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(1560 articoli)

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  1. zaphod

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    Fondatore

    Sensi, hai usato due parole fuori luogo: culturale e scrittori.

    Pubblicato 12 anni fa #
  2. sensi da trento

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    Membro

    abra cadabra....

    Pubblicato 12 anni fa #
  3. sensi da trento

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    Membro

    se usavo i termini che pensi te, poi i 50 mila euri dovevo cacciarli io.
    e a quel punto A mica ci andava da ostuni a dirgli "Ma no, rinuncia alla querela! Vuoi rovinargli la vita?? "

    Pubblicato 12 anni fa #
  4. Io poi mi sono sempre chiesto: come fa un giudice ad essere terzo e imparziale in un processo che coinvolge un collega (in questo caso specifico il Carofiglio querelante)?
    Non so se mi sono spiegato.

    Pubblicato 12 anni fa #
  5. zaphod

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    Fondatore

    Questa cosa già l'ha spiegata Carofiglio: ma che se un giudice viene truffato, aggredito, derubato, non può adire le vie legali per il mestiere che fa? Ma allora sei da ricovero, Fernà.

    Comunque il battage pubblicitario che hanno avuto Ostuni/Ponte alle grazie/TQ grazie a sta cazzata di Carofiglio supera di gran lunga i cinquantamila in gioco...

    Pubblicato 12 anni fa #
  6. Woltaired

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    Membro

    E Pepe Carvalho può star sicuro che potrà sempre riaccendere il fuoco nel camino...

    Pubblicato 12 anni fa #
  7. La frase chiave che ci aiuta a riflettere:

    "Comunque il battage pubblicitario che hanno avuto Ostuni/Ponte alle grazie/TQ grazie a sta cazzata di Carofiglio supera di gran lunga i cinquantamila in gioco..."

    Pubblicato 12 anni fa #
  8. zaphod

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    Fondatore

    Stasera Pennacchi a Piazza Pulita. Con Fini, De Magistris, e altri.

    Pubblicato 12 anni fa #
  9. sensi da trento

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    Membro

    La frase chiave che ci aiuta a riflettere:

    ormai ragioni più da manager che da scrittore: pensi solo a come far parlare di un libro o come promuoverlo e non parli più di contenuti o di linguistica o di "inventare" nuove immagini retoriche.

    Pubblicato 12 anni fa #
  10. A.

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    Moderatore

    condivido completamente quanto dice Travaglio

    http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/05/lega-nord-travaglio-dopo-bossi-lega/206532/

    Pubblicato 12 anni fa #
  11. sensi da trento

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    Membro

    1964:
    "date retta a me: il modello comunista comunismo entro il 1980 sconfiggerà il capitalismo" (perla di scalfari, allora deputato del psi).

    1994:
    "date retta a me: non si fonda un partito in sei mesi: berlusconi e forza italia sono destinati a perdere le elezioni"
    "date retta a me: dopo il ribaltone di bossi il partito di plastica di berlusconi sparirà per sempre"

    1996:
    "date retta a me: ora che prodi è al governo il partito di plastica si dissolverà e i voti di berlusconi cercheranno un nuovo partito"
    "date retta a me: berlusconi non sopravviverà a cinque anni di opposizione"

    2001:
    "la grande rimonta è incominciata!"

    2002.... 2011:
    "date retta a mmmeeeeee !!!! .... "

    2012:
    la cazzata dell'anno è firmata marco travaglio.
    vabbè, questa va dritta in archivio insieme alle profezie di scalfari e di biagi.

    "presidente, dia retta a mmeeeee : non compri rete4: hanno già fallito rizzoli e rusconi!" (enzo biagi)

    "presidente, dia retta a mmeeeee : non compri il milan: con il calcio può solo rimetterci i soldi!" (enzo biagi).

    Pubblicato 12 anni fa #
  12. A.

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    Moderatore

    Chiarisco previamente che posto questo testo non perché condivido quanto dice Prezzolini, ma perché questa è una delle pagine della cosiddetta destra radical chich, (sì, esiste anche quella), alla Montanelli, per capirci. O alla Travaglio. Ma la cosa più importante è che, malgrado l'estremo auto-razzismo che vi promana, molte delle parole d'ordine della cosiddetta "gente" o "piazza" vi si trovano compendiate, anzi qui si abbeverano alla loro fonte.
    buona lettura, e spero integrale. E buoni commenti.
    A.

