasione di rivederci in circostanze più felici», conclude lo scrittore.

    Pubblicato 9 anni fa #
  20. A.

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    Moderatore

    Io penso che gli scrittori dovrebbero limitarsi a fare gli scrittori, senza presumersi filosofi.
    Quando vuol fare il filosofo, Houellebecq spara cazzate. per esempio che la libertà si insopportabile: basta aver letto la storia degli ebrei nel deserto per saperlo. la libertà è responsabilità. E si accompagna al timore e al tremore. La sottomissione a qualsiasi dogma, religione, o verità assoluta è acquietante, certo. Appunto, la sottomissione.

    ps. Il fatto che Anonima sia morta, va bene, (nel senso, fatti di chi ha deciso così) ma che sia morto il forum non mi piace affatto.
    Quindi per piacere continuate a scrivere.

    Pubblicato 9 anni fa #
  21. cameriere

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    Membro

    Mi pare che lui non abbia detto che la libertà e' insopportabile
    Ma che l'uomo contemporaneo non la sopporta più perché troppo faticosa

    Pubblicato 9 anni fa #
  22. camerie', i filosofi mica cianno bisogno de legge e de capi'. Loro intuiscono.

    Pubblicato 9 anni fa #
  23. k

    offline
    Membro

    Eh no, cazzo.
    Quelli so' i poeti,
    che abbasta che intuiscano.
    I filosofi debbono capi',
    sennò so' filosofi del cazzo.

    Pubblicato 9 anni fa #
  24. A.

    offline
    Moderatore

    bravo K glielo dica de leggese Croce ar Torque

    Pubblicato 9 anni fa #
  25. Se i filosofi intuissero non ci farebbero due scatole così quando li andiamo a studiare.

    Pubblicato 9 anni fa #
  26. io veramente, de filosofo vivo, ne conosco uno. Che pare che invece de legge e de capì, intuisce. Spesso pure male. Ma dice che è metafisico tsiprasiano.

    Pubblicato 9 anni fa #
  27. k

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    Membro

    Un articolo uscito ieri, 30 gennaio 2015, sul Corriere della sera:
    http://media.mimesi.com/cacheServer/servlet/CNcacheCopy?file=pdf/201501/30/0001_binpageNAZ26.pdf&authCookie=1666362900

    DUE PESI E DUE MISURE

    Pochi anni fa – era l’8 ottobre del 2010 – nella stazione della metro Anagnina a Roma vengono a diverbio, per questioni di fila, un ragazzo italiano di vent’anni e una donna romena di trentadue, di professione infermiera, sposata e con un figlio. Pare che poi – andandosene – il ragazzo le abbia detto: “Ma non te lo insegnano al paese tuo a stare in fila?”
    Lei allora gli corre dietro fin fuori la stazione, inveendo e sputandogli addosso. Lui si volta, le sferra un pugno – non so se al volto o in testa – lei cade e resta a terra.
    Lui se ne va. Lo insegue però e lo blocca un militare di passaggio della capitaneria di porto, che lo consegna ai vigili quando arrivano. Lei è sempre a terra. Chiamano il 118. Otto giorni di coma e muore. Si chiamava Maricica Hahaianu.
    E’ dell’altro giorno la notizia invece (26/1/2015) che il ragazzo condannato in appello nel 2012 a otto anni – per omicidio preterintenzionale e concessione delle attenuanti – è stato scarcerato, per essere affidato ai servizi sociali. Dopo complessivi quattro anni di carcere e arresti domiciliari, torna quindi in libertà, pure se relativa: “Potrà uscire di casa per andare al lavoro e in palestra, purché rientri nella sua abitazione entro le otto di sera”. Stop.
    Solo tre anni prima però – 26 aprile 2007 – era accaduta un’altra tragedia dai contorni assai simili. Sempre a Roma e sempre sulla metro, ma in un’altra stazione – Termini – vengono a diverbio due ragazze romene ed una italiana. Le romene – rispettivamente di 17 e 21 anni – secondo la polizia sono prostitute. L’italiana di 23 anni è invece anche lei – come la Maricica Hahaianu dell’Anagnina – infermiera laureata.
    Non è chiaro se il litigio sia cominciato sul treno – sedute a fianco, ci sarebbe già stato un alterco – ma è all’uscita a Termini, in mezzo alla calca, che il conflitto deflagra: “Che te spigni, str…”, dice la ragazza italiana alla romena più grande. E la rincorre, la schiaffeggia, le si avventa addosso.
    La romena aveva un ombrello in mano. Pioveva, forse, quel giorno. E nel tentativo di divincolarsi, dice lei – o nella foga d’una maldestra difesa e nella convulsa velocità di queste cose – l’ombrello diventa un’arma. La sua punta trafora l’orbita oculare, penetra e recide un’arteria. La ragazza italiana cade. Le due romene scappano. La ragazza muore.
    Le romene verranno arrestate due giorni dopo nelle Marche. A Tolentino. La vittima si chiamava Vanessa Russo. Alla sua assassina – Donina Matei, 21 anni all’epoca dei fatti, due figli piccoli in Romania – la cassazione ha confermato nel gennaio 2010 la condanna emessa dalla corte d’assise d’appello a 16 anni, per omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi.
    Sta ancora in carcere. A Sollicciano, credo. E’ pentita e non cerca giustificazioni: “Senza sapere nemmeno io come e perché, una ragazza della mia età è morta a causa mia. Non lo volevo questo, non era mia intenzione. Ma è successo e devo pagare, tra queste mura, con un rimorso che non mi abbandonerà mai”. Lo dice in un racconto – La ragazza con l’ombrello – premiato da un concorso letterario e pubblicato nel 2011 dalla piccola biblioteca Oscar Mondadori nella raccolta: Volete sapere chi sono io? Racconti dal carcere, a cura di Antonella Bolelli Ferrera. Non si aspetta niente Donina Matei. Consapevole che è giusto che chi sbaglia paghi, aspetta solo che passino questi altri otto anni – poiché otto ne ha già fatti – per poter tornare dai suoi figli e andare pure, dice lei: “A pregare sulla tomba di Vanessa”.
    Io adesso però – ferma restando la pietas per tutte le vittime e i loro familiari – vorrei sapere perché, se domani per caso ammazzo un romeno, prendo di sicuro molti meno anni di quanti ne prenderebbe lui se ammazzasse me. Meno d’un quarto, quasi. Ma che è, giustizia, questa? O è razzista pure la giustizia in Italia? Sempre che la differenza non la faccia – sulla metro – l’ammazzare a Termini piuttosto che all’Anagnina.

