Sì, veramente bello, credo sia tra le cose migliori che hai fatto.
Vedete di farlo pubblicare su GLI ALTRi.
Forum Anonimascrittori » Anonima Scrittori
COSA HO SCRITTO OGGI
(768 articoli)-
Pubblicato 13 anni fa #
-
Filiera di governo. Se mi voti contro, ti faccio il culo
uscito su Il Fondo Magazine di Miro RenzagliaSul lessico politico contemporaneo, e sulle differenze con il passato, credo siano stati scritti saggi su saggi, ci sono anche dipartimenti universitari dedicati, istituti di ricerca che sfornano grafici e analisi. Tra neologismi e mutazioni di significato, termini in declino e parole strategiche, l’elettore medio si è ritrovato, senza accorgersene, a cambiare radicalmente opinione su alcuni temi, su altri a moderare le proprie pretese, su altri ancora a dimenticare esigenze e volontà. Ad esempio, se fino a una decina di anni fa c’era la questione meridionale, che arrivava direttamente dall’unità d’Italia, oggi tra i riferimenti geografici più ricorrenti c’è il Nord. Se fino a qualche anno fa i gruppi parlamentari d’opposizione e quelli extraparlamentari parlavano di controinformazione, oggi sono tutti impegnati a guardare le classifiche di Freedom House e a rivendicare maggiore libertà d’informazione. Se negli anni 70 si puntava alla piena occupazione, e guai a chi diceva il contrario, oggi siamo costretti ad accontentarci delle maggiori opportunità di lavoro, magari flessibili e precarie.
E’ evidente per tutti che dietro ad un termine non c’è solo la sua resa fonica o il suo significato letterale. C’è un modo di pensare e di vedere il mondo, ci sono i costumi e le modalità di una politica che ha profondamente cambiato il suo modo di pensare alla società ma, nonostante tutti gli scandali degli ultimi venti anni, ha aumentato il suo peso specifico. L’elettorato viene fidelizzato con sondaggi che indicano quali sono i temi su cui insistere, la libertà di voto è limitata a scegliere l’elenco di nomi migliore e più convincente, la comunicazione è spettacolarizzata per cui vince chi grida di più o fa parlare di meno l’avversario. Al bando ragionamenti politici complessi, meglio lo slogan o il dito medio alzato: meno eleganza, più efficacia. Non più cittadini, ma clienti.
Sono i tempi che corrono, certo, e guai a me voler apparire nostalgico dei tempi che furono. C’è però un’affermazione che mi manda in bestia più delle altre. Quando la sento o la leggo, in televisione e sui giornali, non riesco a trattenere un’imprecazione. Parlo della filiera di governo. Roba che se nelle vecchie sezioni qualcuno s’alzava per dire “compagni, non dimentichiamoci della filiera di governo”, sono sicuro che sarebbe stato cacciato a calci. Sarà che le filiere produttive, specie in agricoltura, proliferano. Ce n’è per tutti i gusti: quelle lunghe e quelle corte, quelle a chilometri zero e quelle ridotte. E la politica non poteva rinunciare ad assorbire una nuova tendenza, sensibile com’è alle novità. Anche se quella di governo ha una lunghezza prefissata dalla legge. La differenza è solo qualitativa. Perché una filiera di governo, a quanto pare, può essere più o meno efficace, dipende dal colore delle giunte che ne fanno parte. Rifletteteci bene, pensate a cosa sono stati capaci di farci digerire: chi amministra rimane fedele al partito d’appartenenza e non deve pensare al bene di tutti. In estrema sintesi, questa è la filiera di governo. Se mi voti contro, ti faccio un culo così. Mi spiego meglio: se io amministro una Regione con il Partito Tal dei Tali, come posso fornire un finanziamento al sindaco della Lista Caio e Sempronio, mia avversaria? Mica sono scemo che vado a fare un favore al nemico. Metti che poi amministra bene, che figura ci faccio con i miei? Spesso, nonostante si appartenga tutti al Partito Tal dei Tali, il finanziamento non arriva comunque. Perché c’è differenza, mica siamo tutti uguali all’interno del Partito Tal dei Tali. Se io appartengo alla corrente X e il sindaco alla corrente Y, non è giusto che dia i soldi. O magari li concedo pure, ma con tutta la calma possibile. Il cittadino si impari la prossima volta ad eleggere uno della mia corrente, vedrà che poi i soldi arriveranno.
La filiera di governo, insomma, è usare i soldi di tutti come se fossero i propri. Per dar vita a quello che, almeno a casa mia, si chiama ricatto. Magari io sarò fasciocomunista, vedrò le cose sempre in maniera esagerata ma, se proprio vogliamo stemperare i toni, si può esser certi che una indebita pressione viene esercitata sull’elettorato. A Latina, per esempio, ha funzionato. Sono scesi tutti i ministri a fare promesse a destra e a manca. Qualcuno sul territorio li imboccava e a loro bastava ripetere: “si è vero, faremo il porto”, “si è vero, faremo la cittadella giudiziaria”, “si è vero, faremo arrivare decine, ma che dico… centinaia di aziende”. A Milano o a Napoli invece non ci sono cascati, almeno stavolta. E secondo me sta storia della filiera di governo, con annessa promessa di ministeri, ha pesato tanto. Chissà quante volte ci avranno creduto, in passato. E ogni volta rimanevano fregati. Questa volta, pur di non dar retta alla solita promessa, sono convinto che avrebbero votato pure Satana in persona, anche sotto le mentite spoglie di Pisapia o di De Magistris. Non hanno avuto paura dell’invasione islamica, della montagna di rifiuti, della zingaropoli e del tintinnar di manette. Lo ripeto, sarebbero anche andati all’inferno, pur di non sentirsi ripetere la tiritera della filiera di governo. E, a pensarci bene, è la vera sconfitta di questa campagna elettorale. Chissà se ne sentiremo parlare ancora.
Pubblicato 13 anni fa # -
Pubblicato 13 anni fa #
-
Pubblicato 13 anni fa #
-
http://stazionezero.blogspot.com/
le tre puntate insiemeEnucleare il nucleare (1: Il tecnico
Ho scoperto sei o sette anni fa che il torneo di calcetto Miscio, a Pantanaccio, lo organizzava Gianluigi Miscio, un ragazzo che veniva in classe con me in prima media. Poi non l’ho più visto. Mi stava simpatico, sparacazzate al punto giusto e amichevole, al contrario di molti in quella specie di bolgia infernale che era la Don Lorenzo Milani. Lì avevi in media cinque o sei compagni di scuola che teoricamente avrebbero dovuto da tempo frequentare le superiori e che invece faticavano a licenziarsi e a farti vivere in pace. Comunque, non divaghiamo: Miscio era simpatico, dicevo. Da lui ho imparato qualcosa nel breve periodo della nostra forzata frequentazione. Innanzitutto ho capito che a pochi passi da casa mia esisteva una vita che non era quella di città, si piantavano i cocomeri, si allevavano le bestie, si pescava nei canali: quell’inverno alle serre per i cocomeri avevano messo non un telo ma due, per farli stare più caldi. Al Pantanaccio si pescava con la bilancia. A Latina c’era la centrale nucleare.
Cioè, che ci fosse già lo sapevo, però mi sembrava una cosa fica, da Spazio 1999. Poi, durante una lezione sull’energia e i mezzi per produrla, Miscio alzò la mano e disse che alla madre, quando passava vicino alla centrale a Sabotino, le si scaricava il pacemaker. Fu allora che volli capire a tutti i costi come funzionava e perché accadevano (se accadevano) questi fenomeni “collaterali”. In terza media, con l’insegnante di educazione tecnica trattammo i vari tipi di centrale e mi si chiarirono alcuni fondamenti della produzione di energia nucleare; l’urgenza delle contingenze mi ha però costretto a pensare ad altro per un po’.
La centrale intanto l’hanno chiusa e ricordo bene il periodo del referendum, con Chicco Testa e Francesco Rutelli (dico Chicco Testa e Francesco Rutelli) incatenati ai cancelli a Borgo Sabotino. Ora, senza interpretare il ruolo dello sputasentenze, vorrei dire che io non mi fido molto di un laureato in filosofia che si è incatenato alla centrale nucleare per farla chiudere e poi adesso mi vuole convincere ad aprirne il più possibile in tutta Italia (anche se ha spiegato i motivi del ripensamento etc. etc.). Uno che quando era presidente dell’Enel (dico presidente dell’Enel, carica assunta da antinuclearista) a un operaio che in una trasmissione televisiva gli dava del bugiardo rispose “bugiardo sei tu, lascia stare il presidente dell’Enel”. Uno che, ospite in veste di nuclearista presidente del forum per il nucleare (dico presidente del forum per il nucleare e consigliere di Energie Valsabbia, che si occupa di idroelettrico e solare, a dimostrazione che non è assolutamente vero che la laurea in filosofia non dà sbocchi professionali, fornendo competenza e saldi principi di coerenza), alle rimostranze di Mario Tozzi (che non mi sta molto simpatico) sull’impossibilità di trovare luoghi per stockare le scorie rispose fuor di microfono “non ti azzardare a dire che prendo dei soldi perché ti spacco la faccia”.
