GOLPE IN NEORUCHIRURGIA A LATINA
(ap - martedì 11 maggio 2010)
Leggo oggi dai giornali che il reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale S. Maria Goretti di Latina – dove sono stato felicemente operato il 22 aprile scorso e dove dovrei andare a passare fra qualche giorno la visita di controllo – come in un classico golpe Fazzone c/o Zaccheo è stato improvvisamente abolito. A partire dal 17 maggio p.v. l’intero reparto ospedaliero – completo del suo primario prof. Stefano Savino che lo aveva a suo tempo fondato e messo in piedi con tutta la sua équipe medico-infiermieristica – non sta più lì al secondo piano. Chiusa proprio bottega. Tu chiedi: “Il prof. Savino?”. “Non c’è. Sconosciuto al destinatatrio”. A lui e ai suoi dottori li sbattono dal 17 in Ortopedia – per il momento – con quattro letti d’accatto e poi Dio vede e provvede: “Prima se ne vanno a morammazzati da qualche altra parte e meglio è”.
Dice: “E la Neurochirurgia nostra?”. La Neurochirurgia autoctona del S. Maria Goretti non esiste più, adesso passa tutto sotto l’università e l’unico primario e gli unici dottori saranno quelli universitari decisi da Roma, che così si beccano in un solo boccone tutto il reparto già bello e completo di infermieri superaddestrati da Savino. Dice: “Vabbe’, ma che ci frega a noi? Un neurochirurgo vale l’altro, e poi questi sono universitari, e se Savino e i suoi si sono fatti cacciare, qualche motivo ci sarà, chissà quanti pazienti avranno ammazzato”.
No, compa’: a me m’hanno rimesso in piedi. Stavo sulla sedia a rotelle oramai, non mi potevo più muovere. M’era uscita un’altra ernia discale dove ero già stato operato 15 anni fa (L4-L5 e L5-S1), e tutti dicevano che non si poteva operare, me la dovevo tenere così come stava, proprio a premere sulla radice del nervo sciatico, perché gli anelli si erano già schiacciati e se andavi a reintervenire si schiacciavano ancora di più e arrivederci e grazie. L’unica era che me la sfiammassi a cortisone. Mesi di cortisone m’hanno fatto fare. Con tutta la bocca screpolata ma con la gamba uguale che con si poteva muovere – le faceva un baffo il cortisone – dolori da morire (“agò un can che me magna” si dice in veneto per descrivere questo tipo di dolori). Fatto sta, nessun neurochirurgo mi voleva operare, nemmeno i primari universitari: “Prima o poi vedrà che il dolore le passa”.
“Qua non mi passa un cazzo” ho detto a un certo punto io – erano tre mesi oramai che stavo sulla sedia a rotelle – e allora ho chiamato Finestra (Franco Luberti era fuori Latina, da don Mario a San Marco c’ero già stato) e l’ho implorato: “Federa’, venga subito a impormi le mani sulla testa e a dirmi: Alzati e cammina!”.
“Ma vaffallippavà” m’ha detto lui: “Aspetta che arrivo subito e ti porto Savino: è un po’ fascio pure lui, però è il primario di Latina ed è un mago della neurochirurgia”.
Per farla breve, questo è venuto, ha guardato la risonanza magnetica, s’è messo i dischetti sotto il computer, ha guardato e riguardato e m’ha detto: “E’ una situazione un po’ difficile e compromessa perché debbo reintervenire su situazioni pregresse, però io sono bravo e ti opero, anche perché qua non c’è nient’altro da fa’. Ti faccio un intervento da X° Mas”.
“Porca puttana”, ho detto io: “Questo è matto”. Però dove andavo? Restavo sulla sedia a rotelle? E il 22 aprile m’ha operato. Mo’ non ho capito bene che cosa ha fatto. Sulle lastre ho visto che adesso dentro la schiena ho un mare di viti e di sbarre di titanio che neanche in Fulgorcavi. Fatto sta, m’ha rimosso l’ernia – non ho più un solo dolore alla gamba, quel càn lo ghémo finalmente copà – tra una vertebra e l’altra ci ha messo degli spessori, mi ha riallineato la colonna coi rinforzi, appunto, di sbarre e di viti di titanio, e il giorno dopo stavo in piedi. Oggi cammino libero e giocondo – neanche venti giorni sono passati – e nessun altro m’aveva voluto operare. E questi mo’ lo cacciano, li possin’ammazzà? Ma che città è questa? Ma davvero manco Fazzone.
Quando lo ritroviamo più un neurochirurgo come questo? Uno che oltretutto è di Latina oramai a tutti gli effetti: che s’è preso la residenza qua, che abita qui e che ci vuole restare, che s’è comprato casa, pure. Uno che dal 2005 – da quando ha messo in piedi il reparto avendo vinto il concorso – ha operato tremila interventi e di massimo livello, nell’unico reparto di tutto il Lazio di neurochirugia ospedaliera al di fuori di Roma, un reparto d’eccellenza. Ma qua il prof. Savino è andato evidentemente sulle palle di qualcuno: se ne deve andare perché l’ospedale di Latina deve servire solo per fare fare le ossa ai giovani medici universitari. Sulle spalle nostre – i latinensi come cavie – si debbono formare i dottorini che prima o poi, “quando se so’ imparati”, potranno andare a curare tranquillamente i romani a Roma.
(E comunque, per me, pure qua c’è la mano della politica sotto. Non si dice per esempio – in giro per i bar – che è proprio con la sanità e gli ospedali che Moscardelli ha fatto “banco” e s’è fumato Di Resta alle regionali?)