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(68 articoli)
  • Avviato 15 anni fa da rindindin
  • Ultima replica da parte di rindindin
  1. urbano

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    cose reciproche

    Pubblicato 15 anni fa #
  2. Se vi capita "Nonsoloannunci" di giugno (in tutti i bar di Latina e provincia) potete leggervi - a pag. 49 - il mio ultimo racconto: "Latina criminale"... racconto che ha partecipato al Premio Resistenza 2009.

    Pubblicato 15 anni fa #
  3. rindindin

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    bravo Fer!

    Pubblicato 15 anni fa #
  4. sensi da trento

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    [quote]Se vi capita "Nonsoloannunci" di giugno (in tutti i bar di Latina e provincia) potete leggervi - a pag. 49 - il mio ultimo racconto: "Latina

    Pubblicato 15 anni fa #
  5. sensi da trento

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    me s'è impallato il computer porca paletta

    Pubblicato 15 anni fa #
  6. rindindin

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    volevi dire qualcosa d'interessante? qui il forum langue!

    Pubblicato 15 anni fa #
  7. sensi da trento

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    volevi dire qualcosa d'interessante? qui il forum langue!

    si.
    volevo dire che mi si è impallato il computer, fanculo a vista e al bit dell'avvenire.

    stavamo meglio quando c'era lui.
    il DOS, intendo

    Pubblicato 15 anni fa #
  8. zero71

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    Matteo, 7, 11-14 (vulgata)
    11 Si ergo vos, cum sitis mali, nostis dona bona dare filiis vestris, quanto magis Pater vester, qui in caelis est, dabit bona petentibus se.
    12 Omnia ergo, quaecumque vultis ut faciant vobis homines, ita et vos facite eis; haec est enim Lex et Prophetae.
    13 Intrate per angustam portam, quia lata porta et spatiosa via, quae ducit ad perditionem, et multi sunt, qui intrant per eam;
    14 quam angusta porta et arta via, quae ducit ad vitam, et pauci sunt, qui inveniunt eam!

    Luca, 6,31 (vulgata)

    Et prout vultis, ut faciant vobis homines, facite illis similiter.

    Però, nel discorso di Pennacchi, la "vulgata" -usando gli strumenti del popolo- è correttamente un'altra. Vox populi...
    Mia nonna è convinta che quel passo reciti: "Prima i tuoi, gli altri se puoi"

    Pubblicato 15 anni fa #
  9. urbano

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    non per niente si dice
    vulgare

    Pubblicato 15 anni fa #
  10. big one

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    Matteo, 7, 11-14 (vulgata)
    11 Si ergo vos, cum sitis mali, nostis dona bona dare filiis vestris, quanto magis Pater vester, qui in caelis est, dabit bona petentibus se.
    12 Omnia ergo, quaecumque vultis ut faciant vobis homines, ita et vos facite eis; haec est enim Lex et Prophetae.
    13 Intrate per angustam portam, quia lata porta et spatiosa via, quae ducit ad perditionem, et multi sunt, qui intrant per eam;
    14 quam angusta porta et arta via, quae ducit ad vitam, et pauci sunt, qui inveniunt eam!

    Luca, 6,31 (vulgata)

    Et prout vultis, ut faciant vobis homines, facite illis similiter.

    Per chi, come me, non solo proviene dal moderno volgo, ma studi di elettronica hanno impedito quelli di greco e latino, è possibile avere una traduzione tanto per continuare a seguire la discussione?

    Pubblicato 15 anni fa #
  11. urbano

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  12. big one

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    grazie

    Pubblicato 15 anni fa #
  13. urbano

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    Prego

    Pubblicato 15 anni fa #
  14. rindindin

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    ringrazio anch'io...

    Pubblicato 15 anni fa #
  15. k

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    mea culpa per stavolta, vaffallippa.

    Pubblicato 15 anni fa #
  16. zero71

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    è possibile avere una traduzione tanto per continuare a seguire la discussione?

    Chiedo scusa anch'io, poco tempo, troppa fretta...

