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Unità d'Italia

(51 articoli)
  1. Get the Video Widget

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. A.

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    Moderatore

    Ieri sono tornato da una gita a Roma con la mia classe. Tra le varie cose di prammatica , abbiamo visto il Museo del Risorgimento. Molto bello, ingresso libero e tutto quanto, ivi compresi cimeli e reliquie (sic! come se quelli fosseroro matiri santi del protocristianesimo) dei martiri del risorgimento. La guida ci ha detto che da 4 mesi non è più pagato. Guida,per modo di dire. Uno storico che lavora nel piano di sopra su fonti d'archivio. La mia età. Gli ho dato una pacca sulla spalla, e cinquanta euro in nero, raccolti dalla classe.
    Il museo del Risorgimento sta dietro il Vittoriano, è stato riaperto per volontà di Ciampi. Prima per trent'anni era rimasto chiuso con le ragnatele. Ha ancora un magazzino pieno di cose che non saranno mai esposte perchè non si trovano i soldi per pulirle o catalogarle adeguatamente. Tra un po' dovranno mettere anche un biglietto d'ingresso.Metà se lo frega la S.I.A.E., quindi se devono prendere 2 euro, devono mettere un biglietto da 4. Ma per i soldi di cui abbisognano, dovrebbero metterne uno da 10. Così facendo, però, nessuno andrebbe a visitarlo.
    Poi siamo andati a Palazzo Madama, abbiamo visto il lavoro d'aula. C'erano tre senatori, un sottosegretario, e il vicepresidente del Senato (la Bonino). Quando lei ha letto il foglio datole dal commesso che annunciava la presenza del Liceo Russel da Cles- Trento, tutti i senatori si sono alzati e ci hanno applaudito. Noi , istruiti dal commesso, ci siamo alzati senza applaudire. E' stato un bel momento. Mi sono sentito fiero di essere italiano.
    Poi abbiamo fatto un giro per i locali di Palazzo Madama. La stanza dei giornali è molto bella, affrescata con scene storiche legate al Senato romano (Cicerone che addita Catilina), greco, etc. Il contesto è molto luminoso, felpato, lussuoso, come un guscio di noce che protegge dalle intemperie del quotidiano incedere del Neutro essere distruttore. Certo, rifugio sepre precario, ritorno nell'utero della madre- ma questo è il sogno comune. E se si deve scegliere, meglio là che nel proprio letto, per dire.
    Ho pensato infatti che chi sta là dentro a tutto pensa tranne che ad andarsene, a tornare nel mondo normale dei cristiani normali che lavorano, litigano per un parcheggio, pagano le tasse, fanno la fila, sudano nella metropolitana, scrivono sui forum, bestemmiano per un rigore non dato... Ci si sta troppo bene.
    Si lavora tre giorni alla settimana per un paio d'ore. Si guadagna 15 volte quello che guadagno io lavorandone 18+ preparazioni varie. Vuoi mettere che uno voglia abbandonare quel paradiso. Ma che gliene frega con chi sta. Basta che sta là. Servito e riverito. Voglio anche io diventare senatore. Sempre meglio che lavorare. Deputato no, troppo casino.

    Al Museo del Risorgimento c'erano i Padri della Patria. Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour Mazzini.
    Lui sempre vestito di nero per il lutto per la Patria disunita. Figura in una bacheca con i suoi occhiali, le sue lettere, e un foglio della polizia pontificia che segna i tratti identificativi (non esistevano ancora le carte d'identità con le foto). Corporatura minuta, sguardo intenso, capelli corvini:"Fronte bellissima", c'è scritto. Mi ha colpito.
    Viva l'Italia, viva la libertà, viva il Tricolore. Viva Giuseppe Mazzini.

    ps. A Roma ormai c'è la tassa di soggiorno. Tre euro al giorno a persona. Siamo stati 3 giorni, 9 euro. Servono per far andare la benzina dei camion della N.U. Le scorie di una megalopoli inerte, sotto la pioggia di marzo, attorno al cuore della città. Campo de' fiori, e la statua nera di Giordano. Bruno. Là, nella Libreria Farenheit 451, aperta sino a mezzanotte, ho fatto comprare una copia di Mammut alla mia collega di italiano.

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. k

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    Bel pezzo, A. Perchè non prova a darlo a qualche giornale?

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. zanoni

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    Membro

    mi associo all'invito di K, il pezszo merita di essere pubblicato.

    prima di proporlo, pero', penso che A. debba rivedere le sue considerazioni relative alla SIAE: perche' i musei NON pagano i diritti SIAE, il balzello esiste solo per le mostre (anche per le mostre allestite nei musei che richiedono un sovrapprezzo rispetto al costo normale del biglietto d'ingresso).

    e ci anredi molto cauto sulla guida che non viene pagata: perche' sarebbe il caso di appurare per chi lavora e per quale motivo non viene pagato.

    per il resto, A., non pensi che la suggestione 'martiri cristiani - martiri risorgimentali' sia voluta (direi anche culturalmente determinata)?

