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Canale Mussolini 2.0 (solo per chi ha finito il libro)

(55 articoli)
  1. A

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    Per K. Sì, in effetti c'è solo un libro che non posseggo più dei suoi: la prima edizione, donzelliana, di palude. Che io ritengo un capolavoro. la lessi a casa di un mio amico, a bella farnia. Quella con la copertina chiara. Poi, non so perchè Lei l'abbia emendata.
    Quanto al Canale, me lo leggerò con calma. Ringraziandola per il dono.
    Una domanda, che magari qualcuno le ha fatto: c'è molto jung in questo suo dire: sono venuto al mondo per questo libro, vero?
    O anche, forse di più, nella voce dei familiari che prendono voce attraverso le Sue pagine?
    Ricordi, sogni riflessioni, di Jung, parla di qualcosa di analogo, se ben mi ricordo.
    A presto.
    suo
    Alessandro P.

    Pubblicato 14 anni fa #
  2. urbano

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    Membro

    E' proprio vero.
    Ma non è cosa di ora, l'aentismo ufficalmente va avanti dal 27 gennaio 1995, battezzato con acqua di Fiuggi.
    Persare che c'ero pure io in qualità di bladerunner.
    San Paolo predicava che tutto è puro per i puri.
    Ma era San Paolo e io non gli presto fede,
    sono contaminato e incredulo.

    Pubblicato 14 anni fa #
  3. k

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    Membro

    Che cazzo t'ha fatto mo' San Paolo?
    Pure con lui ce l'hai stamattina?

    Pubblicato 14 anni fa #
  4. urbano

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    Ho pensato che sono apaolista.

    Pubblicato 14 anni fa #
  5. rindindin

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    Membro

    ah ah!

    Pubblicato 14 anni fa #
  6. rindindin

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    Membro

    grazie k seguirò certamente i consigli di scrittura. per il resto chiederò al marito...;)

    Pubblicato 14 anni fa #
  7. zaphod

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    Fondatore

    Ecco l'intervista a k di Miro Renzaglia:

    C'è una pietas fasciocomunista dentro di noi...

    Uno dice Antonio Pennacchi e la mente va a Latina-Littoria, o meglio all'Agro pontino, tanto l'uomo e lo scrittore sono in simbiosi con quella città e col suo territorio. E con la sua storia. Soprattutto con quella delle sue origini: la bonifica delle paludi e la fondazione urbana. Perché sarà pur vero che oggi Pennacchi preferisce dirsi compagno e votare Pd, ma provate a toccargli uno dei pochi eucaliptus rimasti o una pietra di un qualche muretto della città fondata e ve lo ritroverete in piazza a sguainare muscoli e corde vocali contro chi s'azzardi al sacrilegio. Tutta la sua opera è in realtà un solo libro: il libro della geografia storica e sentimentale delle "terre redente" dal fascismo e dei personaggi che l'hanno popolata e che la popolano. L'intero edificio narrativo costruito a partire da Mammut (1994) trova la sua pietra angolare oggi, nel 2010, con questo Canale Mussolini. «Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo», dice. Qualcuno lo ha definito romanzo epico (e i nomi dati dall'autore ai personaggi, Paride, Temistocle, Pericle, Armida, etc. sono una freccia direzionale in tal senso). Lui lo definisce storico…

    …e io - gli dico - ci aggiungerei popolare.
    E vedi un po' che non fosse popolare: io mica scrivo per i Zorzi Vila (nel romanzo, i proprietari terrieri veneti, che sfruttano il lavoro dei mezzadri, ndr) o per i Caetani (i proprietari originari delle paludi pontine, ndr). Io scrivo per la gente mia che è tutta figlia del popolo. Sì, romanzo popolare me sta bene. Ma nun te scordà de di' che è pure storico: perché i nomi dei personaggi me li so' inventati, ma la vicenda è tutta vera. Io scrivo solo quello che ho vissuto o che ho imparato da chi l'ha vissuta, la storia. E se nun so quarche cosa o quarche cosa nun me torna, prima de di' fregnacce me documento, io…

    In effetti, credo che ci siano pochi appunti da fare al libro sul piano della corrispondenza alla verità. Solo che ti dovrai sorbire la cicuta di quelli che "la storia non si revisiona".

    Ma che vor di'? Te spieghi?