    Giuseppe Prezzolini, Le regole dell’Italiano*

    Capitolo I. - Dei furbi e dei fessi
    1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
    2. Non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.
    3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.
    4. Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui.
    5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.
    6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.
    7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.
    8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.
    9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.
    10. L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.
    11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.
    12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.
    13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.
    14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.
    15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.
    16. L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente - che non si trova nei libri - insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.
    Capitolo II. - Della Giustizia
    17. In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l'ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del Partito Rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso. La situazione sarebbe intollerabile se dopo cinque anni, essendo salito al potere il Sindaco (c.s.) del Partito Nero, questi facesse le cose giustamente.
    E' chiaro che lascerebbe almeno una metà dell'ingiustizia antecedente. Perciò il Sindaco (c.s.) del partito nero fa tutto il rovescio dell'altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso.
    Così l'ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente.
    18. Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. E' invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc. La cosa si può trovare: l'indirizzo è sbagliato.
    19. In Italia non si può ottenere nulla per le vie legali, nemmeno le cose legali. Anche queste si hanno per via illecita: favore, raccomandazione, pressione, ricatto ecc.
    Capitolo III - Del Governo e della Monarchia
    20. L'Italia non è, democratica nè aristocratica. E' anarchica.
    21. Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.
    22. In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.
    23. In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono.
    24. Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.
    Ciò corrisponde al carattere italiano che subisce le grosse ingiustizie, ma è intollerantissimo per le piccole.
    25. L'Italiano non dice mai bene di quello che fa il Governo, anche se è fatto bene; però non c'è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il Governo non pensa a tutto.
    26. I ministri non sono scelti perché persone competenti nell'agricoltura, nei lavori pubblici, nelle finanze, nelle poste e telegrafi, bensì perché piemontesi, liguri, lombardi, toscani, siciliani, abruzzesi, o perché appartenenti al gruppo a, b, c. Si è ministri non per quel che si è fatto, ma per il dialetto che si capisce, per il gergo parlamentare che si parla. Questo deriva in gran parte dal concetto della ingiustizia distribuita (cap. II).
    27. Il valore degli incarichi non corrisponde sempre alla realtà. Molto spesso il piantone conta più del colonnello, l'usciere ne sa più del ministro, il segretario può quello che il cardinale non osa, e così via. Nelle piazze e nei salotti la conoscenza di questo " annuario segreto " delle potenze, forma uno dei punti indispensabili per poter fare carriera. Rivolgersi al principale senza passare per la succursale, è uno dei più comuni errori di tutti i novizi della vita italiana.
    28. L'autorità del grado non conta. L'italiano non si inchina davanti al berretto. Nulla lo indispone più dell'uniforme. Ma obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.
    29. L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.
    30. La Monarchia resiste in quanto non esiste. I repubblicani non esistono in quanto non esiste l'oggetto della loro lotta. Non si può combattere un Re che non è meno noioso di un presidente di repubblica, poiché non crea nemmeno la difficoltà di farsi eleggere.
    31. Il Re ha rinunciato ai diritti che esercitava, e non esercita più quelli che gli son rimasti.
    32. La piazza è il vero Governo italiano, che decide la guerra o fa cessare lo sciopero dei tranvieri. Da parecchi anni impiegati, produttori. operai, e ormai anche militari, sanno che non si ottiene nulla dal governo, " se non si scende in piazza ". Forse è per questo che siamo i discendenti dei Romani, che decidevano le questioni politiche nel Foro.
    Capitolo IV. - Della geografia politica
    33. L'Italia si divide in due parti: una europea che arriva all'incirca a Roma, e una africana o balcanica, che va da Roma in giù. L'Italia africana o balcanica è la colonia dell'Italia Europea.
    Capitolo V. - Della famiglia
    34. In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra (quando può).
    35. La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si può uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.
    36. La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.
    37. I figli sono proprietà del padre. Devono fare onore, non a se stessi, ma al padre.
    Capitolo VI. - Delle leggi
    38. In Italia nove decimi delle relazioni sociali e politiche non sono regolate da leggi, contratti o parole date. Si fondano sopra accomodamenti pratici ai quali si arriva mediante qualche discorso vago. una strizzatina d'occhio e il tacito lasciar fare fino a un certo punto. Questo genere di relazioni si chiama compromesso. Non ci sono mai situazioni nette tra marito e moglie, tra compratore e venditore, tra governo e opposizione, tra ladri e pubblica sicurezza, tra Quirinale e Vaticano.
    39. Tutto ciò che è proibito per ragioni pubbliche si può fare quando non osta un interesse privato. Nei vagoni dove è proibito fumare tutti fumano finché uno non protesta.
    40. In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.
    41. La mancia è la più grande istituzione tacita d'Italia, dove gli usi contano più delle leggi, e le consuetudini più dei regolamenti. Per far procedere una pratica come per ottenere un vagone. per avere notizia di una sentenza. come per far scaricare un piroscafo, occorre sempre la mancia. Il modo di darla è variabile ed esige un noviziato non breve, una conoscenza della graduatoria sociale e dei sistemi in uso. Essa va dal volgare gruzzoletto posto nella mano dell'autorità da commuovere, e dalla bottiglia fatta stappare in onore dell'affare che si conclude, fino alla " bustarella ", in uso negli uffici di Roma ed ai contratti tariffati degli agenti ferroviari del settentrione. o al vezzo di perle per la signora e la compartecipazione ad un'emissione di azioni per il grosso affarista o giornalista.
