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COSA HO SCRITTO OGGI

(768 articoli)
  1. Woltaired

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    Non credo che A ci chiedesse un lavoro di editing certosino, vero Bassøli?
    Il mare a sinistra trovo sia un bellissimo titolo, il resto, pur se poco, è il racconto di un pezzo di vita che può tranquillamente diventare una storia. Ora ci vuole un seguito.

    Pubblicato 9 anni fa #
  2. k

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    Membro

    Anche se - a me - "mi padre trova parcheggio" mi piace pure così com'è.

    Pubblicato 9 anni fa #
  3. Io credo che un po' tutti a Latina, quando parlavamo di mare, abbiamo chiesto a un amico: "Ma tu dove vai, a destra o a sinistra?" e forse da ragazzi non ci rendevamo conto che questa domanda poteva sottintendere tante altre cose.

    Per chi non è di Latina: andare al mare qui vuol dire uscire dalla città, percorrere la via del mare per qualche chilometro (ora va di moda andarci a piedi o in bici sulla ciclabile) e giunti a destinazione trovarsi a compiere la scelta: andare a destra o sinistra?

    Pubblicato 9 anni fa #
  4. k

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    Membro

    Mi scusi, ma questo non c'era scritto già nel racconto di A?
    E perché ritiene quindi di doverlo rispiegare lei?

    Pubblicato 9 anni fa #
  5. Giusto, lasciamo spazio all'autore.

    Pubblicato 9 anni fa #
  6. A.

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    Moderatore

    La sera la crema me la faccio mettere invece. Un dolore sordo che sale dalla schiena e si ferma sul collo. Non mi sono reso conto di nulla, ubriacato dal sole. Verso le quattro ho sentito la pelle tirare come un tamburello. Invece di consolarmi mia madre ripete “te l’ho detto - te l’ho detto - te l’ho detto. Ti sei bruciato”. “Zitta ma’”
    
Sì adesso la crema ci vuole, e lei con grande delicatezza prima soffia e poi con la punta spalma qualcosa di fresco.
    “Ti sei bruciato Alessà”.
    Da quanto sono nato mi chiamano Ale, all’inizio di frase, e Alessà, alla fine. Alex non si dice a Latina. Alessandro, solo con una connotazione reprensiva, mia madre quando mi vuole minacciare: “Stasera arriva tuo padre e gli dico che hai fatto, Alessandro”. Oppure quando mi chiama per salire, e io voglio restare in cortile , al crepuscolo, da solo, a tirare sul cancello con un pallone di cuoio: “Aalessaaandro!! È pronto!”

    Vivo in una palazzina poco distante dal centro. Ci si arriva costeggiando la strada del Palazzetto, si continua lungo una sterrata di 500 metri che termina davanti a un cancello marrone. Il condominio Casa bianca. Ci vivono una dozzina di famiglie della piccola borghesia. Ha un cortile chiuso, e ai due bordi della strada sterrata campi di canne e pozzanghere, dove noi bambini facciamo le capanne e cacciamo le rane. 
Frequento una piccola scuola del centro, vicino a casa dei nonni, perché veniva più comodo a mia madre. I pomeriggi li passo in gran parte da loro, dopo la scuola sino alle 1630 quando mia madre viene a prendermi. Mia nonna mi raccontava storie davanti la finestra, e da lei ho appreso la struttura dell’al di là. Esuberante, ingestibile, curioso, ho iniziato a leggere con Topolino, tra una ruspa giocattolo e un mangiadischi di plastica rossa. Ma dai nonni ho imparato ben presto a capire il dialetto sezzese. Mi piacciono i broccuglitti sul pane di mia nonna, il prosciutto dolce, i biscotti Plasmon, ma anche quelli fatti in casa, l’odore fresco dello sgabuzzino, i libri sui ripiani, le canzoni di Mino Reitano e di Massimo Ranieri. E quando esco per la città: Il camerino dei F.lli Bisi, le mandorle zuccherate, il vestito di carnevale con cui mio padre mi porta al fotografo accanto alla Standa. Non mi piacciono le attese, le cabine telefoniche, l’odore di sigaretta dell’ufficio di mio padre, le giostre dei Giardinetti, i cavalli a dondolo, il Bar Mimì, le tre maschere di marmo sull’uscita del Cinema Giacomini.
Domando il perché su quasi tutto, adoro le storie raccontate, guardare mentre gira il disco di Anita, e generalmente mi piace Anita, la sua camera, e l’odore di ceretta nella casa delle sorelle Tremonti.
Ho paura di stare solo di notte, del silenzio del pomeriggio di domenica, di quando mio padre e mia madre litigano, della maestra che entra in classe arrabbiata, di mia madre quando promette che mio padre me le darà, al ritorno da ufficio.
    Mi gusto le caccole dal naso, anche se non si fa. Mi piace mio fratello, e baciarlo. I cinghiali a Sabaudia. 
E, soprattutto, il mare.

    L'acqua. Quando entro dapprima mi tuffo, correndo, come mi ha insegnato mio padre. All’inizio è fredda, ma è solo un attimo. Poi inizia, dai piedi, una bella sensazione che attraverso la schiena, si riverbera nel collo, e mi fa venire i brividi. Mi sento tornato a casa.
Immergo tante volte la faccia, con gli occhi aperti, sotto la linea dell’acqua. Mi piace stare con gli occhi aperti, anche se bruciano, anzi proprio per quello. Immergo le mani nel fondale, le tiro fuori, friziono la sabbia sui capelli e immergo di nuovo la testa sott'acqua. Questo gioco continua all’infinito.
 Faccio la pipì nell’acqua, lo fanno tutti i bambini ed è bellissimo, perché nel mare non esistono più le regole. La libertà assoluta. Odio costruire castelli di sabbia, mi piace invece scavare la rena.
    (Continua)

    Pubblicato 9 anni fa #
  7. k

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    Questo è un po' troppo autocelebrativo:

    Esuberante, ingestibile, curioso

    Quella delle caccole, invece, appartiene a quell'altra serie di cose strettissimamente private che tutti conoscono, ma che è bene non fare - e quindi neanche scrivere o raccontare - in pubblico. La tolga e vada avanti. Non aggiunge niente, ma anzi distoglie e allontana il lettore.

    Pubblicato 9 anni fa #
  8. A.

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    Moderatore

    Seguirò scrupolosamente il suo consiglio. grazie.

    Pubblicato 9 anni fa #
  9. A.

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    Moderatore

    Durante la settimana al mare ci vado con mia madre, nella Cinquecento bianca. C’è molta meno gente, siamo a fine giugno. Parcheggia a meno di un km dall’Albergo Tirreno, e in genere incontro Alessio, il mio compagno di scuola. Giochiamo in acqua, perché a pallone ci si annoia subito, in due. Lui è meticoloso, ama costruire i castelli. Io fingo di assecondare, più che altro fino a che mi va. Il posto più adatto per il castello è sul bagnasciuga. Se si riesce a scavare bene, si fa anche un ponte, ma in quel caso occorre l’aiuto dei grandi. Un altro gioco è quello della gara di palline di plastica. Ma questo si fa quando ci sono almeno altri due bambini. Si deve tracciare nella sabbia un percorso con la paletta, stando ben attenti che i bordi siano sufficientemente alti da non permettere che le palline vadano fuori. Si tira la propria pallina, che in genere dentro ha una figurina di un pilota o di un calciatore. Si chiama anche “il campionato”, e se si dice “giochiamo al campionato” i bambini capiscono subito.
    Analogo gioco si fa in cortile, ma allora si dice “giochiamo a macchinette”. Si traccia con il gesso una pista, la cui larghezza è trenta cm. I professionisti anche dieci cm, ma vale anche se la macchinetta resta sulla striscia. A questo gioco il vero campione è Leonardo, ma anche io me la cavo discretamente. Le macchinette devono avere le ruote non troppo performanti, che altrimenti l’abbrivio le fa subito uscire. Si tira a turno, una volta per uno. Ai piccoli (mio fratello e Simone, il fratello di Leo) qualche volta è concesso tirare due volte. Ma assolutamente non tre! In genere si percorrono cinque giri, ma di domenica pomeriggio si fa “la gara lunga”. Anche 10 giri. Se le madri chiamano, fa niente. La gara si deve finire assolutamente con la proclamazione del vincitore. Altrimenti si stacca, e si continua il giorno dopo dall’esatto punto dove si era interrotto.

    Pubblicato 9 anni fa #
  10. Woltaired

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    Davvero facevate la pista per le biglie con la paletta??? Noi si prendeva uno per i piedi e la tracciavamo col suo culo. Pensavo fosse universale.

    Pubblicato 9 anni fa #
  11. k

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    Frena, Wolt! Loro erano la Latina bene.

    Pubblicato 9 anni fa #
  12. SCa

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    Frena, Wolt! Loro erano la Latina bene.

    Ma al mare andavano a destra o a sinistra? A sinistra col padre e a destra quando erano con la madre?

    Continua A, non mollare prima della fine.

    Pubblicato 9 anni fa #
  13. A.

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    No, anche con mia madre... Grazie comunque

    Pubblicato 9 anni fa #
  14. La Latina bene non esiste anzi è composta da persone molto più bastarde della presunta Latina bastarda. E' sempre la fame che ci ha portati qui (cit. Canale Mussolini), tutti: non se ne esce.

    Pubblicato 9 anni fa #
  15. A.

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    Moderatore

    Sono felice non solo del sole che mi inebria, dell’odore del mare. O forse del sapore. Quando con la lingua sento il sale sulla pelle, o con l’odorato l’umido sapore della sabbia. Mangiare la sabbia, si fa, e anche questo vuol dire stare al mare. Tornato a casa, sono quasi deluso dal dovermi lavare nel bagno piccolo. Quello grande non può essere sporcato, ecco perché non si usa. Non ho ancora scoperto il rapporto segreto col mio corpo, vivo tutto negli elementi. Mi godo la scoperta del mondo, che mi viene donato nella forma di un gioco continuo. Cortile, battigia, sgabuzzino di Bisi, casa di nonna, tutto fa conto. Oppure i giardinetti, dove non amo assolutamente le giostre, né le macchinine a forma di bici – o forse sì, per scontrarci – ma quel certo scorcio tra gli eucalipti che danno sul braccio destro, verso l’uscita dal pentagono tra Viale Vittorio Veneto e Viale XXI Aprile. L’acqua che sa di ferro e calcare alla fontanella dei giardinetti, e le voci dei bimbi e di Chiara. L’amore degli otto anni, quando ti svegli una mattina di luglio e non sai cos’è quella cosa che ti batte nel cuore, dopo aver sognato di volare nella sua casa dall’alto. E di giorno hai solo le carte da asso pigliatutto, e il ricordo della sorella malata e tu che racconti le storie.
    Latina è una serie di viali ortogonali senza ancora le luci al silicio, dove i ragazzini possono giocare a pallone per strada, o andare al bar dello stadio a comprare il latte per mamma. Il barista del bar dello stadio ha il pallone del 74, e la maglia firmata di Chinaglia. E Pino Radiolina e i «ragazzini» dietro il campo sportivo, sospesi nella noia d’estate. Ma allora già sarei stato dodicenne, e ancora c’è molto da dire.
    Latina dopo il mare è la noia, assoluta, pura, interrotta solo dalle canzoni di Rita Pavone, o da Bandiera Rossa cantata per sentire di aver vicino mio padre. C’è un’ora del pomeriggio – prima che, anni dopo, avrei detto che i bambini disfacevano i castelli di sabbia – in cui la consistenza della noia diventa più viva. Il gioco allora è quello di pensare che solo se volessi potrei prendere il volo sui campi di canne spezzate adiacenti alla «Casa bianca». E dietro la palazzina, non esiste ancora il quartiere che poi sarebbe stato Panorama, c’è un’enorme savana, spezzata da viottoli in messo ai pantani, dove noi bambini andiamo a piedi, e più tardi poi con le biciclette, a cercare le rane e a tiraci i sassi, cercando la testa.
    E forse perché è il tempo dell’interruzione, che io adulto mi ricordo soprattutto l’estate. Il riflesso del caso, o il capriccio di una macchina che volta di qua perché di là c’è troppa gente, e il mare a sinistra.
    Non altro che quello per me è il mare. La destra significa afa, groviglio di ragazzini, mio padre non trova parcheggio. Cosciente che può essere altrimenti. A otto anni non esiste la possibilità di altre scelte, dipendo dai miei, la loro scelta mi è imposta come destino.
    Quest’anno, a novembre, è morto il cugino di mia madre, ucciso da una macchina che lo ha schiacciato sul suo Kawasaki rosso, dove via dell’Agora incrocia la strada per Borgo Grappa. La notizia arriva al telefono. Il pianto dirotto di mia madre, il sonno dopo il funerale, al quale non mi hanno fatto partecipare, e io che voglio l’arco di Sergio, è un modo, ancora, di giocare con lui. Non è possibile che sia morto.
    (Continua)

    Pubblicato 9 anni fa #
  16. llux

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    Membro

    ma pure qui, 'sti spammer???? ma so' senza ritegno...

    Pubblicato 9 anni fa #
  17. A.

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    Moderatore

    Talvolta la vita sorprende come un romanzo. In breve: giorni fa stavo facendo delle ricerche bibliografiche su di un autore sul quale è stato scritto assai poco, e sul quale sto scrivendo. Ho trovato una tesi di laurea, in un'unica copia depositata nella biblioteca di un istituto di scienze religiose di Trento. La prendo, quasi per curiosità, certo di trovarvi lo stile di una solito lavoro compilativo. E invece trovo una prosa scattante, raffinata, acuta filosoficamente. Ne ricavo l'impressione di una giovane studiosa promettente, che sicuramente avrà continuato un percorso di ricerca. cerco altri suoi titoli, nulla. Chiedo alla bibliotecaria notizie, nulla. Ha un numero ma non lo può dare. Mi dice che non posso fare fotocopie alla tesi se non ho il permesso scritto dell'autrice. Aggiunge che il nome corrisponde a una proprietaria di un negozio di scarpe. Non può essere lei, penso. Dopo qualche giorno, effettivamente, ricevo una mail nella quale si conferma che quella giovane (allora) ha effettivamente un negozio di scarpe. Ha cambiato mestiere, e ora si dedica a quello. Per il tramite della bibliotecaria, ella mi fa sapere che non ha problemi a parlarmi, anche se non sa se può essermi d'aiuto, sono passati tanti anni. In breve, rintraccio il negozio, entro, e chiedo se lei è quella persona. «Si, sono io; è come un tuffo nel passato, ho avuto nausea dello studio, e ho cambiato decisamente settore» mi dice con un sorriso un po' timido. «Poi, sa, ho due figli, e un negozio da tirare avanti…». Mi porge la tesi, scrupolosamente contenuta in una teca di carton lucido, per farne alcune fotocopie. «È l'unica copia che ho, mi raccomando, me la riporti!». Io le dico: «Le hanno detto, quando l'ha scritta, che meritava la pubblicazione?» Risponde che il suo professore (che conosco bene) le disse che era ben scritta, ma nessuno le propose nulla. Ora ha altro a cui pensare, figli da mantenere, le spese della casa, e non legge più di filosofia. Riportandole la tesi, mi accoglie ancora con un sorriso, ma stavolta sicuro, mentre è intenta a servire scarpe. Penso a Mounier, mentre ora a casa leggo quelle pagine. Ognuno, nel suo piccolo, contribuisce, con qualunque lavoro, al progresso della società. Io insegnando in un liceo, la mia collega, molto più dotata di me, vendendo scarpe.

    E la commedia continua.

    Pubblicato 8 anni fa #
  18. k

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    Membro

    Molto bello.
    Continui a frequentarla però, può forse imparare ancora molto da lei e può soprattutto farle tornare voglia di rimettersi a scrivere e a studiare.
    Stia bene A, e stia bene anche 'a scarpara e so fameja.

    Pubblicato 8 anni fa #
  19. Magari aveva detto tutto quel che doveva dire, più o meno. Poi c'è anche la vita. Va bene così.

    Pubblicato 8 anni fa #
  20. k

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    Membro

    24 LUGLIO 2016
    In morte di Mario Ferrari
    Detto Palude

    I meglio amici miei se ne so’ andati.
    Le lotte, le bevute, l’avventure,
    gli scioperi i contratti il sindacato,
    tutto finito, tutto è già passato.

    Rimango solo io ad aspettare
    che giunga, se Dio vuole, il turno mio
    – Èccome qua, compagni, so’ arrivato –
    e sullo sfondo s’alza la canzone:
    De pie, luchar, el pueblo va a triunfar”.

    Dio non può non esser comunista.

    (a.p.)

    Pubblicato 7 anni fa #
  21. SCa

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    Membro

    Beh, almeno tu, speriamo che aspetti a lungo.

    Pubblicato 7 anni fa #
  22. zaphod

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    Fondatore

    Ieri pomeriggio stavo per pubblicare su facebook uno dei soliti sproloqui ispirato al dibattito televisivo andato in onda l'altra notte tra Trump e Clinton, poi mi sono ricordato che era un po' di tempo che vagabondavo su Medium cercando di capire se valesse la pena frequentarlo e allora ne è uscito uno sproloquio un po' più lungo e argomentato che ripropongo anche in questo bar a beneficio degli avventori che dovessero entrare a cercare riparo.

    TRUMP POTREBBE ENTRARE (SUO MALGRADO) NELLA STORIA DELLE SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE?

    Nel caso il signor Donald Trump dovesse uscire vincitore dalle prossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti bisognerebbe riscrivere buona parte dei manuali di Teoria e Tecnica delle Comunicazioni di Massa.
    Nei confronti televisivi con Hillary Clinton è stato disastroso, non ne ha azzeccata una. Il tono, la prossemica, la postura, l’abbigliamento, per non parlare degli argomenti, che però, secondo i sacri testi, per la formazione del consenso e lo sbilanciamento degli indecisi non sono rilevanti.
    E quanto ad argomenti anche la signora Clinton non è immune da errori. La storia delle mail sparite, l’evanescenza e ambiguità dei programmi di politica estera, e comunque lo scarso appeal che entrambi possono avere sulle minoranze e sul proletariato e sottoproletariato americano non le permettono di aggiudicarsi un vantaggio decisivo.
    Le cose cambiano quando si guardano nell’ottica puramente formale della comunicazione.
    Ricordate la classica domanda che ci si poneva per giustificare l’enorme vantaggio di Kennedy nei confronti di Nixon in quel famoso contraddittorio televisivo?
    “Comprereste una macchina usata da quest’uomo?”
    E la risposta, osservando Nixon, era ovviamente, no. Mai nella vita.
    Nixon non si era preparato adeguatamente. Appariva insicuro, impacciato e vestito come un burocrate di secondo ordine. Kennedy arrivò nello studio televisivo e ne fece un solo boccone. Gioco, partita e incontro. La televisione soppiantava la radio definitivamente e il telespettatore diventava il pubblico di riferimento.
    Da allora gli staff dei candidati alla Casa Bianca hanno sempre preparato gli scontri televisivi con la massima cura. Niente è lasciato al caso e i candidati vengono vestiti da capo a piedi e indottrinati su come mettere le mani, dove guardare, se accavallare o no le gambe e come rivolgersi all’avversario e agli intervistatori.
    Nei due dibattiti finora svoltisi per queste presidenziali del 2016 Trump sembra aver voluto risparmiare su questa parte del budget della sua campagna elettorale. O forse non ha voluto imparare e memorizzare la lezione.
    Tira su col naso mentre parla al microfono, si alza e passeggia nervosamente, dà le spalle alla telecamera, battibecca con gli intervistatori, si lamenta perché l’avversaria sfora il tempo, interviene con battute fuori luogo (“sono furbo” dice quando Hillary Clinton lo accusa di non aver pagato le tasse) e gira intorno alle domande scomode invece di rispondere direttamente.
    La sensazione che se ne ricava è di uno che annaspa.
    E, sempre secondo i sacri testi, uno che annaspa si è già scavato la fossa da solo.
    Però.
    Però i sondaggi ancora lo vedono testa a testa, e sui social i suoi seguaci sono ancora più agguerriti e non accennano a tirare i remi in barca (durante il dibattito di domenica sera Clay Shirky retwittava i commenti dei follower di Trump ed era tutto un osanna di giubilo nei confronti del prode condottiero che faceva a pezzi la sua avversaria).

    Donald Trump con tutta probabilità non vincerà, ma se vincesse sarebbe sicuramente il caso di segnare la data delle prossime elezioni come lo spartiacque in cui la frammentazione delle interazioni ha superato il livello di guardia e ha spazzato via la concezione classica delle teoria delle comunicazioni di massa.
    Potrebbe essere il momento giusto per mettersi l’anima in pace: la rete ha preso il posto della televisione e a questa non resta che ritagliarsi un posto (possibilmente comodo) vicino alla radio.
    Ma se Trump non vincesse (e probabilmente non vincerà) rimarrebbe comunque solo una questione di tempo. Meglio tenersi pronti in vista delle presidenziali del 2020.

    Pubblicato 7 anni fa #
  23. zaphod

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    Fondatore

  24. cameriere

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    Membro

    Bello

    Pubblicato 7 anni fa #
  25. zaphod

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    Fondatore

    Grazie

    Pubblicato 7 anni fa #
  26. cameriere

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    Membro

    Prego

    Pubblicato 7 anni fa #
  27. Purtroppo l'inverosimile Trump buca il video è questo può fare un bel guaio in un paese in piena crisi. E' superfluo dire che tra i due c'è la differenza che passa tra un pecoraro e un ingegnere della NASA, ma le dinamiche elettorali sono diverse e se ci pensate bene dobbiamo convenire che l'americano medio somiglia molto più al grossolano Trump che a una politica di lungo corso come la Clinton. Temo in sintesi un nuovo Roma-Lecce.

    Pubblicato 7 anni fa #
  28. k

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    Membro

    Ah, sì? E l'italiano medio invece a chi somiglierebbe?

    Pubblicato 7 anni fa #
  29. Siamo opportunisti, trasformisti, individualisti, insofferenti e presuntuosi, nonché bugiardi. Le ricorda qualcuno?

    Pubblicato 7 anni fa #
  30. k

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    Membro

    Lei.

    Pubblicato 7 anni fa #

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