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. A.

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    Moderatore

    Grazie K e Zanoni. (Se volete mettetela in bacheca)

    Ps.@ Zanoni. La suggestione era nei fatti: Ci sono reperti, schegge di ossa, capelli, fazzoletti, pezzi di veste, etc. Non dimentichiamoci che tutto il museo nasce come un monumento sepolcrale. Tanto è vero che fuori, sulla scalinata, c'è la salma del Milite ignoto.
    Si tratta di quella che Emilio Gentile e la sua scuola chiamano "la religione della patria". Con i suoi profeti, i suoi santi e i suoi martiri. Aveva certo una funzione paracristiana.Quindi culturalmente analoga. Non saprei dire se determinata dal cristianesimo. Cose simili ci sono in molte culture.

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. big one

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    Poi siamo andati a Palazzo Madama, abbiamo visto il lavoro d'aula

    ho apprezzato il tuo pezzo con tutte le sensazioni ed emozioni che hai provato e che sei riuscito a trasmettere.
    ti chiedo solo la cortesia - nel caso decidessi di pubblicare anche altrove questa pagina - di sostituire il termine commesso con assistente parlamentare (va bene anche solo assistente).
    lo so, suona male in un racconto così intenso, e sicuramente non lo sapevi, però per noi fu una importante conquista sindacale.
    grazie

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. A.

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    Moderatore

    Non sapevo, chiedo scusa.

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. big one

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    lo so che non lo sapevi
    per questo quando mi è possibile spiego
    qual è la giusta definizione.
    grazie ancora

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. k

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    Mi spiace, Big, ma come vorresti essere chiamato tu è del tutto ininfluente rispetto al tuo vero nome nella lingua parlata, che è determinato da come ti chiamano e ti percepiscono gli altri. Quella figura tecnica in divisa che assiste e smista il traffico e il lavoro nelle due Camere è chiamata da tutto il normale popolo dei parlanti in Italia "commesso". Quando gli dici "assistente parlamentare", invece, la gente si crede che è il più volgare "portaborse", che non è personale tecnico e non sta in divisa (e non ha fatto nessun concorso), mentre è invece più propriamente politico, nel senso di sciacquino del rispettivo parlamemntare che se l'è scelto. Poi fate come vi pare, ma è come l'operatore ecologico: io non ci so' cazzi, se me lo scrivete in Colonia, io ve lo scancello subito.

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. big one

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    ed è proprio la lingua parlata che va lentamente educata.
    se pochi conoscono la definizione corretta, questa va pubblicizzata
    e, dove possibile, spiegata.
    se nessuno parlerà mai della differenza tra assistente parlamentare e collaboratore del parlamentare si continuerà a fare confusione.
    io te lo dico poi tu fai come ti pare.
    come con lo spazzino.

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. k

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    Pietro Bembo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. k

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    Membro

    Dice: "Ma ci ripensi?". Sì che ci ripenso:

    O Big, ma mo' manco vi bastavano tutti i soldi che pigliavate a fine mese? Mo' vi rodeva pure il culo che vi chiamassero commessi? E noi che cazzo dovevamo dire, che non solo ci chiamavano operai, ma poi quasi manco ci pagavano? Ma vattela a piglià nderculo, va'! E mo' facciamo una proposta al Tg1 che lo debbono per forza dire tutti i giorni, no? "Non li chiamate più commessi, sinnò s'offendono". Poi dice che non cià ragione A. Altro che aula sorda e grigia. I primi fìdenamignotta lì eravate voi?

