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Politica generale

(1560 articoli)

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  1. sensi da trento

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    Membro

    Per forza: sono decenni che ogni mese dobbiamo pagare - e quei soldi sono dei cittadini contribuenti, soldi nostri, non certo di Berlusconi, Monti o della Bindi

    di rosi bindi e mario monti non so niente, ma so per certo che berlusconi paga OGNI GIORNO 2 milioni di euri di tasse.

    devo quindi dedurre ch quei soldi siano molto più di berlusconi che tuoi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  2. sensi da trento

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    Membro

    abra cadabra...

    Pubblicato 12 anni fa #
  3. Minchia non ci avevo pensato.

    Pubblicato 12 anni fa #
  4. A.

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    Moderatore

    Gradisco molto di condividere con voi quanto ha scritto il mio amico Alerino Palma, circa l'attuale iniziativa del governo di preparare un concorso nella scuola.
    Anche se molti di voi ne sono fuori, vi garantisco che questo riguarda tutti.
    Ci sono migliaia di cittadini italiani che hanno vinto anche due concorsi, hanno fatto le siss, e ora il TFA (ad esempio Sensi, in questo momento), e hanno spesso dato la loro giovinezza alla patria scuola, e ora per questo insensato gioco ideologico giovanilista (giovani costano meno, e sono più "malleabili" perché educati nella scuola post-riforma) si vedono arrivare l'ennesimo schiaffo in faccia. Ne va della salvezza della patria e della scuola.
    Saluti

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    Alerino V Palma
    3 ore fa
    Con questo nuovo concorso nella scuola il governo raggiunge tre obiettivi. Istituisce una corsia preferenziale per i raccomandati che sono da più dieci anni a bocca asciutta, fa un clamoroso spot sull'assunzione di 30 000 precari nella scuola con l'accompagnamento di pifferi come quello del merito, getta le premesse per una futura guerra tra poveri, cosa che ci manca da alcuni anni.
    Sulla propaganda non ho niente da spiegare, riesce sempre bene e con pochissimo sforzo, lo dimostrano i fatti degli ultimi dieci anni in tutti i settori della vita pubblica.
    Sulla questione dei raccomandati qualcuno potrà facilmente obiettare che il concorso, così come è stato pensato, è rivolto solo a precari già abilitati. In questo senso sarebbe un concorso inutile perché pesca nel mucchio degli aventi diritto tra coloro che hanno già diritto.
    Ma soprattutto si tace il punto fondamentale, cioè che esistono ben più di 30 000 precari già abilitati che aspirano a entrare in ruolo da una graduatoria che dal 2007, ministro Fioroni, si chiamerebbe eloquentemente “a esaurimento”. Ci sono i posti, ci sono gli aspiranti, a che serve un nuovo concorso se non a spendere soldi? Tra l'altro quest'anno cominciano i corsi per il cosiddetto tfa, il tirocinio formativo attivo, che vorrebbe essere un nuovo sistema di reclutamento.
    La storia ci insegna che spesso le cose vanno così. Il bando individua chi è titolato a partecipare al concorso. Io non sono titolato perché sono di ruolo e non sono abilitato per esempio in storia e filosofia, anche se mi piacerebbe passare di cattedra. Allora vado da un avvocato e ci dico che voglio fare il concorso anch'io. L'avvocato naturalmente è d'accordo, dice che un concorso deve essere aperto a tutti coloro che hanno i titoli per farlo. Che escludere uno che è abilitato, anche se in un'altra materia, è contro la Costituzione e roba del genere. Poco prima delle prove arriva l'integrazione. Allora mio cugino, che è un precario non abilitato dice che lo vuole fare anche lui, fa un ricorso al Tar e lo vince e viene imbarcato e così via. Non serve neppure andare tanto lontano per capire che c'è gente che monta sul treno senza neppure passare attraverso questa noia di avvocati e tribunali. Alcuni vincitori del concorso a preside sono colleghi freschi di assunzione, a dispetto del fatto che servono cinque anni, per il semplice fatto che qualcuno si è dimenticato di controllare. Forse.
    Forse molti diffidano del modo in cui si svolgono i concorsi in Italia.
    Ora non voglio esprimere un giudizio se sia giusto meno. Mi limito a immaginare cosa succederebbe se gli attuali precari non abilitati potessero partecipare al concorso. Prevedibile che il giorno dopo ci saranno tre categorie di aventi diritto che si faranno guerra: i precari delle graduatorie a esaurimento che verranno nuovamente cognominati “precari storici”, i vincitori del concorso e i tiffini e qui la fantasia potrebbe sbrigliarsi nell'inventare i talenti da concedere agli uni e agli altri per far dimenticare a tutti la verità di fondo, che per effetto dei tagli alla pubblica istruzione non ci sono posti per nessuno per altri cinque anni, tanti furono quelli che corrono tra l'ultimo Berlinguer e il primo Fioroni.
    Dopo l'ultima grande infornata, quella del 2000. Che fu salutata come la soluzione finale dei precari, nel senso che la Moratti, appena insediata e attuata l'assunzione decisa da De Mauro di circa 120 000 insegnanti nel corso di un'estate, non ebbe difficoltà a far credere all'opinione pubblica che il problema dei precari della scuola, ereditato naturalmente dal centro-sinistra, non esisteva più. Così bene che a me e a una certa Gabriella che discutevamo in un bar di Trastevere due anni dopo di dove avremmo raccattato il prossimo incarico, un vecchietto seduto a un tavolino ci apostrofò duramente: ma cosa state dicendo bugiardi ma se la Moratti ha detto che tutti i precari sono stati assunti e poco mancò che ci minacciasse con il bastoncino.

    Alerino Palma

    Pubblicato 12 anni fa #
  5. A.

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    Moderatore

    Solidarietà ai lavoratori della Carbonsulcis

    Carbosulcis
    Il lavoro tradito

    di Luciano Gallino, da Repubblica, 28 agosto 2012

    La chiusura ventilata della Carbosulcis avrà forse delle ragioni economiche, ma per diversi aspetti ha un forte contenuto politico, e un non meno rilevante potenziale di innovazione del modello industriale. Se le ragioni economiche finissero per prevalere sulle altre, come rischiano di prevalere, sempre in Sardegna, nei casi dell’Alcoa, dell’Euroallumina, della Portovesme, le relazioni industriali in Italia farebbero un altro passo all’indietro, e le spinte a innovare qui e ora un modello industriale superato subirebbero un lungo rinvio.