    42. La pena di morte non è abolita in Italia. Essa colpisce, in generale, gli innocenti che si trovano a passare sotto la traiettoria dei moschetti della Regia Guardia o dei Reali Carabinieri, oppure nel cerchio delle bombe a mano lanciate da socialisti o da fascisti.
    Capitolo VII. - Delle Ferrovie
    43. In Italia si viaggia gratis in prima classe; con riduzione, in seconda. In terza si paga la tariffa intera, proporzionalmente più alta di quella che pagherebbero le altre classi, se le altre la pagassero mai interamente.
    Capitolo VIII. - Dell'ideale
    44. C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.
    45. La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? E' fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioé un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.
    Capitolo IX. - Del guadagno
    46. In generale in Italia nessuna professione è sufficiente per vivere, da sola. Perciò si vede l'insegnante che fa anche il giornalista; l'impiegato che fa il rappresentante di case commerciali; il ragioniere dello Stato che va a curare la sera aziende private; il giornalista che scrive commedie. Un solo impiego non basta a sbarcare il lunario. Con due ci si riesce. Con tre si vive bene. Bisogna essere furbi per averne quattro. Se fra questi ve n'è uno almeno da trascurare, la preferenza vien fatta a quello dello Stato, in base al principio che segue.
    Capitolo X. - Della proprietà collettiva
    47. La roba di tutti (uffici. mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.
    Capitolo XI. - Dell'Italia e degli Italiani
    48. L'Italia è il giardino del mondo. L'Italia è un paese naturalmente povero, senza carbone, con poco ferro, molto scoglio, per tre quarti malarico e troppo popoloso. Esso dipende e dipenderà sempre economicamente dagli stranieri. L'indipendenza dell'Italia è il mito più infondato e dannoso che un italiano possa nutrire. C'è una sola consolazione: che nessun paese è economicamente indipendente.
    49. L'italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo: mani vuote, ma sporche.
    50. I veri italiani sono pochissimi. La maggior parte di coloro che si fanno passare per italiani, sono in realtà piemontesi, toscani, veneti, siciliani, abruzzesi, calabresi, pugliesi e via dicendo. Appena fuori d'Italia, l'italiano torna ad essere quello che è: piemontese, toscano veneto ecc. L'italiano sarà un prodotto dell'Italia, mentre l'Italia doveva essere un prodotto degli italiani.
    51. L'ammirazione degli stranieri per tutte quelle cose che ci urtano nella vita italiana (il lazzaronismo, l'indisciplina, il sentimentalismo, la musica da serenate, la statueria ecc.), indica che in tutti questi difetti c'è qualche cosa di gradevole e di simpatico. Ma per chi va a fondo delle cose, vede che si tratta di una permanente insidia al carattere italiano, già inclinato a ciò che è più gradevole, ma meno pericoloso per gli stranieri. Essi vedono volentieri gli italiani prendere il mandolino in mano e far serenate alla luna, e li carezzano gettando un obolo, con la simpatia e il disprezzo che si ha per una cortigiana, o la sottintesa superiorità che si mostra verso un cagnolino.
    52. Se per ingegno si intende la facilità nelle cose facili, l'arte di esprimersi con abbondanza, la capacità di intendersi senza troppo precisare. la vernice di tutti i talenti esterni. il canto piacevole, la poesia sonora, l'arrivare d'un colpo a comprendere le cose senza sforzarsi, dopo, di compiere un passo più avanti per approfondirsi in ciò che si è imparato, l'italiano è un popolo intelligente. Se per ingegno si intende invece ...
    53. Il perfetto italiano giudica l'ingrandimento dell'Italia dell'allargamento chilometrico, la grandezza dei quadri dalla superficie della tela, la bellezza della poesia dalla sonorità delle rime e quella delle donne dalla quantità della ciccia. Il buffo è che molti di questi valori plastici sono entrati anche nella zucca degli stranieri, che ammirano il nostro parlar sonoro, le nostre donne carnose, i quadroni dal Rinascimento in poi, e qualche volta anche l'aumento dei chilometri quadrati.
    54. La storia d'Italia è la storia di Spagna e di Francia, d'Alemagna e d'Austria, e in fondo, storia d'Europa. Lo sforzo degli storici per creare una storia d'Italia dimostra come si possa spendere molto ingegno per una causa poco ingegnosa, come accade a quei capitani che si fanno valorosamente ammazzare per una causa infame.
    55. L'Italiano è di tanto inferiore al giudizio che porta di se stesso di quanto è superiore al giudizio che ne danno gli stranieri. Le sue qualità migliori sono le ignorate e i suoi difetti peggiori sono i pubblicati da tutta la fama.
    56. La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l'internazionale.
    57. Alcune massime e parole italiane hanno una origine dialettale e regionale, che significa che una qualità particolare d'una data gente s’è andata allargando a tutta l'Italia. Per esempio : tira a campà è massima eminentemente romana; non ti compromettere è precetto squisitamente toscano; fare fesso è pratica particolarmente meridionale; però tutti gli italiani ormai le capiscono e i furbi le hanno adottate come regola di vita sociale.
    58 Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.
    59 Tutto è in ritardo in ritardo in Italia, quando si tratta di iniziare un lavoro. Tutto è in anticipo quando si tratta di smetterlo.
    60 Non è vero che l'Italia sia un paese disorganizzato. Bisogna intendersi : qui la forma di organizzazione è la camorra. Il Partito come la religione, la vita comunale come la economica prendono inevitabilmente questo aspetto. Non manca disciplina ma è la disciplina propria della camorra, l'ultra disciplina che va dal fas al nefas.
    61. Tutti i principali difetti degli italiani, e soprattutto i più vergognosi : la mancanza di parola, il servilismo, l’individualismo esagerato, l’abitudine dei piccolo inganno e della corruzione, derivano dalla povertà italiana, come la sporcizia di tanti loro paesi dalla mancanza di acqua. Quando in Italia correrà più denaro vero e più acqua pulita, la redenzione d'Italia sarà in buona parte compiuta.
    Capitolo XlI - Senza titolo riassuntivo indispensabile
    62. L'Italia è una speranza storica che si va facendo realtà.
    *Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, Edizioni della Voce, Firenze 1921, poi in Siamo italiani, a cura di David Bidussa, Chiarelettere, Milano 2001, pp. 31-41.

    Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/fessi-furbi-italiani#ixzz28cRnFa4I

    Pubblicato 12 anni fa #
  13. Avevo deciso di non andare alle primarie a votare questo o quello o quell'altro.
    "Basta, mi sono rotto i coglioni. Non ci vado".
    Poi uno parla e sente e vede, così ad andare a votare ci fa un pensiero.
    Ma subito dopo averlo fatto, se ne pente.
    Perché, come al solito, è costretto a scegliere il meno peggio.
    Se le ideologie non ci sono più, anche dei programmi non è rimasta nemmeno l'ombra.
    Dice che dovremmo votare le persone, come se uno questi li conoscesse dal vivo e sapesse, al di là delle dichiarazioni, come la pensano davvero.
    Come se ci avesse mai mangiato insieme, fatto baldoria, bevuto due birre.
    Un criterio però lo si deve trovare: e quindi vai con la persona, un po' lombrosianamente.
    Ne abbiamo prese tante di mazzate, una in più o una in meno non fa differenza.

    (seguiranno schede dei singoli candidati)

    Pubblicato 12 anni fa #
  14. Nservagnente.

    Pubblicato 12 anni fa #
  15. Il Cubo di Rubik
    (lo so, è lungo. Ma abbiate pazienza, per me è una scelta epocale)

    Sto periodo, almeno tra le persone che conosco, se ne parla spesso. Cioè si parla spesso su chi votare alle primarie tra Renzi, Bersani e Vendola. Perché tutto sommato, anche se politicamente saranno poco utili, le primarie sono un evento mediatico e socialmente qualificante. Tipo un concerto, una manifestazione o un happening collettivo di quelli buoni, di quelli che solo con la partecipazione ti guadagni il titolo di persona impegnata, che ci tiene al Paese. Ne parlano i giornali e le tv, le parrucchiere e i barbieri, gli edicolanti e i baristi. Tutti insomma non fanno altro che dire “io voto questo”, “no, io invece voto per questo”. E' come il tormentone dell'estate, quella canzone che t'insegue dovunque tu scelga d'andare. C'è chi desidera partecipare per moda, chi per impegno, chi per passione, chi per divertimento, chi perché ha qualche fetta di mortadella che avanza in frigo e cerca qualche scheda elettorale da condire e c'è anche chi, come me, aveva deciso di astenersi ma sente il senso del dovere. Alle votazioni si vota, sennò non ti puoi lamentare. Come se per le lamentele fosse necessaria una patente. Così m'hanno insegnato da piccolo, così mi comporto ancora oggi. Mica ci stanno solo i cani di Pavlov coi riflessi condizionati. Solo che, questa volta più di altre, appena s'affaccia il senso del dovere, cerco di respingerlo indietro, ma poi ogni tanto ci ripenso e quello riciccia ma lo respingo di nuovo. Poi ci ripenso e lo ricaccio. E così via.

    Adesso però volevo parlarvi di quando ci penso. In quei due minuti – non di più che si rischia l'emicrania – mi succede come da piccolino quando mi mettevo davanti al cubo di Rubik. Mi scappa l'angoscia. E la rabbia. L'angoscia perché tanto sono sicuro che non riuscirò mai a trovare una soluzione. Un candidato o l'altro, tanto la cazzata è dietro l'angolo. E la rabbia perché devi essere particolarmente cattivo ad inventarti una cosa del genere (il cubo di Rubik o le primarie del PD). Non avevi niente di meglio da fare quel giorno? Adesso io ho dato per scontato che tutti si ricordino del cubo di Rubik perché ritengo impossibile che non ve lo ricordiate. Sono convinto che non solo io ho fallito nel tentativo di ricomporlo. E se pure ci siete riusciti, chissà quanto tempo avrete perso. Quelle sei facce dai colori diversi sono state l'incubo di una o più generazioni. A me, poi, è capitato di fare una di quelle scoperte che ti migliora la vita: il cubo di Rubik era più bello con tutti i colori mischiati che con tutte le facciate ordinate. Quel mix cromatico era affascinante, arlecchinesco, solare. E così ho lasciato stare. Sono passati anni e il cubo sta ancora lì, dentro uno scatolone a casa dei miei, ficcato chissà dove.

    La rabbia nel partecipare alle inutili primarie del Pd, scatta appena mi ci metto a pensare. Anche perché il PD, dal momento della sua nascita e prima ancora i suoi due genitori – Ds e Margherita –, ci ha abituati al peggio. E non solo per i programmi che languono, che sono sempre più di centro e sempre meno di sinistra, che non sono mai nemmeno per tutti uguali, che i temi quelli importanti e generali li lascia alla coscienza morale di ognuno – il si salvi chi può – perché non vuole avere il coraggio di affrontare un qualsicazzovoglia di questione in maniera seria e decisiva. Prima c'era l'antiberlusconismo ad unirci, e adesso sono i residui del Berlusconismo a tenerci insieme. Perché, diciamoci la verità, il PD sta diventando un po' come la Casa della Libertà, dove ognuno dice quel che cazzo gli pare tanto tutto è lecito e niente è consentito. Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda ma mai un accordo definitivo su chi è che se ne deve andare. E quei pochi che se ne vanno, tanto prima o poi ritornano.

    Così, per aggiungere caos al caos, Veltroni s'è inventato sta bestialità delle Primarie. Perché tanto le cose che succedono alle primarie, i discorsi che si fanno, sono identici alle cose che succedevano e ai discorsi che si facevano ai congressi. Finti quelli, finte queste. Solo che all'epoca dei congressi, ste chiacchiere – con tutti i pettegolezzi che ne conseguono e le smanie e i tic e le minacce e chi si scandalizza di qua e chi di là – avvenivano dentro quattro mura e non sui giornali, in televisione, sui profili facebook e twitter di qualsiasi spin doctor, vero o presunto tale. Prima s'aspettava di sapere cosa decidevano i partiti. Oggi ti chiamano a far finta di decidere con loro. Quasi si trattasse di una correità. “Ma ce l'avete detto voi di mettere Prodi, Veltroni ecc. ecc.”. Quelle di Prodi e Veltroni, si dice, erano primarie finte. Adesso invece sono vere. Bersani e Renzi si combattono fino all'ultimo voto e senza risparmiarsi colpi diretti e indiretti. Come se sta rissa da bar, sta discussione da circolo canottieri – e sono convinto che al circolo canottieri prima o poi s'arriva ad una conclusione – fosse qualificante. L'altro giorno, che ho pensato alle primarie i due classici minuti che vi dicevo prima, m'è venuta in mente sta cosa: se la classe dirigente – e ce lo siamo ripetuti fino a ieri – è misera, lo spettacolo che offre non può essere certo straordinario. Una compagnia scalcagnata d'attori che ormai il viale del tramonto l'hanno percorso tutto e di corsa, non è che vi farà mai vedere la più grande rappresentazione shakesperiana. Se ci credete, allora non si tratta più di speranza ma di fede. E io di fede, in vita mia, ce ne ho una sola: la Roma. E purtroppo non c'è spazio per nessun'altra.