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. la lavandaia

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    Unità d’Italia in rosa

    Il tricolore sventola a ricordo di tante battaglie per l’Unità d’Italia, uomini pronti a lasciare tutto per un ideale, per l’amore supremo della patria.
    Sì, uomini, ma con l’ausilio a volte silente seppur efficace delle donne.
    Madri, mogli, figlie, amiche, pronte a incoraggiare i loro uomini, pronte a piangere per i loro uomini, pronte a lottare per i loro uomini. Queste siamo noi, semplicemente Donne.
    Donne dell’Unità d’Italia, identità variegate, forti ed evanescenti; donne in continuo mutare e mentre un divenire si fa memoria può diventare progetto.
    Un divenire dove non sempre è chiaro chi sono le comparse e le protagoniste, dove consapevolezza e dipendenza non sempre sono in antitesi; un divenire che è diventata la nostra storia.
    Correva l’anno 1861 quando Massimo d’Azeglio profferì l’ormai celebre frase “ fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”.
    Mi piace pensare che tale frase fu detta rivolgendosi alle donne di tutti quegli uomini che certamente erano in prima fila ma che senza l’ausilio delle donne non sarebbero arrivati lontano.
    Tante le figure femminili della storia d’Italia, di molti non ne conosciamo nemmeno il nome ed è a loro che va quest’oggi il mio pensiero: Sorelle d’Italia senza onori ma con tanti oneri.
    Migranti di ieri e di oggi
    Casalinghe, intellettuali e contadine
    Queste sono le donne che hanno e stanno costruendo il nostro Paese.
    Donne anonime che dopo la battaglia di Solferino hanno curato i feriti di entrambi le parti; donne presenti sulle barricate; donne che aprivano i loro salotti perché diventassero luoghi di aggregazione politica;donne che hanno creduto in un progetto e si sono immolate per la loro realizzazione.
    Semplicemente Donne!
    Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti e tante battaglie si sono fatte per la piena realizzazione dell’universo femminile.
    La nostra carta costituzionale, ispirata da donne silenti ma efficaci, all’art. 37 così recita “ la donna lavoratrice ha gli stessi diritti ed a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore ….”
    Donne che lavorano! E quelle che non lavorano?
    Tante giovani sentono oggi il peso della ricerca affannosa del lavoro e poche sono le risposte che i ns Governi forniscono. Tante donne vorrebbero dedicarsi completamente alla famiglia e non possono poiché non vi sono politiche atte a tutelare anche economicamente una scelta così importante.
    Sicuramente le conquiste sono state tante e mi piace citare, una fra tutte, la legge 154 del 2001 – misure contro la violenza nelle relazioni familiari- prevede l’allontanamento del familiare violento per via civile o penale ed, inoltre, assicura misure di protezione sociale per le donne che subiscono violenza.
    Tante le donne vittime di violenza e, spesso, dentro le mura domestiche.
    Tante le donne che rinunciano alla loro libertà mentale per paura; tante le donne vittime di un retaggio culturale e generazionale che non permette loro di volare come aquile.
    Sì! Crediamo di aver fatto delle conquiste, ma ancora dobbiamo lottare dentro la famiglia per essere noi stesse.
    A voi care Sorelle d’Italia mi rivolgo in questa giornata particolare tutta in rosa, continuiamo a sognare, continuiamo a lottare, continuiamo a credere nell’amore. Come sosteneva Virgilio “Ominia vincit amor”.
    A noi, meravigliosamente Donne, tutto è possibile! Dio ci ha pensato per partorire, per incoraggiare, per stimolare, per volare.
    La lavandaia

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. magda

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    Pubblicato 13 anni fa #
  15. big one

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    Membro

    Non li chiamate più commessi, sinnò s'offendono

    io so che dal '93 in seguito alla riforma delle carriere sul mio documento e sulla mia busta paga non c'è più scritto commesso ma assistente parlamentare.
    non è fondamentale per nessuno ma chi legge questo forum e non lo sapeva adesso lo sa.

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. Mr Darcy

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    come Andreotti ... fino al '93 ...

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. zanoni

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    Membro

    non è fondamentale per nessuno ma chi legge questo forum e non lo sapeva adesso lo sa.

    Big, il problema pero' e' che se io dico a qualcuno che ciò un amico bello grosso che fa l'assistente parlamentare, la risposta sara' invariabilmente: 'di chi?'

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. zanoni

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    Membro

    Si tratta di quella che Emilio Gentile e la sua scuola chiamano "la religione della patria"

    RELIGIONE della patria. non mi sembra ci sia molto altro da aggiungere

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. la lavandaia

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    Membro

    infatti una volta mi chiamavano Assistente Parlamentare ed ero una "volgare portaborse".
    Nel linguaggio comune - basta fare un giro per le segreterie- si usa così.

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. big one

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    Membro

    Big, il problema pero' e' che se io dico a qualcuno che ciò un amico bello grosso che fa l'assistente parlamentare, la risposta sara' invariabilmente: 'di chi?'

    e tu spiegaglielo

    per la lavandaia
    mi dispiace che il tuo bel pezzo sulle Donne d'Italia sia quasi passato inosservato per colpa di questa inutile discussione.
    io ho voluto mettere un puntino sulla i dove era stato dimenticato.

    p.s. avendo lavorato come collaboratrice di un parlamentare e frequentando il palazzo sai quindi che la definizione di commessa per le mie colleghe non esiste.