    Il contenuto politico deriva dal fatto che si tratta di minatori. La memoria non può non andare al durissimo attacco che venne sferrato dal governo Thatcher nel 1984-85 contro il sindacato nazionale dei minatori, il più forte del Paese. Ben più che ridurre i costi dell’industria mineraria o avviarla a qualche tipo di conversione, esso aveva lo scopo manifesto di spezzare le reni all’intero movimento sindacale. L’operazione ebbe successo. I sindacati britannici non si sono mai più ripresi da quella sconfitta. Inflitta loro dal governo a carissimo prezzo per l’intero Paese. Tra perdite di produzione, riduzione degli introiti fiscali e sussidi che si dovettero pagare per un lungo periodo, la vittoria della signora Thatcher costò al Regno Unito circa 36 miliardi di sterline di allora, più di tre punti di Pil.

    La Carbosulcis è ben più piccola dell’industria mineraria britannica di quei tempi, ma il nodo di fondo rimane. Si tratta di decidere se il primo obbiettivo da conseguire è ridurre alla sottomissione i diretti interessati, e con essi il numero assai maggiore di lavoratori che sono costretti a dirsi “se non accetto tutto ciò che mi chiedono domani toccherà a me”, oppure di convenire che i lavoratori hanno delle buone ragioni per opporsi alla chiusura. Al tempo stesso si tratta pure di decidere se una differenza del rendimento economico rilevabile tra un sito produttivo locale e un sito analogo che risiede chissà dove, giustifica la decisione di togliere il lavoro a qualche centinaio o migliaio di persone. Differenza di rendimento comparato, si noti, non di produzione in perdita: è la stessa situazione dell’Alcoa. I lavoratori italiani hanno pagato e stanno pagando un prezzo durissimo alla crisi, di cui peraltro non portano alcuna responsabilità, anche se qualcuno ha il coraggio di dirgli che hanno vissuto al disopra dei loro mezzi. I quattro milioni effettivi di disoccupati, il miliardo di ore di cassa integrazione previste per il 2014, i quattro milioni di precari, dovrebbero essere uno scenario sufficiente per stabilire che nessuna impresa piccola o grande dovrebbe chiudere, licenziando, ma va guidata e sorretta affinché trovi il modo di far transitare i lavoratori ad altre occupazioni.

    Regione e governo sono quindi dinanzi alla sfida di non smantellare un altro pezzo del tessuto produttivo, del sistema occupazionale e delle relazioni industriali in Italia, dopo il degrado che essi hanno subito negli ultimi anni e mesi. C’è di più. Nel quadro deprimente che appare disegnato non soltanto dalla crisi, ma anche dalle politiche che ogni giorno vengono prospettate per superarla, la modernità appare stare proprio dalla parte dei minatori sardi. Non chiedono di continuare a estrarre carbone. Chiedono di convertire la miniera in un contenitore di anidride carbonica, quella che avvelena i nostri cieli e le nostre città. Sarebbe un passo significativo verso un modello produttivo che non si proponga di tornare presto a produrre esattamente quel che si produceva prima, in quantità ancora maggiori – una ricetta sicura per accelerare il disastro non solo ambientale ma pure economico e sociale che ci attende. Al contrario rientra in una idea di produrre condizioni e servizi e ambienti che migliorino la qualità della vita. Saremmo sconfitti tutti noi, cioè l’intero Paese, se ancora una volta vincesse lo spirito conservatore e revanscista che contraddistinse il governo britannico un quarto di secolo addietro.

    (28 agosto 2012)

    Pubblicato 12 anni fa #
  6. A.

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    Moderatore

    Dedicato a K, Zaphod, Sensi e chi più ne ha ne metta.

    Non vogliono un’altra politica

    di Paolo Flores d'Arcais, da il Fatto quotidiano, 29 agosto 2012

    Alzando la voce, con dovizia di parole grosse pari alla povertà di argomenti, Bersani e Scalfari pretendono di imporre come verità canonica una leggenda: che sinistra equivalga a Pd, e chi attacchi tale partito sia dunque di destra, molto di destra, perfino fascista. Se però per sinistra si intende un riformismo coerente nella propria azione con i valori di giustizia e libertà, il Pd di sinistra non è mai stato, i governi Prodi e D’Alema (sette anni nel corso del ventennio) non hanno intaccato un solo privilegio, una sola ingiustizia, una sola impunità, e anzi, anche all’opposizione, in amorosi sensi bipartisan ne hanno rafforzati a iosa.

    La sinistra riformista si manifestava intanto nelle decine di migliaia di cittadini del Palavobis (MicroMega 2002) divenuto poi Palasharp (Libertà e Giustizia 2011), nelle centinaia di migliaia delle piazze dei girotondi, del popolo viola, della Fiom aperta ai movimenti, di “Se non ora quando”, dell’antibavaglio…Proprio questo riformismo, l’unico realmente esistente, è stato insolentito come antipolitica dalle nomenklature partitocratiche dedite all’inciucio, mentre esprimeva solo volontà e speranza di Altrapolitica, a misura di cittadini anziché di casta.

    Bersani dà del fascista a Grillo e intanto fa maggioranza con molti ex fascisti, Scalfari scaglia l’anatema contro Zagrebelsky e scrive bugie contro i magistrati di Palermo da Caselli in poi, il Pd invita alla sua festa Sallusti (Sallusti!) ma ostracizza Landini e la Fiom. Lo scopo è uno solo, impedire che il riformismo della società civile partecipi alle elezioni, si emancipi dall’illusione del voto utile al Pd, con i cittadini che si riconoscono nei Zagrebelsky e nei Landini finalmente protagonisti anche alle urne, in concorrenza/alleanza con M5S. Vogliono restare i padroni della politica, il resto è chiacchiera.

    Per questo Napolitano (vero capo del Pd, vero capo del governo e del fronte partitocratico che lo sostiene) li sferza per una legge elettorale che sarà peggiore del Porcellum, proporzionale con premio/truffa (per vent’anni ci hanno giurato che proporzionale era eguale a ingovernabilità). Ilvo Diamanti su Repubblica ha ricordato che il gradimento per i partiti è da mesi fisso al 5%. Napolitano, Bersani e Scalfari vogliono impedire che l’Altrapolitica, dilagante nel paese, possa irrompere in Parlamento e rappresentare un’alternativa di governo. Vendola è già tornato a cuccia, De Magistris viene dato in anticamera, Di Pietro è con la società civile, dunque anatema anche su di lui.

    (29 agosto 2012)

    Pubblicato 12 anni fa #
  7. sensi da trento

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    Membro

    Non vogliono un’altra politica

    di Paolo Flores d'Arcais

    paolo flores d'ar cazzo??? non è che partiamo nella maniera migliore.
    comunque continuo a leggere fiducioso.

    La sinistra riformista si manifestava intanto nelle decine di migliaia di cittadini del Palavobis (MicroMega 2002) divenuto poi Palasharp (Libertà e Giustizia 2011), nelle centinaia di migliaia delle piazze dei girotondi, del popolo viola, della Fiom aperta ai movimenti, di “Se non ora quando”, dell’antibavaglio…

    fiiico il "se non ora quando". ci sono andato pure io a protestare quel giorno in piazza italia, a trento.
    veramente ci sono andato perchè mi ci ha trascinato quella collega tua di greco.
    ecco, secondo me sti girotondi e popoli viola vari, più che movimenti riformisti sono state ottime occasioni di acchiappo e con tale serietà vanno considerati.

    cmq, cherzi a parte: io ogni mattina mi alzo e regolarmente trovo mio padre che è già sveglio e guarda su La7 quel programma che sostituisce omnibus.
    sarà che mi alzo sempre alla stessa ora, sta di fatto che appena entro in cucina sento la conduttrice che regolarmente ci domanda: "come possiamo fare per tenere insieme casini, vendola e il pd? ma la foto di vasto è ancora attuale?" purtroppo a sinistra i dibattiti sono sempre lunghi e sofferti. pensa che stiamo nel 2012 e ancora ci domandiamo se nel '56 avesse ragione nenni o togliatti.
    beh, secondo me un partito del genere non è serio; il dramma è ch sono meno seri i partiti che s candidano a sostituirlo.

    io adesso le cose difficili non le so. io so che gente come travaglio e d'ar cazzo sarebbero stati chiamati da berlinguer "quattro untorelli" (e così effettivamente chiamò gli studenti nel 1977).
    purtroppo bersani non può farlo: deve chinare la testa di fronte a questi "generali senza eserciti" (cit. d'alema) perchè non sapendo fare una politica nelle piazze e in parlamento, è obbligato ad affidarsi a 4 prepotenti abituati a fare casino.
    se d'ar coso (ma oltre a lui pure renzi) hanno un'idea diversa di sinistra che ce la raccontino, andando al congresso e dopo si contino. è questa la via maestra che dà la direzione a un partito.

    ma sentirsi rompere i coglioni da un sindaco eletto a firenze con i voti della macchina del partito (chè se non avesse il pd alle spalle, lui sindaco a firenze non ci diventana neanche a suon di pompini) e che ci viene a dire "i ggiovaniiii.... bisogna rottamaaaareeee.... una nuova politiiiicaaaaa " e che dopo tre anni ancora non ci dice quale è la sua ricetta politica, onestamente è troppo pure per un burlone come me.

    Pubblicato 12 anni fa #
  8. zaphod

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    Fondatore

    Questo è uscito su il Corriere della Sera il giorno prima dell'articolo di Flores D'Arcais. Mi pare che come risposta preventiva ci sta tutta.
    [il fatto poi che Flores d'Arcais consideri sinistra solo quello che autocertifica lui è una cosa abbastanza ridicola, ma sta nella logica di chi parla ai suoi seguaci, però che si pretenda che io possa prendere in considerazione uno sproloquio di tal fatta è un tantinello troppo. Manderei il Commisario Faust, con pieni poteri, a dirimere la questione e proporrei Sensi come direttore di Micromega, per cominciare.]

    Il «fasciocomunista» Pennacchi: Grillo mi spaventa

    Nella diatriba fra il segretario del Partito democratico e il leader del Movimento 5 Stelle, lo scrittore Antonio Pennacchi, premio Strega nel 2010 con il romanzo Canale Mussolini, si schiera a spada tratta dalla parte di Pier Luigi Bersani. Ma con una riserva: «Ha sbagliato - dichiara al Corriere - quando ha detto che Beppe Grillo è un fascista. Doveva dire che è un nazista». Lei è autore del romanzo autobiografico «Il fasciocomunista» e ha scritto diversi libri sulle realizzazioni del regime littorio. Non è un po' benevolo nei riguardi di Benito Mussolini? «Il fatto è che il termine fascista, nel gergo comune, ha in gran parte perso il suo significato originario, cioè il riferimento al fenomeno politico che ha segnato l' Italia tra le due guerre mondiali. Oggi chiunque tenga un comportamento aggressivo viene bollato come fascista. Da tempo è diventato un semplice insulto. Ma il fascismo non è stato soltanto violenza: in vent' anni di storia ha compreso al suo interno un po' di tutto». Però un certo culto del manganello le camicie nere l' hanno alimentato. «Non nego affatto lo sbandieramento dell' aggressività e della violenza da parte fascista. Dico però, e qui mi permetto di correggere Bersani, che il linguaggio ingiurioso e demonizzante tipico di Grillo, ma usato anche da Antonio Di Pietro, a mio avviso va più in là». In che senso? «Bersani è il leader di una sinistra che, nonostante gli errori compiuti, rappresenta da sempre vaste masse popolari, che credono in un primato dell' interesse pubblico sugli egoismi privati. Grillo e Di Pietro chi sono? Sono demagoghi, campioni dell' antipolitica che si ergono a giudici assoluti del bene e del male. È significativo che Grillo imponga ai suoi di non andare in televisione e di non avere rapporti con la stampa. L' unico che parla con il pubblico, l' unico che decide deve essere lui. A me sembra una logica vicina più al nazismo che al fascismo». Ma il problema fondamentale è il potere dispotico del capo? «No, il punto è la demonizzazione totale dell' avversario, che accomuna Grillo e Di Pietro. Si sentono depositari della verità e trattano gli altri politici come una sorta di sottouomini. Quando dico che uno è uno zombie, un morto che cammina, gli tolgo la dignità umana. Un atteggiamento folle». Lei pensa che Grillo e Di Pietro rappresentino un pericolo per la democrazia? «Non saprei dirlo. Sono uno scrittore e non un analista politico. Però questi comportamenti mi spaventano. La politica non ha brillato molto in Italia negli ultimi vent' anni, ma il rimedio non è il rifiuto della complessità, né il ricorso a ricette semplicistiche. È facile dire no alle fabbriche, invocare il verde e le piste ciclabili. Ma come si costruiscono le biciclette senza l' industria metallurgica?». Allora bisogna affidarsi ai partiti tradizionali? «Siamo in una fase di transizione difficilissima: la globalizzazione non si può arrestare e porta con sé problemi immensi per questa povera Italia, che oggi appare un Paese sbandato e senza speranza. Non se ne esce senza un' assunzione collettiva di responsabilità. Da anni dico che occorre un nuovo patto costituzionale per riscrivere insieme le regole. Ma non si può farlo rifiutando il dialogo con gli altri. Chi si oppone al confronto assume una posizione eversiva». Non le sembra un' accusa troppo grave? «I casi sono due. O si ha un progetto rivoluzionario da perseguire, ma non mi pare questo il caso di Grillo e Di Pietro, oppure si gioca allo sfascio in nome del proprio ego sproporzionato, della propria smisurata megalomania. Detto questo, il mio mestiere non è studiare la politica, mi limito a scrivere storie. Ma le storie che raccontano Grillo e Di Pietro non mi piacciono proprio»