Siccome ormai tutti ne parlano, vuoi per il referendum, vuoi per le vicende di Fukushima, vuoi perché in Italia chi non sa una cosa la spiega agli altri, ho deciso di farmi un’idea leggendo qualche libro di cui darò conto nella prossima puntata e chiedendo a chi con l’energia elettrica ci lavora da anni. Non un laureato in filosofia, non un comico, non un ex magistrato ma Massimo Marzinotto, Senior Member dell’IEEE, Dottore di ricerca in ingegneria elettrica, a lungo ricercatore per l’Università “La Sapienza” e ora in Terna (società che si occupa della trasmissione dell’energia elettrica in Italia). L'ho torturato con domande idiote e luoghi comuni, è un miracolo se mi saluta ancora. Però qui do un sunto della nostra chiacchierata dopo avergli chiesto un permesso che non mi ha concesso (l'ho dovuto drogare di nascosto. Scusami ancora, se mi leggi!).Secondo te il nucleare è una via perseguibile?
A dire il vero nella vita mi occupo di sistemi elettrici in alta tensione e non di produzione di energia elettrica; rispondo giusto perché sei tu e perché almeno continuiamo ad essere amici senza che mi rompi l'anima co 'sto blog.
Faccio un preambolo sugli impianti di produzione dell’energia elettrica.
L’energia elettrica non può essere immagazzinata e quindi deve essere prodotta al momento. Oggi nel mercato stanno comparendo i primi sistemi di accumulo di energia elettrica ma di fatto siamo ancora in una fase sperimentale e comunque per capacità di storage estremamente ridotte.
La richiesta di energia è costituita da una quota parte che non varia nell’arco della giornata (si pensi alle grandi aziende che richiedono grossi quantitativi sia di giorno che di notte) e da una quota parte che è invece variabile (il caso ad esempio delle utenze domestiche e di tutte quelle attività produttive che sono concentrate in determinate ore) per la quale il picco della richiesta è inoltre legato a variazioni stagionali.
Per quanto riguarda la quota invariante nell’arco della giornata vengono utilizzate le centrali “di base”, cioè quelle centrali che richiedono dei tempi di avviamento molto lunghi (dell’ordine di svariate ore) e quelle centrali che non è economicamente e tecnicamente conveniente “modulare” ad un livello di produzione che si discosta da quello massimo. Pertanto le centrali “di base” sono le termoelettriche tradizionali come quelle a olio combustibile, a carbone, nucleari e alcune di tipo idroelettrico come quelle ad acqua fluente.
Per la parte di richiesta di energia elettrica legata alle ore del giorno e al periodo stagionale vengono utilizzate le centrali “di punta”, cioè quelle centrali che richiedono dei tempi di avviamento immediati o quasi (non superiore all’ora). Pertanto le centrali “di punta” sono quelle idroelettriche a bacino, quelle di pompaggio, le turbogas, etc.
Ci sono poi quelle centrali che hanno delle priorità di produzione come le eoliche, le fotovoltaiche e quelle a biomassa: quando c’è disponibilità di produzione (ad esempio vento per le eoliche e luce solare per le fotovoltaiche) hanno priorità nella produzione.
Ma veniamo al nucleare. Questo tipo di centrali può essere un’alternativa - per quanto detto sopra - solo ad altre centrali “di base” e pertanto un confronto centrale nucleare vs. idroelettrica a bacino o un aerogeneratore non è corretto.
La produzione con il nucleare non immette fumi nell’aria come le tradizionali a carbone e a olio combustibile, ma produce scorie. La quantità di scorie prodotte da un impianto da 1000 MW è solo 5/6 m3 all’anno.
Per quanto riguarda la sicurezza invece possiamo tranquillamente affermare che gli impianti nucleari sono sicuri, a meno di eventi non rari, ma imprevedibili come catastrofi/cataclismi di particolare violenza. Secondo me rispetto a tutti i rischi cui siamo esposti oggigiorno, gli impianti nucleari sono più che sicuri.
Nel mondo esiste una consolidata esperienza nella produzione di energia elettrica attraverso il nucleare, non bisogna andare lontano dall’Italia per avere qualche “ritorno di esercizio” statisticamente significativo. Ad esempio in Francia ci sono quasi 50 impianti attivi. Nel mondo poi di attivi ce ne sono 442, di cui 148 in Europa. Inoltre 65 sono in fase di costruzione in tutto il mondo, di cui 8 in Europa.
Credo che con le tecnologie di oggi il nucleare sia una via più che perseguibile, ma non sono io a dirlo, ci sono scienziati di tutto rispetto a livello internazionale che sostengono questa tesi, perché dovrei pensare il contrario?La tragedia di Fukushima, potrebbe ripetersi nei nuovi impianti?
La tragedia di Fukushima si è verificata in quanto i servizi ausiliari di emergenza non sono stati pensati in grado di resistere ad inondazioni da maremoto. Se a questo avessero pensato quarant'anni fa (quando è stato messo in servizio l’impianto) sicuramente non staremmo qui a parlare di un dramma.
Vista l’esperienza non solo di Fukushima, ma anche quella dei maremoti degli ultimi anni, credo che questo genere di catastrofe venga già presa in considerazione sia per un risk assessment che per un risk management di un nuovo impianto nucleare.Quali sono i reali rischi di nuovi impianti?
Ti rispondo con un esempio: morire per incidente nucleare è cento volte meno probabile che morire in un incidente aereo e 400 volte inferiore al rischio di crepare per un banale incidente d’auto. Il rischio di morte per incidenti totali, (sinistri automobilistici, ferroviari, cadute, scoppi di gas, incendi, ecc.), è 1000 volte più alto del rischio nucleare. La conclusione è che, siccome accettiamo tranquillamente tutti i giorni il grande rischio di morire in un incidente d’auto, dobbiamo molto più tranquillamente accettare il debolissimo rischio, praticamente inesistente, di passare a miglior vita per un incidente nucleare. Tra la miriade di rischi di morte che affrontiamo tutti i giorni della nostra vita, quello nucleare è assolutamente il meno preoccupante perché è di gran lunga il più piccolo. Forse qualcuno potrebbe dire “ma quante persone morirebbero per un incedente nucleare?” Allo stesso tempo mi viene da dire “quante persone muoiono ogni giorno nel mondo per il fumo? e nessuno fa niente per impedirlo!”.Esistono centrali nucleari che potrebbero usare altri tipi di materiali, anziché l’uranio, magari meno pericolosi dal punto di vista della radioattività delle scorie?
Al momento non credo.Latina può essere rimessa in funzione o il suo impianto non è più adeguabile ai nuovi standard?
Se a Latina si ripartisse con il nucleare, si costruirebbe da zero un nuovo impianto.Secondo te c’è una possibilità di raggiungere l’indipendenza energetica da parte dell’Italia?
Certo. Penso che il paese si stia muovendo in questo senso.Quali sarebbero i tipi di energia più facilmente producibili in Italia col migliore rapporto costi benefici?
Ci sono grossi investimenti sull’energia rinnovabile, è questo è davvero un bene, ma per quello che dicevo prima non basta.Secondo te c’è più probabilità di rivedere in funzione la centrale nucleare a Latina o che riusciamo di nuovo a suonare un po’ insieme?
Spero entrambi, anche se suonare insieme è sicuramente molto più probabile!Non saltate alle conclusioni, ora, perché è solo un assaggio. Nella prossima puntata alcuni problemi maltrattati e che ritengo fondamentali per fare una valutazione consapevole. Ad ogni modo mi sembrava corretto partire da un parere “dentro” che, al di là delle onde emotive e i panici collettivi, desse conto di concetti basilari per affrontare la questione in maniera razionale e soprattutto non ideologica. Ci chiamano a decidere in merito a un tema sul quale siamo tutti impreparati e con un dibattito scientifico fermo da vent'anni. Alla prossima puntata.
Enucleare il nucleare (2: l'elettore consultato
Abbiamo assodato che un confronto tra centrali che assolvono alle richieste di punta e quelle che assolvono alle richieste di base non è corretto. Dunque niente ignoranti, fideistici e pregiudiziali scontri tra nucleare ed eolico (un’azienda in pieno ciclo produttivo certo non può sospendere la produzione in attesa che tiri vento).