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. la lavandaia

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    Membro

    Sì, in effetti il termine commessa non si usava allora e credo manco oggi.
    sebbene con alcune, semplicemente per il gusto di ridere, ci si chiamava commesse della Auchan

    p.s: non preoccuparti per il pezzo, tanto ce so abituata. scrivo per il piacere di scrivere e se poi la gente non legge non è problema mio. Anche se secondo il correttore di Tullio De Marco i miei pezzi risultano ottimi.
    chissà forse tra 22 anni vincerò il premio bancarella - der pesce-

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. big one

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    Membro

    ci si chiamava commesse della Auchan

    anche io che mi sono sempre definito un alto dipendente del senato (e non dicevo un filo di bugia!)
    un giorno sono riatterrato quando mi hanno ricordato
    che facevo il commesso in centro a Roma!

    p.s. non so quando hai scritto quel pezzo ma per la giornata di ieri meritava di essere messo in homepage

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. k

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    Membro

    M'è arrivata per mail questa cosa. La riporto pari pari per puro dovere d'informazione.

    AMO LA MIA PATRIA,
    ma non come è stata fatta
    da una ristretta cerchia d’intellettuali distanti dal popolo
    combattuta da potenze straniere
    ai danni di un sud depredato e violentato

    di Gianfredo Ruggiero

    Nella prima metà dell’800 l’Italia centro settentrionale era divisa in una moltitudine di statarelli arretrati e in profondo ritardo sulla rivoluzione industriale che, partendo dall’Inghilterra, stava cambiano il volto dell’Europa.

    Nel sud d’Italia la situazione era molto diversa. Il meridione, dopo essere stato faro di civiltà con la Magna Grecia prima e la Roma Imperiale poi, attraversò un periodo di decadenza causato dalle continue dominazioni straniere e le successive vessazioni dei vicerè spagnoli.

    La rinascita del sud avvenne nel 1816 con la costituzione del Regno delle Due Sicilie, uno Stato italiano del tutto indipendente retto da sovrani italiani che riprese il cammino di modernizzazione e di progresso culturale avviato da Federico II, il più grande imperatore che l’Italia abbia mai avuto dai tempi di Roma.

    Sotto la dinastia dei Borboni (a tutti gli effetti napoletani) fu avviata la riorganizzazione delle amministrazioni locali cui fu data ampia autonomia (antesignana del federalismo municipale con cui oggi si baloccano i leghisti), fu dato grande impulso all’industria sia metallurgica che cantieristica, all’agricoltura, alla pesca ed anche al turismo, segno di un diffuso benessere.

    Le ferrovie, inventate nel 1820, ignote in Italia, fecero la loro prima apparizione a Napoli (1839). Nel 1837 arrivò il gas e nel 1852 il telegrafo elettrico.

    La riforma agraria pose fine alle leggi feudali e permise di bonificare paludi e di incrementare l’agricoltura.

    Grande impulso fu dato alla cultura, all’arte e alle scienze: il teatro San Carlo, primo al mondo, fu costruito in meno di un anno. In quegli anni sorsero il Museo archeologico, l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico, l’Osservatorio Sismologico Vesuviano, la Biblioteca Nazionale, l’Accademia delle Belle Arti, l’Accademia Militare la Nunziatella. Scuole pubbliche e conservatori musicali erano presenti in ogni città.

    L’Università di Napoli, divenne al pari della Sorbona di Parigi, il più grande polo culturale dell’Europa.

    Lo sviluppo industriale fu travolgente con 1 milione e 600mila addetti contro il milione e 100 del resto d’Italia. I primi ponti in ferro in Italia, opere d’alta ingegneria, videro qui la luce.

    Le navi Mercantili del Regno delle Due Sicilie solcavano i mari di tutto il mondo e la sua modernissima flotta, costruita interamente nei cantieri navali meridionali, era seconda solo a quella Inglese. Nel 1860 contava oltre 9.000 bastimenti e nel 1818 era stata varata la prima nave a vapore italiana.

    Le industrie tessili e metallurgiche si svilupparono in tutto il Regno (solo quella di Pietrarsa dava lavoro ad oltre mille operai a cui si aggiungevano i settemila dell’indotto).

    Nel Regno delle Due Sicilie la disoccupazione era praticamente inesistente e così l’emigrazione (per tornare a questa situazione bisognerà attendere gli anni trenta del ‘900). Gli sportelli bancari, altro segno di sviluppo economico, erano diffusi in ogni paese. E’ qui che videro la luce i primi assegni.

    La Sicilia, la Campania ed il basso Lazio erano ricchissimi di reperti archeologici etruschi, greci e romani che affiancati da musei e biblioteche diedero un impulso alla costruzione di alberghi e pensioni per accogliere i numerosissimi visitatori. Sorsero così le prime agenzie turistiche italiane.

    Carlo III di Borbone fondò l’Accademia di Ercolano che diede l’avvio agli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano. Oggi Pompei è una delle città più visitate al mondo.

    La sanità non era da meno con oltre 9mila medici usciti dalle Università meridionali che operavano in ospedali e ospizi sparsi in tutto il territorio. Il Regno delle Due Sicilie poteva vantare la più bassa mortalità infantile d’Italia.

    Le strade erano sicure e la mafia, che soprattutto oggi affligge il sud e non solo, non esisteva neppure come parola.

    Dal punto di vista amministrativo il Regno del Sud godeva ottima salute, non a caso la Borsa di Parigi, allora la più grande al mondo, quotava il Regno al 120 per cento, ossia la più alta di tutti i Paesi.

    Nella conferenza internazionale di Parigi nel 1856 fu assegnato al Regno delle Due Sicilie il premio di terzo paese del mondo, dopo Inghilterra e Francia, per lo sviluppo industriale.

    Come mai allora Garibaldi con soli mille uomini riuscì ad abbattere un Regno così ben organizzato e sostenuto dal suo popolo?

    Per dare risposta a questa domanda dobbiamo prima capire chi fece realmente L’Unità d’Italia.

    A partire dai fratelli Bandiera, che sbarcati a Cosenza il 16 giugno 1844 per organizzare la sollevazione popolare furono invece accolti dai forconi dei contadini, tutti i tentativi di insurrezione popolare, dalla Repubblica romana del 1849 di Mazzini ai moti carbonari, ebbero risultati effimeri perché il popolo era del tutto assente e disinteressato (a parte qualche malessere che sfociava in deboli rivolte).

    Al nord, dominato dagli austriaci, l’insofferenza era invece marcata, ma per motivi economici e non certo per idealismo patriottico.

    Di Italia Unita si parlava solo nei ristretti circoli intellettuali liberali e nei palazzi della politica piemontese. Il minuscolo regno dei Savoia era infatti smanioso di allargare i suoi confini e di contare sullo scacchiere europeo.

    La prima e unica guerra risorgimentale condotta in prima persona dai piemontesi contro l’Austria - comunque affiancati da regolari e volontari di altri stati italiani, tra i quali ben 16 mila napoletani guidati da Guglielmo Pepe - si trasformò in un disastro per le truppe sabaude.

    La seconda guerra d’indipendenza che portò all’annessione della Lombardia fu vinta grazie all’apporto della Francia di Napoleone III che a Magenta il 4 giugno 1859 sconfisse gli austriaci costringendoli alla resa. Al generale francese Patrice De Mac Mahon, artefice della vittoria, a Magenta è stato dedicato un monumento.

    La terza guerra per la conquista del Veneto fu vinta grazia agli accordi con la Prussia di Bismarck. La condotta delle truppe sabaude fu deludente e ancor di più quella della marina sonoramente battuta dagli austriaci nella battaglia di Lissa.

    Anche la tanto mitizzata presa di Roma avvenne grazie agli stranieri e non certo per il valore dei soldati piemontesi. I bersaglieri del generale La Marmora poterono infatti attraversare trionfanti la Breccia di Porta Pia e sconfiggere i pochi soldati svizzeri posti a protezione del Papa solo perchè seppero approfittare dei rovesci militari della Francia contro la Germania che costrinsero Napoleone III nel 1870 ritirare le sue truppe a difesa dello Stato Pontificio.

    Le Guerre d’Indipendenza furono pertanto vinte più dall'abile diplomazia di Cavour che dal sangue italiano e, cosa ancor più deprimente, senza alcun coinvolgimento popolare. A Parte le gloriose cinque giornate di Milano, fatto rimasto sostanzialmente isolato.

    Riunito sotto la corona Sabauda quasi tutto il nord, i Savoia volsero lo sguardo al ricco e prospero Regno del Sud contro il quale attivarono, ancor una volta, la loro spregiudicata diplomazia per ottenere il sostegno dell’Inghilterra.

    L’Inghilterra, che vedeva del Regno delle Due Sicilie un pericolosissimo concorrente marittimo, fu ben felice di assecondare le mire espansionistiche piemontesi.

    Si attivarono sopratutto i circoli massonici inglesi, a cui erano affiliati i padri del risorgimento da Mazzini a Garibaldi e lo stesso Cavour, per fornire quegli enormi finanziamenti necessari per corrompere generali e ammiragli borbonici e spingerli al tradimento. Una cifra enorme fu stanziata a tal scopo da Albert Pike, Gran Maestro Venerabile della massoneria di Londra, e da Lord Palmerson Primo Ministro della Regina Vittoria.

    Ma erano veramente mille i garibaldini? Certamente! Ma ogni giorno sbarcavano sulle coste siciliane migliaia di soldati piemontesi congedati il giorno prima e protetti dalla flotta Inglese dell’ammiraglio Mundy, a questi si unirono i soldati borbonici passati al nemico per denaro insieme ai loro generali Landi e Anguissola.

    Da mille che erano i garibaldini divennero in pochissimi giorni oltre 20.000, una vera e propria armata d’invasione sotto mentite spoglie. Infatti non vi fu alcuna dichiarazione di guerra.