    Pubblicato 12 anni fa #
  9. Il commissario Faust non lo so se è di sinistra. E' comunista, questo sì.

    Pubblicato 12 anni fa #
  10. sensi da trento

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    Membro

    male, molto male.
    tutte queste divisioni fanno male alla sinistra.

    anche la dc era divisa in una miriade di correnti, ma queste correnti condividevano la stessa visione.

    le vostre mi sembrano più rancori personali che progetti politici.

    Pubblicato 12 anni fa #
  11. zaphod

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    Fondatore

    Ti stai giocando la poltrona di direttore...

    Pubblicato 12 anni fa #
  12. A.

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    Moderatore

    Sensi è troppo liberale per essere direttore di Micromega.

    Pubblicato 12 anni fa #
  13. A.

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    Moderatore

    Però do atto a Sensi che Paolo Flores D'arcazzo è geniale come nome.

    Pubblicato 12 anni fa #
  14. A.

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    Moderatore

    Solidarietà ai lavoratori dell'Alcoa e agli altri che stanno a Roma ora.
    Sì, ma cosa possiamo fare di concreto?

    Pubblicato 12 anni fa #
  15. A.

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    Moderatore

    Dice: l'Italia è tutta uguale.
    No, fratello, non sempre.
    Ad esempio guardate qui cosa sono riusciti a fare in 6 anni a Trento.

    http://www.ladigetto.it/permalink/18399.html

    Pubblicato 12 anni fa #
  16. A.

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    Moderatore

    Ilda Dominijanni - Il Manifesto 20.9.2012

    La memoria contro il rancore: la sinistra del risentimento.
    Perché nel linguaggio (anti)politico della sinistra e dei movimenti dilagano moralismo, vittimismo e legalitarismo, colpa e punizione? All'origine, dice Wendy Brown, c'è la perdita del desiderio rivoluzionario