    Dài, lo sai meglio di me: il fascismo, male assoluto, non può essere rivalutato storicamente. E tu, volente o nolente, racconti di un fascismo che prima toglie la terra ai ricchi, ai latifondisti, poi la bonifica e infine la regala ai contadini.

    Senti, il fascismo ha fatto un sacco de puttanate, dalle leggi razziali alle guerre contro sto mondo e quell'altro. Ma mica gliel'ha ordinato nessuno de fa' le bonifiche e de fondà le città. L'ha fatto perché pure questo c'era nel suo Dna. Anzi c'era più questo delle puttanate che ha fatto. A me che me ne frega de quelli che vonno restà attaccati alli pregiudizi loro? La storia del fascismo è pure quella delle bonifiche. E io la racconto. Nun je piace? E nun la leggessero…

    Al di là del contesto storico, il libro restituisce uno spaccato autentico di vita rurale. E si sente che è un ricordo a te caro. Sei un nostalgico delle lucciole, come Pasolini?

    No, figurate che io so' addirittura per la riapertura della centrale nucleare a Borgo Sabotino (frazione di Latina, ndr). È vero che per me quella è un'epopea quasi maggica, ma nun soffro de torcicollo storico. Però me piace pure nun dimenticamme niente de quello che un tempo valeva: la cultura rurale, le grandi famije contadine. Che c'avranno avuto pure un sacco de difetti, ma nun erano quer ritrovo de nevrotici che so' diventate le famije de oggi.

    Sei sicuro di non averla idealizzata troppo la famiglia dei bei tempi andati?

    No, nun me sembra: hai visto che combinano ad Armida quando, disperso il marito Pericle nella guerra d'Africa, rimane incinta del nipote Paride? Er parentado je leva i figli.

    Armida. Secondo me è lei la vera eroina del romanzo.

    Sì. Ma avrai pure capito che nel racconto (e non solo lì compà...) so' sempre le donne a fa' la trama. Gli uomini fanno il lavoro sporco e le guerre ma so' loro che tengono in piedi la famiglia e la guidano. C'hai presente come se conclude il romanzo?
    Sì. Tutta la famiglia si trova di notte, mentre a piedi evacua dalla zona di guerra, su un campo di mine. Salta per aria la cagnetta e tutto il convoglio rimane bloccato. Serve un volontario che li preceda. Si offre Armida, la reproba, che va avanti seminando il terreno di farina per lasciare agli altri la traccia sicura da seguire.
    E nun te sembra la metafora perfetta de chi guida chi verso la salvezza?

    A proposito di metafore. Ho letto che Franco Cordelli sul "Corriere" di martedì scorso cita le tue «digressioni tecniche», quasi fossero un limite alla spontaneità del testo.

    Sì, vabbè. Allora è un limite pure la terzina in endecasillabi a rima alternata di Dante. Ma che razza de critica è? Se uno pensa che pe' scrive un romanzo basta l'ispirazione e invece la tecnica, il mestiere, il montaggio del testo so' un impiccio, me dici de che stamo a parlà? Te lo dico io: a quello nun j'è andato giù che ho scritto che Ezra Pound era un fasciocomunista. Dài, chiedo pietà...

    A proposito di pietà. Anzi, di "pietas": mi sembra questa la misura etica del tuo romanzo.

    Certo. Tu, compà, nun sei niente se nun te senti parte del tutto, della famiglia, della società, dello stato, del mondo, dell'universo e pure der nemico tuo. Te sei "uno" co' tutto. E pe' sentitte "uno" co' sto tutto, devi esse' giusto e clemente anche co' chi te sembra che te sta contro. Vedi che nel romanzo, dopo la guerra, zia Bissola va in una sezione socialista, dove si esalta il valore della resistenza al tedesco e rivendica che la resistenza l'ha fatta pure lei, ma agli americani però. A quella, proprio non gli era entrata nella testa l'idea che il male stava tutto da una parte e il bene tutto dall'altra. Ecco, questa è la pietas: la partecipazione al tutto, la clemenza verso gli sconfitti.

    Poco prima della chiusura del romanzo, Paride riparte per il Nord, volontario nella Rsi. Tu lasci intendere che tornerà vivo nell'Italia "liberata". È l'anticipo del tuo prossimo romanzo?

    Pò esse'. Prima famme vedè che succede allo Strega co' Canale Mussolini… Poi ce comincio a ragionà su...