    Ma visto che sto senso del dovere mi chiama, non è che posso decidere dopo i primi due minuti: “no, non vado a votare”. Mica è così facile. Se decido di non andarci, devo pure giustificare una decisione del genere. Non tanto con gli altri, quanto con me stesso. Perché tutti quelli che sento mi dicono “vota Renzi”. Anche alcune delle persone che stimo, voteranno Renzi. Quelli invece che mi dovrebbero dire di votare per Bersani o hanno perso le speranze o sono convinti che poi alla fine voterò Bersani comunque, quindi inutile sprecare fiato. Economia delle energie, si vede che son tempi di crisi della militanza. Apro una piccola parentesi a tal proposito. Mi capitava di notare come, a destra, negli ultimi tempi ci fosse più militanza che a sinistra. Anche in questa diatriba Renzi – Bersani, noto come col primo ci siano più volti nuovi, più cittadini comuni. Invece col secondo c'è chi in politica s'è impegnato, impegnato anche a livello di cariche. Loro, i bersaniani, la chiamano militanza. In realtà si dovrebbe chiamare carriera politica. Ma ci si vergogna un po'.
    Comunque, chiudiamo sta parentesi, tutti quelli che mi dicono di votare Renzi, mi dicono che è giovane, che tanto vale tentare di dar fiducia ad uno nuovo, e quelli più poetici tra i suoi sostenitori mi dicono che tanto non abbiamo niente da perdere e che vale la pena provare a fare sto salto. Che poi è la cosa che ti chiedono tutti quelli che vogliono farti votare per uno nuovo di cui non sei convinto. “Che male c'è a provare?”. Lo dicevano pure i sostenitori di Berlusconi, quando lo si doveva votare per la prima volta. E sappiamo tutti com'è andata a finire. E quindi capirete se sta cosa del provare, io che manco Berlusconi ho mai provato, non è che m'entusiasmi. Ma a dirmi di votare Renzi ci sono pure quelli che pensano che bisogna andare a prendere i voti a destra per vincere le prossime elezioni. “Con Renzi vinciamo, con Bersani pareggiamo, con Vendola perdiamo”. Solo che sarò io ad essere duro di comprendonio, ma non avevo capito che per andare a prendere i voti a destra, ti dovevi dimenticare completamente di quelli di sinistra. Non m'era entrato in testa che per andare a prendere i voti a destra dovevi essere di destra pure te. Che a Latina sai quante volte cianno provato a fare le cose che sembravano di destra per poter vincere? Da almeno venti anni. E mai una volta che sia andata bene. Perché se fai le cose di destra, e tu sei uno di sinistra o uno che viene visto dagli altri come uno di sinistra, non ti riescono bene. Non ciai proprio il cervello programmato per farle quelle cose. Sennò saresti di destra. E mai nessuno, nemmeno tra i vendoliani, che dica: “ma scusate, a noi che ci frega del voto di destra? Il voto di destra vota a destra. Perché se la maggioranza delle persone è di destra dovrebbe vincere la sinistra? Vi risulta che in qualche Paese dell'Europa o del Mondo accada una cosa del genere?”. Che se uno ci pensa, tutta sta smania di governare, ce la siamo fatta attaccare da Berlusconi. A noi sembra che ce l'ha ordinato il dottore che dobbiamo governare. O governiamo o non siamo un cazzo. Che vent'anni fa dicevamo che sta cosa del governare era molto democristiana. Ma i democristiani, alla fine, hanno governato più o meno sempre con gli stessi. Il pentapartito, nella fattispecie. Mica si mischiavano come noi, mica si andavano a prendere cani e porci. Mica si mettevano a corteggiare il Pisanu di turno. E se comunque lo facevano, avevano la scusante di essere, appunto, democristiani. E noi dicevamo che non saremmo mai diventati come loro. Invece... guarda che fine abbiamo fatto. Loro, al confronto nostro, erano dei signori perché non si scannavano in pubblico.

    Mi rendo conto di essere uno all'antica: uno fa politica perché ha delle idee, poi se vengono condivise bene e sennò ciccia. Forse, ma questo non lo so lo dovreste decidere voi, sarò pure da rottamare. Ma non riesco a non indignarmi del fatto che i politici che sento, non hanno idee. Sono dei perenni sondaggisti. E quando ti chiedono: “ma tu come la vedi sta cosa”. La tua opinione conta solo statisticamente. Se la maggioranza la pensa come te, allora la tua idea è giusta. Altrimenti è sbagliata. Non ci sono cazzi. E ti vengono a dire: “questa è la democrazia”. Che invece questo modo di fare, non è la democrazia ma la demagogia. Sennò, se ti dice ancora peggio, quando tu gli rispondi: “ma cosa vuoi che importi come la penso io, il politico sei te, dimmi te come la pensi così decido se darti il voto oppure no”, loro per dirti come la pensano su una cosa partono con le citazioni a ripetizione. “Fassina la pensa così”, “Tonini ha detto cosà”. O Bersani o Veltroni o Castagnetti o Marini o D'Alema. Certi oggi t'arrivano a citare anche il Papa e il Dalai Lama. Insomma, nemmeno una idea a pagarla oro. Soprattutto se la cerchi nuova e non usata e masticata e sputata. E allora la domanda che uno si fa è: ma siamo ancora di sinistra? E se siamo ancora di sinistra – ritorniamo al refrain iniziale – come fa uno di sinistra a sapere cosa vuole uno di destra? Glielo chiede? Tira a indovinare? Usa la teoria del Caos? Si fa fare dei sondaggi come quello lì che ogni volta che tirava fuori un sondaggio lo prendevamo per il culo? Oppure pensa una cosa, la più di sinistra che gli viene in mente, e poi dice e fa l'esatto contrario?