    Pubblicato 15 anni fa #
  17. rindindin

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    ancora pubblicato da Perrone Lab Editore nell'antologia "La Superbia" il mio racconto "La superbia è un concetto alla fine..." Presentazione dell'antologia venerdì 3 luglio ore 19 a Roma P.zza del popolo, stand 14 alla Fiera "Roma Si Libra". Non ve lo posto per risparmiarvi un altro argomento allegro: la morte.

    Pubblicato 15 anni fa #
  18. mjolneer

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    e-book gratuito: L'astronave dimenticata, dal titolo del mio racconto omonimo vincitore del NeroPremio, ci sta pure un'intervista se vi volete fare gli affari altrui:

    http://www.latelanera.com/editoria/news/notizia.asp?id=1875

    ciao ciao

    Pubblicato 15 anni fa #
  19. cameriere

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    Iniziativa a sostegno del canile di Latina

    RACCONTACI LA TUA ADOZIONE
    L’iniziativa è di raccogliere storie di cani adottati da inserire in un libro che si pubblicherà il prossimo Natale.

    Il ricavato della vendita servirà al Canile di Latina per lavori di ampliamento e miglioramento.

    Inviateci le vostre storie, con foto dei vostri cari, di quando li avete adottati e dopo, sceglieremo le più gioiose, toccanti e sensibili.

    Le potete inviare all’indirizzo amicidelcane@fastwebnet.it titolandole “Storie di adozioni”.
    Ringraziamo tutti coloro che parteciperanno a questa iniziativa, contribuiranno a migliorare la vita dei nostri ospiti.

    Pubblicato 15 anni fa #
  20. rindindin

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    mi viene in mente un bel racconto sul rapporto tra padrone e cane su "La grammatica della fantasia"...

    Pubblicato 15 anni fa #
  21. k

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    7 luglio 2009 - E' uscito oggi su "Blù" e ripreso anche da "Il Nuovo territorio" l'articoletto che segue:

    LATINA, IL LIBERTY, GLI ARCHITETTI E LE SOPRINTENDENZE

    C’era una volta in corso della Repubblica – a neanche cento metri da piazza del Popolo, in pienissimo centro, quindi – una palazzina di tre piani più negozi dove una volta c’era il Bar del Corso. Costruita negli anni Cinquanta era catalogabile – secondo i più avveduti canoni storiografici – come “edificio di fondazione”. Il suo prospetto era in pulitissimo ed assoluto stile moderno-razionalista (anche se funzionalisticamente “povero” e spartano, come appunto voleva quello stile) fatto solo di linee dritte e angoli retti. Non c’era una curva, un ghirigoro, una decorazione. Una città che si sciacqua tutti i giorni la bocca con l’architettura del Novecento e la retorica delle città di fondazione, avrebbe dovuto tutelarlo. E tutelarsi essa stessa, tutelando esso edificio. Non è che ci voglia l’Unesco per capirlo.
    Adesso invece lo hanno restaurato, ma gli è venuta la balzana idea non solo di giocare coi colori, ma anche di disegnare a rilievo, sugli intonaci, degli archi “finti” e dei cerchietti “postmoderni”. Sui balconi invece hanno tolto le ringhiere che c’erano prima – non gli piacevano più, così dritte e senza storie – e ci hanno messo dei ringhieroni in ferro battuto (credo), tutti pieni di ghirigori floreali. Quella che era una dignitosissima palazzina “razionalista” si è quindi trasformata di bel botto in una caricatura “liberty”. Questa è inequivocabilmente, difatti, la fantasilandica impronta che ha assunto tutto l’insieme: se guardi il tirabasso (cioè quella specie di tettoietta che protegge il portoncino d’ingresso sul passo carraio della biblioteca comunale – ti pare proprio di stare al quartiere Prati a Roma o meglio ancora al Coppedè. Manco a Gardaland.
    Dice: “Ma alla gente gli piace: passano, guardano e so’ tutti contenti, e dev’essere contento pure il padrone”. Ah, non discuto: siamo tutti immigrati o figli di immigrati a Latina, i nostri padri zappavano la terra, mica siamo obbligati a sapere tutti quanti di arte e architettura. Perché si formi una consapevolezza estetica evoluta e condivisa occorrono generazioni, chi dice di no? Ci vorrebbe quella che si chiama “educazione di massa all’immagine”. Ma ci sarà pure per l’intanto qualche straccio d’architetto nei consigli, nelle giunte o negli uffici comunali, capace di capire e di spiegare al progettista e al propietario che il liberty è uno stile che – come il quartiere Prati a Roma o il Coppedè – nasce alla fine dell’Ottocento (Belle Époque), e che quando viene fondata Latina-Littoria nel 1932 era già bello che morto da un pezzo?
    A Latina il liberty non c’è mai stato. Mettercelo adesso è un monstrum, perché lui nasce prima di Latina-Littoria, prima del razionalismo, del futurismo, del modernismo e di tutte queste cose qua – che tu poi magari ci fai pure le mostre, i libri e tutti i ciuccia-soldi – e sono nati apposta per “superare” lui. E tu ce lo rimetti mo’? Posticcio?
    Dice: “Ma a me il liberty mi piace, mi pare bello”. Compa’, il liberty è bello se sta nel liberty – ogni cosa nel suo posto – a Prati, a Parigi, a Crespi d’Adda. Pure un bidè difatti è bello, se sta in bagno. Se sta in salotto fa schifo. Vattelo a fa’ a Prati il liberty, non in piazza a Latina, che diventa un insulto a Latina-Littoria. Dice: “Ma gli americani allora a Miami Beach?”. E va’ a Miami Beach pure tu, che me ne frega a me? Qua è come se tu – a piazza del Campo a Siena – ti mettessi a rifare i palazzi a forma di tempio greco o piramide egizia. Ma può essere che non c’è in tutta Latina una sottomisura d’architetto che lo spieghi al sindaco Zaccheo?