    Il 13 febbraio 1861 cadeva la fortezza di Gaeta, ultimo baluardo borbonico. Per tre mesi, tanto durò l’assedio dell’isola, la città fu martoriata dai bombardamenti navali. Eroico fu Francesco II, il giovane Re napoletano, ed eroica fu la sua consorte Regina Sofia e l’intera popolazione che si strinse attorno ai loro sovrani nella strenua difesa della loro libertà.

    Ignobile fu invece il comportamento del generale piemontese Cialdini che non esitò un istante a scagliare oltre 160 mila bombe per massacrare l’intera popolazione su ordine di Cavour.

    Con la capitolazione di Gaeta finì il glorioso Regno che aveva fatto dell’Italia meridionale uno Stato autonomo ed indipendente, prospero e moderno. E da qual giorno iniziò l’inesorabile declino del sud reso possibile dalla incapacità e disinteresse dello Stato unitario prima e post fascista poi.

    Nel 1860 – e qui arriviamo al vero motivo che spinse lo statarello piemontese a inventarsi l’Unità d’Italia – il debito pubblico del Piemonte ammontava alla somma di oltre un miliardo di lire di allora, una voragine spaventosa che il piccolo Stato Sabaudo con i suoi 4 milioni di abitanti mai e poi mai sarebbe riuscito a colmare per l’arretratezza della sua economia montana.

    Nel 1861, quando avvenne l’unificazione del Nord con il sud, il Patrimonio aureo dell’Italia Unita era di 668 milioni di lire oro. Ebbene di questi ben 443 proveniva da Regno delle Due Sicilie e solo 8 alla Lombardia (il resto dagli altri stati annessi). Questa enorme massa di denaro proveniente dal sud permise di rimpinguare le disastrate casse del Regno di Savoia e a dare vigore alla sua asfittica economia.

    Appena sbarcato in Sicilia il primo obiettivo di Garibaldi fu…la zecca di Palermo per impossessarsi dei 5 milioni di ducati in oro depositati.

    Nei dieci anni successivi i piemontese effettuarono un vera e propria opera di spogliazione. Svuotarono le casse comunali, quelle delle banche, saccheggiarono le Chiese e smontarono i macchinari delle fabbriche per rimontarli al nord. Agevolati in questo dai molti notabili meridionali subito accasati, per denaro e potere, alla corte del nuovo sovrano.

    Nelle casse piemontesi finirono inoltre gli enormi proventi dalla vendita dei beni ecclesiastici confiscati e del demanio borbonico.

    Lasciando per sempre il suo Regno Francesco II disse profeticamente: “il nord non lascerà ai meridionali nemmeno gli occhi per piangere”.

    Quello che il giovane Re napoletano non poteva prevedere era l’ondata repressiva, i massacri di contadini, la fucilazione dei renitenti alla leva, i villaggi bruciati, le brutali violenze con tanto di esposizione di teste mozzate ad opera della soldataglia piemontese che per dieci anni avrebbero martoriato il suo ex-Regno. Spiace evidenziarlo, ma a macchiarsi le mani di sangue innocente furono in gran parte i bersaglieri.

    Alcuni giornali stranieri (la censura del governo al riguardo era rigorosa) pubblicarono delle cifre terrificanti nonostante fossero sottostimate: nel solo primo anno di occupazione vi furono 8.968 fucilati, 13.529 arrestati in gran parte deportati nei campi di concentramento e “rieducazione” al nord, 6 paesi dati alle fiamme, 12 chiese saccheggiate. Complessivamente si parla di un milione di contadini uccisi e decine di villaggi rasi al suolo. La chiusura per decreto di un numero imprecisato di scuole e di Chiese. (Vittorio Gleijeses: La Storia di Napoli, Napoli 1981 - Isala Sales: Leghisti e sudisti, Laterza Editore 1993 – Antonio Ciano: I Savoia ed il massacro del sud, ed. Granmelo, Roma 1996).

    Antonio Gramsci, nato in Sardegna ma originario di Gaeta, parlando della questione meridionale ebbe a dire”...lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori compiacenti tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

    I briganti per l’appunto…tutti i figli maschi erano obbligati, pena la fucilazione, a prestare il servizio militare per sparare ai loro fratelli del sud. Per chi si rifiutava non restava altra via che quella dei monti, braccati con l’infamante etichetta di “briganti”.

    Tanta ignominia ai danni del sud ha provocato delle profonde ferite che ancora oggi stentato a rimarginarsi, alimentate in questo dalle posizioni di supponenza etnica e di antimeridionalismo del partito di Bossi.

    Per tentare di unire veramente l’Italia, per superare i contrasti con la Chiesa e per sradicare il fenomeno mafioso bisognerà attendere l’avvento del Fascismo.