    Vabbè, mi dice sempre che mi invita a votare Renzi, ma non sei stanco delle solite facce, non t'hanno rotto i coglioni i vari D'Alema, Fassino e tutti gli altri dirigenti che, guarda caso, vengono dai Ds? L'ultimo che gli ho sentito dire una cosa del genere – quella dell'esser stanco di vedere le solite facce – è un politico di Latina che ha fatto pure, per qualche settimana, il sindaco della DC. Che poi si è candidato a Sindaco due legislature fa contro Zaccheo. Che siede in consiglio comunale da tempo immemore. E lui diceva a me, e ad altri che in consiglio non si sono mai seduti, che era stufo di vedere le solite facce. E chissà quanti altri, come lui, stanno facendo gli stessi discorsi in giro per l'Italia. Con la gente che si chiede, segretamente, come fa uno come lui, che fino all'altro ieri si vantava di essere uno navigato, a dire una cosa del genere con quella faccia così convinta, ma pubblicamente gli dà pure corda e non gli risponde per le rime. E chissà che si starà inventando Veltroni e tutti gli altri dirigenti della ex Margherita. Perché a me, se proprio ve la devo dire tutta, non è che conserverei D'Alema e Fassino e chissà chi altro. Io manderei via tutti. Ma tutti tutti però. Che a me la voglia di rinnovamento di Renzi, mi sembra si fermi al confine con la ex Margherita. Come se la possibile vittoria di Renzi portasse ad una soluzione finale degli ex comunisti. “Missione compiuta. Non ce la facevamo più a far finta di essere vostri alleati”.

    Allora voti Bersani, mi dicono quelli che mi chiedono di votare Renzi. O Vendola, ma appena vedono la faccia e si ricordano con chi stanno parlando, ritornano subito indietro: “no, no, voti Bersani”. E io rispondo che non ho nessuna intenzione di votare Bersani. Primo perché quelli che sostengono Bersani gli dà quasi fastidio che possa avere intenzione di votare Bersani. Quelli che sostengono Bersani e che dovrebbero chiedermi il voto per Bersani sono tutti o quasi uomini d'apparato che, seppure tante cose non l'hanno condivise in questi anni di gestione, adesso devono stare allineati e coperti e non gli deve sfuggire manco una critica sulla gestione del segretario. Che si sa, quando uno cià il carisma rasoterra, anche una critica sulle pizzette rosse alla conferenza stampa rischia di farlo vacillare. Ed è poi il grande, diciamo pure grandissimo, problema che ha Bersani. Non è tagliato per fare il leader. Uno ci nasce leader e lui, mi dispiace ma mica è una condanna pure a me è successa la stessa cosa, non c'è nato. Che leader mica significa padre padrone. Che adesso dici leader e all'italiano gli viene subito in mente Berlusconi che non è manco lui leader, lui è padrone e pure questa è una differenza sostanziale. Il leader è uno che indica la strada, che ha il coraggio di fare delle scelte difficili, che trascina la carretta nei momenti di crisi, che non frena nessuno nei momenti di slancio. Che poi sto carisma, tanto per dire che non è un problema che ha Bersani in tutto il mondo, non ce l'aveva manco Fassino. Che Fassino mi sembrava un cameriere d'osteria, di quelli che a fine serata li trovi spesso a fumarsi la centesima sigaretta fuori e scambiano due chiacchiere e poi t'offrono pure la grappa. Simpatici sì, ma mica leader. Bersani è un bravo, ottimo ministro. Dovrebbe fare quello, magari. Ma non il leader, il Presidente del Consiglio, il conducator maximo. Ma sappiamo tutti che il gioco è convenuto ai due che tirano i fili – quando non sono protagonisti diretti – delle vicende del centrosinistra da quando è stato inventato il centrosinistra: Veltroni e D'Alema.

    Ecco, se proprio devo dirla tutta io mi sono rotto strariccamente i coglioni di loro. Con tutto che ormai Veltroni – come tutti gli ex, che lui è diventato ex comunista quando ancora ci stava dentro al PCI – è il peggiore nemico degli ex Ds e degli ex o neo comunisti tutti. A dimostrare che il vero pericolo, per la sinistra, non arriva più dai fasci ma dagli ex compagni o neo democristiani che dir si voglia.

    Magari, così com'è stato per il cubo di Rubik, devo capire che il PD è simpatico e carino e curioso e simpatico guardarlo da fuori. Così disordinato ed eterogeneo.

    Pubblicato 12 anni fa #
  16. Nservagnente la Primaria, te pjano per culo e basta. E te chiedono pure 1 Euro pe' piattece. Che colla crisaccia che c'è, te pò pure tornà utile.

    E' tutta 'na grandissima presa per il culo.

    Pubblicato 12 anni fa #
  17. cameriere

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    Membro

    ecco fatto!
    grazie.
    zio fer m'ha tolto ogni dubbio se andare o no a votare.
    il torque m'ha convinto a votare renzi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  18. per votare alle primarie, questa volta, ci vogliono due euro. E' l'inflazione democratica.

    Pubblicato 12 anni fa #
  19. Afregna. Mansevergognano?

    Pubblicato 12 anni fa #
  20. zaphod

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    Fondatore

    No, hanno saputo che il cameriere vuole votare renzi e tentano di dissuaderlo con un'apposita politica dei prezzi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  21. A.

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    Moderatore

    Nel 1994 il Giovane Renzi vinse 48 milioni di allora a "Gira la ruota". Aveva 19 anni. subito dopo iniziò la sua carriera politica. tecnicamente si può dire che sia sceso in campo con i soldi di Berlusconi. Ora ditemi tutto, ma Berlusconi è veramente un genio. Si è programmato con venti anni di anticipo il suo cavallo di Ilio.
    Forse aveva ragione Sensi: Silvio è il più grande statista della storia d'Italia.