    L'intervista di Miro Renzaglia e la recensione di Annalisa Terranova si possono leggere anche su Il fondo Magazine.

    Pubblicato 14 anni fa #
  8. urbano

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    Membro

    Ad un certo punto del racconto di ritorno dall'America dopo la crociera del decennale Balbo incontra il Duce e gli dice: oè, guarda che quelli li son avanti almeno un secolo!
    Mussolini, che ormai era il Duce, gli risponde maschio, corrivo e fascista: ma va la!
    E alla fine ci fa pure una guerra contro, perdendola.
    Quelli li son avanti almeno un secolo:
    questa asserzione del Balbo mi è rivenuta in mente visitando il sito che mi ha segnalato JoseMiguel, il mio tutore spagnolo.
    SHORPY
    quà sotto
    http://www.shorpy.com/node/6049?size=_original
    si dovrebbe aprire su un'immagine del 5 dicembre 1933, quasi il primo natale.
    Balbo sicuro ce l'hanno portato.
    Socmel! Avrà esclamato.
    Che differenza! Non trovare? Stesso natale luoghi diversi, ma soprattutto secondo me un Tempo diverso.
    Girando per Shorpy si vedranno luoghi datati dal fine 800 a metà 900.
    Ho notato come noi effettivamente eravamo indietro di almeno un secolo, a volte credo che sia un gap permanente ma ancora di più mi ha colpito il raffronto della documentazione fotografica nostra con quella loro relativa all'agricoltura o alla depressione o all'american gotic.
    Li, in quelle immagini, loro sono più simili a noi.
    Quando sono arretrati rispetto al loro modello di crescita.
    Ho un pensiero vago: si può essere omologati anche nella povertà.
    No, no, non lo so.
    Lo segnalo perchè, in quel discorso della contestualizzazione fatto addietro, mi sembra utile per individuare l'orizzonte storico che il fascismo, preso com'era a inseguire l'aquila imperiale, definì più o meno come un recinto di pollaio, magari per tenercela.
    Ad esempio senza nulla togliere a Italo Balbo quella cosa lì la fece da solo Charles Lindeberg già sei anni prima, il 21 maggio del '27 con lo spirito di saint louis lo stesso della musica jazz e blues.

    Restando in tema poteva essere che Osvaldo, Osvaldo Peruzzi, magari era un parente di Milano e in quanto aeropittore era andato con Balbo.
    Sia a Rio che a Chicago.

    Pubblicato 14 anni fa #
  9. zaphod

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    Fondatore

    Approfitto della forzata mancanza di k dal forum per postare queste peregrine riflessioni.

    Identità e voci narranti ne Il Canale Mussolini di Antonio Pennacchi
    (attenzione: contiene anticipazioni sulla trama)