Dunque le domande di energia per la vita e lo sviluppo di un paese sono attualmente soddisfatte con i metodi che l’uomo conosce: in Italia combustibili fossili (in particolare gas naturale i.e. metano, carbone e derivati del petrolio).
Senza fronzoli descrittivi possiamo dire che usiamo i metodi più inquinanti per l’energia di base trascurando da molto tempo quello che nei limiti di un corretto regime di funzionamento risulta il più ecologico (nucleare = zero emissioni nell’ambiente però 5-6 m3 l’anno di scorie radioattive).
In più, se volete anche divertirvi (ma non c'è da ridere), a questo link http://www.archivionucleare.com/index.php/2011/05/31/probabilita-supernenalotto-fusione-nocciolo/#more-841 potete leggere come sia assai più probabile fare sei al superenalotto che vedere il danno irreparabile di un reattore nucleare.Calma.
Sono contro il nucleare in Italia. Ma non è la paura che determina la mia opinione, né le argomentazioni catastrofiste e prive di dati scientifici della maggioranza degli antinuclearisti.
In Italia è impossibile tornare al nucleare per una serie di ragioni che non hanno minimamente a che fare col funzionamento delle centrali:SCORIE
Nel 2003 la presidenza del Consiglio dei Ministri aveva dichiarato lo stato di emergenza in Lazio, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Piemonte considerata l'ineludibile esigenza di assumere iniziative straordinarie e urgenti volte a realizzare lo smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle centrali nucleari presenti sui loro territori. L'impegno era di risolvere la questione entro quell'anno. Il problema è tuttora senza soluzione. Io mi dovrei fidare di chi (avendo il bastone del comando di ogni colore da trent'anni) non è stato in grado di trovare una concreta soluzione per le scorie accumulate in passato? No, grazie. Rimanga inetto per favore senza il mio assenso.
Il Parlamento Europeo inoltre lascia autonomia agli Stati sul tema della sicurezza e dello smaltimento, nella più totale assenza di una linea comune, come se non volesse decidere. Motivo in più per evitare il nucleare (in queste condizioni) come la peste. In più i fondi europei sono misteriosamente incanalati sullo studio dei metodi per arrivare alla fusione nucleare (attualmente una chimera) piuttosto che su un più realistico quanto necessario sistema per lo smaltimento sicuro delle scorie radioattive. Al giorno d'oggi le scorie cosiddette a bassa attività vengono poste in depositi di calcestruzzo armato, in superficie o a bassa profondità, senza alcuna garanzia perché la loro “vita breve” è comunque di alcuni secoli e quella del calcestruzzo senza dovute manutenzioni è tutta da dimostrare (è ovvio che si attende un miglioramento delle tecniche di smaltimento, di là da venire). Le scorie ad alta attività (a “vita lunga” cioè migliaia di anni) devono essere poste, dopo la vetrificazione, a chilometri sotto terra, in strati geologici non in contatto con le falde etc. Un deposito siffatto costa miliardi di euro insostenibili per i quantitativi tutto sommato limitati di scorie (specie se a investire sono i privati).PREPARAZIONE SCIENTIFICA E RICERCA
Ll'opinione dei tecnici competenti è tenuta in scarsa considerazione. Sarebbero faziosi. Tolti i competenti però rimangono gli incompetenti. Ergo io non mi fido di una generazione che ha chiuso la baracca della ricerca sul nucleare venticinque anni fa, disperso e “riqualificato” i centri di eccellenza di quella ricerca (vedi ENEA ad es.), eliminato gli ingegneri nucleari. Chi dovrebbe guidare ora le nostre scelte energetiche? Chicco Testa? Sarà un bravissimo manager ma tecnicamente non so...
Rifondare la ricerca e la qualificazione di tecnici preparati (a meno di non voler creare una definitiva dipendenza dall'estero) richiederebbe almeno il tempo che ci è voluto a dismetterla ma, vista l'inettitudine della nostra classe politica preventiviamo almeno il doppio. Col sapere delegittimato è la totale paralisi, visto che chiunque può indire una campagna “contro”. L'altra sera a Ottoemezzo era veramente stucchevole sentire un professore universitario chiedere cortesemente di elencare centrali alternative a quelle conosciute per produrre energia di base e sentire rispondere dalla presidentessa dei verdi europei “Lei le conosce meglio di me”. Ci sono o non ci sono? (il primo che tira fuori l'eolico adesso lo aspetto sotto casa).
Se consideriamo poi che il presidente del CNR, Roberto de Mattei è uno che va dicendo che il terremoto in Giappone è una punizione di Dio e che l'impero romano è caduto per colpa degli omosessuali devo dire che votare Sì sarebbe l'unica speranza di non peggiorare le cose. Di chi ci dobbiamo fidare?PIANIFICAZIONE E MERCATO
Che tipo di consultazione si pensa di poter fare? Intanto il governo non ha esposto un piano unitario (non è in grado). Si grida alla necessità di energia quando tutti i calcoli (persino quelli di Wikipedia) dimostrano che l'Italia ha un enorme surplus di energia lorda. Non è una grande idea costruire per non produrre. Il famoso blackout dell'estate del 2003 fu la scintilla che fece dire a tutti che c'era bisogno di maggiore energia e che non potevamo dipendere dall'estero: allora via col nucleare. Il problema però è che quel blackout è avvenuto di notte, con numerose centrali spente. Solo Roma chiedeva energia pari al giorno perché c'era la notte bianca. La verità è che si tendeva a sfruttare, per ragioni di convenienza economica, gli elettrodotti svizzeri per importare energia sovraccaricandoli oltremodo. Solo questo; perché se la politica energetica non è garantita dallo Stato, per tutti, ma regolata dal profitto privato i risultati sono di un solo tipo. Figuriamoci costruire le centrali nuove. Nucleare e libero mercato sono un ossimoro. Una centrale nucleare costa molti miliardi di euro, i tempi di realizzazione sono lunghissimi: non è possibile la necessaria programmazione (leggi anche affidabilità e ottimizzazione) in un contesto di garanzia di redditività e tempi ragionevoli che cercano le imprese private. Non a caso il nucleare sta funzionando in quelle economie in ascesa fortemente stataliste nelle politiche energetiche come India o Cina. Il tempo di vita delle centrali nucleari, di venticinque anni, non è mai sufficiente a far rientrare i costi sostenuti per produrle: ecco perché ovunque se ne prolunga la vita a discapito della sicurezza (vedi anche Fukushima) specie se in mano a privati.
FURBIZIA
Non c'è nulla nelle scelte del governo che lasci intendere una voglia di dare prospettiva di rilancio allo sviluppo. Vorrei ricordare lo scandalo taciuto da tutti - anche dai verdi (che sembrano parlare dopo essersi consultati con i produttori di “Ai confini della realtà” invece che con addetti ai lavori – consumatosi a partire dagli anni post referendum (e tuttora in corso) dei sussidi alle fonti rinnovabili cui fu assimilato anche il metano (principale combustibile non rinnovabile di alimentazione delle nostre inquinantissime centrali termoelettriche).
DECADIMENTO DELLA QUOTA NUCLEARE IN TUTTI I PAESI DI PIÙ ANTICA NUCLEARIZZAZIONE
Nel 2010 erano in funzione 13 centrali in meno rispetto al 2000. Nel 2008 non ne è entrata in funzione nessuna, nel 2009 si è ridotta la potenza del parco centrali. Rispetto ai massimi toccati fino alla fine degli anni Novanta l'apporto del nucleare si è ridotto del 21% in Germania, del 14% in Giappone, del 27% in Gran Bretagna, del 7% in Francia, del 12% nell'intera Unione europea. Il nucleare non è in salute. Non è compatibile col mercato, i costi di produzione e di esercizio sono mostruosi, la gestione richiede alta qualificazione, il problema delle scorie pesa come un macigno. Senza contare che quei costi altissimi finiscono nelle bollette, altro che calo dei prezzi: non esiste una sola esperienza al mondo che fornisca dati di significative diminuzioni dei prezzi a seguito dell'adozione del nucleare (noi a Latina, tra l'altro, paghiamo in bolletta ancora un alto prezzo per scorie non smaltite e, a quanto pare, non smaltibili).
RISPARMIO ENERGETICO
Una seria politica di risparmio energetico sarebbe auspicabile. Una valutazione delle nostre necessità di energia andrebbe fatta dopo una misurazione esatta del nostro reale surplus (innegabile) di energia lorda e dopo dieci anni di serio risparmio. Serio.