    (più seriamente parlando, dice che le performances di Renzi sono fantastiche, fa ridere, tutto studiato al millesimo etc. E poi, già il fatto che una persona intelligente come Torquemada pensi solo all'ipotesi di votarlo fa pensare quanto il berlusconismo si sia insinuato ormai nella mentalità collettiva delle élites colte e non solo. Zaphod dirà: ma è la struttura economica che agisce sulla sovrastruttura. E chi lo nega. Appunto, appunto...)

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    Pubblicato 12 anni fa #
  22. E' della scuola comica tocana, lo vedrei bene in un film.

    Pubblicato 12 anni fa #
  23. forse in quell'articolo lungo non ho reso bene l'idea: io non andrò a votare.

    Pubblicato 12 anni fa #
  24. A.

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    Moderatore

    Infatti non si era capito, davvero.

    Pubblicato 12 anni fa #
  25. llux

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    Membro

    Non ho mai avuto simpatia per i medici che scherzano nell'esercizio delle loro funzioni: ma come, io vengo da te perché sto male e tu ti metti a far battute? Se voglio ridere vado al cinema o a vedere una commedia a teatro.
    M'hanno stufato questi che si propongono in vesti non consone al loro ruolo, che si affidano agli spin doctors e che vengono a parlarti di come rimetterebbero in piedi questo Paese utilizzando la comicità spicciola da venditori di pentole e materassi o gli spezzoni dei film per commuovere le masse, manco fossero Tornatore con la scena dei baci tagliati in Nuovo Cinema Paradiso. Certo, neanche Bersani o Vendola (anche se pure lui ha fatto una campagna elettorale da man-in-black per la presidenza della regione Puglia) hanno la ricetta in tasca ma almeno, vivaddio, 'sti spettacoli ce li risparmiano.
    Non sono una fan di Concita, ma questo suo articolo merita una lettura fra le righe.

    Prof, sedicenni e "spie" dei rivali
    ecco il melting pot del Renzi show
    Molti i neofiti fra il pubblico: "Cerchiamo una sinistra lontana dalla Fiom". Dal tecnico del suono ai filmaker, Matteo ha scelto persone più brave di lui
    di CONCITA DE GREGORIO

    ROMA - Cambio di prospettiva. La campagna elettorale di Matteo Renzi bisognerebbe provare a guardarla dal palco: spalle al protagonista e occhi negli occhi al pubblico. Proprio come fa il fotografo - bravissimo - che ad ogni tappa dà il visto si stampi ad un'immagine sempre uguale e ogni volta diversa: Matteo di spalle, camicia bianca e pantaloncini affusolati, che parla alla folla inquadrata di prospetto e col grandangolo, assiepata nei teatri e nelle piazze. Effetto: un uomo solo e la moltitudine. Nelle foto gli sguardi delle cuoche della festa di Ravenna, i capelli col gel dei ragazzini di Monza, la messa in piega delle anziane signore del Politeama di Varese, i giovanotti con la borsa a tracolla e le insegnanti trentenni dell'Auditorium di Roma. Una foto, lo sa bene Renata Polverini, può decretare l'inizio e la fine di ogni cosa. Molto più delle cronache di giornale, delle analisi, dei mille commenti in chat. Una foto che dice, per esempio, che nell'autunno in cui alle Feste del Pd si è segnato il minimo storico di presenze (perché erano tante e tutte insieme, certo, perché faceva freddo e pioveva, sì, perché alle feste ci vanno solo i militanti mentre nei teatri e nelle piazze ci vanno tutti, d'accordo) ecco negli stessi giorni, però, guardate bene in faccia la platea di Renzi. Di qua, ai dibattiti di partito, militanti di mezza età inoltrata seduti composti sulle sedie. Di là ai comizi di Matteo, giovani e vecchi seduti ovunque, per terra e sulle scale, amici nemici e curiosi, addetti stampa degli avversari venuti a prendere appunti con l'Iphone e ragazzini non ancora in età di voto che "mi interessa perché domani c'è assemblea, a scuola, e così racconto cosa dice". Potete non crederci, che ci siano sedicenni che vanno in gruppo ad ascoltarlo, ma ci sono.

    A Ravenna è venuto a sentire il parrucchiere del paese vicino, Alfonsine, che "le ragazzine sono pazze di lui, vorrei capire perché". A Forlì la cuoca della Festa dell'Unità "che potrebbe avere l'età di mio nipote mi fa tanta tenerezza, mi dà speranza". A Monza l'imprenditore ex socialista "che non so, ci devo pensare ma certo la destra ormai fa schifo e a sinistra ci sarà pure qualcuno che non parla solo la lingua della Fiom". A Varese, culla leghista, la vecchina coi capelli blu che vorrebbe farsi autografare la sua foto "perché mi piace un casino". Dice così, la settantenne: un casino. Certificato dai video.

    Visto dal palco, letto negli occhi di chi guarda, lo show di Renzi funziona. Fa ridere e scalda, coinvolge, non annoia. Perché questo sono, i comizi di Renzi. Uno spettacolo: un format studiato nei dettagli - colori sul palco, rosso e blu come Obama, luci, regia, quattro pillole di video, sempre le stesse, tre o quattro immagini che lui chiama sul maxischermo a comando con la confidenza del tu all'interlocutore invisibile alla consolle: "mi dai Curiosity?, ce l'abbiamo?". Certo che ce l'abbiamo, che domande. Ecco Curiosity, il rover della Nasa che cammina su Marte, "ho controllato, è costato meno dei lavori alla Salerno Reggio Calabria". Risate, applausi. Le battute sono sempre le stesse, dall'ampolla del dio Po all'alzate la mano se pensate che spendiamo troppo per il pubblico impiego. Le pillole in video anche, scelte con sapienza televisiva: alleggeriscono, emozionano. Arrivano dove lui da solo non arriverebbe. Troisi che a "ricordati che devi morire" risponde "ora me lo segno", per dire dello sconfittismo di certa sinistra, riscatta anni di cupezza nei cinquantenni che "Non ci resta che piangere" lo videro in prima visione. Cetto La Qualunque nella gag dello scontrino fiscale scatena i venti-trentenni dello sciagurato ventennio della furbizia al potere. Will Smith che dice al ragazzino "non permettere a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa" illanguidisce le giovani madri e le nonne. Crozza con l'orsetto che fa il verso al bambino Renzi fa ridere il pubblico televisivo, cioè tutti. Obama che parla della bimba Christina uccisa a Tucson - obiettivamente: superlativo - chiude lo show, due minuti di silenzio solido in platea e standig ovation, commenti all'uscita su quanto è bravo Obama, mamma mia, piccoli capannelli nel foyer, "Ma hai sentito quando dice che bisogna tenere in vita le aspettative dei bambini?". E sì era Obama, non Renzi, ma è uguale.