    NOTA A MARGINE
    La perla dell’anno però – il primo premio in assoluto per l’Intelligenza Massima di tutta la Città – va a colui che deve avere dato l’autorizzazione ad installare quel cazzabubu di ferro con la lancia in cima, sotto il portico dell’Intendenza di Finanza. Quello è un “portico” mannaggia la miseria, e “portico” significa che è un luogo di passaggio, deve essere libero per passare, la sua funzione è quella: “far passare”. Sennò non si chiamava “portico” ma “cazzabubaro”. Frezzotti lo ha fatto così ed è così che è un “monumento”. Se ci voleva mettere un cazzabubu, ce lo metteva lui. Dice: “Ma me l’hanno regalato”. Ah, sì? E il giorno che ti regalano una merda che fai? Mi metti pure la merda in piazza? Ma ficcatevela in quel posto quella lancia, va’, che è meglio.

    (ap)

    Pubblicato 15 anni fa #
  22. rindindin

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    ma come la vorresti Latina-Littoria? una città sotto campana...di vetro? ma che la Piramide a Roma è quella di Keope?

    Pubblicato 15 anni fa #
  23. k

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    Ammazzate, ahò! Non hai fatto in tempo a mangia' con Urbano, che già te n'esci a spara' ste cazzate?

    Pubblicato 15 anni fa #
  24. k

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    Quando Gaio Cestio Epulone fa costruire la sua tomba a forma di piramide, stiamo ancora ai primi inizi dell'età imperiale - lui morirà nell'anno 12 a.C. - e l'area in cui la fa costruire non è certamente in pieno centro storico, ma anzi non è nemmeno nell'aggregato urbano. In pieno centro storico - ossia sul Palatino - i romani difatti ci conservano ancora, insieme a tutti i nuovi edifici costruiti in stile "romano", i resti dell'antica capanna di Romolo con tanto di pali infissi sul terreno. Non gli viene in mente di toglierli e sostituirli con dei cazzabubi. Anzi, se tu vai domani mattina al Palatino, ce li vedi ancora i resti della capanna con i buchi per i pali. La piramide di Cestio invece, costruita extra pomerium ed al di là dell'aggregato urbano, vine inglobata dal circuito delle nuove Mura Aureliane (che si presuppongono pensate con una certa 'larghezza' rispetto ai fenomeni di espansione edilizia già realizzatisi, larghezza cioè che tiene conto anche di quelli che eventualmente potranno realizzarsi) solo tra il 270 e il 275 d.C. - sotto il principato di Lucio Domizio Aureliano appunto - ossia quasi tre secoli dopo: trecento anni. (Rindi, tu pensa solo se questa cosa l'avesse detta il Fer.)