    1. Autori e personaggi.

    La rivelazione è giunta inaspettata durante la presentazione di Canale Mussolini all'Auditorium di Roma in occasione della manifestazione Libri Come diretta e ideata da Marino Sinibaldi, conduttore storico di Fahreneit e ora direttore di Radio 3 Rai.
    All'incontro c'era tutta (gran parte de) l'Anonima Scrittori a guardare le spalle di K – così si firma Antonio Pennacchi sul forum dell'Anonima – e pronti a intervenire in caso di bisogno. Non c'è stata necessità. C'era tutto lo staff di Mondadori schierato a protezione del suo autore di punta per questo 2010. Così ci siamo potuti godere il pomeriggio come spettatori, diciamo così, privilegiati.
    E Pennacchi non si è fatto pregare. Imbeccato da Lucio Caracciolo – suo editore per LiMes – ha sfoderato tutta la sua grinta e messo a nudo le motivazioni più profonde che lo hanno portato a farsi narratore. Aprendo per l'ennesima volta la vena della fonte della sua creatività, a beneficio di una platea più ampia rispetto agli amici che di solito lo seguono nelle sue scorribande per il cerchio magico dell'impianto stradale di Latina-Littoria.
    La scrittura come arma di riscatto da una condizione di oppressione atavica, la pressione delle generazioni che ci hanno preceduto come spinta imprescindibile e lo slancio verso un futuro migliore. Questi i temi che hanno acceso l'ora scarsa riservata alla presentazione di Canale Mussolini. E il pubblico – costituito da addetti ai lavori e semplici lettori, molti dei quali Pennacchi non lo conoscevano proprio – ha mostrato di gradire.
    “Una cosa però vorrei chiederti,” ha fatto a un certo punto Caracciolo, “perché l'io narrante non si rivolge all'interlocutore dandogli del tu, sarebbe stato più diretto, no?”
    “Eh no,” ha risposto Pennacchi, “perché l'interlocutore sono io, e a me mi deve dare del lei.”
    E siamo passati oltre.
    Io non ci ho più pensato.
    Limite mio, sicuramente.
    Sono passati giorni.
    Abbiamo fatto Pasqua e Pasquetta.
    Però adesso – all’improvviso – c’è sta cosa che mi frulla per la testa.
    Come sarebbe a dire? Che significa a me mi deve dare del lei?
    Ma allora don Pericle Peruzzi - la voce narrante di Canale Mussolini - non è l'alter ego di Antonio Pennacchi.
    Non è come l'Accio de Il fasciocomunista dietro cui l'autore si cela per raccontare le vicende della sua vita. Lì il gioco è scoperto. L'io narrante e l'autore coincidono. L'autore si incarna nel suo personaggio e ci racconta le storie che vive (o che ha vissuto) utilizzando la prima persona singolare.
    Qua no, pure qua sembra tutto scritto in prima persona, ma se vai a ben vedere risulta e salta agli occhi che quello che leggiamo è una trascrizione. Una sbobinatura di intervista. “E' come se avessi scritto sto romanzo sotto dettatura,” ha raccontato più volte Pennacchi definendo l'esperienza della scrittura di Canale Mussolini come un'esperienza sciamanica, come già gli era capitato in occasione dell'invettiva contro i traditori della bonifica in Piazza del Popolo a Latina.
    Gli abbiamo tutti creduto mentre ce lo diceva. Ma – a ben vedere – non c'era bisogno che ce lo confermasse lui. E' tutto lì. Scritto nella forma scelta per raccontare questa storia. E allora l'utilizzo di quelle forme colloquiali (“come dice?”, “ma allora lei non ha capito”) risalta in tutta la sua più intima necessità. Non sono semplicemente figure retoriche che impreziosiscono un artificio stilistico – Pennacchi stesso dice di aver voluto omaggiare il Grande Sertão di Guimarães Rosa con l’utilizzo dello stile-intervista – scelto arbitrariamente tra mille altri. La verità è che questa storia non poteva essere raccontata in altra maniera. Perché forse non tutti sono disposti a prestare fede all’esperienza sciamanica vissuta dall’autore, ma è innegabile che questa storia la famiglia di Pennacchi gliela ha raccontata innumerevoli volte. Fino a iscrivergliela nel Dna. Sono i suoi globuli rossi che gliela fanno scorrere nelle vene a ogni battito del cuore.
    E lui l’ha trascritta.
    Ha finalmente trovato la forza e il tempo – dopo più di cinquant’anni – di scriverla.

