Facciamo un po' d'ordine. Anche perché Pasolini ha avuto spesso a che fare per i tribunali e non sempre per reati legati alla sua omosessualità. Era un personaggio scomodo, sotto parecchi punti di vista.
(fonte http://www.scudit.net/mdpasprocessi.htm)
Per i fatti di Casarsa, Pasolini viene assolto, nel 1952, "perché il fatto non costituisce reato e per mancanza di querela".
Il 17 novembre 1957 il ragioniere Vincenzo Mancuso, sindaco del comune di Cutro in provincia di Catanzaro, querela Pasolini per "diffamazione a mezzo stampa". Pasolini in un suo articolo sul Sud del paese aveva scritto "A un distendersi di dune gialle, in una specie d'altopiano, è il luogo che più mi impressiona di tutto il viaggio. E' veramente il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano al loro atroce lavoro, c'è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia...". Il tribunale di Milano pronuncia sentenza di non doversi procedere.
Due giornalisti hanno dichiarato di aver visto parlare Pasolini con due ragazzi al porto di Anzio, per poi andare al ristorante. Usciti dal ristorante i giornalisti chiedono ai ragazzi che cosa avesse detto loro Pasolini; questi indicando altri ragazzi a bordo di una barca nel porto confessano che il poeta ha chiesto loro "Quanti anni hanno?" Alla risposta "Dodici anni", aveva commentato: "Però avranno dei bei cazzetti". I giornalisti hanno così informato la polizia. Il procuratore di Velletri, competente per territorio, invia la pratica al procuratore della Repubblica di Roma. Quest'ultimo gliela rimanda non ravvisando il reato di corruzione di minorenne, ma al più, il reato di turpiloquio. Il procuratore generale di Velletri invia, allora, il procedimento alla pretura di Anzio. Interrogati, i minori dichiarano di aver ricevuto cento lire dai due giornalisti per parlare del fatto. La querela viene archiviata perché non si ravvisano ipotesi di reato.
La notte tra il 29 e il 30 giugno 1960, in via Panico scoppia una furibonda rissa tra due gruppetti di ragazzi. Tra la confusione generale, a una ragazza viene rubato un anello con granati del valore di ventiquattromila lire, mentre un altro ragazzo viene derubato di una catenina e di un orologio d'oro. La refurtiva verrà ritrovata in casa di uno dei partecipanti alla rissa, Luciano Benevello. Interviene Pasolini che, con la sua Giulietta, accompagna Benevello a casa. Pasolini viene accusato di aver voluto deliberatamente agevolare la fuga di Benevello e di aver partecipato, egli stesso, alla rissa. La stampa si accanisce sul caso e criminalizza lo scrittore. Il 16 novembre 1961 il Tribunale di Roma assolve Pasolini per insufficienza di prove.
Il commesso di un bar a S. Felice Circeo, sostiene che uno sconosciuto, dopo aver bevuto una Coca-Cola e dopo aver fatto molte domande, avrebbe indossato un paio di guanti neri, inserito nella pistola un proiettile d'oro e cercato di rapinarlo dell''incasso della giornata.
Il barista cerca di reagire e colpisce con un coltello la mano del rapinatore, che fugge.Il giorno successivo il barista vede passare per strada una Giulietta, in cui riconosce il suo rapinatore: prende il numero di targa e fa una denuncia ai carabinieri. In quella Giulietta c'è Pier Paolo Pasolini. I carabinieri di Roma perquisiscono l'abitazione e la macchina di Pasolini in cerca della pistola. Pasolini ammette di essere entrato nel bar, di aver bevuto una Coca-Cola, di aver fatto alcune domande, ma di essersi poi diretto a S. Felice Circeo, dove stava lavorando alla sceneggiatura di Mamma Roma. La sua versione non convince e viene rinviato a giudizio.
I giornali della sinistra e quelli moderati difendono Pasolini contro l'assurda accusa, mentre i giornali di destra attaccano, come al solito, senza mezze misure lo scrittore.
Il processo si apre a Latina. L'avvocato difensore di Pasolini, il democristiano Carnelutti, viene sospettato dai giornali di essere l'amante dello scrittore. Pasolini viene condannato a quindici giorni di reclusione, più cinque per porto abusivo di armi da fuoco e diecimila lire per mancata denuncia della pistola, con la condizionale. I difensori presentano immediatamente appello. Il 13 luglio 1963 la corte d'appello di Roma dichiara di non doversi procedere contro Pasolini per estinzione del reato intervenuta per amnistia. L'avvocato di Pasolini, Berlingieri, ricorre in cassazione per ottenere l'assoluzione con formula piena, ma ottiene solo un'assoluzione per mancanza di prove.
Antonio Vece, un maestro elementare di Avellino sporge denuncia presso la polizia giudiziaria di Roma contro Pasolini. Dichiara di essere stato avvicinato da Pasolini, di essere salito sulla sua Giulietta, di essere stato portato in aperta campagna, minacciato, malmenato e derubato di un capitolo di un suo romanzo. Due giorni dopo, al commissariato di polizia di Centocelle, confessa di aver inventato ogni cosa. Viene denunciato per simulazione di reato, che sarà archiviata in data 2 dicembre 1965.
L'ex deputato democristiano, avvocato Salvatore Pagliuca, cita in giudizio Pasolini e la società Arco film. La denuncia si riferisce al film Accattone, e al fatto che un personaggio di malavita del film, ha lo stesso nome dell'avvocato. Chiede la soppressione del suo nome dal film e il risarcimento per danni morali e materiali. Pagliuca usa questa vicenda a scopi elettorali per la propria elezione al parlamento. Non viene rieletto e il giudizio si chiude con una sentenza che respinge il risarcimento dei danni morali e con l'obbligo di eliminare il nome del Pagliuca dal film. Obbliga Pasolini e la Arco Film al risarcimento dei soli danni materiali.
Il tenente colonnello Giulio Fabi denuncia alla procura della Repubblica di Venezia il film Mamma Roma, proiettato alla XXIII Mostra del cinema di Venezia, per offesa al comune senso della morale e per il contenuto osceno. Soliti attacchi dei giornali della destra italiana, che questa volta si traducono in atti di boicottaggio e di violenza da parte dei gruppi di estrema destra. Il 5 settembre 1962, il magistrato giudica infondata la denuncia e dichiara di non doversi procedere l'azione penale.
"Un giorno, un pazzo m'ha accusato di averlo rapinato (con guanti e cappello neri, le pallottole d'oro nella pistola): tale accusa è passata per buona e attendibile, perché a un livello culturale sottosviluppato si tende a far coincidere un autore coi suoi personaggi: chi descrive rapinatore e rapinato" [Pier Paolo Pasolini, articolo apparso su "L'Espresso"]. Per queste parole, Bernardino De Santis, il barista rapinato al Circeo, querela Pasolini per diffamazione. Il 31 gennaio 1967, il Tribunale di Roma "dichiara di non doversi procedere" contro Pasolini, "per essere il reato estinto per intervenuta amnistia".
ecc. ecc.
Per me rimane valida la condanna del PCI. «Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese»