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Politiche culturali

(93 articoli)
  1. A

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    Membro

    Solo un caso di depressione finito male, forse, ma significativo di uno stato di cose di molti giovani in Italia. Per carità, c'è chi non si suicida, pur essendo nelle medesime condizioni, o anche peggiori, ma il fatto è paradigmatico, nella sua tragicità. Il fatto ad esempio che oggi sia quasi scontato reagire con "e cosa pretendeva questo?", è forse più significativo di un avvenuto cambiamento del senso comune. Nella società liquida la normalità è questa condizione di precarietà, e anzi di assenza di futuro stabile, per cui la pretesa inconscia di farsi un futuro stabile è tacciata automaticamente di esagerata pretenziosità fuori dal mondo. E' un dato di fatto, ripeto, non una impressione momentanea.
    Fer direbbe: poteva non fare filosofia, magari poteva fare altro. Può darsi, ma conosco anche dottori (di ricerca - mica pizza e fichi) in ingegneria meccanica che non trovano lavoro perchè sono troppo competenti rispetto alle offerte contrattuali che le aziende (anche del nord) sono disposte a concedere. E quindi insegnano. Per la fame.

    pensiamoci e discutiamone
    A
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    "Non ho futuro". Palermo, si uccide un dottorando
    pubblicata da INFORMAZIONE LIBERA il giorno martedì 14 settembre 2010 alle ore 18.56

    «La libertà di pensare e anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla: è quanto ha scritto mio figlio in un quaderno prima di suicidarsi». Lo dice Claudio Zarcone, 55 anni, dipendente regionale in pensione, padre di Norman, 27 anni, il giovane, che stava ultimando un dottorando in filosofia del linguaggio, si è lanciato ieri da un terrazzo della Facoltà di Lettere di Palermo, morendo sul colpo. «Il suo gesto lo considero un omicidio di Stato. Era molto depresso per il suo futuro - aggiunge il padre - Si era laureato in filosofia della conoscenza e della comunicazione, con 110 e lode. A dicembre si sarebbe concluso il dottorato di ricerca della durata di tre anni svolto senza alcuna borsa di studio. I docenti ai quali si era rivolto gli avevano detto che non avrebbe avuto futuro nell'ateneo. E io sono certo che saranno favoriti i soliti raccomandati». Norman era fidanzato e cercava un lavoro anche per potersi sposare. «Per guadagnare 25 euro al giorno faceva saltuariamente il bagnino in un circolo nautico. Mi diceva - racconta il padre - che era anche un modo per imparare l'etica del lavoro». Claudio Zarcone, che è anche giornalista professionista ha fatto a lungo l'addetto stampa per alcuni assessori. «Ho cercato aiuto dai miei amici parlamentari di ex An ma nessuno mi è venuto incontro. Ho trovato solo porte chiuse». Norman aveva un fratello, David, di 33 anni che lavora nel servizio di emergenza sanitaria del 118. «È distrutto anche lui - dice il padre - Erano molto legati. Non riesce a comprendere il suo gesto».

    http://www.leggonline.it/articolo.php?id=79664

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. Qui il problema si articola su due binari.

    Uno è quello, da tempo sugli scudi, del lavoro nel contesto università e ricerca. Da tempo nel nostro paese siamo in una pessima situazione, pressochè priva di sbocchi se non per pochi eletti, spesso raccomandati e/o nelle grazie del baronetto di turno. Certo, c'è la possibilità di realizzarsi all'estero ma è una soluzione attuabile in determinati casi e non certo in modo sistematico.

    L'altro punto della questione riguarda il ramo di specializzazione di Zarcone : salvo in ambiti l'insegnamento superiore e varie forme di counseling/selezione del personale/risorse umane in grado di assorbire un numero decisamente limitato di posti, in Italia un titolo in materie umanistiche non è in alcun modo una garanzia in termini occupazionali. E' utopico per un laureato in lettere o in filosofia sperare di trovare un'occupazione corrispondente agli studi effettuati e pressochè sempre i neolaureati in oggetto si trovano a doversi adattare a mestieri di assoluto ripiego.

    Io stesso, laureato in Filosofia, ho una sistemazione decente grazie alle competenze in lingua straniera che mi porto dietro dal liceo ("fai lo scientifico!" mi dicevano "cazzo fai a fare il linguistico!"
    vaffanculovà...).

    Dobbiamo, credo, interrogarci sul senso del dedicare la vita agli studi di letteratura o di filosofia. Voglio dire, io lo sapevo anche prima che andava a finire così, ma quanti ci provano, ci sperano e ci restano depressi? Ho forti dubbi che chi "conta" mercato del lavoro italiano, spesso orgogliosamente ignorante e snob per complesso d'inferiorità verso chi "ha studiato" (mentre si sono fatti da soli, loro!), capirà tanto presto (o capirà mai) le possibilità offerte da un laureato in materie umanistiche.
    Come mangeremo ce lo dobbiamo chiedere prima di iscriverci all'università.

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. A

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    Con estremo realismo, e mio malgrado, debbo ammettere che chi si iscrive a lettere o filosofia avendo necessità di lavorare , e in prospettiva di trovare un lavoro, è quantomeno temerario, quando non addirittura dissennato.
    Questo è di fatto.
    Siamo - credo - tutti d'accordo che così non debba essere.
    Il problema è da una parte cercare di non rassegnarsi al reale, dall'altra fare i conti con il reale.
    Di fronte ad un dramma come quello di palermo credo sia umano tacere. come di fronte ad ogni morte.
    Se però uno mette in relazione chiasmatica questo drammatico gesto, con l'affermazione beota e perentoria di un parlamentare stra-noto ieri, secondo cui è lecito prostituirsi per ottenere un lavoro, allora uno è lecito anche che si incazzi.
    Incazzarsi è poco. E' un fatto soggettivo, arrabbiarsi. Il senso di ingiustizia è invece il motore della lotta.
    Anche questo è reale. E ricordatevi sempre (meglio: ricordiamoci), che nei fatti umani la realtà è sempre storica, dunque mutevole e dipendente dagli eventi dell'umanità. Il capitalismo antiumanistico non è un destino: è un prodotto storico.
    RIP per questo ragazzo. ma cerchiamo di far sì che il suo gesto serva a qualcosa. Sia pure, in sè, il prodotto di una depressione personale - come ce ne sono tante - il suo significato p o l i t i c o siamo noi cittadini che sperano e lottano per un mondo a misura d'uomo cio che deve risvegliarci dal nostro sonno egocentrico e destarci allo lotta per la realizzazione dei valori dell'articolo 3 della cost.it.

    Ps. Se qualcuno dice che la costituzione italiana è utopistica e sorpassata: vaffanculo!

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. k

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    Membro

    No, non si può dire che la "precarietà" sia causa di suicidio. Per poter dire questo, bisogna prima che tutti i precari - o almeno gran parte - si siano suicidati. E non è così. Uno si suicida per altri cazzi - l'inadeguatezza al vivere, per esempio - che chiamano quasi sempre o più spesso in causa la famiglia, che lo Stato o la società.

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. A

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    Si K, questo l'ho detto anche io.
    Infatti se legge bene, argomento in maniera spero un po' più complicata. Non mi metta in bocca cose che non dico.

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. Credo che il problema lavorativo sia stato, in questo caso,, la scintilla in quella che già per conto suo era una santabarbara.

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. k

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    Membro

    No, A, lei non lo ha detto, o quanto meno non s'è proprio capito. Lei ha riportato integralmente le dichiarazioni del padre ("omicidio di Stato, etc.") ed associandole comunque alla sue considerazioni sul precariato le ha di fatto integralmente avallate. Ora - come si diceva questa sera con Zaphod - pietas naturalmente per il povero ragazzo e per tutti quelli che ora stanno soffrendo a causa del suo gesto, ma almeno tra noi che facciamo un lavoro più o meno intellettuale si rende pure necessaria qualche razionalizzazione in più. Non crede? Ergo, questo suicidio come quasi tutti i suicidi (ripeto il "quasi") può essere difficilmente fatto risalire a responsabilità dirette dello Stato o degli assetti strutturali sociali, bensì esclusivamente a quelle di ordine "culturale" delle famiglie ed eventualmente dei gruppi sociali di provenienza. Se a casa sua le hanno insegnato fin da piccolo che non ci si suicida per nessun motivo e che il suicidio non è mai un'opzione disponibile, lei è difficile che arrivi poi a suicidarsi. Magari - se non riesce a trovare lavoro al paese suo - alza il culo e va a Trento, oppure più in là, o magari va a rapinare una banca, o a spacciare la droga, o a fare gli assassinii o i sequestri di persona, ma l'idea di suicidarsi non le viene per niente in mente. Se invece nel suo ambiente, o nella sua famiglia, magari nei rami anche più lontani, il suicidio è un'opzione disponibile poiché qualcuno in passato l'ha già operata, ma chi è venuto dopo non ha operato nei suoi riguardi le contromosse (non le è stato cioè chiaramente detto che non si fa), allora lei alla prima difficoltà di vivere, alla prima depressione, va e s'attacca la corda al collo, dando la colpa a tutti gli altri, al mondo che non l'ha accettata, al lavoro che non c'era, ad An che non le ha fatto la raccomandazione.
    In ogni caso, requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei, requiescat in pace, amen. E pace e pietas a suo padre a tutti gli altri.

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. Il precariato l'ho vissuto sulla mia pelle, un paio d'anni. Poi per fortuna è arrivata la conferma e il contratto a tempo indeterminato. E' il famigerato precariato dei call center che è molto meno professionalizzato da tanti altri precariati, non dico più famosi, ma di cui certamente si parla di più. Avendolo vissuto da dentro, non accetto semplificazioni buoniste - tutti i precari sono buoni - perché non è vero. E' la realtà che ci piace pensare. Ma i precari vengono educati, dal primo giorno della loro assunzione, alla guerra l'uno contro l'altro. Homo homini lupus. E chi è più figlio di una mignotta, o più raccomandato, vince. Non ci sono cazzi.

    La coscienza sindacale è pressoché pari a zero. Così come le rivendicazioni di gruppo. Ci sono solo quando tutti, nessuno escluso, stanno in mezzo alla merda. Se qualcuno, anche una piccolissima parte, in mezzo alla merda non ci sta, allora si fanno distinzioni e si cerca di restituire la complessità del reale.

    Tra i precari della scuola, al di là di chi sta in cima alle classifiche, ci sono anche tanti che a insegnare non è che ci pensino tanto. Ci sono le maestre che rifiutano le supplenze perchè vanno in vacanza negli States, così come quelli che vogliono insegnare davanti casa oppure quelli che rifiutano di andare al Ragioneria perché insegnano lettere e loro solo al Classico vogliono andare.

    In mezzo ai precari della scuola c'è tanta gente per bene, ma c'è anche tanta gente che per bene non è. Così come nel customer care. Sai quanti avrebbero sgozzato una persona se glielo avessero ordinato?

    Basta co sta storia del precario vittima. Perché, proprio per come funziona il sistema, il precario è un arma da guerra contro il sindacato, voluta - guarda te che masochismo - dal sindacato stesso. Perché un precario a cui hanno inculcato una mentalità individualista - e non di classe o collettiva - sarà anche un lavoratore a tempo indeterminato che pensa ai cazzi suoi.

    Se non lo fa, è un prodotto uscito male.

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. k

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    Scusa, Torque, ma che cazzo c'entra?
    Non è meglio che continui a studiare?

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. Digressione per digressione, Torque, ti rispondo.

    Non è che prima del precariato fossero tutti per bene. I carrieristi, gli arrivisti, i lavativi e i raccomandati c'erano anche prima. Il precariato non inventa niente, semplicemente amplifica e, in parte, giustifica molti comportamenti da te descritti, ma non è che prima fosse tutto rose e coscienza di classe e per molto tempo in realtà di grandi dimensioni molti hanno sfruttato le conquiste delle lotte politiche per farsi i cazzi propri.
    Provassero, poi, gli operatori dei call center a lottare per i propri diritti. Colpo di spugna e avanti i prossimi.

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. non c'entra col suicidio, ma con tutta la tiritera sui precari che si legge sui giornali e sul Forum.

    Torno a studiare.

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. SCa

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    Membro

    Come mi succede spesso con quanto scrive k, mi trovo "quasi" d'accordo (e non vorrei che questo gli facesse "quasi" cambiare idea).
    Appena finito di leggere un suo pezzo mi sembra tutto giusto e mi sorprendo di come abbia affrontato la questione da un punto di vista inusuale, originale, mettendo in evidenza degli aspetti che normalmente non si colgono. Poi mi cresce la sensazione che ci sia qualcosa che non va, che a un certo punto abbia tirato dritto su degli aspetti non secondari. E non è facile trovare dove, perché la storia regge, potrebbe effettivamente essere andata così.
    Come qui sopra. Penso anch'io che uno non si suicidi perché perde il lavoro o non lo trova o per amore; c'è, come dice k, l'inadeguatezza al vivere alla base di questi gesti, o una concezione del vivere che non corrisponde a quello che ci si trova di fronte o che riserva il futuro. E nella propria formazione è vero che pesi molto di più la famiglia dello Stato o della Chiesa, ma non "esclusivamente". E più dei gruppi sociali di provenienza pesano i gruppi sociali di appartenenza, quelli in cui si cresce e si vive, e quindi, in maniera meno diretta, la società intera.
    Che c'entra il prozio suicida? Forse è qui che k ha tirato dritto. Quando sembra identificare nella famiglia quasi l'unica causa, nel non avergli detto così non si fa, nel non avergli insegnato i valori della vita, primo fra tutti vivere appunto. Un po' semplicistico, mi pare.

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. k

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    Membro

    No Sca, è la tua che è semplicistica, perchè tende a relegare tutto alla sfera e alle strutture sociali del presente. E invece no. Parecchi - se non tutti - dei nostri comportamenti e soprattutto dei valori che li in-formano, attengono alla struttura profonda dell'identità psichica d'ogni essere umano e soprattutto al suo divenire storico, caratterizzato fin dal nascere dai cosiddetti processi imitativi (e tu saprai che in quanto a imitatività, non c'è niente di peggio del suicidio e del disagio mentale).
    L'altro dato è quello della "familiarità". Esattamente come nel caso dell'infarto è assai difficile che nella famiglia di provenienza dell'infartuato non si riscontrino casi e patologie similari, così nel caso dei suicidi è assai raro che non se ne trovino anche in quella del suicida, magari a distanza pure di qualche generazione. Ergo, pare che si suicidi solo chi, nella sua famiglia, abbia già avuto o visto qualcuno che lo ha fatto. E', cioè, una sorta di opzione "genetico-culturale": un sentiero aperto, una possibilità d'uscita (questa, ovviamente, non è un'intuizione di k, ma di Freud e di Jung).
    E così, caro Sca, esattamente come chi avuto il padre, lo zio o il nonno infartuati è bene che fin da giovane impari a controllare la pressione, il colesterolo, i trigliceridi e soprattutto a non fumare, così chi ha avuto qualcuno in famiglia che si è suicidato è bene che insegni subito ai suoi figli, soprattutto con l'esempio, che queste cose non si fanno e che dovere d'ogni uomo è giocare fino in fondo e con tutte le proprie forze la sua partita, qualunque essa sia. Tè capì?
    Impara quindi ad essere da oggi e per sempre d'accordo, fin dall'inizio, con tutto quello che dice k, ancora prima di leggerlo. Mettiti lì e di': "Atto di fede!". Sennò ti mando "quasi" a fare in culo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. la lavandaia

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    in ciascuno di noi esiste un bisogno radicale: dare un senso alla propria vita perchè sia significativa e utile.
    Dare un senso è tentare di vivere la felicità, di possedere il bene per se e attorno a se e la strada è quella di essere se stessi, di diventare ciò che siamo chiamati ad essere...

    vista così sembra facile.

    Ma se la società, la scuola, il contesto sociale in cui si vive, la famiglia, non consentono di essere se stessi? a mali estremi estremi rimedi? oppure lottare?
    Credo che ogni essere umano sia un universo e difficilmente incontra un altro universo simile con il quale confrontarsi e fondersi.
    A volte la disperazione è tanta che l'unica via d'uscita è "scappare" e non andare, poichè si scappa se qualcuno ci corre dietro. Ma se nessuno si accorge di quello che accade allora si và...ad altra vita.

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. SCa

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    Non relego "tutto alla sfera e alle strutture sociali del presente", anzi, la "familiarità" che dici è proprio uno di quegli aspetti di cui generalmente non si tiene conto, ma che probabilmente ha un peso notevole.
    Il nostro carattere, che poi determina come affrontiamo la vita, dipende da come nasciamo e da quello che impariamo, e anche come impariamo dipende da come siamo fatti. Basta vedere il comportamento anche di bambini piccolissimi. Perciò il discorso della prevenzione mi sembra inusuale e particolarmente interessante.
    Però così come ci si ammala di più in ambienti insalubri, vabbé quelli predisposti si ammalano prima, così vivere una società "malata", in cui sia difficile trovare valori, ideali, giustizia, bene non fa.
    Poi magari si scoprirà che nell'80% dei casi è la mancanza di una certa sostanza nel cervello che riduce l'istinto di sopravvivenza.

    Per quanto riguarda la fede, ahimé, per non parlare di Dio, ho dei dubbi pure sul big bang.

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. urbano

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    Membro

    Alcuni studi degli anni sessanta dello scorso secolo scoprirono relazioni tra lo spazio e l'endocrinologia e poi ancora i comportamenti indotti.
    Si chiamava prossemica.
    Le prospettive erano inquietanti come sempre all'inizio.
    Non se ne seppe più nulla, credo che tutto fu ricondotto nei sistemi di controllo del capitale.
    Un testo in cui si parlava del tema, che oggi può essere letto anche con lo spritito della verifica, é Edward T. Hall, La dimensione nascosta, 1966, Bompiani.
    Provare per credere.

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. zaphod

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    Fondatore

    "Qualunque teoria riduca la complessità delle relazioni umane a fluttuazioni endocrine è spazzatura."
    M.Lanzidei - 2010

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. urbano

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    Membro

    scopino?

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. zaphod

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    Fondatore

    Io?
    No, pescivendolo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. zero71

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    Membro

    Sembra che stia riposando:
    starò forse per morire.
    C'è una stanchezza nuova e dolce
    di tutto che volli amare.

    C'è una soprpresa di trovarmi
    così disposto a sentire.
    Subito vedo un fiume
    tra alberi luccicare.

    E sono una presenza certa
    il fiume, gli alberi e la luce.

    (F. Pessoa)

    Qualcuno lo liquida indifferente
    gesto dell'insano, insensato e ingrato.
    Cortocircuito contro il cosmo, o Dio.
    Ma è, a ben vedere, un atto di coraggio.
    Sì, a conti fatti, un atto di coraggio.
    Se al cielo azzurro non riesci a sorridere,
    né dirti suo o di un alito di vento;
    nulla ti attrae né davvero desideri;
    la pioggia è più proficua del tuo pianto,
    be'... saluti la vita di buon grado:
    non ti ingoia l'agonia e l'arida angoscia,
    dormendo all'istante, pacato eludi.

    Se fosse semplice avere coraggio
    nel tragico solco di un lento attimo
    credo che, senza enfasi, sarei morto.

    Reprimere l'istinto nel sopprimersi
    è certo prerogativa dell'uomo.
    Diciamo che è un dono, una qualità.
    Se vogliamo, un atto di libertà.
    Sottrarsi al dovere imposto da sempre
    di pagare il tributo della storia.
    Si può scegliere, soltanto, di andarsene.

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. k

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    Membro

    No, cazzo, è vero esattamente il contrario. Tu hai dei doveri non verso la storia in astratto, ma verso le persone concrete che hanno circondato e circondano la tua vita. Verso quelli prima di te e verso quelli dopo di te, verso quelli che t'hanno amato e t'hanno dato. E se tu invece hai avuto la sensazione che non t'amassero o che non t'abbiano dato abbastanza, è stato solo per la cecità del tuo egotismo. Zero, dalla depressione si esce, e si esce a forza di volontà. Falla finita e non rompere i coglioni, pensa piuttosto alla forza devastante, alla potenza distruttrice che ha ogni suicidio sull'ambiente diretto che lo circonda e sulle generazioni che lo seguono.
    Torque, cancella il suo post, perchè non è ammissibile che sul nostro forum si canti come positivo il suicidio. Dice: "E' censura"? E' censura! Me frega stocazzo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. zero71

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    Membro

    Dove lo hai letto che è positivo? Era per confermare quanto avevi detto sul fatto che l'influenza della propria esperienza familiare (la storia di Pessoa è esemplare in questo) è fondamentale nelle tendenze suicide.
    Io non mi voglio suicidare e non sono depresso. é solo intuizione lirica. Gran parte delle parole negli endecasillabi sono di Pessoa stesso...

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. urbano

    offline
    Membro

    ...

    Some one has died
    long time ago -
    some one who tried
    but didn’t know.

    Cesare Pavese nel 1950

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. k

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    Membro

    E suicidati pure tu Urba', che cazzo vuoi da me? Almeno gli eucalypti cominciano a campa' in pace, a sto paese.

    (Ma ti pare a te, che pur di darmi in culo a me, saresti capace anche d'andarti a suicidare? E fallo, va', buttati al Canale delle Acque Medie. Avvisami però, che io ti vado a aspettare a Rio Martino, da sopra gli scogli, e quando passi ti piglio pure a sassate.)

    MI FREGA STOCAZZO, A ME, SIA DI PESSOA CHE DI PAVESE.

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. zero71

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    Membro

    Grazie di esistere K. Ti abbraccio forte.

    Pubblicato 13 anni fa #
  26. urbano

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    Membro

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
    questa morte che ci accompagna
    dal mattino alla sera, insonne,
    sorda, come un vecchio rimorso
    o un vizio assurdo. I tuoi occhi
    saranno una vana parola,
    un grido taciuto, un silenzio.
    Così li vedi ogni mattina
    quando su te sola ti pieghi
    nello specchio. O cara speranza,
    quel giorno sapremo anche noi
    che sei la vita e sei il nulla
    Per tutti la morte ha uno sguardo.

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
    Sarà come smettere un vizio,
    come vedere nello specchio
    riemergere un viso morto,
    come ascoltare un labbro chiuso.
    Scenderemo nel gorgo muti.

    Sempre lui.

    Pubblicato 13 anni fa #
  27. A

    offline
    Membro

    Il vero eroe è chi resiste invece, e lotta. Non chi scappa.

    Get the Flash Video

    Pubblicato 13 anni fa #
  28. urbano

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    Membro

    Si è vero,
    quello è proprio un Eroe.
    Il più delle volte lo è, romanticamente, sempre dopo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  29. A

    offline
    Membro

    No, Urbano. Lo è durante. E non c'è niente da ironizzare.

    Pubblicato 13 anni fa #
  30. urbano

    offline
    Membro

    Sarà ma l'Eroe è quello che è per quello che ha fatto, al passato remoto o prossimo. Siccome nel tempo moderno le frequenze sono infinitesimali, così continue da annullare il passato in un eterno mentre, e siccome ci son più chiacchiere che fatti, per proiezione ti pare di essere eroe continuamente. Ma è una sensazione, gli eroi è tanto che non appaiono.
    Forse però noi la vediamo uguale, è solo questione di come si carica il senso delle parole; io non ironizzo, parlo sulla base dell'esperienza, discutibile quanto ti pare ma esperita.
    A mio figlio non ho mai insegnato la " resistenza " nel senso quasi guerresco di reggere l'attacco nemico, ho insegnato (si ho cercato) il "continuare". Ho imparato a considerare che la caratteristica principe è la capacità plastica di assorbire le sollecitazioni non quella di resistere ai limiti della fragilità fino alla rottura.
    All'esistendo ho sostituito l'avvenendo.
    Per questo non considero assolutamente indegna la fuga, anzi credo che a volte sia fondante e a volte, rare, sia un bel rifiuto che lascia pure l'aggressore a palle in mano.

    Pubblicato 13 anni fa #

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