Non come la bufala delle cosiddette lampadine a basso consumo; sarà anche vero che con 11 watt ne rendono 60 però sono tossiche, contengono mercurio, vanno smaltite con attenzione e procedure articolate. Per risparmiare watt (che poi in realtà si risparmiano solo per lunghissimi tempi di esercizio, non in casa dunque) ci ritroviamo con un altro bel paccone di rifiuti tossici da smaltire. Bella green economy. Complimenti.Per tutte queste ragioni io dovrei votare sì al referendum sul nucleare. Vorrei invece astenermi perché la procedura di consultazione su un tema così delicato, strategico per un paese, non si può fare senza una lunga e adeguata campagna informativa non ideologizzata. Poi penso che un ulteriore sì (perché tre li do per scontati) mi permetterebbe di dare quattro spallate a Berlusconi...
ognuno tragga le sue conseguenze.P.S. Qualcuno saprà che Carlo Rubbia ha illustrato un tipo di centrale nucleare che utilizza Torio anziché Uranio. Adesso sta per entrare in esercizio una di queste centrali in India, seguita da lui in persona...alla prossima puntata.
Enucleare il nucleare (3: il premio Nobel
Manca poco al referendum e, sostanzialmente, quello che volevo dire l'ho detto. A margine è rimasta la questione Torio. A dire la verità se uno vuole provare a capirci qualcosa la sensazione non è piacevole.
Lo dico da subito: tutti gli argomenti esposti nella seconda puntata sussistono pari pari anche se si volessero fare da subito solo centrali al Torio.
Proviamo ad andare con ordine: alcuni anni fa Carlo Rubbia (premio Nobel per la fisica) ci ha spiegato di aver inventato un reattore nucleare che non utilizza Uranio ma Torio. É il cosiddetto “reattore subcritico” sul quale una breve ricerca col vostro motore web preferito vi darà ulteriori delucidazioni. Sembra comunque che i vantaggi principali siano: impossibilità di esplosioni, altissimo rendimento rispetto all'Uranio, bassa durata dell'emittività delle scorie. Su questa storia della bassa emittività e dei tempi “più rapidi” di decadimento il dato più accreditato è circa 500 anni.
Ora, che questo sia un miglioramento è indubbio visto che l'Uranio porta a produrre scorie con un decadimento di 24.000 anni (basti ricordare, per avere un ordine di comparazione, che 5000 anni fa sulla terra c'erano ancora i Mammuth e che la fine dell'ultima era glaciale è di circa 10.000 anni fa). Però vorrei sottolineare che cinque secoli non sono uno scherzo in quanto a prospettiva programmatica: 500 anni fa significa 1511, c'erano il papa Re e Michelangelo ma non c'era la corrente elettrica. Francamente non vedo come rifiuti tossici assai pericolosi siano più gestibili se durano cinquecento anni.
La notizia che in India stiano facendo una centrale al Torio su progetti di Rubbia ha fatto dire a tutti: “ecco pure gli Indiani ci fottono mettendo in atto una tecnologia sicura e a basso rischio”. Intanto precisiamo che l'unico motivo per cui hanno scelto Torio anziché Uranio è che il primo ce l'hanno in abbondanza e il secondo lo dovrebbero in parte comprare; in una logica autarchica e di crescita spasmodica dell'economia è una scelta che non fa una grinza. Che sia poi anche una tecnologia più al sicuro da esplosioni è un gradito accessorio che non esime però dal trovare una soluzione per le scorie. Probabilmente sarà quella usata in tutto il mondo per la stessa tipologia: un bel bunker sotterraneo a bassa profondità con pareti di calcestruzzo armato e preghiere.
Il 25 novembre del 2003 il fisico premio Nobel fu ascoltato dalla commissione Ambiente alla Camera dove disse: “Si apre a questo punto il grave problema dell'eliminazione dei rifiuti radioattivi. Con vari metodi sono inceneriti, triturati, macinati, pressati, vetrificati e inglobati in fusti impermeabili a loro volta disposti in recipienti di acciaio inossidabile, veri e propri sarcofaghi in miniatura. Queste "vergogne" dell'energia nucleare vengono nascoste nelle profondità sotterranee e marine. Non abbiamo la minima idea di quello che potrebbe succedere dei fusti con tonnellate di sostanze radioattive che abbiamo già seppellito e di quelli che aspettano di esserlo. Ci liberiamo di un problema passandolo in eredità alle generazioni future, perché queste scorie saranno attive per millenni. La sicurezza assoluta non esiste neppure in quest'ultimo stadio del ciclo nucleare. I cimiteri radioattivi possono essere violati da terremoti, bombardamenti, atti di sabotaggio. Malgrado tutte le precauzioni tecnologiche, lo spessore e la resistenza dei materiali in cui questi rifiuti della fissione sono sigillati, la radioattività può, in condizioni estreme, sprigionarsi in qualche misura, soprattutto dai fusti calati nei fondali marini. Si sono trovate tracce di cesio e di plutonio e altri radioisotopi nella fauna e nella flora dei mari più usati come cimiteri nucleari. Neppure il deposito sotterraneo, a centinaia di metri di profondità può essere ritenuto secondo me, completamente sicuro. Sotto la pressione delle rocce, a migliaia di anni da oggi, dimenticate dalle generazioni a venire, le scorie potrebbero spezzarsi o essere assorbite da un cambiamento geologico che trasformi una zona da secca in umida, entrare quindi nelle acque e andare lontano a contaminare l'uomo attraverso la catena alimentare. A mio parere queste scorie rappresentano delle bombe ritardate. Le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente.”
Adesso la domanda sorge spontanea: in India le scorie le mangiano?
O Rubbia ha subito una metamorfosi della sensibilità dopo aver incontrato qualche santone indiano e i suoi tre chili di hashish/giorno oppure, più semplicemente, la notizia che sia lui a seguire la costruzione della centrale è falsa. Vabbe', lasciamo perdere.
Certo è che Rubbia in Italia è il paladino di un nuovo tipo di fotovoltaico, detto solare termodinamico. Anzi, per essere pignoli, è contro ogni tipo di centrale a combustibile fossile e contro il nucleare (basta cercare le sue dichiarazioni a seguito dell'episodio di Fukushima). Per lui ora (in Italia) c'è solo il solare (termodinamico).
Sin dal 2004 dichiarava: “Non si producono rifiuti né emissioni. L'energia è abbondante e rinnovabile. Non bisogna costruire sistemi di trasporto per i combustibili perché il sole arriva da solo. Gli investimenti e i costi sono più bassi rispetto alle centrali convenzionali. Il sistema è estremamente flessibile e si presta ad essere usato con impianti di piccola taglia in località isolate. I tempi di costruzione sono brevi, circa tre anni”.
E anche:“Oggi, cioè in fase preindustriale, il costo complessivo dell'impianto oscilla tra i 100 e i 150 euro a metro quadrato. E da un metro quadrato si ricava ogni anno un'energia equivalente a quella di un barile di petrolio. Il che vuol dire che utilizzando un'area desertica o semidesertica di dieci chilometri quadrati si ottengono mille megawatt: la stessa energia che si ricava da un impianto nucleare o a combustibili fossili, ma con costi inferiori e con una lunga serie di problemi in meno”.
Però, dico io, dove pensa di trovare il nostro premio Nobel un'area desertica di dieci milioni di metri quadri in Italia? E dal momento che i programmi-proclami di governo parlano della necessità (fittizia come abbiamo visto, visto il surplus di energia lorda) di 8-10 nuove centrali nucleari, forse dovremmo trovare cento milioni di metri quadri desertici (alla faccia della piccola taglia)? E se volessimo anche sostituire le attuali centrali a combustibile fossile? Non so, la vedo dura. E la vede dura anche lui: sembra infatti che ultimamente abbia proposto di porre queste centrali nel deserto del Sahara. Be' allora sì che quelli di Terna dovrebbero fargli un monumento perché un elettrodotto che attraversi il Mediterraneo ancora non erano riusciti a dimostrare che fosse utile. Anche su questa nuova location però Rubbia ha dei problemi: si dice infatti che l’acqua nel deserto sia la risorsa più scarsa in assoluto. Serve molta acqua per muovere le turbine sotto forma di vapore ad alta pressione. Persino le centrali nucleari soffrono di questo problema d’estate. Adesso dunque sta lavorando affinché i nuovi impianti possano riscaldare l'aria compressa per produrre acqua.
Boh. Prima dice il Torio e forse lo fa in India, poi dice il nucleare no e vuole fare centrali solari nel deserto (rendendo necessaria comunque un'importazione) oppure sparse in Italia in aree desertiche(?). Ragazzi, io qualche dubbio ce l'ho.