    Wendy Brown, pensatrice politica americana di rilevanza riconosciuta anche nel miglior dibattito filosofico europeo, è nota alle lettrici e ai lettori del manifesto per i suoi contributi al giornale (da ultimo un'analisi di Occupy Wall Street, "Il ritorno della res publica", il manifesto 11/11/2011), nonché per la sua brillante partecipazione, assieme a Judith Butler, al convegno su Sovranità, confini, vulnerabilità organizzato da chi scrive nel 2008 all'università Roma Tre (si vedano le pagine speciali sul manifesto del 25 marzo 2008). La sua spiccata capacità di interpretare il presente intrecciando l'analisi della cronaca con l'uso dei classici ne fa un punto di riferimento imprescindibile su un arco tematico che va dalla crisi delle forme e delle categorie politiche della modernità alle dinamiche della globalizzazione, dalla dissoluzione del soggetto sovrano alle modalità odierne della soggettivazione, dall'analisi del potere alla passione della libertà, dalla critica del neoliberalismo all'interrogazione sulla paralisi e la depressione della sinistra ex comunista.
    Va salutata perciò con soddisfazione la prima traduzione italiana di un suo libro - La politica fuori dalla storia, a cura di Paola Rudan, traduzione ineccepibile di Amanda Minervini, Laterza, 210 pp., 19 E. - , che colma efficacemente, ancorché parzialmente, una inspiegabile e colpevole lacuna editoriale italiana. Efficacemente, perché il ventaglio di questioni che compaiono nel libro è largamente esemplificativo della produzione di Brown nonché, come evidenzia Rudan nella sua accurata ed esauriente introduzione, della sua collocazione nel dibattito internazionale e del suo potenziale impatto su quello italiano. Parzialmente, perché i saggi che lo compongono risalgono tutti agli anni Novanta, e dunque non rendono conto né della dirompenza anticipatrice con cui quelle questioni vengono tematizzate nella produzione precedente dell'autrice, né della torsione decisiva che assumono dopo l'11 settembre 2001, evento periodizzante per la traiettoria del suo pensiero. Fuori restano, in particolare, il prezioso lavoro di Brown sulla categoria della libertà, che agisce come movente e punto d'approdo anche in questo libro ma che attraversa soprattutto States of Injury del 1995 e torna come rovello in tutta la sua produzione successiva («Credo che la libertà sia il tema costante del mio lavoro», ha detto in una lunga intervista di qualche anno fa sul suo percorso intellettuale); e la più recente e acuta analisi del neoliberalismo e dei suoi effetti devastanti sulle forme istituzionali e sull'antropologia politica delle democrazie novecentesche (una serie di saggi dell'ultimo decennio, parzialmente ripresi in Walled States, Waning Sovereignty, il libro del 2010 che amplia la conferenza romana del 2008).
    Rispetto agli inizi e agli approdi, La politica fuori dalla storia sembra insomma un libro di transizione, che sistematizza la riflessione di Brown sulla crisi dei paradigmi della modernità, sui compiti teorici che essa impone e sugli scenari di trasformazione politica che essa apre, o meglio, che stentano ad aprirsi dopo la sua consumazione. Si tratta dunque di una illuminante radiografia della situazione di spiazzamento e disorientamento in cui il pensiero della trasformazione permane dopo l'89, corredata di piste per ritrovare l'orientamento senza ricadere nella ripetizione svuotata o nella nostalgia autoconsolatoria delle coordinate perdute. Una radiografia che tuttavia mantiene intatta la sua forza provocatoria rispetto alla situazione politica, culturale e emozionale della sinistra italiana, dove l'ombra dell'89 sembra allungarsi più che altrove. E dove i suoi effetti perversi presi di mira da Brown - la piegatura risentita, moralistica, legalitaria del discorso politico e mediatico - si dispiegano potentemente da qualche anno in qua, spesso ricalcando, più o meno consapevolmente, tendenze già sperimentate nello scenario americano.
    Il titolo del libro non deve trarre in inganno, perché per «politica fuori dalla storia» non si intende in alcun modo una politica avulsa dalla storicità, bensì una politica costretta a fare a meno della concezione progressiva e teleologica della storia propria della modernità e delle sue principali tradizioni politiche, quella liberale e quella comunista, entrambe smentite nelle loro promesse universalistiche di eguaglianza sostanziale e formale dal crollo del mondo bipolare e dalle contrazioni spazio-temporali del mondo globale. Da più di un ventennio a questa parte si tratta, per la teoria e la pratica della trasformazione, di fare i conti non solo con la crisi delle categorie portanti della politica moderna - soggetto sovrano e Stato sovrano, rappresentanza, persona, diritto e diritti, uguaglianza, libertà, fraternità e via dicendo - ma con la concezione della temporalità che ne costituiva la premessa e lo sfondo: la storia non procede linearmente dal passato al futuro, e il suo andamento non è né fondamento né garanzia del progetto di emancipazione, costretto a fare i conti con la natura assolutamente contingente dell'azione politica.
    Ma più che insistere sul tema generale che muove il libro, tema peraltro non poco frequentato nella filosofia politica italiana degli ultimi decenni, bisogna evidenziare la postura teorica da cui Brown lo affronta e le piste politiche che ne trae, l'una e le altre invece originali e dense di conseguenze per il dibattito di casa nostra. La postura teorica, che qui risulta dal dialogo serrato dell'autrice con Marx, Freud, Nietzsche, Foucault, Benjamin, Derrida e che caratterizza tutto il suo lavoro, testimonia infatti la produttività di un decostruzionismo propositivo e non dissolutorio che destituisce di fondamento, e contesta esplicitamente, gli attacchi sommari e generici al postmodernismo tout court, già in voga nella sinistra ortodossa americana dieci anni fa e molto in voga oggi in Italia sotto le insegne del cosiddetto «nuovo realismo». Mentre le piste politiche dimostrano quanto sia o potrebbe essere fertile il campo che emerge dalle macerie della modernità, se lo si sapesse affrontare con gli strumenti giusti e con una adeguata elaborazione del lutto di ciò che, a sinistra, va considerato davvero perduto perché possano darsi le condizioni di una ripartenza credibile.
    Queste piste sono tre, tutte e tre comportano la frequentazione del confine fra politica e psicoanalisi che è un'altra cifra caratteristica del lavoro di Brown, e tutte e tre parlano direttamente allo spirito del tempo che oggi, in Italia come in altre democrazie occidentali, nutre il terreno di coltura del risentimento e dell'antipolitica. La prima pista parte direttamente dalle trasformazioni della temporalità per delineare i tratti di una politica affrancata tanto dalle illusioni teleologiche quanto dalle delusioni vendicative. La saldatura fra la fine dell'idea di progresso e l'accelerazione senza precedenti del ritmo del cambiamento provoca oggi uno scollamento fra presente, passato a futuro, che alimenta a sua volta un immaginario della storia come mero teatro traumatico, abitato da vittime e carnefici e imprigionato nell'economia rancorosa della colpa e dell'espiazione. Un'economia che si può spezzare solo rinunciando per sempre a una visione deterministica e catartica del processo storico, accettando la sua natura contingente, riconciliandosi con l'incombenza intermittente e spettrale del passato sul presente, praticando una politica del lutto, dell'eredità e della memoria che si sostituisca al linguaggio ricattatorio, ossessivo e depressivo del debito, del risarcimento, della guerra generazionale. Qui il confronto, nel capitolo finale e più intenso del libro, è con le figure dell'angelo di Benjamin e dello spettro di Derrida. E gli obiettivi polemici sono per un verso le campagne mediatiche basate sull'immaginario traumatico della storia di cui sopra, per l'altro verso gli attaccamenti malinconici della sinistra alle sconfitte passate e alle illusioni progressiste sul futuro, attaccamenti che la esimono dal lavorare sulle possibilità che pure si aprono in un presente nient'affatto slegato dal passato, come le ideologie «nuoviste» lo rappresentano, bensì saturo di sedimentazioni e tracce disconosciuti, e aperto sull'imprevisto.
    La seconda pista parte dalla fine del soggetto sovrano ed esplora le forme oggi possibili di soggettivazione politica, passando per la critica della categoria di desiderio e segnatamente delle sue concezioni univocamente liberatorie, di matrice foucaultian-deleuziana, che ne rimuovono le ambivalenze costitutive. Qui - nel cruciale saggio intitolato «Un bambino viene picchiato», che letto in sequenza con quello sulla nozione di «attaccamento ferito» (wounded attachment) in States of Injury restituisce uno degli apporti più rilevanti del pensiero di Brown - il confronto è con Freud, e gli obiettivi polemici sono per un verso la sete sadica di punizione degli altri che avvelena oggi il patto sociale democratico, per l'altro verso, e congiuntamente, l'istinto masochista di punizione di se stessi che sostiene le forme di soggettivazione politica basate sull'attaccamento alla posizione della vittima destinata di un rapporto di dominio invincibile. E' uno dei punti del volume che meglio restituisce tanto la matrice femminista del pensiero di Brown quanto la sua distanza dal femminismo vittimistico-persecutorio che ha bisogno di rimettere continuamente in scena la forza del dominio patriarcale per alimentare la propria identità. Ma il discorso vale allo stesso titolo per tutti gli altri movimenti mossi da una sacrosanta spinta di libertà ma bloccati da forme simili di fissazione identitaria.
    E conduce alla terza pista, quella che in apertura del volume traccia il confine sottile e scivoloso che passa fra una spinta morale che dà senso all'azione politica e una ossessione moralista che della politica è invece la negazione: la prima essendo basata su una condivisione di valori aperta, spersonalizzata e inclusiva, la seconda su una riprovazione personalizzata, colpevolizzante, legalitaria e diffidente verso una sfera istituzionale giudicata sempre e comunque castale, corrotta, inefficiente e decadente. Ne sappiamo qualcosa in Italia, dal susseguirsi e dall'inseguirsi di retoriche demagogiche di destra e di sinistra che, dalla scoperta di Tangentopoli in poi, hanno tracciato la strada perversa e inconcludente dell'infinita transizione italiana. Ma Brown ci aiuta a vedere l'origine di questo scivolamento, riportandolo anch'esso alla perdita non elaborata, a sinistra, del desiderio rivoluzionario, e alla sostituzione dell'analisi delle contraddizioni che un tempo si sarebbero dette «di sistema» con la recriminazione perdente e la rivendicazione personalizzata. «Non elaborare il lutto, moralizza. Finché non avremo fatto i conti con le perdite che generano questo tipo di moralismo, rimarremo vittime di una malinconia che le rimette in scena». De nobis fabula narratur: se il risentimento, l'ideologia del debito e della colpa, il moralismo, il vittimismo e il legalitarismo dilagano a sinistra, non è solo dentro l'astuzia del nemico che dobbiamo guardare, ma anche, e prima, dentro i nostri attaccamenti inconsci e non elaborati a un'identità tanto feticizzata quanto ferita e smarrita.

