Bella persona questo ex marito, non c'è che dire.
Va bene prudere le corna, ma è una forma di femminicidio anche questa (ma anche la vostra, oserei dire).
Bella persona questo ex marito, non c'è che dire.
Va bene prudere le corna, ma è una forma di femminicidio anche questa (ma anche la vostra, oserei dire).
I femminicidi sono il 30% degli omicidi. Bisogna abolirli: si devono ammazzare solo i maschi...
io ho fatto solo il mio dovere di reporter
K, ti assicuro che la storia è più complessa, un giorno te la racconto. (Non qui ovviamente)
Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile
di Enrico Berlinguer
Gli avvenimenti cileni sono stati e sono vissuti come un dramma da milioni di uomini sparsi in tutti i continenti. Si è avvertito e si avverte che si tratta di un fatto di portata mondiale, che non solo suscita sentimenti di esecrazione verso i responsabili del golpe reazionario e dei massacri di massa, e di solidarietà per chi ne è vittima e vi resiste, ma che propone interrogativi i quali appassionano i combattenti della democrazia in ogni paese e muovono alla riflessione.
Non giova nascondersi che il colpo gravissimo inferto alla democrazia cilena, alle conquiste sociali ed alle prospettive di avanzata dei lavoratori di quel paese è anche un colpo che si ripercuote sul movimento di liberazione e di emancipazione dei popoli latino-americani e sull’intero movimento operaio e democratico mondiale; e come tale è sentito anche in Italia dai comunisti, dai socialisti, dalle masse lavoratrici, da tutti i democratici e gli antifascisti.
Ma come sempre è avvenuto di fronte ad altri eventi di tale drammaticità e gravità, i combattenti per la causa della libertà e del socialismo non reagiscono con lo scoramento o solo con la deprecazione e la collera, ma cercano di trarre un ammaestramento. In questo caso l’ammaestramento tocca direttamente masse sterminate della popolazione mondiale, chiamando vasti strati sociali, non ancora conquistati alla nostra visione dello scontro sociale e politico che è in atto nel mondo di oggi, a scorgere e intendere alcuni dati fondamentali della realtà.
Ciò costituisce una delle premesse indispensabili per un’ampia e vigorosa partecipazione alla lotta volta a cambiare tali dati. Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza ad opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.
In secondo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno, nei paesi del cosiddetto mondo libero, i nemici della democrazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che le classi dominanti borghesi, e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi ed il proprio potere.
A questo fine è indispensabile assolvere al compito di una attenta riflessione per trarre dalla tragedia politica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfondito giudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica del movimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro.
Abbiamo constatato che la via democratica non è né rettilinea né indolore. Più in generale il cammino del movimento operaio, quali che siano le forme di lotta, non è stato mai né può essere una ascesa ininterrotta. Ci sono sempre alti e bassi, fasi di avanzata cui seguono fasi in cui il compito è di consolidare le conquiste raggiunte, o anche fasi in cui bisogna saper compiere una ritirata per evitare la disfatta, per raccogliere le forze e per preparare le condizioni di una ripresa del cammino in avanti. Questo vale sia quando il movimento operaio combatte stando all’opposizione sia quando esso conquista il potere o va al governo.
L’obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di una determinata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi delle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra.
Il punto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivoluzionario è la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti in ogni momento e, più in generale, la comprensione del quadro complessivo della situazione internazionale e interna in tutti i suoi aspetti, non isolando mai unilateralmente questo o quell’elemento.
La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva – che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costituzione antifascista – dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime.
Quello che è certo è che la generale trasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso. La forza si deve esprimere nella incessante vigilanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nella determinazione a rintuzzare tempestivamente – ci si trovi al governo o all’opposizione – le manovre, i tentativi e gli attacchi alle libertà, ai diritti democratici e alla legalità costituzionale.
Consapevoli di questa necessità imprescindibile noi abbiamo messo sempre in guardia le masse lavoratrici e popolari, e continueremo a farlo, contro ogni forma di illusione o di ingenuità, contro ogni sottovalutazione dei propositi aggressivi delle forze di destra. In pari tempo, noi mettiamo in guardia da ogni illusione gli avversari della democrazia.
Come ha ribadito il compagno Longo al XIII Congresso, chiunque coltivasse propositi di avventura sappia che il nostro partito saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno, chiamando all’unità e alla lotta tutte le forze popolari e democratiche, come abbiamo saputo fare nei momenti più ardui e difficili.
La profonda trasformazione della società per via democratica ha bisogno di un significato assai preciso: in Italia essa può realizzarsi solo come rivoluzione della grande maggioranza della popolazione; e solo a questa condizione, consenso e forza si integrano e possono divenire una realtà invincibile.
Tale rapporto tra forza e consenso è del resto necessario quali che siano le forme di lotta adottate, anche se si tratta di quelle più avanzate fino a quelle cruente.
Il nostro movimento di liberazione nazionale, che fu un movimento armato, ha potuto resistere e vincere perché‚ era fondato sull’unità di tutte le forze popolari e democratiche e perché‚ ha saputo conquistarsi il sostegno e il consenso della grande maggioranza della popolazione.
Del resto, anche sulla sponda opposta, si è visto che i movimenti antidemocratici e lo stesso fascismo non possono affermarsi e vincere unicamente con il ricorso alla violenza reazionaria, ma hanno bisogno di una base di massa più o meno estesa, soprattutto in paesi con una struttura economica e sociale complessa ed articolata.
Ed è perfino ovvio ricordare che, più in generale, il dominio della borghesia non si regge solo sugli strumenti (da quelli più brutali a quelli più raffinati) della coercizione e della repressione, ma si regge anche su una base di consenso più o meno manipolato, su un certo sistema di alleanze sociali e politiche.
È il problema delle alleanze, dunque, il problema decisivo di ogni rivoluzione e di ogni politica rivoluzionaria, e esso è quindi quello decisivo anche per l’affermazione della via democratica.
La strategia delle riforme può dunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia delle alleanze. Anzi, noi abbiamo sottolineato che, nel rapporto tra riforme e alleanze, queste sono la condizione decisiva perché‚ se si restringono le alleanze della classe operaia e si estende la base sociale dei gruppi dominanti, prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno e tutta la situazione politica va indietro, fino anche a rovesciarsi.
Naturalmente, la politica delle alleanze ha il suo punto di partenza nella ricerca di una convergenza tra gli interessi economici immediati e di prospettiva della classe operaia e quelli di altri gruppi e forze sociali.
Ma tale ricerca non va concepita e attuata in modo schematico o statico. Occorre cioè indicare rivendicazioni e perseguire obiettivi che offrano concretamente a questi strati di popolazione e a queste forze e gruppi sociali una certezza di prospettive che garantiscano in forme nuove e possibilmente migliorino il loro livello di esistenza e il loro ruolo nella società, ma in un diverso sviluppo economico e in un più giusto e più moderno assetto sociale.
A questo scopo diviene necessario lavorare anche per determinare una evoluzione nella stessa mentalità di questi ceti e forze sociali, nel senso di allargare in tutta la popolazione una visione sempre meno individualistica o corporativa e sempre più sociale della difesa degli interessi dei singoli e di quelli della collettività.
Noi non ci limitiamo, dunque, a ricercare e a stabilire convergenze con figure sociali e categorie economiche già definite, ma tendiamo a conquistare e a comprendere in un articolato schieramento di alleanze interi gruppi di popolazione, forze sociali non classificabili come ceti, quali sono, appunto, le donne, i giovani e le ragazze, le masse popolari del Mezzogiorno, le forze della cultura, movimenti di opinione, e proponiamo obiettivi non soltanto economici e sociali, ma di sviluppo civile, di progresso democratico, di affermazione della dignità della persona, di espansione delle molteplici libertà dell’uomo.
Ecco il modo con cui noi intendiamo e compiamo il lavoro concreto per costruire e preparare le basi, le condizioni e le garanzie di quello che si suole chiamare un modello nuovo di socialismo.
Un grosso problema che ci impegna in sede politica, e che deve impegnare di più, in sede teorica, i marxisti e gli studiosi avanzati dell’Italia e dei paesi dell’occidente, è come far sì che un programma di profonde trasformazioni sociali – che determina necessariamente reazioni di ogni tipo da parte dei gruppi retrivi – non venga effettuato in modo da sospingere in posizione di ostilità vasti strati dei ceti intermedi, ma riceva invece, in tutte le sue fasi, il consenso della grande maggioranza della popolazione.
Ciò, evidentemente, comporta una attenta scelta delle priorità e dei tempi delle trasformazioni sociali e comporta, di conseguenza, l’adoperarsi non solo per evitare un collasso dell’economia ma per garantire anzi, anche nelle fasi critiche di passaggio a nuovi assetti sociali, l’efficienza del processo economico.
Questo è certamente uno dei problemi vitali che ha dinanzi a sé un governo di forze lavoratrici e popolari; ma è un problema altrettanto fondamentale in un paese come l’Italia, ove una forza grande come la nostra, uscita da tempo dal terreno della pura propaganda, cerca, fin da ora, dall’opposizione, con l’arma della pressione di massa e dell’iniziativa politica unitaria, di imporre l’avvio di un programma di trasformazioni sociali.
Se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica.
D’altronde, la contrapposizione e l’urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a una spaccatura, a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico.
Di ciò consapevoli noi abbiamo sempre pensato – e oggi l’esperienza cilena ci rafforza in questa persuasione – che l’unità dei partiti dei lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per garantire la difesa e il progresso della democrazia ove a questa unità si contrapponga un blocco dei partiti che si situano dal centro fino alla estrema destra.
Il problema politico centrale in Italia é stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte di tipo clerico-fascista e di riuscire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posizioni coerentemente democratiche.
Ovviamente, l’unità, la forza politica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le loro diverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo.
Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51% dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia), questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51%.
Ecco perché‚ noi parliamo non di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica, e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico.
L’errore principale da cui bisogna guardarsi è quello di giudicare la Democrazia cristiana italiana, e anzi tutti i partiti che portano questo nome, quasi come una categoria astorica, quasi metafisica, per sua natura destinata, in definitiva, a essere o a divenire sempre e ovunque un partito schierato con la reazione.
Ed è davvero risibile che a ciò si riduca, nella sostanza, tutta l’analisi sulla Dc che ci viene data da gente che, con tanta spocchia, cerca di salire in cattedra per impartire a tutti lezioni di marxismo.
Naturalmente il nostro giudizio sulla Dc è ugualmente lontano da quello che di essa danno quei suoi dirigenti i quali, rovesciando il contenuto ma mantenendo il medesimo metodo astorico che ora abbiamo criticato, presentano la Dc come un partito che, per sua natura, sarebbe il garante delle libertà e l’alfiere del progresso democratico.
Tali essendo la realtà della Dc ed il punto a cui essa si trova oggi, è chiaro che il compito di un partito come il nostro non può essere che quello di isolare e sconfiggere drasticamente le tendenze che puntano o che possono essere tentate di puntare sulla contrapposizione e sulla spaccatura verticale del paese, o che comunque si ostinano in una posizione di pregiudiziale preclusione ideologica anticomunista, la quale rappresenta di per sé, in Italia, un incombente pericolo di scissione della nazione.
Si tratta, al contrario, di agire perché‚ pesino sempre di più, fino a prevalere, le tendenze che, con realismo storico e politico, riconoscono la necessità e la maturità di un dialogo costruttivo e di un’intesa tra tutte le forze popolari, senza che ciò significhi confusioni o rinuncia alle distinzioni e alle diversità ideali e politiche che contraddistinguono ciascuna di tali forze.
Certo, noi per primi comprendiamo che il cammino verso questa prospettiva non è facile né può essere frettoloso. Sappiamo anche bene quali e quante battaglie serrate e incalzanti sarà necessario condurre sui più vari piani, e non solo del nostro partito, con determinazione e con pazienza, per affermare questa prospettiva.
Ma non bisogna neppure credere che il tempo a disposizione sia indefinito. La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano.
Fonte: Rinascita, Settembre-Ottobre 1973
PS. E' un articolo dei tre, il primo nel quale appare la locuzione compromesso storico. Traggo la segnalazione da un mio amico giornalista
http://www.danielepugliese.it/?p=3610#more-3610
Sono contrario al funerale pubblico a Priebke.
Non è questione di negare la pietas a un morto.
e' questione di impedire, o almeno cercare di evitare, che qualche giovanotto venga a piangere sulla sua bara. Causando ovvie ripercussioni di ordine pubblico, perchè sicuramente ci sarebbero gli antifascisti, e chi vuole custodire la pietas dei morti delle ardeatine, che andrebbero là a contromanifestare.
Priebke Boia, questa è la mia verità storica. E non passi come un'offesa.
Le parole di A sono state profetiche, visto quanto poi accaduto ad Albano. Un vero genio questo prefetto Pecoraro.
Nomen omen.
Letta mi ha molto deluso, ha dimostrato di non avere alcuna idea nuova, è solo uno dei tanti capitati lì.
Ho cambiato idea su di lui in queste ultime settimane. Tu non puoi mettere la Tris(t)e agli inquilini che già pagano affitto e condominio e tutte le utenze. Questo non significa solo capire poco di politica (pensate quanti voti in meno), ma proprio capire poco della vita. Ma possibile che non volete capire che dovete colpire i ricchi e non il popolo stremato?
Il popolo stremato mica vota più, i ricchi, invece sì....
Beh, solo dei ricchi la politica si occupa in positivo.
Già, poi i poveri non pagano tangenti.
Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no ad un certo metro:
compagni il gioco si fa peso e tetro, comprate il mio didietro, io lo vendo per poco!
(l'avvelenata. - F.G.)
E' un momento storico per l'Italia, che deve dimostrare coi fatti se davvero la legge esiste, se è uguale per tutti e se le sentenze della magistratura vengono davvero eseguite.
Se la sentenza di condanna a carico del cittadino Berlusconi Silvio, ex parlamentare, non sarà eseguita, lo Stato di diritto entrerà in uno stato di sospensione. Dopo, però, non venite a chiederci di pagare le tasse.
è stato fatto.
E mo' a Fernando chi glielo dice che le tasse le deve pagare?
Se non lo arrestano non siamo più in democrazia. Mi dichiarerò prigioniero politico di un regime dittatoriale.
Ruba una brioche! O leggiti pg. 170 ( o giù di lì ) della sentenza per solleticare la pruderie.
Silvio Berlusconi in galera, grazie.
La situazione la conosciamo bene, purtroppo.
Mentre una classe politica delegittimata - spesso formata da ladri matricolati - ci percula con dati sullo spread fondando un partito al mese per far dimenticare che Berlusconi va arrestato, i cittadini fanno i conti ogni giorno con problemi che i politici neanche immaginano - come quello della casa ad esempio - e con tasse e bollette insopportabili, da fronteggiare con salari inadeguati e pensioni da terzo mondo che fanno felici banche, finanziarie e strozzini.
Su tali premesse questa protesta dei forconi (a parte il nome scelto, che non si può sentire) ci sta tutta. Credo che anche i poliziotti - se non avessero un vitale bisogno dello stipendio che quel lavoro gli garantisce - sarebbero per strada a dire basta a questo schifo.
No alla violenza, ma sì alla protesta per seppellire la Partitocrazia. C'è Forza Nuova dietro? Non lo so, so solo che nelle immagini tv vedo tantissimi italiani incavolati, rovinati dall'Euro ma non solo, che non ce la fanno più ad andare avanti e questo mi basta per appoggiarli.
Svegliati, Italia, svegliati.
Se uno aveva magari solo un dubbio, adesso che s'è schierato il Fer se l'è levato.
Basta, come forma di protesta civile e democratica contro questo governo di inetti ho deciso che a Natale mi leggo "Canale Mussolini", di un autore di Latina di nome Antonio. Tie'.
Leggere questo articolo
20 gennaio 2014 - Sull'incontro Renzi/Berlusconi
Renzi dice: "E con chi dovevo andare a parlare allora, col cagnolino? Se fai una trattativa, devi parlare con quello che conta" e fin qui sono perfettamente d'accordo. Pure noi in Fulgorcavi - come Consiglio di fabbrica - mica andavamo a parlare con l'usciere. Parlavamo col padrone, o quanto meno l'Amministratore delegato. E se non si sbrigava a scendere, spegnevamo tutte le macchine: "Sciopero!"
Poi però se n'è uscito anche Veltroni, che nel promuovere il metodo usato da Renzi (cfr. Repubblica.it) dice che "è giusto perché le regole si scrivono con tutti", e rievoca il parallelo con 5 anni fa: "Io provai a farlo con Berlusconi, ma non ci riuscii perché Berlusconi allora era troppo forte. Si sentiva talmente forte da poter andare a elezioni anche facendo fallire il tentativo di riformare l'assetto istituzionale e la legge elettorale".
E allora mi sono girati i coglioni e ho detto: "Ma vaffanculo, va'".
Qualcuno è in grado di spiegarmi perché il tentativo di Veltroni era comunque nobile ancorché infruttuoso, quello di Renzi giusto e necessitato, e quello di D'Alema in bicamerale invece - vent'anni fa - infame ed inciucioso? Ma sai quanti lutti e guai - vent'anni di guai almeno - avrebbe risparmiato all'Italia, se fosse andato in porto?
Un'altra domanda poi mi sorge: ma perché i "101" che hanno piombato Prodi nella corsa al Quirinale sono nemici del popolo e traditori, mentre quelli che invece prima avevano piombato Marini sono santi e benefattori? Ma rivaffanculovà, e ringrazia Dio che non ero deputato pure io. Sennò ero il centoduesimo.
Lo dico subito, io alle Europee, da buon radical chic, voterò Tzipras.
Voi fate quel cazzo che vi pare.
A.
io invece sono indeciso se votare il prossimo premier del PD (parlo di dicembre 2014) cioè pippo civati oppure se puntare direttamente al 2016 valutando il ticket madia- serracchiani.
la profezia venne già scritta negli antichi libri....
Oggi si lascia intendere che il promesso aumento in busta paga (= elemosina) è solo una chimera renziana ma a parte questo futile dettaglio i giorni passano invano con un Paese inciampato sul cinico desiderio dei vertici PD di bruciare la meteora postberlusconiana Renzi Matteo da Firenze, un visionario narcisista convinto di avere misteriose qualità taumaturgiche.
Io già non ne posso più. Prima se ne va meglio è, lo dico oggi, in tempi non sospetti.
Non possiamo permetterci di perdere ancora tempo, il Paese agonizza e in questa agonia affidarsi a un dilettante allo sbaraglio, un viziatello con la casa piena di specchi che dà il 5 a tutti come un liceale, è stata follia pura.
Matteo Renzi go home, torna alla playstation...
Ma c'è una ragione etica per la quale debba esistere ancora l'aristocrazia? Parlo di quella sostanziale, i manager di stato... E dall'altra parte la schiavitù: quelli che sono costretti a suicidarsi perché non c'è la fanno, o a stare nella più cupa depressione perché non lavorano? la distinzione delle persone in base ai soldi che guadagnano, più o meno faticando? Forse questa crisi rivela finalmente l'assurdo che consiste nell'Accettare come naturale la diseguaglianza artificiale prodotta dalla società ? Credo che una certa dose di razionalità non possa che farmi propendere per un rigoroso egualitarismo assoluto. Viva la differenza, abbasso la diseguaglianza. Salario sociale come gesto di contro potere rivoluzionario. Comunismo o barbarie!
Feed RSS per questa discussione
Devi aver fatto il login per poter pubblicare articoli.