    Pubblicato 15 anni fa #
  25. urbano

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    La palazzetta di corso della repubblica non è la sola
    ne esiste una alla fine di via montebello in stile umbertino
    una pre liberty in via palestro
    e una serie di case in stile medellin sparse qua e la al mare e in campagna
    sarebbe interessante farne una mappa.
    Rispondono tutte all'adagio "guadagno spendo pretendo".
    Che gli vuoi dire?
    Queste case fuori luogo non sono però un fenomeno solo di questo non luogo, succede anche altrove.
    La questione riguarda la rappresentazione del mondo, mondo sempre più cazzoproprio, e la volgarizzazione dei saperi, insomma quella roba come le perle ai porci.
    Ma è tema, temo, solo per le parole nel vuoto, che ormai questa deriva chi la riprende più.
    Circa lo "stile" si deve essere più calmi, tutta la mia generazione è nata educata alla ammirazione della falsa modernità dell'international style,
    schifando come una cosa peccaminosa la passione razionalista dei grandi architetti italiani che si trovarono a sperimentare,in sintonia con altri mondi, facendo qui case del fascio,
    ammirando l'eccellenza del trapassato
    e nella sfoga della ricerca ha svalutato la "calligrafia"
    a favore di altro
    in realtà siamo ignoranti e incapaci.
    E l'unica cosa che ci preoccupa è venir fuori dal mucchio, ecco perchè magari si fanno le ringhierine floreali, o perchè un fascio di tondini di ferro si mette proprio sull'asse, cioè in mezzo alle palle degli occhi che non vedranno più alcuna prospettiva.
    A me a scuola dissero che fu colpa della velocità che entrò nella città a tutto vapore.

    Pubblicato 15 anni fa #
  26. rindindin

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    K ti ringrazio...so cosa sei capace di dire...;)
    posto un racconto uscito il 06/07/09 su Nuovo Territorio con disegno di Bruno Di Marco (il disegno nn so caricarlo!)

    Consapevolmente disabile

    “Esistere è una inclinazione che non dispero di fare mia”, eppure tutto è iniziato da questa frase. Un libro, E.M.Cioran, ha stravolto la mia vita. Avevo compiuto da poco il mio sessantatreesimo compleanno, quando mi ritrovai seduto sul letto di quella camera d’ospedale, al primo piano di un’importante clinica milanese. Le gambe ciondoloni, lo sguardo fisso sul dottore, come sempre abbronzato, che mi stava consigliando di trasferire mia moglie a casa.

    Non aveva più speranza, il tumore al peritoneo era arrivato ai polmoni. Un’equipe medica, a pagamento, avrebbe seguito la malata terminale presso l’abitazione, fino all’ultimo respiro. Trangugia il filo di saliva che mi era rimasto in bocca e scoppiai a piangere. In quel pianto liberatorio c’era il dolore di un mese di veglia, passata accanto al letto, tra l’incredulità, la speranza e l’assurdo. C’era la rabbia contro un Dio cui non avevo mai creduto e continuavo a non credere. Il mio rapporto di odio con lui mi rendeva l’ateo più credente al mondo. C’erano i miei figli, i miei nipoti, ai quali era tolta una parte di vita e c’era il mio cuore. Dilaniato. A me era tolto tutto.

    Ero appena andato in pensione e avevo iniziato a fare programmi con lei, finalmente potevamo dedicarci a noi, alla nostra vecchiaia, al nostro tempo insieme. I soldi messi coscienziosamente da parte, grazie all’ostinata presenza di mia moglie sull’argomento…si preoccupava lei, del nostro futuro, voleva trascorrerlo tranquilla…mi aveva messo nella condizione di prenotare dei viaggi. Per primo voleva andare a Ischia, poi vedere l’America…Come tutto questo si rivela oggi amaramente inutile. Come non vorrei avere avuto ragione, mai come oggi. Lei, così ingenua, così meravigliosamente terrena, mi rendo conto solo adesso della sua grandezza.
    Un mese di malattia, dove ti aggrappi a qualsiasi illusione, un mese di vita. Lei con il sorriso, finché ha potuto permetterselo, con la forza di tranquillizzare la mia disperazione. Entrammo insieme, ma uscii da quell’ospedale da solo, con una piccola valigia in mano, tutto quello che mi rimaneva di lei. Non avevo pensieri particolari, anzi non avevo pensieri. Tutto era passato su di me in un lampo, una vita era finita, la mia. Avevo amato, goduto, sofferto, gioito, ma quel giorno si era portato via tutto.
    Un pensiero in realtà c’era, che si agitava nervosamente nella testa…cosa avrei scritto sulla lapide. Non si è mai preparati al peggio. Ho sempre odiato i cimiteri, le onoranze funebri, le tombe innalzate al ricordo di chi non c’è più e adesso mi ritrovavo a farne i conti. Come si può scrivere la fine di una vita in poche righe? Andai indietro con la memoria, cercando di ricordare le piccole cose, fino a quando approdai ad un bracciale d’argento che gli avevo regalato al ritorno da una tournée. Sopra c’erano scritti alcuni versi di una poesia di Bertold Brecht:

    Un dì nel mese azzurro di settembre
    quieto all'ombra d'un giovane susino
    tenevo il quieto e pallido amore mio
    fra le mie braccia come un dolce sogno…

    Non andai subito a casa, non avevo fretta, non c’era più nessuno ad aspettarmi preoccupato. Piansi nuovamente. Il senso di vuoto che avevo nel cuore mi annientava. Come potevo sopravvivere senza di lei, senza la sua voce, la sua testa, il suo corpo? La vita è veramente tutta qui? Un’illusione di felicità che si dissolve nella morte? Mi ritrovai a passeggiare per Brera, attorno tante bancarelle, si… l’antiquariato le piaceva tanto, rovistare tra le vecchie cose alla ricerca della pietra filosofale…Schernita da me ogni volta, infastidito, come mi sembrava importante quella mattina, fatta di nulla!

    Mi avvicinai alla bancarella dei libri usati e iniziai a leggere titoli a caso. Tra le mani mi capitò “La tentazione di esistere”, lessi l’incipit:- Per quasi tutte le nostre scoperte siamo debitori alle nostre violenze, all’esacerbarsi del nostro squilibrio. Persino Dio, per quanto si incuriosisca, non lo scorgiamo nell’intimo di noi stessi, bensì al limite esterno della nostra febbre, esattamente nel punto in cui, la nostra rabbia fronteggiando la sua, ne risulta una collisione, uno scontro rovinoso per Lui non meno che per noi. - Quel libro, a distanza di anni è ancora sul mio comodino, per me è lei, rappresenta la mia esistenza. Non l’ho mai letto.

    Pubblicato 15 anni fa #
  27. rindindin

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    oggi su Nuovo Territorio (24/08/09) con disegni di Ditydancing:

    ORGOGLIO

    "Una nube di fumo, tutti che scappano, non si vede nulla, i lacrimogeni della polizia, la paura, io per mano a mio padre cercando una via d'uscita". Stavano reprimendo una manifestazione all'arena di Milano. Avrò avuto non più di dieci anni. La mia vita inizia lì, appesa a quella mano, il ricordo più chiaro della mia infanzia, appena sbocciata. La memoria successiva slitta alle elementari, alla scuola "Ruffini", famosa per essere affianco al grande affresco di Leonardo "Il Cenacolo”, ma allora non c'erano ancora le file dei giapponesi fino a Corso Magenta. La maestra Gigliola Fusi mi teneva in considerazione, non perché la più brava, ma perché la più bizzarra. Sapevo stupirla. Una volta diede un compito: riempire due facciate del quaderno di "o". Stavo in casa, davanti alla televisione, non ne avevo voglia; mia madre non era certo attenta ai miei compiti, erano altri tempi, i figli erano in mano alle istituzioni, di cui gli adulti si fidavano ciecamente. Non come adesso con i genitori allertati da presunte o reali accuse carnali. Ero poco interessata alle tristi "o" e volevo vedere i cartoni. Mi misi a disegnarle sempre più grosse, fino ad occupare tutta una pagina, quattro "o" in un'unica facciata. Il giorno seguente a scuola subii la prima umiliazione; il mio quaderno fu gettato in aria in mezzo alla classe. Avevo esagerato. Silenziosamente lo raccolsi e mi rimisi al posto. Avevo capito che c'era un limite all'accettazione dei diversi, non dovevano andare troppo sui coglioni! Ne feci tesoro.

    Fui promossa in quinta rispondendo a tutte le domande e portando a termine lavori manuali, quale un pallosissimo rosario in creta e un ricamo a punto croce, che ho ancora appesi nella camera della mia infanzia. A pieni voti, riscattandomi, mossa dall'orgoglio. Da lì alle medie fu un salto. I miei genitori avevano la mente aperta, tanto aperta da fidarsi di un esperimento didattico al Conservatorio di Milano. La scuola si sarebbe unita, in via sperimentale, all'Istituto dei Ciechi del Conservatorio e il caro maestro Abbado sarebbe stato a guardare, come uno scienziato crudele. Entrai timidamente, indossando una triste gonna di loden, che mia madre amava tanto. Già il primo giorno mi accorsi della mancanza di regole; fui immediatamente presa in giro, perché vestita troppo bene. Il primo quadrimestre la mia pagella aveva dei bei voti ma un giudizio pessimo sulla mia persona: "La ragazza non è inserita, fatica a socializzare, anche se ha buoni rendimenti". Presi in mano la situazione, alla lettera. Abbandonai i rendimenti e mi dedicai al lavoro di leader. Le lezioni, gestite da me, finirono per essere un gioco a nascondino, e l'ora d'italiano un giro a bottiglia. Le insegnanti si susseguirono, alla ricerca di chi sarebbe riuscito a sottomettermi. Per non parlare dei non vedenti, vittime innocenti, ai quali schiacciavo i puntini del brail per non farli più leggere, finendo con lo spintonarli giù dalle scale. A livello personale fu un successo. In tempo breve fui colei che poteva comandare di infilare un cucchiaio nel culo al secchione della classe. Secondo quadrimestre: "La ragazza ha avuto un calo di rendimento. Il suo inserimento è però completo, mostra chiari segni d'attitudine al comando". Non fu un esperimento riuscito, come scuola, ma il mio orgoglio ne uscì ancora vincitore. Il resto fu un disastro.

    Ma fu lì che conobbi Giulio Comello, capelli lunghi biondo platino, costantemente spettinati, jeans a zampa, maglioni larghi; una pippa a scuola, chi di noi non lo era a quell'età, a parte il secchione del cucchiaio. Giulio era bello e dannato; un leader! Ci intendemmo subito, ma era troppo convenzionale accettarsi. Agli occhi degli altri non potevamo amarci, dovevamo essere di tutti, concederci, non eravamo autorizzati ad essere una coppia, era antipolitica, faceva fascista. Ci amavamo facendo finta di niente, soffrendo la mancanza d'intimità. Alle feste dovevamo baciare tutti indistintamente, per non mostrare preferenze, distaccati, per essere superiori, ma soffrivamo da morire osservandoci fare lingua in bocca, con degli sconosciuti. Ogni manata, ogni palpata nell’intimità, una tortura; ogni sorriso, un equivoco. Sapevamo di amarci, ma non era quello il tempo e il luogo. Era figlio di un attore, questo me lo avvicinava ancora di più. Io ero figlia di un impresario teatrale, sempre in tournée e troppo assente per aver voglia, una volta tornato a casa, di mettere la testa nei miei problemi, e di una madre sempre e solo accompagnata da bicchieri di Lambrusco e dischi di Aznavour. Una sera, mentre io e mio fratello eravamo a letto, sentimmo un botto nel bagno. Era caduta sbattendo la testa sul bordo della vasca: aveva le mani insanguinate e lo sguardo stravolto dal dolore. Matteo ed io, la guardammo nascondere la vergogna e la perduta dignità. Ci cacciò via in malo modo. Ancora adesso odio Aznavour.