Chiudo con la buona notizia che il Torio, sottoposto alle cosiddette reazioni nucleari ultrasoniche dimezzi la propria emittività in novanta (!) minuti. Cioè si potrebbe sviluppare un metodo (sperimentato per ora su quantità ridottissime) per produrre energia nucleare con scorie innocue. È una cosa molto di là da venire, però c'è. Andate a cercare (mica posso fare tutto io).Pubblicato 13 anni fa # -
su stazione zero ho messo questo:
Zibaldone: fratello Rom
Cinquecentomila.
Cinquecentomila Rom .
Cinquecentomila persone uccise, torturate, sterilizzate, macellate dai nazisti. Il numero più accreditato è cinquecentomila. Annientate per motivi di razza.
È l’olocausto dei Rom. Il Porrajmos. Per lo più taciuto, nascosto dietro pregiudiziali e secolari chiusure nei loro confronti.
Tutti siamo portati a pensare che uno come Mengele (il dottor morte di Auschwitz) fosse uno psicopatico messo a capo di un laboratorio di atrocità che soddisfacessero le sue morbosità (attraverso azioni spaventose, terribili, indicibili). Dobbiamo allora dedurre che fossero malati di mente non solo Hitler ma anche tutti quelli che hanno commesso nefandezze simili. Truppe di psicopatici per esempio dovrebbero aver eseguito i massacri di Rom nei boschi della Polonia, dove i bambini sono stati presi per i piedi e fatti roteare fino a sbattere contro gli alberi e gli adulti costretti a camminare sulla sottile lastra di ghiaccio del fiume Bug fino a sprofondare e annegare.
Troppo facile.
Erano uomini come noi, gli autori di quei massacri. Dei grandissimi bastardi, figli di puttana, criminali, opportunisti. Gente che ha praticato il razzismo, lo ha esaltato, ha marciato, manifestato in nome della purezza della razza. È inutile negarlo: se diamo la stura a forme di gratuità della cattiveria umana riusciamo a compiere ogni genere di schifezza.
In quest'ottica si deve solidarietà ai “fratelli Rom” come la si deve a tutte le vittime della ferocia umana. Dubito che esista persona al mondo (a parte le solite teste) che non sia fratello degli Ebrei, dei Rom e di tutti quelli che sono stati perseguitati per motivi di razza.
Il Porrajmos è stato dimenticato subito. I Rom subiscono un annientamento della loro esistenza ben più profondo, precedente di molto l’avvento del Terzo Reich e seguito fino ad oggi. Basti pensare che nel processo di Norimberga nessun Rom fu ascoltato come testimone.
È una premessa importante, perché il tema che vorrei trattare qui è complesso e pieno di insidie.
Pensare ai Rom e cercare di capirci qualcosa scavalcando le barriere di pregiudizio che insistono da secoli sul terreno del dialogo e dell’integrazione è una operazione estremamente delicata: da una parte infatti ci sono quelli in stile Salvini o Borghezio, il cui approccio è sostanzialmente razziale e stereotipologico, dall’altra ci sono molti esaltati del folklore etnico che ritengono di non dover affrontare alcun problema se non quello di un superficiale pluralismo culturale che facilmente degenera in una sorta di razzismo differenziale.
In più prima o poi entrerà Latina in questo discorso, la qual cosa in partenza mi rende un po’ inquieto.
Sull’argomento ho imparato recentemente che dire zingaro è dispregiativo: se userò questa parola è solo per sottolineare il termine generale con cui i non Rom leggono la realtà condivisa con i Rom.
A dirla tutta anche dire Rom non è totalmente corretto, poiché esistono i Sinti, i Manush etc.; bisogna anche sottolineare però che la parola evoca a tutti il senso di appartenenza alla medesima cultura, al di là di distinzioni topografiche che non staremo qui a sottolineare.
Un ulteriore elemento da evidenziare è che, al contrario di quanto asseriscono molti negli ambienti del volontariato, in Europa la maggioranza dei Rom sono da tempo stanziali e non nomadi. Esistono certo quelli che viaggiano e si fermano per un periodo limitato ma praticamente sono quasi inesistenti in Italia e in gran parte dell’Europa meridionale e orientale.
Interessante poi che anche i non Rom sono vittime di pregiudizi speculari da parte dei Rom. Una visione per lo più costruita sulla televisione e in particolare dalla cronaca dei telegiornali: i rom Xoraxanè pensano che i gagè (il termine con cui i Rom definiscono i non Rom) siano tutti ladri, uccisori di bambini, truffatori.
Devo ammettere una grande ignoranza; per di più sono consapevole che anche i tentativi più aperti hanno il difetto d’origine di presupposti inamovibili che non trovano traduzione facile in culture diverse.
Non so se è possibile procedere con ordine nell’affrontare una “questione Rom”. Partirei dai luoghi comuni che caratterizzano le opinioni della maggioranza: tutti ladri, tutti sporchi, tutti ignoranti.
“Tutti” è decisamente un termine generico; nessuno conosce “tutti”. L’opinione che ci si fa dei Rom è diffusamente veicolata dalle esperienze personali e dai media. Questi ultimi parlano di loro in caso di sgomberi o di arresti per vari reati e noi tutti gagè quando vediamo uno zingaro controlliamo la borsa, lo zaino, le tasche, il cellulare. Chi gira per Roma si accorge che molte ragazzine che vanno a borseggiare nella metro o sugli autobus sembrano rom, molti mendicanti (suonatori o questuanti) sono rom.
Certo è vero che non tutti i Rom sono ladri o mendicanti ed è altrettanto vero che non tutti i ladri o mendicanti sono Rom.
Apprendo da alcuni saggi che i mestieri tipici dei Rom (stanziali o nomadi) sono sempre stati quelli di maniscalco, lavoratore del rame o fabbro, giostraio, venditore di chincaglierie. Mestieri cioè difficilmente esercitabili nelle società occidentali avanzate (cui anche l’Italia misteriosamente appartiene). In tutte le mie letture che cercano di approfondire, di dare un quadro esaustivo della cultura Rom, l’aspetto del lavoro è però avvolto da spesse coltri di vaghezza; nei campi nomadi (in realtà stanziali) si esercita anche il mestiere di robivecchi, qualcuno lavora fuori come facchino, imbianchino, a giornata. Sembra ad ogni modo che la maggioranza conduca una vita nel rispetto di alcuni principi inviolabili ereditati dal passato, mantenendo fede ad una idea di libertà e di vita fuori dai canoni dei gagè, cercando di sostenersi umilmente e con dignità.
Per quanto riguarda l’igiene, la letteratura sui diritti dei Rom è tutta concorde nell’affermare che mancano i campi attrezzati. I gruppi sono costretti in maggioranza ad ammassarsi in luoghi non previsti per loro, dunque zone di periferia, sotto cavalcavia, margini delle città etc. Qui ovviamente mancano allacci fognari, acqua, luce elettrica e questo li forza ad una vita di stenti, morendo di freddo e faticando a lavarsi e a tenere i loro bimbi in condizioni accettabili. Una minoranza costretta a scegliere un certo stile di vita, che dovrebbe essere tutelata (anche per legge) ma si deve sostanzialmente arrangiare rimanendo vittima di tutti i pregiudizi che l’accompagnano dal XV secolo. Il cosiddetto stile di vita dei Rom sembra non sia una scelta; cioè va bene i camper e le roulotte (scelti all’interno della loro cultura) ma non la sporcizia, i rifiuti, le condizioni precarie (costrizione).
In merito all’alfabetizzazione e scolarizzazione il problema è molto delicato poiché tocca la spina dorsale della cultura rom. I Rom infatti non capiscono, non assimilano il senso delle nostre istituzioni scolastiche in quanto il loro sistema educativo è basato sull’imitazione degli adulti. I bambini sono piccoli adulti cui vengono affidati compiti che devono svolgere al meglio sulla base dell’esempio dei loro genitori. Questo è quello che conta per loro. L’intera esperienza culturale dei Rom è esclusivamente tramandata oralmente.
I figli a scuola, come cittadini italiani, sono giocoforza lasciati a sé stessi, non avendo possibilità di essere seguiti da famiglie che poco dopo l’inizio dell’anno scolastico ne sanno meno di loro e non attribuiscono valore alla scrittura. In più, ad esempio, nessun genitore va ai colloqui pomeridiani con le maestre o i professori poiché nella loro cultura non è possibile parlare di qualcuno non presente (è come parlare male). Un difetto d’analisi sta certo nel fatto che tutte le nostre considerazioni sui Rom passano dal nostro sistema al loro - credendo possibile un’assimilazione - ma mai viceversa.
Tutte le cose che sto imparando mi inducono a credere nella necessità della costruzione di una seria mediazione culturale, fatta attraverso una preliminare e approfondita preparazione di Rom e gagé. Sgomberando il pregiudizio relativo a innate caratteristiche tipiche dei Rom come la predisposizione al furto o al nomadismo (di origine razziale, ricordando tra l’altro che gli zingari non sono una razza) la tessitura di una rete di rapporti di fusione tra le culture, nel rispetto delle specificità e degli inviolabili diritti dell’uomo, sembra essere l’unica via perseguibile.
È indubbio che la stanzialità dei Rom nel territorio di una nazione ha da tempo portato a situazioni assai difficilmente decifrabili; la condizione di chi vive in roulotte e di chi invece ha una casa è infatti totalmente diversa. Anche quando un gruppo di Rom mette in piedi un campo violando la legge sull’occupazione del suolo pubblico, lo fa in seguito alla necessità di stare da qualche parte e, se non si hanno case, si commette un reato ovunque si lasci il camper. Nel caso della predisposizione di un’area invece, il problema diventa la posizione: i Rom vengono spediti fuori, spesso a chilometri dal centro cittadino e in totale assenza di collegamenti.
Una buona dose di responsabilità sull’arroccamento dei Rom nel gruppo e sulla loro chiusura è dei gagè e del loro modo di trattare il problema su basi difficili da scardinare (pregiudizi già detti, mancanza di volontà, incapacità organizzativa etc.)
Come cittadini italiani i Rom vogliono vivere una condizione che fatichiamo a comprendere. Anzi rifiutiamo. Se ci ponessero accanto a casa un monastero buddista fatto con i container per mancanza di fondi, coi monaci arancioni rasati (italiani) che ogni giorno vanno a mendicare, certo non avremmo le stesse paure. I monaci buddisti vengono preceduti da una fama positiva, pur assumendo alcuni comportamenti che sono lontanissimi dal nostro comune sentire. Qualcuno, addirittura, li invidia.
Esistono esempi di campi nomadi in cui un gruppo perfettamente in regola con tutte le prescrizioni igieniche, con lo smaltimento dei rifiuti, col trattamento dei minori si è sentito costretto a sparire dalla circolazione, a emigrare per la quantità morbosa di controlli cui erano sottoposti i membri da parte della polizia locale.
Dette tutte queste cose e dato per assodato che quella rom è una cultura da difendere in sede sociale e di diritto, specialmente quando è vissuta all’interno di specificità che non ledono la comunità ma la arricchiscono, in un reciproco scambio di valori, di accoglienza e di integrazione, veniamo a Latina.
Da sempre a Latina vive una comunità di famiglie rom stanziali, che abita case per intenderci. Un gruppo non numerosissimo di stanziali in roulotte ha vissuto per anni dietro il campo da calcio della Sa.Ma.Gor, alle spalle della chiesa di Santa Maria Goretti. Poi, durante la prima giunta Zaccheo, hanno trovato un accordo col Comune e si sono spostati fuori città, divenendo invisibili e facendo fruttare economicamente i terreni circostanti su cui poi sono sorte decine di palazzine nuove. È ovvio che la condizione di quelli che abitavano al campo della Sa.Ma.Gor e di quelli nelle case era ed è completamente diversa, sia a livello di relazioni sociali sia a livello di visibilità. Basti pensare che dire zingari a Latina significa indicare solo quelli delle case mentre per quelli del campo (fino a che c’era) si diceva “i nomadi”, come se ci fosse differenza. Ufficialmente “i nomadi” vivevano come giostrai e robivecchi, quelli nelle case invece non l’ho ancora capito. Certo il numero di reati che recentemente è stato ascritto ad alcune famiglie Rom a Latina è impressionante e vanno dalla estorsione alla truffa, dall’omicidio allo spaccio e via cantando.
Come la vogliamo chiamare? Sfortuna? Va bene. Abbiamo avuto la sfortuna che una fetta del crimine a Latina sia in gestione di famiglie rom. Non è che in tutta Italia i Rom siano dei criminali, qui però almeno due famiglie, numerose e diffuse sul territorio cittadino, favorite dalla DC prima e dal centrodestra poi (vedi ad esempio la vicenda pensioni a falsi invalidi), hanno aumentato a dismisura il loro potere. Molti di questi che adesso sono banditi, vivevano di piccoli soprusi ai danni dei più deboli anche da bambini, sfido chiunque a non avere una storia da raccontare in merito. Con tutta la complessità, con tutta la sensibilità poetica che è in grado di produrre l’oralità della storia rom, ci tocca assistere a questo vilipendio continuo della loro stessa cultura, alimentando un pregiudizio che a Latina – con forti ragioni – è quasi impossibile da scardinare. Naturalmente, per il carattere stesso dei Latinensi – con un radicato e rassegnato accento autolesionistico più volte analizzato in questi post – il pregiudizio non ha portato fenomeni di esclusione e marginalizzazione particolarmente evidenti ma solo una timorosa distanza, priva di denuncia. Una prona coesistenza con un’ignorante prepotenza che è divenuta crimine organizzato e affiliato.
Io non so se le storie che ho ascoltato nella mia vita a Latina siano vere. Ci sono certamente cose cui ho assistito personalmente e che, pur non riguardando efferati delitti ma episodi minori, sono indicative di una cultura rom tutta particolare, almeno qui a Latina, che non ha nulla di tollerabile. Nulla.
Mi ricordo che agli inizi degli anni ottanta (forse durante una giunta DC con Redi sindaco) ai “nomadi” dietro la Sa.Ma.Gor - ormai appropriatisi di quello scampolo di strada - decisero di regalare i bagni. Costruirono tre o quattro gabbiotti con acqua, water e lavandini. Un bel passo avanti verso quel minimo di civiltà dovuta. Sono durati quattro mesi. Li hanno completamente distrutti. In quel periodo, so per certo, rubarono l’auto a un mio amico che si rivolse al capo del campo per vedere di ritrovarla. Non ci riuscì per questione di tempi, pur avendola rintracciata.
È ovvio che portare i bagni così, senza un dialogo precedente o successivo, può risultare controproducente; una forma di solidarietà che è solo elemosina. Ma forse anche dire che l'assenza di servizi attrezzati è l’unico motivo di certe condizioni nei campi rom può non essere completamente vero, o meglio non vero per tutti. Come in ogni comunità ci saranno quelli con un maggiore senso di responsabilità verso sé stessi e gli altri e quelli con minori sensibilità. Quanto alla ricettazione, sarà certo un'attività favorita dall’impossibilità di lavorare secondo le proprie inclinazioni ma qui dobbiamo anche segnalare la necessità di un limite: non si deve perseguire la via del crimine.
Insomma, qualche sano distinguo va fatto: voglio esprimere solidarietà per esempio ai fratelli rom che vengono sfruttati nell’industria dell’accattonaggio da altri rom che non sono miei fratelli.
Durante una manifestazione in piazza del Popolo la scorsa estate, di sera, stavo comprando lo zucchero filato a mia figlia: due euro e cinquanta (li mortacci della bancarella). Arriva una signora rom con tre frugoletti al seguito, dà due euro al tizio col bastoncino e gli dice: “me ne devi dare tre”. E così è stato. È normale? Non era la prima volta che assistevo a una scena del genere; mi era capitato anche al baby parking di Latina Fiori. Orario di chiusura e una mamma rom va a riprendere cinque bimbi: “Sono settemila lire”, “te ne posso dare tremila”. Chiuso. Amen.
Poi l’elemosina di mestiere davanti la Asl e al mercato del martedì, tornando a casa con la Mercedes fiammante. Non è tollerabile. Ma è altrettanto intollerabile, porcogiuda, che noi gagè accettiamo che esistano non solo zone ghetto a Latina ma anche scuole ghetto, come quella di via Po, sconsigliata perfino da chi ci lavora a causa dell'alta frequentazione di zingari. Se questo è il nostro livello organizzativo per affrontare il problema abbiamo poco di che lamentarci.
Senza fare ignoranti proclami leghisti, è una situazione che va raddrizzata. Voglio convivere. Però sereno. Nella giustizia o perlomeno nel contesto di un minimo di regole condivise che strutturino la convivenza (tra cui la tutela e l’istruzione dei minori). Per il resto ognuno deve essere libero di fare come gli pare. Anzi bisogna metterlo in condizione di farlo (che è tutta un'altra questione).Pubblicato 13 anni fa # -
Zero, le cose che scrivi sono sempre interessanti, però sulla questione degli zingari a Latina, a me non è che m'hai convinto molto. Insomma, fammi capire: ce la dovremmo sempre prendere nel culo noi?