    a.p. - 30/1/2015

    Pubblicato 9 anni fa #
  28. Molto dipende anche dai precedenti dei soggetti.

    Pubblicato 9 anni fa #
  29. zaphod

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    Fondatore

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    Sciaccaluga Inkognito morale della favola: se non ci fossero stranieri in italia, avremmo avuto due morti in meno...
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    Andrea Bentivegna Se non ci fossero stranieri in Italia sarebbe una tragedia per tutti gli italiani piuttosto
    Mi piace · 2 · 11 ore fa

    Eva Cesqui Se non ci fossero imbecilli vivremmo molto meglio.
    Mi piace · 5 · 11 ore fa
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    Antonio Pennacchi

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    Maria Teresa Cimino Troppo semplice. Bisognerebbe leggere gli atto del processo.
    Così mi pare come il caso corona che tutti pensano sia in carcere per estorsione e basta
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    Francesco Desiderio Vero. Non basta leggere i giornali ma occorre vedere gli atti. Altrimenti si rimane nel qualunquismo
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    Ferdinando Parisella E Corona?
    Mi piace · Rispondi · 11 ore fa

    Vittorio Segala Va bene ma a noi gli atti non è permesso leggerli, rimane il fatto che un violento patentato da ora è in libertà, adesso quello che ha fatto puo sempre reiterarlo perche chi è violento non cambia la sua natura, e non è detto che la prossima potenziale ...Altro...
    Mi piace · Rispondi · 11 ore fa

    Maria Teresa Cimino Per fare un esempio: corona èstato condannato per estorsione ricettazione spaccio di monete false, evasione, oltraggio a pu e alla corte
    Mi piace · Rispondi · 1 · 11 ore fa

    Maria Teresa Cimino Sicuramente la giustizia non è di questo paese ma la legge è quella e le pene le ha stabilite il parlamento. I giudici c entrano poco. Davvero.
    Andrebbe cambiato il codice
    Mi piace · Rispondi · 11 ore fa

    Walter Nardoni Dato che la legge è interpretata credo che il risultato non dipenda solo da chi sei, ma da che avvocati ci sono, chi è il giudice e come viene descritto il tutto. Anche se uno che uccide anche per sbaglio ha poche scusanti!!
    Mi piace · Rispondi · 10 ore fa