    2. Presa di distanza.

    Adesso il compito dell’autore è terminato. Bello o brutto che sia – per citare le sue parole – il libro va avanti per la sua strada. Lui – l’autore – il suo l’ha fatto, anche se una voce interna continua a ripetergli che “è solo una metà del suo dovere.” Però si deve mettere il cuore in pace, quello che è fatto è fatto. Deve trovare il coraggio di distaccarsi dalla sua opera.
    Perché non c’è niente da fare. Lo senti dalle interviste, quando ci parli per strada o nello studio a casa, dagli interventi sul forum dell’Anonima Scrittori che lui sta ancora dentro al romanzo. Lo vuole proteggere. Accudire. Difendere.
    Non è Antonio Pennacchi – l’autore - quello che sentiamo parlare e intervenire in questi giorni. E’ don Pericle Peruzzi – il personaggio – che ci giura e spergiura che quello che c’è scritto nel libro è tutto vero. Ma don Pericle Peruzzi non ha bisogno di convincerci di questa cosa. C’è il romanzo che parla per lui. “Non so dirle se è vero, ma è così che a me l’hanno sempre raccontata.”
    E questo dovrebbe essere l’atteggiamento di distacco dell’autore Antonio Pennacchi dal suo romanzo. “A me me l’ha raccontata così, io ho solo trascritto l’intervista, prendetevela con lui,” solo così la verità dei fatti può emergere nella sua nuda schiettezza. Solo se ognuno gioca il ruolo che gli è più appropriato. Il personaggio fa il personaggio e lo scrittore fa lo scrittore. E ci racconta gli strumenti e le motivazioni del suo mestiere.
    E allora – paradossalmente – è proprio la cornice metodologica che fa sembrare ancora più vero questo libro. La premessa al romanzo e la postilla bibliografica sono l’indispensabile “lucidatura” che fanno brillare la gemma del Canale Mussolini.
    Lo sforzo che a volte Pennacchi compie nelle occasioni pubbliche per spiegare la sua visione della storia d’Italia e l’inquadramento storico del fascismo è quindi superfluo – e spesso controproducente perché provoca chiusure “aprioristiche” dell’interlocutore e reazioni scomposte dell’autore apertamente in contrasto con la sua indole pacata e remissiva – superfluo perché già compiuto da don Pericle Peruzzi nel corso del suo racconto.
    E’ palese infatti la volontà del parroco di trovare una collocazione all’interno dell’orizzonte storico che racconta e di cercare la complicità dell’interlocutore. E l’unica maniera per farlo è descrivere tutto quello che lui sa in proposito. E’ un immigrato di seconda generazione, sente ancora l’appartenenza alla terra da cui proviene, ma non c’è nato, è uno sradicato. Un trapiantato. E per mettere radici ha bisogno di conoscere tutto quello che c’è da sapere sulla realtà in cui si trova a vivere. E a condividerla.
    E’una condanna. A raccogliere informazioni e raccontare sempre la stessa storia finché – come il vecchio marinaio di Coleridge che mette gli occhi sull’invitato al matrimonio – gli capita tra le mani sto parente scrittore e gli consegna tutto il suo fardello di storia e quotidianità.
    Ho già detto in altra sede di essere stato ammesso nella bottega dello scrittore durante la redazione di questo testo. Ho avuto modo quindi di leggere la sbobinatura originale del racconto di don Pericle. Un fiume in piena. Irrefrenabile. Inarrestabile. Infaticabile a raccontare ogni e più minimo dettaglio delle gesta della famiglia e dell’Italia fascista. Una serie di diramazioni apparentemente inestricabile come il delta del Po da cui questa storia ha origine. Pennacchi ha avuto la pazienza e la capacità di aspettare che la piena finisse, che il fiume si ritirasse nei suoi alvei e che lasciasse terreno fertile da scavare e seminare. Un’impresa titanica di raccolta e trascrizione di una testimonianza importante che ha preso più di due anni. Con un’attività febbrile negli ultimi mesi che ha portato a queste quattrocentosessanta pagine di condensato di storia e affetti familiari.
    Canale Mussolini è stato scritto e licenziato.
    Ite, missa est.

    3. Postilla sul veneto-pontino.

    Noi Lanzidei – nonostante il lusinghiero tentativo di ascriverci una discendenza colonica operato all’interno del romanzo – in Agro Pontino ci siamo arrivati con la Seconda Bonifica, quella della Cassa del Mezzogiorno. Negli anni sessanta. Quelli del boom economico. Dell’industrializzazione.
    Siamo venuti a portare la modernità, E a dare la possibilità ai Benassi di questa terra di lasciare vacche e sementi e sviluppare i loro talenti nel campo della tecnologia Falce e martello. Le falci c’erano, noi abbiamo portato i martelli. Così abbiamo chiuso il cerchio della rivoluzione e prodotto benessere.
    I Lanzidei sono originariamente marchigiano-nettunesi. Adesso – dopo tanti anni, i miei primi quaranta, più o meno – mi rendo conto che siamo marchigiano-nettunesi-pontini, non c’è niente da fare. Io pure sono di seconda generazione e lo sradicamento, come molti miei coetanei, l’ho vissuto come una condizione esistenziale.
    Adesso però che (magari un po’ tardi, ma meglio che mai) comincio a capire di essere un pontino (con tutto quello che questa parola si porta dietro) mi trovo appiccicato sto veneto che proprio non mi va giù. Sia ben chiaro, niente contro i veneti, ché da quando ho iniziato a leggere il Canale mi pare di aver preso pure una certa inflessione, però mi pare che tra i Pilgrim Fathers c’erano pure ferraresi e altre bestie.
    E sarà un retaggio del mio sradicamento, ma credo che se dobbiamo provare a definire un’identità comune, allora – proprio per non lasciare fuori rumeni, ucraini, tunisini, inglesi (ce ne stanno) e tutti coloro cui questo territorio ha offerto asilo – il minimo comune denominatore lo dobbiamo trovare nella parola “pontino” nuda e semplice.
    Perché dietro a quel “pontino” ci sono i tuoi veneti, i miei nettunesi, i loro tunisini. Tutti a pari merito.
    Uguali.
    Perché uguaglianza è libertà.
    Non ci sono santi.

    Pubblicato 14 anni fa #
  10. cameriere

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    provoca reazioni scomposte dell’autore apertamente in contrasto con la sua indole pacata e remissiva

    va' a fare del bene!
    sta' attento k, questo ti fa fare la fine di fini e finisce che
    'sta epopea l'hai scritta sotto dattatura... sua.

    un saluto da vero e viola

    Pubblicato 14 anni fa #
  11. sensi da trento

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    scusi la domanda personale, mr K !! (cerco solo di fare il mio umile lavoro di esegeta delle fonti)
    poco tempo fa parlavamo del ritardo con cui il treno dei peruzzi arrivò a latina e mi invitò a leggere il brano (sarebbe quello dell'incidente a benitino mambrin).

    come mai quel brano le è così caro? è un fatto realmente successo??

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. k

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    Sì, è un fatto realmente successo (come peraltro ogni fatto narrato nel libro) di cui le cito addirittura in coda due diverse fonti bibliografiche: FRANZINA-PARISELLA e TIEGHI. A me è sembrato - e sembra tuttora - che avesse una fortissima valenza simbolica, proprio da sacrificio umano, da purissimo agnello sacrificale da immolare agli Dei per la salvezza e l'esodo di tutto il suo popolo. Lei non crede?

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. sensi da trento

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    Membro

    si

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. rindindin

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    Membro

    Quando ho acquistato il libro “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi la prima cosa che mi ha colpito è stata la copertina, tutta coloratissima, a tinte forti, con il particolare del quadro di Cambellotti “La redenzione dell’Agro pontino”, esposto nella Sala consigliare del Palazzo del Governo a Latina. Ma la cosa che mi ha impressionato veramente è stato il volto del buttero. E’ identico a quello di Antonio. Poi ho iniziato a leggere le prime pagine del libro e nell’introduzione lui stesso spiega che questo libro doveva scriverlo, era “destinato” ad essere scritto. Mi fu chiaro che a quel punto lo avesse sempre saputo anche Cambellotti. Canale Mussolini è inquietante per la sua genialità ma pure per la sua ingenuità, di sicuro voluta. Alcuni argomenti sono trattati con precisione chirurgica, come tutti i fatti storici, i passaggi, gli intrecci, come pure i rapporti e le psicologie che si sviluppano all’interno della famiglia Peruzzi. I personaggi hanno tutti una colorazione precisa, chi è rosso, chi giallo e chi è nero, il risultato è un arcobaleno che si staglia a cielo aperto lasciando a bocca aperta il lettore. Ma i personaggi parlano il mio stesso linguaggio, incredibile, sono veri, vivi, con carattere non descritto ma vissuto. Una lettura della storia che andrebbe insegnata così a scuola, semplice, diretta, divertente, comprensibile perché umana. Comprensibilmente umana. Di critiche storiche e letterarie competenti Pennacchi ne ha avute tante per fortuna, altrimenti non sarebbe il finalista del premio Strega e Campiello quindi io mi limito a segnalare solo le piccole cose che mi hanno colpito. Ci sono pagine esilaranti, come all’inizio quella del carretto. Descrizione apocalittica dove il nonno come un’erinni lancia frustate a destra e sinistra con descrizioni così dettagliate che non lasciano spazio alla fantasia, ma la conducono sapientemente. Il rapporto d’amore tra la nonna e il nonno che si rivela quando lui torna a casa dopo l’arresto per la storia del carretto, qui altre pagine di un’intensità e poesia fuori dal comune. Un rapporto descritto raccontando pochi e semplici gesti, loro nel letto, lei che ride e in questo gioco nella loro intimità tutta la verità e l’intensità del grande amore, quello che si ha il coraggio di vivere con la semplicità del cuore, non con la testa o peggio ancora con le parti basse (che se si dice così il motivo non sarà mica solo per un fatto di coordinate). La gelosia del nonno nei confronti della moglie, per la presenza in casa del giovane Mussolini perché uomo interessante e capace, anche questa una dichiarazione d’amore. Ho trovato bella e divertente la storia delle vacche con i nomi delle città e preparata ad arte, intere pagine prima, la scena della morte del bambino, motivo del ritardo del treno. A pag. 98 c’è l’acquisto della stoffa nera per le camicie e la battuta del commerciante sul lutto che mi ha fatto andare