00.01 del 31 Dicembre 2014.
Ognuno di voi ha puntualizzato quello che l'Anonima gli ha dato, noi eravamo concentrati a capire quello che l'Anonima poteva dare
LO SPIRITO PUNK E L’ORIZZONTALITA’
Voglio partire proprio da questa visione prospettica differente di Zaphod, che mi/ci facilita a capire una cosa semplice, che semplice però non appare ai più: Anonima Scrittori non poteva sopravvivere.
«Le cose cambiano», dice un amico di mio cugino. Ma spesso, per quanto si sforzino di cambiare, non riescono a stare al passo coi tempi. Che, in quanto a cambiare, i tempi cambiano ancora più velocemente delle cose. Proprio per questo motivo si arriva all’essere superati, alla consunzione e alla morte.
Dieci anni fa, sembra impossibile ma è così, non c’erano i blog, non c’era facebook, non c’era whatsapp, non c’era skype, non c’era il web 2.0. Dieci anni fa eravamo in un’altra epoca. Tanto che era quasi impossibile pubblicare un libro, era davvero complicato veder pubblicato un proprio racconto su una rivista e a nessuno era ancora venuto in mente che un libro si potesse leggere anche in formato elettronico. Eravamo immersi da valanghe di informazioni, ma nessuno di noi poteva esprimersi o aveva il coraggio di farlo. I cassetti erano pieni zeppi di racconti e romanzi che nessuno avrebbe pubblicato e nessuno avrebbe mai letto. Anzi, una volta i racconti si tenevano nel cassetto, proprio perché ci si vergognava un po’ a tirarli fuori. C’era del pudore che oggi abbiamo perso. Davamo per scontato che le nostre cose non fossero interessanti, che fossero scritte male. Che tutto sommato stavano bene lì, nel cassetto. E come lo pensavamo noi, lo pensavano un po' tutti.
Poi è arrivato il punk.
Non so a quanti di noi - tra Residenti e FuoriQuota del Progetto Rorschach - piacesse davvero il punk come genere musicale. Ma sono sicuro che lo eravamo un po’ tutti, nel profondo del nostro animo. Perché contribuimmo, insieme a tanti altri collettivi e singoli, in quel periodo, ad allargare le maglie del magico mondo della letteratura. Rendemmo popolare il reading, andammo in giro per l’Italia a fare proseliti nel nome di una sfida alla pagina bianca che tutti erano in grado di sostenere. C’è chi ci definì «teppisti della letteratura». Non la prendemmo mai come un offesa. Perché quello volevamo essere: agenti esterni, anche un po’ violenti nei modi e nei toni, ad un mondo che ritenevamo troppo ingessato, anchilosato, pieno di manierismi. C’è una frase di Giovanni Lindo Ferretti - sta in Live in Punkow, proprio all’inizio della traccia Radio Popolare - che m’ha sempre colpito e che, riferito alla letteratura, credo rispecchi lo spirito dell’Anonima di allora: «fanculo qualsiasi tecnica, quello che mi interessa è l’anima e non la qualità dello strumento».
Non avevamo paura di niente, pensavamo di essere tutto. E, a nostro modo, eravamo bellissimi. Se non ci pubblicavamo, ci pubblicavamo da soli con una nostra fanzine. Senza alcun tipo di selezione. Tutti dentro nessuno escluso. Chi partecipava stava con noi. Sia con il Progetto Rorschach che con la Modica Quantità. Ma dentro la nostra utopistica orizzontalità - non c’era un vero e proprio capo, ogni decisione era presa dopo una votazione, nei reading effettuavamo la rotazione orologio alla mano - si iniziava ad intravedere qualche inevitabile crepa. Perché è vero che avevamo mandato a fare in culo la tecnica, ma saper scrivere abbiamo capito che non era poi un dettaglio. Che in giro c’era gente brava davvero, avevamo conosciuto da poco Antonio Pennacchi. Prima di lui ci eravamo avvicinati ai Wu Ming (anzi, ai Wu Ming all’inizio c’eravamo proprio ispirati) e a Vitaliano Trevisan, a Flavio Soriga. Ma fu proprio Antonio Pennacchi a convincerci che aver qualcosa da dire è condizione necessaria ma non sufficiente per aspirare a scrivere, a pubblicare e ad essere letti. Ci vuole il lavoro, ci vuole la fatica, ci vuole la tecnica.
L’APPRODO AL POST-PUNK
Quindi quello strumento, che per noi si traduceva in una miserabile penna, bisognava saperlo utilizzare al meglio. E quindi, insieme ai progetti all-inclusive di prima, cercammo di introdurre un po’ di qualità: il concorso (r)esistenza. E affidammo il giudizio ad una giuria al di sopra di ogni sospetto. Con Antonio Pennacchi e con Lorenzo Pavolini, tanto per fare due nomi di un vincitore e di un finalista del Premio Strega. Anzi, nel libro di Pavolini, «Accanto alla Tigre», viene citato proprio il concorso letterario (r)esistenza in un intero capitolo. Segno che l’esperienza ha significato molto per lo stesso Pavolini.