Pubblicato 13 anni fa # -
Caro K, a me sembra che i "fratelli Rom" di cui si riempiono la bocca molti esistano solo nelle loro teste. La realtà delle cose è ben diversa e, nonostante alcuni sacrosanti distinguo che ho cercato di evidenziare, molto ideologizzata. Come al solito da una parte ci sono quelli che vogliono i roghi e dall'altra quelli che, col cagnolino al guinzaglio e la erre moscia, sono per il pluralismo (che però è meglio che non si realizzi altrimenti perdono un cavallo di battaglia scuregione).
La situazione a Latina non ha nulla a che vedere con tradizioni culturali, poesia del nomade, musica gipsy etc. Qui la verità è che ci sono dei criminali che cavalcano le loro origini rom per fare il cazzo che gli pare. Sono più vicini a Schiavone Sandokan che a Django Reinhardt.
Ad ogni modo il mio tentativo di mettere in campo la medaglia e il suo rovescio non è che riesca sempre...Pubblicato 13 anni fa # -
Pubblicato 13 anni fa #
-
Pubblicato 13 anni fa #
-
a mia figlia i rumeni (stranieri di lingua non italiana) fanno paura, da come la guardano, quando passeggia tranquilla, fissandole le cosce...ma come faccio a dirle che sbaglia a giudicare, che siamo tutti fratelli, siamo tutti uguali, che deve fraternizzare?...poi se le dico questo e invece succede altro, ci sarà qualcuno che mi risponderà se erano veri rom?...a me madre credete che mi fregherà un cazzo la differenza?
Pubblicato 13 anni fa # -
A Rindindin, che guardi solo i telegiornali di canale 5?
Pubblicato 13 anni fa # -
Le carceri italiane oggi: viaggio nella vergogna
La lettera aperta delle associazioni Magistratura Democratica, Ristretti Orizzonti, Antigone e Coordinamento nazionale dei Garanti dei detenuti parla chiaro. Esse “avvertono la necessità di fare appello alla coscienza di ogni parlamentare, per affrontare i drammatici problemi che affliggono ogni giorno il cosiddetto pianeta carcere e, in particolare, la condizione dei detenuti. Sono anni che le questioni attinenti l’ambito penitenziario non vengono inserite tra le priorità dell’agenda politica nazionale (complice una crisi economico-finanziaria epocale – ndc). Ciò accade in una democrazia avanzata, che annovera tra i valori primari della sua Carta Costituzionale il principio secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
1. E’ un appello che vuole essere anche una denuncia. Intendiamo denunciare come la dimensione della quotidianità del carcere sia ormai drammaticamente distante dalla prospettiva indicata nella Carta costituzionale. Ancora una volta i dati al riguardo sono estremamente eloquenti. Il carcere è un pianeta in cui, secondo la capienza regolamentare, potrebbero essere ospitate 45.551 persone e nel quale, il 31 maggio 2011, erano invece costrette a convivere 67.174 persone, con una elevatissima presenza di soggetti tossicodipendenti (pari nel 2010 al 24,42%). E’ un “pianeta” in cui le persone si suicidano molto più spesso che nel mondo dei liberi (a seconda delle stime: da sette a venti volte più spesso). E’ un “pianeta” in cui manca il personale necessario a realizzare percorsi di inclusione e reinserimento; manca il personale necessario per garantire il trattamento rieducativo in una cornice di sicurezza; manca il personale necessario ad assicurare il primario diritto alla salute. Le condizioni delle carceri in Italia sono talmente inaccettabili chela Corte Europea per i diritti Umani, in occasione della sentenza 16 luglio 2009, nel noto caso Sulejmanovic vs Italia, le ha espressamente dichiarate illegali. Tutto accade nella pressoché totale disattenzione dei media e quindi dell’opinione pubblica, salvo ridestarsi nel periodo estivo, quando i palinsesti del circuito della comunicazione offrono un po’ più di spazio e quando, con maggiore urgenza, si percepisce la drammaticità dei problemi, magari in corrispondenza dell’eterna emergenza sovraffollamento.
2. La situazione è urgentissima e bisogna intervenire subito. Basta coi proclami sterili e propagandistici. La dignità dei carcerati non può attendere l’ennesimo piano carceri, le promesse sempre reiterate e mai mantenute, la costruzione di nuovi edifici per la detenzione. L’imputato viene condannato alla detenzione, non al degrado. Il diritto di vivere come “esseri umani” deve essere garantito ora anche negli istituti penitenziari.
3. Sarebbero auspicabili riforme di sistema. Come da tempo segnalano le voci più autorevoli del settore, provenienti dall’Accademia e dalle libere professioni, un legislatore responsabile dovrebbe affrontare alcuni nodi cruciali: la depenalizzazione di molti reati e il drastico intervento su alcune leggi che producono carcere in misura maggiore (si pensi, ad esempio, alle norme in materia di stupefacenti), il rafforzamento degli strumenti sanzionatori alternativi alla pena detentiva, il superamento di un approccio complessivo nella legislazione che appare ispirato ad una logica meramente securitaria. Occorrerebbe dare corpo ad un valore costituzionale di alta civiltà secondo cui la pena ha anche una funzione rieducativa. Tanto più che il tasso di ricaduta nel reato per coloro che hanno scontato pene in regimi alternativi alla detenzione in carcere è marcatamente inferiore rispetto a quanti hanno scontato tutta la pena in carcere.
4. Interventi importanti possono adottarsi con urgenza e a costo zero. Per avere carceri più umane, in attesa di riforme di sistema, ci rivolgiamo a chi ha assunto responsabilità parlamentari, sottoponendogli la necessità di:
a) prevedere l’ampliamento delle possibilità di accesso alle misure alternative, in particolare superando le presunzioni legali di pericolosità sociale (poste tra le altre dalle numerose norme sulla recidiva e dall’art. 58 quater ord. pen.) e riconsegnando alla magistratura di sorveglianza la responsabilità di valutare – caso per caso e senza automatismi spesso ingiusti – se un condannato possa scontare la pena attraverso percorsi alternativi al carcere;
b) prevedere, per i reati che non siano espressione di particolare allarme sociale ed in concreto sanzionabili con pene non elevate, che gli autori vengano messi in carcere (in caso di rigetto delle richieste di misure alternative alla detenzione) soltanto se negli istituti vi siano posti disponibili rispetto alla capienza regolamentare o quantomeno tollerabile;
c) rendere permanente la previsione legislativa di esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno (ad oggi fissata dalla legge n. 199/2010 sino al 31.12.2013, con previsione temporanea… in attesa del piano carceri);
d) adeguare gli organici della magistratura di sorveglianza, oggi incapace di rispondere tempestivamente alla domanda di giustizia, rafforzandone anche i poteri di vigilanza e la capacità di incidere effettivamente sulle situazioni di violazione dei diritti delle persone detenute.
5. Gli investimenti indilazionabili
La legge penitenziaria italiana è una delle migliori sul piano europeo. Ma quanto delineato dai testi normativi è smentito dalle applicazioni sul campo.
I rapidissimi ritocchi normativi suggeriti dovrebbero essere affiancati da ulteriori iniziative, necessarie a garantire che la pena sia effettivamente votata a finalità di recupero del condannato alla società e ponga le condizioni affinché il reo, uscito dal carcere, non ricada nel delitto.
Ci limitiamo a segnalarne alcuni, ed in particolare l’adeguamento:
a) degli organici del personale addetto agli Uffici Esecuzione Penale Esterna;
b) degli organici del personale educativo e sanitario all’interno delle Case circondariali;
c) degli organici del Corpo di Polizia penitenziaria;
d) delle strutture carcerarie, in modo tale da garantire da un lato la separazione, pur prevista dalla legge e rarissimamente attuata nei nostri istituti penitenziari, tra detenuti in custodia cautelare e detenuti condannati con sentenza definitiva; e dall’altro lato la creazione di strutture specifiche e funzionali alle peculiari esigenze di particolari categorie di reclusi, come le detenute madri e i tossicodipendenti.
L’appello che rivolgiamo alla Politica risponde a un interesse diffuso della collettività.
Il rispetto della dignità delle persone detenute misura la civiltà di un Paese.
Un carcere che funziona attraverso la praticabilità di percorsi di reinserimento realmente assistiti e progettati, può restituire alla società persone che più difficilmente commetteranno altri reati.
Un carcere a misura d’uomo rappresenta la migliore declinazione di quella richiesta di legalità che giunge dalla società e che si rivolge anche alle istituzioni; una richiesta che, come operatori, ci sentiamo in dovere di formulare pubblicamente”.
(Magistratura Democratica – Associazione Antigone – Ristretti Orizzonti – Coordinamento nazionale dei Garanti dei detenuti).