di traverso la caramella, mentre a pag. 281 c’è un passo eccellente sul dramma della condizione umana. C’è la sincerità della storia della “pippa” tra Franchini e zio Adelchi, Hitler e tutti i tedeschi che parlano veneto, l’aneddoto dei salmoni nel Canale Mussolini. Insomma in questo libro si ride, si piange e si riflette. Quello che dovrebbe fare un libro. Ci sono però anche piccole cose che non mi sono piaciute, come la ripetizione dei concetti, il più delle volte chiari e quindi non necessaria, o la reiterazione quasi infantile di suoni onomatopeici e la lunghissima e noiosissima descrizione, durata parecchie pagine, di come si costruiva una strada. Ma questo forse perché sono femmina e quindi mi diverte molto di più seguire la storia dell’Armida, del suo desiderio di sesso represso col cuscino tra le gambe e delle sue api oracoli, che non sapere tutta la preparazione per filo e per segno della formazione di un manto stradale. Poi sul forum di Anonima Scrittori ho rivolto una domanda personale a K (questo il suo nick name) a proposito delle spese sostenute per l’opera di bonifica:
    “sto ancora in lettura del canale, abbiate pazienza, devo fare continui esercizi di estraniamento per poter finire qualche pagina. La sera tra l'ipod di mia figlia a palla e le urla dell'altra che nn riesce a dormire per il sottofondo, riesco a filtrare e prendere appunti. A scuola di danza devo ascoltare con sorriso stampato le invettive delle mamme contro l'insegnante e inviare un ghigno di risposta per far capir che sto leggendo un libro, pur avendolo tra le mani. Eppure ho il "Canale Mussolini", un po' di rispetto, che cavolo! Arrivata a pag 159 mi sorge una domanda: ma questo canale quanto è costato? E chi l'ha pagato? A pag 160 pronta la risposta: lo stato. Lo stato ha investito e dato più del 90% delle spese e i proprietari avevano da coprire il poco resto. Bello è? Meno male che il duce se n'è accorto e ha deciso di confiscare le terre dei proprietari che prima se la cavavano con il rifacimento del vialetto di casa, in cambio di terre bonificate e coltivabili... ok ma le spese dei tecnici, di materiale, delle macchine, dei consumi, delle costruzioni, del tempo, della polenta e grappa che si doveva come minimo ai contadini operai o detenuti e famiglie per la sopravvivenza (perché ho saputo che venivano impiegati anche loro), da dove venivano? Dallo stato? Ma un'impresa così mastodontica come fu, della bonifica dell'agro pontino e del canale, nella quale nessuno era riuscito prima di allora, da dove prese i soldi lo stato? Come mantenne 3000 famiglie e nn solo durante i lavori? Lo stato fu così improvvisamente ricco? Se questa è la storia spieghi e insegni…”
    Di tutto punto la risposta fu:
    “…ma mo' non puoi pretendere ch'io ti spieghi e che capisca pure di economia finanziaria e di bilancio dello Stato. E che cazzo ne so io dove li hanno presi i soldi? Li avranno presi dove li pigliano tutti gli Stati - i debiti, i buffi - che cazzo me ne frega a me? Ma mo' pure questo te deve spiega' il poeta? Ma vaglielo a chiedere a tuo marito che fa il manager, mannaggia la puttana, che siete pure milanesi. Me lo vieni a chiedere a me? Ma vaffangoogle va.'”
    Anche raccontata così la storia …è un’altra storia.

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. k

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    Membro

    Grazie Rindi, molto bello; critiche comprese, anche se non condivise, specie per la costruzione delle strade. Fallo leggere a tuo marito e vedi che ti dice lui. Attiene alla poetica del lavoro e del reale. E comunque mi difenda Zaphod, perchè io a un certo punto volevo accorciare, è lui che ha insistito perchè rimanesse. Mo' voglio vede' che cazzo ti dice (è il lavoro Rindi, il lavoro di cui i giovani o la gente-bene non sanno niente, e che rischia come nozione di andare proprio persa e comunque, in ogni caso, è il lavoro che trasforma la natura e l'esistente, è come la costruzione della case, lo scavo dei canali, tutte cose di cui vivi, ma che non escono dal nulla, tutte cose che qualcuno in qualche modo ha pagato, e nello specifico è quel bambino che paga per tutti, per le strade, le case, i ponti, i canali; quel bambino e tutti quelli che moriranno sul Canale nel corso della guerra. E poi a me le strade mi piacciono, e mi piace il modo in cui si facevano, e mi piaceva andarci in bicicletta quando erano ancora bianche, e mi piaceva andare in stalla, e mi piace ancora adesso l'odore della stalla. E poi c'era un conto da regolare con un certo predecessore...)