    Giulio fece una festa nella sala prove di suo padre. Tutta la classe partecipò. Giocammo ad uno strano gioco, tipo palla prigioniera. La fila dei maschi al centro doveva catturare una delle tante femmine che tentava di raggiungere la sponda opposta e s'invertiva. Io facevo di tutto per cascare tra le sue braccia, per essere presa, catturata, per godere di un momento d'intimità ammesso, o anche solo mascherato. Lui faceva lo stesso, fino a che una voce gelosa tra gli invitati: "Scusate, ma se Giulio voleva fare una festa solo con Elisa, poteva avvertirci!" E tutto finì. Giulio non avrebbe rinunciato mai al suo ruolo di leader, e poco dopo mi lasciò. Fu difficilissimo per me, incassare il colpo. Tutte le mattine lo vedevo in classe flirtare con le altre, indifferente al mio cuore attorcigliato. Un giorno, però, intuii la verità. Mentre eravamo in cerchio a cantare tutti insieme una canzone di Battisti, "La canzone del sole", incrociai il suo sguardo; aveva continuato ad osservarmi da lontano, era ancora innamorato! Approfittai subito della situazione e come la perfida Medusa lo marmorizzai, fidanzandomi col suo migliore amico, Nicola. Mi trasformai nella perfetta innamorata, sempre attaccata a lui, ostentando baci scandalosi e attenzioni da geisha, esibendomi in provocazioni di ogni genere, un metodo efficace per guarire il mio orgoglio ferito. Giulio non venne più a scuola. In questo modo, forse, mi stava mostrando la sua indifferenza. Mi sentii una stupida, come avevo potuto sperare di riconquistare uno come lui con dei giochetti da bambina! Lo avevo perso.

    La mia vita cambiò, avevo dei solchi profondi nell'anima, come i miei sensi di colpa. Mi diedi alla politica, come può fare una quattordicenne, con la convinzione scaturita più dall'appartenenza ad un gruppo, che personale. Erano gli anni di piombo, Milano era una pentola a pressione. Bastava un niente per farla esplodere. Avevano appena ammazzato Fausto e Iaio. Andai a quella grossa manifestazione, motivata dalla rabbia, dallo sdegno, dal disprezzo. Tanta gente, tanto fumo, tanta polizia che librava nell'aria i manganelli come fossero birilli da circo. Io che scappavo cercando di mettermi in salvo. Fu lì che vidi tendermi una mano, era Giulio, bellissimo, con un fazzoletto sulla faccia, brandiva un grosso bastone di legno. Mi guardò negli occhi, mi afferrò forte e iniziò a correre, facendosi largo a bastonate. Il cuore mi batteva impazzito. Riuscimmo a superare le camionette infernali, dove a caso venivano rinchiusi i nostri compagni e ammazzati di botte. Continuavamo a correre, via da lì, senza più fiato, per poterci ritrovare, abbracciare, finalmente amare davanti a tutti. Un sibilo, non so da dove, mi passo sopra l'orecchio, improvvisamente il silenzio intorno, mi immobilizzai, il corpo di Giulio che si accasciava al rallentatore. Io che continuavo a stringerlo. La mia vita finiva lì, appesa a quella mano, il ricordo più chiaro della mia adolescenza, per sempre spezzata.

    Daniela Rindi

    Pubblicato 15 anni fa #
  28. SCa

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    Membro

    Bello.

    Pubblicato 15 anni fa #
  29. rindindin

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    Membro

    grazie!

    Pubblicato 15 anni fa #
  30. Genesis

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    Membro

    Leggete qui! È la recensione de "Il vero volto delle donne" di Fernando Bassoli.

    http://tragliscaffali.periodicoitaliano.info/?p=1310

    Pubblicato 15 anni fa #

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