In realtà, nell’arco di pochi anni, Anonima Scrittori mutò pelle, inevitabilmente. Iniziammo le prime pubblicazioni: dall’antologia di racconti «Storie di (r)esistenza» passando a «Il Bit dell’Avvenire». Ma non bastava. Perché quelli erano meravigliosi palliativi. La via della scrittura è solitaria. Da Collettivo di Scrittura dovevamo diventare un collettivo di scrittori. E così pensammo che un Laboratorio di scrittura potesse servire proprio a questo. Con tanto di insegnante d’eccezione, quell’Antonio Pennacchi a cui tutti, nell’Anonima, devono un qualche insegnamento nella scrittura. A lui piace dire che lo chiamiamo Maestro per prenderlo in giro. Ma sa benissimo che il titolo è meritato sul campo. Perché quello non fu il classico laboratorio, chi partecipò alla prima e alla seconda parte si è reso conto che era entrato proprio nell’officina di Antonio Pennacchi e l’aveva visto in azione, alle prese con la storia e l’intreccio e la forma e le frasi e i personaggio e la loro profondità. Un esperienza che pochi possono vantare. Così nacque la Colonia, e dal germe della Colonia ha poi preso forza e vigore «Storia di Karel», libro di Antonio Pennacchi pubblicato per la Bompiani. E la Colonia è stato il nostro canto del cigno.
Subito dopo infatti, l'Anonima ha mostrato evidenti segni di cedimento. Perché la battaglia dello spalancare le porte della letteratura l’avevamo vinta, noi insieme a tanti altri. Ma non avevamo avuto la forza di mantenerci all’avanguardia di questo vastissimo movimento. Ci abbiamo provato, anche con Arcipelago Anonima. Ma abbiamo fallito perché avevamo rinunciato da tempo ad essere un punto di riferimento per chi voleva scrivere. Tanto per fare un esempio: anni prima, Christian Raimo e Nicola Lagioia, che all’epoca, ed insieme ad altri, facevamo parte del collettivo Babette Factory che aveva appena pubblicato un illegibile libro per Einaudi, erano voluti passare per Latina - con tanto di cena ai Prati di Coppola - per avere un contatto con noi. Oggi loro stanno nell’iperuranio della letteratura, mentre noi stiamo qui a piangere la scomparsa di quello che è stato per un decennio il nostro gioiello. Ognuno di noi ha fatto il proprio percorso: alcuni pubblicano, altri vincono concorsi, altri ancora partecipano a riviste, altri hanno mille idee in mente. E’ evidente che in maniera collettiva, per dirla alla Faust, avevamo pure spaccato culi, ma singolarmente ognuno di noi doveva/deve trovare una propria individualità.
IL FUTURO UCCIDE IL PASSATO. E NE FA UN TESORO.
La pubblicazione non è più un traguardo, se non con una casa editrice che investe sul prodotto, che ha intenzione di valorizzare il romanzo. Oggi come oggi, diciamoci la verità, pubblicano tutti. A pagamento o no, la differenza è sempre più sottile nel florilegio delle case editrici italiane. E lo sarà sempre di più. Una volta si diceva che c’era più gente che scriveva di quella che leggeva. Oggi c’è più gente che fa l’editore di quanta gente che scrive. Siamo arrivati troppo tardi. Forse la nostra strada era quella di diventare una - l’ennesima? - casa editrice. Forse no. Sta di fatto che anche questo treno è passato. Oggi diventano sempre più importanti la riflessione, la lettura, il saper individuare la qualità nelle nuove forme di narrazione (dal videogioco alla serie tv, passando per il fumetto e il cinema) e imparare a realizzarle nel miglior modo possibile. Sono d’accordo quando si dice che il romanzo non è UN genere letterario ma è IL genere letterario, per antonomasia. Ma scrivere significa tante e tante altre cose. Si scrivono articoli, sceneggiature per fumetti, cinema e teatro, si scrivono saggi e si scrivono milioni di altre cose volte ad un fine solo, primordiale nell’uomo: raccontare.
Questa è la possibile nuova frontiera, almeno a mio avviso. Sicuramente è questa la strada che, insieme a Max, ci siamo trovati ad affrontare. Forse è questa la via che tanti addetti ai lavori, commentando lo stato di crisi della letteratura e del libro, stanno provando ad individuare.
Non so se lo faremo tutti insieme appassionatamente o se ognuno lo farà per conto suo. Non so se sarà utile creare i vecchi e cari circoli di lettori, trasformandoli in circoli di ‘raccontatori’, oppure se è meglio non fare proprio più niente.
Sono sicuro che dovevamo andare oltre l’Anonima Scrittori. Perché l’Anonima Scrittori potesse riposare in pace. Ed entrare nella Storia.