    Giancarlo Fabroni ITALIANI,CINESI ,RUMENI,POLACCHI CHI CAZZO VE PARE MA IL METRO DE GIUSTIZIA DEVE ESSERE PER TUTTI UGUALE. CHI CREA LA MORTE DI UN'ALTRA PERSONA PER ME DEVE ESSERE MESSO AL GABBIO A VITA, PUNTO!!!!!!
    Mi piace · Rispondi · 1 · 9 ore fa

    Giancarlo Fabroni DEVE MARCIRE IN GALERA!!!!!!
    Mi piace · Rispondi · 9 ore fa

    Maria Teresa Cimino E poi con ombrello è escluso possa essere preterintenzionale
    Mi piace · Rispondi · 9 ore fa

    Luca Agoralli Biglia Non è un'equazione così automatica,Antonio.Quello che ha fatto una strage di ciclisti in Puglia era romeno,ubriaco,forse fatto,senza patente.E lui ERA colpevole..Bè,è fuori,nommeno si sa dove.La malagiustizia è malagiustizia,e basta..
    Mi piace · Rispondi · 1 · 9 ore fa

    Roberto Toti L'Italia è razzista???????? Magari!!!! Siamo invasi ! Gli stranieri hanno più diritti di noi! Gli zingari la fanno da padroni intoccabili! Gli africani abusi comandano il centro storico e non solo....
    Mi piace · Rispondi · 9 ore fa

    Carmine Giusti Ma che razza di equazione è mai questa? ......e per gli stranieri che investono gli italiani e che non si fanno nemmeno un'ora, dico un'ora di prigione, come la mettiamo?
    Mi piace · Rispondi · 8 ore fa

    Claudio d'Aloya Si comincia a riflettere a quante differenze giuridiche sussistono nonostante il presupposto dell'uguaglianza davanti alla legge e che meriterebbero l'attenzione del legislatore!
    Mi piace · Rispondi · 8 ore fa

    Alessandro Paris Pennacchi ha scoperto l'esistenza del razzismo.
    Mi piace · Rispondi · 7 ore fa

    Pubblicato 9 anni fa #
  30. k

    offline
    Membro

    Zaph,
    questo tuo post è stato veramente provvidenziale. Quando il Torque dichiarò la morte dell'Anonima, infatti, m'era venuta a un certo punto l'idea: "E mo' come faccio? Quasi quasi m'iscrivo a facebook".
    Ma mo' manco se mi spari. Lì ha ragione Eva Cesqui: "Se non ci fossero imbecilli vivremmo molto meglio".
    Per quanto attiene Maria Teresa Cimino, invece, ti prego di farle sapere che un articolo è un articolo e deve essere, per necessità, breve e sintetico. Essenziale e basta. Rassicurala, però, che prima di scriverlo ci ho studiato tre giorni, coadiuvato da ricerche a tutto spiano anche del Torque. E se quindi ho parlato di "contorni assai simili" delle due tragedie - ed ho adottato il metodo comparativo - non l'ho fatto a cacchio ma a ragion veduta, dopo studio e riflessione. La realtà è che in Italia c'è davvero un problema giustizia - inteso in senso di gestione e somministrazione della giustizia stessa - che non è questione solo di leggi, ma soprattutto di chi le applica e le interpreta. C'è troppa discrezionalità, troppa disparità - come in questo caso - tra un caso e l'altro, pure se assai simili. (Se poi la Cimino, per farsi un'idea, volesse però il resoconto dettagliato degli atti dei due processi - volesse cioè non un articolo, ma un libro - potrebbe farlo intanto lei, visto che per il momento ne starei facendo un altro; magari mi potrebbe pure essere utile, poi, il suo. Sull'andare però in giro con un ombrello in un giorno di pioggia - e sulla deduttiva esclusione di eventuali preterintenzionalità - valuti la Cimino se la stessa cosa può valere o meno per un pugno, se scagliato da qualcuno che sia andato apposta in palestra, per “imparare” come si tirino ergonomicamente i pugni. Più altre quisquilie.)
    Si tranquillizzi infine l'amabile Paris che ironizza: "Pennacchi ha scoperto l'esistenza del razzismo". No, lo sapevo già che l'Italia era un paese razzista - e il facebook riportato da Zaphod lo dimostra ulteriormente - anche se lo nega e, dove vai vai, tutti dicono di no: "Ma no! L'Italia non è mai stata un paese razzista". Ecco, mi pareva che l'incredibile differenza di trattamento - 8 anni ridotti a 4 al ragazzo che uccise la romena con un pugno all'Anagnina, e 16 invece alla romena che con l'ombrello uccise l'italiana a Termini - lo rendesse plasticamente evidente. Perfino nella magistratura.

    Pubblicato 9 anni fa #

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