    Pubblicato 12 anni fa #
  17. k

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    Senta A, questo sito si chiama 'Anonima Scrittori' e ne deriva quindi che qualunque cosa venga affissa qui sopra presupponga in primo luogo d'essere scritta bene. Se è scritta male, che cosa c'entra qua? E' fuori luogo, non le pare? Bene, lei perché allora infligge ai suoi amici ogni tanto la massacrante tortura di doversi sorbire pagine e pagine d'assoluta illeggibilità? Questa dirà pure alcune cose interessanti, ma non sa scrivere, mannaggia a lei (mannaggia a lei inteso sia come Autrice sia come lei A). E forse è per questo, perchè non sa scrivere, che a lei la fanno scrivere sul Manifesto. Se no come facciamo a perdere? Del resto, sarà pure vero che "se il risentimento, l'ideologia del debito e della colpa, il moralismo, il vittimismo e il legalitarismo dilagano a sinistra, non è solo dentro l'astuzia del nemico che dobbiamo guardare, ma anche, e prima, dentro i nostri attaccamenti inconsci e non elaborati a un'identità tanto feticizzata quanto ferita e smarrita". Ma di questa vostra orribilissima e sempiterna fascinazione per tutto ciò che non si capisce e soprattutto per il non volersi proprio far capire, lei che fa, non mi dice niente? Siete voi, i tossicodipendenti da manifesto, il fatto e micromega, la iattura della sinistra.

    Pubblicato 12 anni fa #
  18. k

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    Domenica 23 settembre 2012, a firma Malcolm Pagani, è uscita sul Fatto Quotidiano questa intervistina sul magna-magna alla Regione Lazio.

    http://www.vip.it/pagani-intervista-pennacchi-italia-sbranare-i-deboli-leccare-i-forti/

    Titoli del Fatto:

    Antonio Pennacchi - Fiorito e la faida con Battistoni
    "ROMA NORD NUOVA CAPITALE DEI VOLSCI"
    Si ripropone lo scontro storico con gli Etruschi
    Hanno rubato ma c'è chi ha rubato di più

    di Malcolm Pagani

    testo:

    “Analizzare la degenerazione dei fasci è semplicistico. In ogni caso, ve ne siete accorti in ritardo e non avete capito un cazzo”. Antonio Pennacchi, 62 anni, poeta della provocazione passata: “Sono disposto a vendere il culo, ma non la lingua”, esegeta dell’inquinamento odierno. Chi nuotò nel canale Mussolini, oggi preferisce Roma Nord: “Questa è una storia di paradossi. I missini erano gli unici contrari alle Regioni. I cantori dell’Italia unita che volevano riannettere Istria, Corsica e Gibuti, 60 anni dopo hanno usato l’istituzione come un tavolo. Per magnacce sopra porchetta abbracciati ai leghisti. Gli ascari di Alemanno e Polverini, si sono fiondati sul piatto. Ce l’avevano con i forchettoni Dc e si sono scoperti più forchettoni di loro. Fiorito non è Santa Maria Goretti, ma lo specchio dei nostri tempi e dell’Italia. Una delle parole d’ordine dell’ Msi dei ‘60 era moralità. Moralizzazione/anticomunismo /Europa Nazione. Così cantavamo, così pensavamo”.
    Deluso?
    La deriva non nasce con Fiorito, ma con lo strappo Fini-Berlusconi. Silvio ha un merito storico.
    Quale, Pennacchi?
    Li ha comprati, li ha corrotti, li ha liquidati per sempre. Così ha seppellito la questione fascismo-antifascismo, agitata ormai da 4 deviati radical chic e da Casa Pound e ci siamo ritrovati con i porci e le mignotte.
    È peggio?
    Non so, ci dev’essere un nesso tra Berlusconi che liquida l’antico Furher missino e la promessa fatta dai suoi a Mussolini nel ‘45: “Duce, ti seguiremo ovunque”. Il risultato è identico. Benito rimase solo con Claretta. Fini con la Tulliani.
    E gli eredi?
    Sono lì, a magnà a rotta de collo. È il ritorno della Dc.
    E le feste in maschera?
    Non me ne frega niente. Pure voi ricchi le avete sempre fatte, non con i soldi pubblici, ma sempre e comunque fregati a qualcun altro. Capisco che vi roda il culo. Ma eravate uguali e siete diventati froci prima di noi. È un fatto storico. Ha visto Fiorito e Battistoni in tv? Si sono riconosciuti.
    In che senso?
    È l’eterno conflitto tra Etruschi e Volsci. Il duello tra quelli nati sopra il Tevere e quelli sotto. Tra predatori e oppressi. Si sono sempre odiati. Quando Fiorito dice a Battistoni: “Faccia da prete, occhi da cinese”, è il suo antenato che parla.
    Ne è sicuro?
    Latina, da dove vengo e Frosinone, il feudo di Fiorito, non si sono mai sopportate. Quando c’era il derby, io tiravo i sassi. Tra Fiorito e Battistoni, scelgo il primo. Se potessi chiuderei il Lazio ai viterbesi. Ci hanno inculato l’aeroporto, che vadano ‘affanculo. (Ride)
    Il caso Lazio è unico?
    Rubano ovunque, ma la regione ha esportato casi limite. Chieda da dove viene il padrino di Battistoni, Antonio Tajani. Non mi stupirei se fosse originario dalla Tuscia.
    Non le piacciono i viterbesi.
    Al Liceo Tasso di Roma, Tajani era riconosciuto come il più coglione di tutti. Però per la sua smania di arrivare in Europa, Berlusconi sacrificò sia Bonino che Monti. Arrivano ovunque, gli Etruschi.
    È disgustato?
    Malpensa, la mancata vendita di Alitalia, le Autostrade fatte dall’Iri e ora in mano a Benetton, questo mi nausea. Fiorito ci è costato 15 milioni, le cose che ho ricordato centinaia. Se vedo in giro United Colors o Toscani mi girano le palle.
    Difende Fiorito?
    In questo quadro di cialtroni, Fiorito non si emenda, ma recita da re Pastore. Grosso e monumentale, razzia il gregge pubblico. Ruba e spartisce le pecore, tenendo come è ovvio le migliori per sé.
    La Polverini dovrebbe dimettersi?
    Sospendo il giudizio, non mi sento di dirle vattene e credo alla sua buona fede. La preferivo sindacalista. Ora i rischi sono due. Primo: salire nella catena del potere e perdere il contatto con la realtà. Secondo: che venga irretita dalla logica di salvare tutti. Non sarebbe male, io mi auguro perdano.
    Voterà Pd?
    Fin dalle primarie. Bersani. Ma sono sicuro che se candidassimo Renzi alle elezioni, trionferemmo. La questione generazionale è una delle vergogne del Paese.
    E Monti?
    Prendo 12 medicine al giorno. Schiena, cuore, una rottura di coglioni. Mi fanno schifo, ma le prendo. Monti è l’unica soluzione possibile, l’olio di Ricino necessario.

    da dagospia.com

    Pubblicato 12 anni fa #
  19. zaphod

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    Fondatore

    Dovrò chiedere al Torque delucidazioni storiche sulla faida volsci etruschi, ho delle lacune...
    "Siete diventati froci prima voi" - con tutte faccine che il caso merita - è la metafora più riuscita del condizionamento struttura-sovrastruttura e del divenire della lotta di classe che abbia mai sentito.

    Pubblicato 12 anni fa #
  20. A.

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    Moderatore

    Ma mo che j'hanno fatto i viterbesi K?

    Pubblicato 12 anni fa #
  21. La Polverini ha fatto benissimo a dimettersi. E' un atto dovuto. Non ha saputo controllare l'operato dei suoi collaboratori o, peggio, ne era complice, ma questo resta da dimostrare. Dato quello che la Regione Lazio ha prodotto sotto la guida evidentemente molto distratta di questa signora, cioè il nulla assoluto, possiamo dire che sopravviveremo. Ma ormai il problema non è tanto Lusi, il Trota, Fiorito e prima di loro tanti altri. Il problema è che serve un sistema di controllo feroce su ogni operazione che coinvolge soldi pubblici.

    Pubblicato 12 anni fa #
  22. sensi da trento

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    Membro

    il problema è angelino alfano, che dice alla minetti "dimettiti!" e quella non solo non si dimette, ma va pure a sfilare con le tette di fuori sulle passerelle dell'alta moda milanese.

    poi dice alla polverini "rimani a ogni costo!" e quella il giorno dopo si dimette.

    me sembra la versione fascio- cogliona di veltroni.
    a 'sto punto dateci l'originale, così facciamo un favore alla sinistra e risolviamo il problema leadership a destra.

    Pubblicato 12 anni fa #
  23. sensi da trento

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    ciao renà, sei stata minchiona due volte!

    la prima volta quando te sei fatta fregà, la seconda quando te sei dimessa.

    te ricorderemo sempre come la evita peron de noantri.

    Pubblicato 12 anni fa #
  24. k

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    1 - Scusi Sensi, ma io vorrei chiedere a lei, a Alfano, a Frattini e a tutti i moralisti di destra e di sinistra che imperversano in questo paese, che cosa c'è di male nel fatto che la Minetti sfili nuda o anche in costume. Se lei mi dice che non doveva in alcun modo favorire la presupposta prostituzione della minorenne Ruby in favore di Silvio Berlusconi, qui ha perfettamente ragione: è proibito dalla legge. Ma sfilare più o meno nuda, o anche girare un film porno come quella segretaria di sezione del PD, mesi fa, costretta poi alle dimissioni, perchè no? Dove sta scritto che per essere un buon politico, un buon deputato o consigliere regionale bisogna andare sempre vestiti e fare sesso in silenzio e di nascosto? I ladri ipocriti e falsi sì, chi scopa no? Di nascosto va tutto bene?

    2 - La Repubblica di oggi (25/9/2012, pg. 39), nell'articolo titolato "Settanta scrittori contro Carofiglio: «Intimidisce la critica»", dà notizia che un gruppo di scrittori e critici, tra cui Nanni Balestrini, Marco Belpoliti, Franco Cordelli, Andrea Cortellessa, Gabriele Pedullà, Giorgio Vasta, Paolo Virno, Christian Raimo, "ha deciso di intervenire in difesa di Vincenzo Ostuni dopo l'azione civile per diffamazione intentata ai suoi danni da Gianrico Carofiglio". Oggi andranno a manifestare davanti al commissariato di Piazza del Collegio Romano.
    Che era successo? Era successo che durante la campagna elettorale dell'ultimo premio Strega - a cui poi Il silenzio dell'Onda di Carofiglio (Rizzoli) si sarebbe classificato terzo - Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alla Grazie, lo aveva definito sulla sua pagina facebook "un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un'idea, senza un'ombra di «responsabilità dello stile»". Quelli di Ponte alle Grazie sono soliti non andare troppo per il sottile. Per loro, ad esempio, ogni volta il premio Strega "è combinato". Per essere davvero pulito, un premio Strega dovrebbe far vincere solo il libro loro. Quelli degli altri sono tutte schifezze.
    Carofiglio, però, stavolta ha querelato e adesso tutti quei settanta critici e scrittori sono insorti a difesa d'Ostuni: "Le storie letterarie sono piene di stroncature assai feroci, eppure questa è la prima volta che uno scrittore italiano ricorre alla magistratura contro un collega (AH, MO' E' UN COLLEGA? PRIMA ERA UNO 'SCRIBACCHINO' E MO' E' UN COLLEGA?) per far sanzionare dalla legge un giudizio critico sfavorevole". E concludono parlando di un "intento intimidatorio" da parte di Carofiglio "verso coloro che si occupano di letteratura nel nostro paese".
    Io sto con Carofiglio, e non solo perché mi stanno antipatici non tanto quelli di Ponte alle Grazie, ma quanto tutti quelli che prima menano e dopo piangono. 'Giudizio critico' e 'letteratura' infatti sono una cosa, ma gli insulti personali un'altra: 'scribacchino' non è un giudizio sul libro, è un insulto alla persona Carofiglio. E lui che dovrebbe fare? Se lo dovrebbe tenere perché loro sono quelli che "si occupano di letteratura nel nostro paese", e perciò sono abilitati a insultare le persone come meglio gli pare? Ma vaffallippa, va'.
    Dice: "Ma le storie letterarie sono piene di stroncature assai feroci". Vero. Ma a quei tempi c'erano pure i duelli, però, a restituire giustizia. Tu insultavi, stroncavi, e quello ti sfidava a duello. Oppure partiva da Milano, pigliava il treno come Balla e Marinetti magari, e veniva fino a Firenze a gonfiarti di botte al Caffè delle Giubbe Rosse come fecero con Papini e Prezzolini (quelli poi gli corsero appresso dopo avere chiamato gli amici, e gliele ridiedero tutte quante alla stazione prima che riuscissero a ripigliare il treno, ma questa è un'altra storia). La gente comunque, la volta dopo, ci pensava due volte prima di scrivere le cazzate.
    Che doveva fare allora Carofiglio? Si teneva lo 'scribacchino' e amen – “Non c’è più il duello…” – in attesa degli altri impunibili insulti che venissero eventualmente in mente ai larghi stuoli di letterati italiani? Io avrei voluto vedere se Carofiglio invece avesse preso pure lui il treno e fosse andato a dargli una fraccata di botte a Ostuni - Carofiglio è cintura nera di karate - poi Ostuni che diceva. Vuoi scommettere che ci andavano i letterati a querelare Carofiglio?
    Io comunque - pur essendo solidale con lui – m’unisco all’appello loro: no alla querela! Carofi’, vagli a mena’!

    Pubblicato 12 anni fa #
  25. zaphod

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    Fondatore

    Lo possiamo mettere in home col titolo "Anche Pennacchi contro Carofiglio. No alla querela."?

    Scherzo, magari già esce sulla Provincia...

    Pubblicato 12 anni fa #
  26. SCa

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    Membro

    Io avevo letto che l'azione legale non è per diffamazione ma per concorrenza sleale, proprio perché Ostuni è editor di Ponte alle Grazie, arrivati secondi allo Strega, e ha sparato a zero anche sul libro di Piperno. Ancora più assurda, secondo me, l'azione legale in questo caso.
    Da chi scrive e usa le parole mi aspetto che, offeso da queste, usi le stesse per rispondere. In subordine, un par de schiaffi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  27. A.

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    Moderatore

    Io sono contrario alle querele verso chi scrive , anche opinioni pesanti, ma sempre opinioni.
    Se poi c'è dell'altro, è un'altra cosa. (nella storia di Carofiglio, dico)
    Pure Sallusti: sapete quanto io sia contrario alle sue idee, ma si può essere condannati al carcere per un articolo?

    Sentite cosa scriveva Shopenhauer verso Hegel, quando quest'ultimo era al massimo della sua fama e lui era ancora uno sconosciuto professore privato. ma Hegel mica lo ha querelato!!

    «Hegel, insediato dall’alto, dalle forze al potere, è un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato che raggiunse il colmo dell’audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificati non-sensi. Il pensiero di Hegel è una buffonata filosofica, e si riduce unicamente alla più vuota, insignificante chiacchierata di cui si sia mai contentata una testa di legno. Hegel è un ciarlatano pesante e stucchevole che si esprime nel gergo più ripugnante e insieme insensato, che ricorda il delirio dei pazzi. Hegel, questo sicario della verità, rende la filosofia serva dello Stato e colpisce al cuore la libertà di pensiero. »

    Pubblicato 12 anni fa #
  28. Stavo pensando: se a Sallusti je danno il gabbio per un articolo... a Sensi da Trento... con quello che ha scritto in questi anni, che je dovrebbero dare, la sedia elettrica?

    Pubblicato 12 anni fa #
  29. A.

    offline
    Moderatore

    Stavolta sono d'accordo pure con te, Fernà

    Pubblicato 12 anni fa #
  30. Che poi secondo me Sensi sarebbe capace di fregare pure quella...

    Pubblicato 12 anni fa #

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