    Perché almeno in una cosa, sicuramente in questa sì, Renzi ha già sconfitto tutti gli avversari: si è circondato di persone più brave di lui. Non ha avuto paura che gli facessero ombra, i collaboratori. Ha preso su piazza i migliori: lo spettacolo dell'Auditorium, chiunque abbia mai allestito anche solo un palco di paese lo sa, è un oggetto teatrale semplicissimo e sofisticato, costoso, studiato e provato nei particolari. Il regista, il tecnico del suono, gli autori dei testi, i filmaker che riversano sul blog le interviste fatte per strada, l'organizzatore che prende al volo la sala una settimana prima. Tutto funziona meglio di quando non accada agli altri, basta dare un'occhiata il giorno dopo sul web per verificare. Non è solo Gori, anche se Gori è molto. Non sono nemmeno le risorse, cioè il denaro: anche gli altri ne dispongono in sufficiente quantità. E' una rete di competenze al lavoro, e la differenza si vede. Il pubblico applaude con convinzione, ed è un pubblico davvero misto per età e formazione, per provenienza politica. A Varese, nel teatro strapieno, c'è "una minoranza di ex leghisti, pochi del Pd", annota sul taccuino la giornalista locale che i militanti politici li conosce quasi tutti di persona. Il resto "sono gente qualunque, quella è la mia vecchia prof del liceo. Quella la libraia del corso. Quello lì un avvocato, democristiano mi pare. Gli altri non so, alle manifestazioni politiche non li ho mai visti". A Roma, alle nove di sera a due passi dal Vaticano, ci sono gli ex addetti stampa di D'Alema, di Franceschini e di Prodi, gli uomini del Campidoglio di Veltroni e quelli di Alemanno, i pdl Fabrizio Santori e Gianluigi de Palo assessore alla scuola del Comune. "Questo ha già vinto", si dicono i collaboratori di Alemanno dando un'occhiata alla sala. "Macché, sono tutti curiosi", rispondono dal capannello bersaniano.

    Tutti no. In massa si fermano a firmare gli otto referendum per Roma proposti dai radicali, poi dentro in sala tutto pieno fino in galleria. Renzi batte e ribatte sulla scuola, gli asili nido e la formazione, il merito e i professori che fanno il mestiere "più bello e più importante del mondo". Tre video su cinque (Crozza, Will Smith, Obama) parlano di bambini e lui stesso manda di sé questo messaggio: racconta del figlio undicenne, poi diventa in proprio il portabandiera dell'innocenza e del coraggio di un bambino. In platea, tra i tanti, tre sedicenni compagni di classe. Mattia Fiorilli, David Valente, Federico Stefanutto. A Federico piace, a Mattia per niente, David è dubbioso. "Siamo venuti a sentire, così poi possiamo discutere meglio". La madre di un loro compagno di scuola passa e li riconosce, li saluta, si compiace. Mattia dice che "però tutta questa roba è fuffa, è solo buona per la tv". Federico si accalora, non è vero, David ascolta. Una giovane donna, il doppio dei loro anni, si ferma a guardare la scena. "Ma ragazzi, voi l'avete mai sentito un uomo politico parlare di asili nido?", domanda. Vorrebbe fermarsi a parlare con loro ma s'è fatto tardi, scusi signora, domani c'è scuola e fra mezz'ora chiude la metro.

    La Repubblica- 26.09.2012

    Pubblicato 12 anni fa #
  26. llux

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    Membro


    Pubblicato 12 anni fa #
  27. Sì, penso che per Massimo D'Alema questo sia il momento migliore per uscire di scena e lasciare spazio ad altri. Farebbe bene a seguire l'esempio di Uolter.

    Pubblicato 12 anni fa #
  28. zaphod

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    Fondatore

    Il mestiere dei vecchi (detentori di posizioni di potere) non è fare spazio ai giovani (portatori di idee nuove). Sarebbe dovere di questi giovani trovare la maniera di prendere il posto di quei vecchi. Renzi è giovane e capace di trovare nuove idee per insidiare la posizione di potere dei vecchi. Ma non porta, così a occhio, una idea "vincente in assoluto" che sia in grado di sbaragliare il campo. E a me delle lotte interne agli sconfitti non mi interessa niente. Se gioco, gioco per vincere, o almeno per provarci. La sensazione è che lui sia più determinato a mettere sotto quelli del suo partito che gli altri.

    Pubblicato 12 anni fa #
  29. Walter non esce di scena. Ha solo fornito un assist a Renzi per far fuori D'Alema. Considera che di poltrone, dopo la decisione di Zingaretti di candidarsi alla Regione, ne rimangono due: quella di Presidente della Provincia e quella, udite udite, di Sindaco di Roma. Che a Walter gli piace fare il sindaco di Roma. Ci gode a fare il sindaco di Roma. Lui si può dire quasi che abbia iniziato a fare politica per fare il sindaco di Roma.

    Pubblicato 12 anni fa #
  30. A.

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    Moderatore

    L'ho pensato subito anche io il fatto di Roma... proprio così credo

    Pubblicato 12 anni fa #

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