    Il Concordato del ’27 pose fine al contenzioso con la Chiesa di Roma, il grande programma di opere pubbliche e di bonifica diede lavoro ai giovani meridionali e la politica repressiva del Regime, con il Prefetto Mori, costrinse la mafia ad emigrare in America (per poi tornare al seguito delle truppe di liberazione).

    Oggi festeggiamo il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Brindiamo pure, caro Presidente della Repubblica, ma non dimentichiamoci della Storia, se vogliamo guardare al futuro.

    Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo Culturale Excalibur - Varese

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. cameriere

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    interessante.
    non poco.

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. zaphod

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    vaglielo a di'alla direnzo

    Pubblicato 13 anni fa #
  26. urbano

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    Domani centocinquant'anni fa, forse era domenica.
    Il regno di sardegna cambiò nome, divenne regno d'italia.
    Durò con poco e incerto onore fino al 1946, fino al quel bel giovedì 13, giovedì come domani, che vide la nascita della Repubblica. I re scapparono via per sempre, solo come buffoni televisivi esistono ancora.
    Auguri bella Repubblica, anche se domani non è la tua festa, auguri lo stesso.

    Pubblicato 13 anni fa #
  27. Woltaired

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    ..

    Pubblicato 13 anni fa #
  28. A.

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    Moderatore

    Quello che ha scritto quel coacervo di cazzate, nella peggiore tradizione antigiacobina e sanfedista, almeno si prendesse un manuale di storia delle medie.
    I reali del regno delle Due sicilie italiani!
    Il concordato del '27....!

    Viva l'Italia

    Pubblicato 13 anni fa #
  29. zanoni

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    I reali del regno delle Due sicilie italiani!

    italiani, italianissimi! i due ferdinando e i due Francesco sono nati in Italia ed erano di cultura italiana.

    cmq, nel testo da te contestato ci sono anche degli sprazzi di verita', delle osservazioni da tnere in considerazione per dare un giudizio piu' equilibrato sulla storia del regno delle Due Sicilie: che pero' assolutamente NON era un'oasi di prosperita', come l'articolo citato sostiene. sono stati fatti alcuni esperimenti illuminati: ma si tratta per l'appunto di esprimenti, di azioni isolate e non strategiche, in un contesto di miseria e diffuso analfabetismo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  30. zanoni

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    segnalo questo articolo di Antonio Pennacchi, pubblicato sul Secolo e sul nuovo quotidiano elettronico il futurista (www.ilfuturista.it: andatevelo a leggere che ci scrivo pure io!). leggete, commentate, diffondete, condividete su feisbuc

    Quei servi di Semiramide
    di Antonio Pennacchi
    www.ilfuturista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1649:quei-servi-di-semiramide&catid=308:cultura-3&Itemid=410

    Nei centocinquant'anni dell'unità, per me, ci sarebbe poco da festeggiare. Se uno apre il giornale e vede come è ridotta l'Italia, emerge un povero paese lacerato, vituperato, violato e violentato ogni giorno dalle classi dirigenti, da chi dice "Italia Italia" e pensa solo ai fatti propri. L'Italia violentata e stuprata in tutta quanta la sua centocinquantenaria storia.

    Poco da festeggiare e poco da essere orgogliosi. Se poi esci dalle pagine patinate ed entri nelle pieghe storiografia e studi bene le questioni c'è poco da gloriarsi. Il più grande eroe che ha infiammato la mia infanzia, l'eroe che ancora mi muove l'animo di italiano, è Giuseppe Garibaldi: eppure, quando entri nelle pieghe dei fatti di Bronte, vedi che già lì, nel 1860, il sogno del popolo italiano di vedere insieme le idee di unità nazionale e di riscatto sociale viene tradito dai garibaldini stessi, Bixio in testa, perché per compiacere il duca inglese Nelson e i britannici che avevano protetto lo sbarco a Marsala viene stuprato e violato il popolo di Bronte che si era permesso di violare le sue tenute.