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. rindindin

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    sì infatti ho sottolineato che il poco interesse per la descrizione meticolosa della strada possa essere dato solo dalla mia natura femminile. in realtà credo che mio marito invece rimarrà inchiodato su quelle pagine. Se hai altri riscontri femminili su quella parte mi farebbe piacere sapere. comunque il libro è semplicemente bellissimo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. zaphod

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    Carlo Emilio Gadda si lamentava - ai tempi suoi - della scarsa utilizzazione del linguaggio tecnico nella letteratura italiana. E' stupefacente come il meno gaddiano degli scrittori italiani sia riuscito - mezzo secolo ci è voluto, perché la penna in mano la prendessero gli operai e non i figli degli ingegneri - a rendere la poesia della fatica umana con la precisione netta degli strumenti linguistici utilizzati per raccontarla.

    Le strade non si potevano togliere. Il rumore delle ruote delle biciclette sulla ghiaia mentre di notte gli zii Peruzzi vanno a vedere per la prima volta Littoria è un fruscio morbido che riempie le pagine.
    Reale quasi quanto il rumore del mare che si sente da casa mia nelle notti in cui il vento piega gli eucalypti e i pini intorno alla centrale nucleare.

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. k

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    Bello. Preciso, scritto bene, poetico, argomentato. Se togli i pini però, è pure meglio.

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. Woltaired

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    rindindin, ma che ti stupisci dei suoni onomatopeici, non dirmi che anche tu da quando conosci Faust, non eclami almeno un paio di SDENGG, TONFF, GULP al giorno?!
    è vero che sotto i portici il nostro K passeggiava con Zaph e Torque, ma lo spettro di Faust "in slippini" sdraiato su un letto di fumetti alegggiava su di loro e dunque Vooooouuuuuuuuummmmm...

    a parte questo concordo sul fascino della costruzione delle strade e, non so se l'ho già detto altrove, ma io ringrazio Canale Mussolini anche, ma non solo, per avermi fatto conoscere l'origine dell'amabaradan.

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. zanoni

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    Ci sono però anche piccole cose che non mi sono piaciute, come la ripetizione dei concetti, il più delle volte chiari e quindi non necessaria, o la reiterazione quasi infantile di suoni onomatopeici

    dissento fortemente! le ripetizioni e le reiterazioni ti sembrano inutili perche' il libro lo hai letto. avresti invece dovuto ascoltarlo, partecipando ai filo'.

    ma c'e' qualche recensore che ha messo in evidenza questa dimensione (autenticamente) orale del Canale?

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. rindindin

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    ai filò nn ho avuto l'onore di partecipare (nn sapendo quando accadevano) e a zaphod rispondo che nn ho mai detto che la strada debba essere tolta, ci mancherebbe, le prime pagine l'ho lette con molto interesse. ho detto solo che forse è un po' lunga la descrizione.faust aleggia sempre!

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. ma c'e' qualche recensore che ha messo in evidenza questa dimensione (autenticamente) orale del Canale?

    Zanò, tra Franchini e Zio Adelchi c'è stata solo una pippa... adesso non inizià a fa' lo storico revisionista...

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. leon8oo3

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    Io uso solo una parola per definire questo libro: necessario. Questo libro era necessario e sono contento di come è stato scritto. E' necessario sia per un cittadino di Latina della prima ora che per uno come me che viene da fuori. Oltre al bello, oltre al riuscito questo libro è anche e sopratutto, secondo il mio modesto parere, molto necessario.

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. Qui veniamo tutti da fuori, Leon.

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. zanoni

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    Membro

    Qui veniamo tutti da fuori, Leon.

    beh, io ad esempio sono di qui (anche se spesso sono altrove e una volta o l'altra altrove ci resto)...

    Pubblicato 13 anni fa #

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