    Quando vedi che per 150 anni, nascondendosi dietro l'idea di nazione, in realtà le classi dirigenti hanno violato gli interessi generali del popolo, ti cadono le braccia. E succede lo stesso quando oggi vedi che questo vento disgregatore, quello che dice "il Nord con il Nord e il Sud con il Sud", quello che sembra agitare le piccole patrie, è il primo traditore delle piccole patrie stesse, perché i Mille erano soprattutto bergamaschi. La ricchezza di Bergamo è tutta legata ai milioni di siciliani che dal '51 al '61 andarono a popolare le fabbriche del Nord; la prosperità del Nord l'hanno fatta i settecentomila braccianti che dalla Puglia sono andati a lavorare in Lombardia e in Piemonte. Oggi i leghisti dicono "dividiamoci" ma, se vai a vedere, la maggior parte o sono di origine meridionale o hanno sposato donne meridionali. Ma che Paese è questo, dove uno che si sposa una siciliana poi si mette in testa l'elmo cornuto dei celti! Ma che paese è questo dove tutta un'intellighenzia che fino al giorno prima inneggia al duce il giorno dopo non solo diventa antifascista e lotta per la resistenza, ma dice di esserlo sempre stato! Lo stesso Paese in cui, oggi, chi si vanta di essere stato fascista si allea coi distruttori dell'Italia, e soprattutto con colui che si è impadronito dell'Italia e considera l'Italia proprietà personale sua. Evocano il fascismo, che era - con tutti i suoi errori e orrori - una visione della nazione e della patria come interesse collettivo, che vedeva cioè l'individuo subordinato alla collettività, e poi stanno tutti agli ordini dell'individuo che si è comprato la collettività. Evocano il fascismo, che ha fatto le guerre e le leggi razziali ma ha fatto pure le bonifiche, togliendo le terre ai ricchi per darle ai poveri, e stanno alla corte di chi toglie al popolo per dare solo ai ricchi e agli amici suoi.

    È un'Italia così. Un'Italia incapace di uno slancio, con i giovani migliori che devono andare all'estero, con le classi sociali più povere mortificate, con la scuola pubblica ridotta allo stremo, un'Italia capace di formare solo i figli dei ricchi, in cui le intelligenze e le creatività che vengono dal popolo devono espatriare, un'Italia incapace di fare sviluppo, incapace di riformarsi e capace di vedere il proprio futuro solo nel turismo. Il progetto di Italia che stiamo consegnando alle nuove generazioni è un'Italia assente dalla competizione globale sulla ricerca, sulla crescita, sull'innovazione, sulla conquista dello spazio, un'Italia cioè destinata solo a una vocazione ricreativa. Questa classe dirigente ci vede, nel futuro, solo come un popolo di camerieri, di pizza e mandolino, al servizio dei cosmonauti pachistani, brasiliani, cinesi, che tra trent'anni conquisteranno le stelle. E noi dove saremo?

    Il problema, centocinquant'anni dopo, sono le nostre classi dirigenti. E la speranza può essere solo un atto di volontà, a questo punto. La speranza è solo nella capacità di forza e di recupero del nostro popolo, di quelle che Togliatti chiamava le larghe masse popolari e Mussolini l'Italia proletaria. Sono quelli l'unica, vera, primigenia forza nostra. La gente che continua a fare il proprio dovere. Quelli che si alzano la mattina e bestemmiando contro il governo e contro i politici corrotti vanno al lavoro, lavorano e sudano tutta la giornata, senza rubare un centesimo a nessuno. E poi ci sono i nuovi italiani, gli immigrati che hanno scelto di vivere nella nostra Italia. Non riconosciuti ancora da noi come tali, ma italiani anche loro come noi perché qui lavorano come noi e qui muoiono come noi nei cantieri, qui allevano i figli, che vanno a lavorare pure loro, e quando trovano un portafoglio per la strada lo consegnano ai carabinieri. Sono gli unici, ma questo i leghisti non lo sanno, che quando sale un vecchio sulla metro o sul treno si alzano e gli lasciano il posto. Queste sono le forze in cui sperare. Sono gli italiani che fanno il proprio dovere.

    Mentre dico queste cose, sta piovendo a dirotto sull'agro pontino. Il canale Mussolini è in piena, dalla finestra vedo campi allagati. Ma questo è un paese in cui la gente si dimentica dei parlamentari che si sono venduti al calciomercato della politica, e non si pone il problema che quelli rubano, ma per quattro lire scende nell'acqua, ripara i pali della luce, stura i tombini. Questa è la verità della nazione, questo popolo unito che riconosce nell'Italia la propria patria non perché sia un concetto geopolitico ma perché è la terra dove è nata, dove è vissuta e soprattutto dove vuole morire ed essere seppellita come i propri padri. È la stessa comunità che dalle Alpi alla Sicilia ha un minimo comune denominatore di valori, di ricordi e di tradizione. Spesso non sono ricordi felici, ma sono quelli di un popolo che da 150 anni continua a fare il suo dovere e a dare il suo sangue. Come quei soldati in Afghanistan, che non si capisce bene perchè li abbiamo mandati là - forse lo sa solo Wikileaks - ma là stanno e là combattono e muoiono con onore, con fedeltà, alla faccia di quelle classi dirigenti che ce li hanno mandati e che assomiglia ai servi di Semiramide «che libito fe' licito in sua legge / per torre il biasmo in cui era condotta» (canto V dell'Inferno). La speranza è però che questo popolo prima o poi si incazzi. E che soprattutto continui sempre a essere onesto per se stesso, a prescindere dal malaffare di chi lo dirige.

    Pubblicato 13 anni fa #

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