LA VOCE DEI DETENUTI – Ma passiamo ad alcuni dati che non necessitano di commenti. Come sappiamo, repetita iuvant, la nostra Costituzione prevede che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Per tradurre in realtà il dettato costituzionale, nel 2010 si è investito in media, per ciascun detenuto, 3,95 Euro al giorno per i pasti, 3,5 Euro al mese per le attività scolastiche, culturali, ricreative e sportive, 2,6 Euro al mese per l’assistenza psicologica e il trattamento della personalità. Briciole! Integro questi freddi numeri con alcune testimonianze da brivido, che trovate riportate dalla rivista Acqua & sapone di luglio 2011, nell’ottimo pezzo di Francesco Buda: “In 9 passiamo 22 ore al giorno in una cella di 15 mq. Non possiamo lavarci.” (Eugenio, Thari, Marco, Filippo e Vito dal carcere di Bari); “Qui fa pure freddo, non perché i termosifoni non vengono accesi, ma perché nelle celle proprio non ci sono… Siamo costretti a fare i bisogni davanti agli altri compagni di cella.” (Mirko e Cristian dal Regina Coeli di Roma). “L’igiene qui è sconosciuta e molti di noi hanno la scabbia e pure la rogna.” (Giulio, Enrico, Piero dall’Ucciardone di Palermo); “Molte di noi stanno male, ma la regola è che solo chi ha i soldi ha le medicine. In 6 dentro una celletta, viviamo in costante stato di paura.” (Stefania, Anna e Laura dal carcere di Benevento). Sarà tutto vero? Verificare non è semplice, ma il nostro sgomento resta di fronte a queste denunce disperate. Un altro esempio: il carcere di Foggia dovrebbe contenere 403 detenuti: ce ne sono 725.
IL CASO LAZIO - Continuano a crescere i detenuti nelle carceri del Lazio. Al 3 maggio i reclusi nelle 14 carceri della Regione erano 6.550, ben 2.222 in più rispetto ai posti disponibili. I dati sono stati diffusi dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui, «nonostante gli ultimi provvedimenti legislativi, fra cui anche la legge svuota-carceri, che avrebbe dovuto sgravare gli istituti di tutta Italia di oltre 8.000 reclusi, il trend non sembra invertirsi, anzi i reclusi continuano a crescere in maniera impressionante. Lo scorso mese di aprile, nella Regione Lazio è stata sfondata per la prima volta quota 6.500 presenze e, in poco più di quattro mesi, dall’inizio dell’anno ad oggi, i detenuti anziché diminuire, sono aumentati di 173 unità, con tutte le conseguenze che questo implica». Una delle situazioni più drammatiche è proprio quella di Latina, la città dove vivo, dove i detenuti dovrebbero essere in totale 86 e sono invece il doppio: 166. I problemi maggiori delle carceri sono legati alla cronica carenza del personale di polizia penitenziaria, ai tagli al budget che hanno messo in difficoltà anche la gestione ordinaria degli istituti e, soprattutto, come già detto, al sovraffollamento.
UN RACCONTO - Al drammatico problema della difficile sopravvivenza in carcere ho dedicato un racconto, dall’emblematico titolo “Fine pena: mai” che potete ascoltare qui:
Get the Video Plugins (Fer - da Reset Italia)
Pubblicato 13 anni fa # -
Zero scrive:
"Miscio alzò la mano e disse che alla madre, quando passava vicino alla centrale a Sabotino, le si scaricava il pacemaker."
Che spettacolo...
Pubblicato 13 anni fa # -
Già, uno spettacolo di cazzata, però...
Pubblicato 13 anni fa # -
Pubblicato 13 anni fa #
-
Sventrami. seconda puntata
Pubblicato 13 anni fa # -
Sono riuscito solo oggi a leggere le due parti di "Sventrami". Sbrigati a finire, Zero, che poi postiamo - col tuo consenso ovviamente - tutto in home.
Pubblicato 13 anni fa # -
Pubblicato 13 anni fa #
-
Terza e fine (per ora).
http://stazionezero.blogspot.com/2011/07/raccontami-una-storia-sventrami-3.htmlPubblicato 13 anni fa # -
Io e Palude
Per me Pennacchi era sempre stata una galleria a Latina. Sotto c’era un parrucchiere, e dall’altra parte un bar. La prima volta che ho sentito parlare di Pennacchi l’autore era il 95. Stavo a casa di Gianni S., allievo di Serianni. Lui mi fa vedere Mammut. Mi ricordo ancora la copertina di Donzelli, con una specie di tubo storto sopra una specie di muretto. Io faccio : «boh, e chi è? ». Lui fa: «è uno scrittore di Latina, che ha vinto un premio, ne a parlato una rivista». Gianni è uno che ha la mania di comprare libri, lui dove va compra. Se c’ha l’ansia, esce e compra. Ora fa il giornalista, e quando stava a Milano, all’Avvenire, vivevo insieme a lui. Tornava da casa, stanco morto, con una busta della Feltrinelli, dentro quattro cinque libri. Ma era il 2000. Poi non li leggeva. Li leggevo io. Certi me li fregavo pure, tanto lui basta che comprava. Li lasciava incellofanati, certe volte.
Torniamo indietro, a cinque anni prima. Lui l’aveva già letto, e gli era piaciuto. La Fulgorcavi. Sì sapevo cos’era, perché c’era il padre di un mio amico che ci lavorava, mi pare si chiamasse Scipione.
«Dammelo un po’», gli faccio. Apro e leggo due pagine di dediche, con tutti i nomi, iniziando da «padre Cavalli cui debbo rosa rosae», fino al «vecchio Padrone…»
E verso la metà, la folgorazione : «a Se questo è un uomo e al Crollo della Balinverna».Ora io sto crollo della Balinverna non so cosa fosse, ma per me Se questo è un uomo era un libro fondamentale, cioè su quel libro c’avevo fatto un intero viaggio Latina-Vienna e Vienna-Latina con il pulmann della scuola, in gita. E avevo suscitato l'amore di due ginnasiali. Io facevo la seconda liceo classico. M’aveva talmente preso che insomma mi volevo fare ebreo. Per la verità non è il più bel libro sulla Shoah. Quello rimane sopra tutti L’Ultimo dei Giusti, di Andrè Swarz Bart. Sta a un livello superiore, per me.
Ma che questo libro di questo Pennacchi fosse dedicato a Se questo è un uomo di Levi è il vero motivo per cui io ho iniziato a leggere l’autore.
Però non ho iniziato da Mammut. L’anno dopo, uscì Palude. Ma io lo lessi nel 97, non quando uscì. E fu il primo libro di Pennacchi che lessi. Due volte di fila. La terza volta, fino a metà. Mi identificavo con Benedetto che prima si innamora di una ragazza che gli dice siamo solo amici, e poi si impasta contro un eucalyptus.
L’inizio era bellissimo (non c’era ancora, come nella seconda edizione, la digressione su Maria Goretti, chissà se nella terza ce l’ha lasciata. Secondo me non serve, ma se glielo dico si incazza: «è l’autore che mette la firma, e l’ultimo testo è quello definitivo. E lei non mepo’ insegna’ qual è l’opera autorizzata, lo so io e basta! Ma vaffanculo!»)
Lui dice che così faceva Ariosto, ma io penso al Tasso. Fosse stato per Tasso, la Gerusalemme liberata doveva essere bruciata, per lui il testo autorizzato era la Gerusalemme Conquistata. La Liberata non gli piaceva più, per le scene erotiche, pare, e perché gli aveva preso una conversione. Boh, com’è come non è, lui l’avrebbe cestinata, e avrebbe autorizzato la seconda. Fatto sta che dopo la morte, ma già prima, la Conquistata non se la filò nessuno, e tutti a leggersi la Liberata, che è entrata nei manuali ed è un capolavoro della letteratura mondiale. La Conquistata la studiano giusto i filologi, e i gesuiti. Mo’ compà, come la metti?
Insomma, l’impressione che c’ho sempre avuto (non suffragata da altro che dalla mia personale impressione, appunto) è che Palude edizione prima fosse migliore della edizione seconda, quella con la copertina bordeau. Che poi, a leggerla bene, non ci sono tante differenze. Qualche parolaccia in meno, forse, boh. Qualche periodo maggiormente ipotattico. Qualche virgola in più. Oltre a Maria Goretti. Però, devo dire, l’impressione che ebbi è di romanzo picaresco, in Palude 1, con quegli stupendi excursus apparentemente confusionari sulla magia popolare, sulla zia mezza strega, sul busto che ride, etc, dei capolavori. La cosa buffa è che Palude l’ho regalato, la mia copia originale. E mi sono dovuto comprare , credo nel 2002, l’edizione bordeau. (dopo che era uscito il Fasciocomunista prima edizione) Ma intanto, aspettavo. Sapevo che stava per uscire il Fasciocomunista. Anche perché, intanto, m’ero letto il romanzo sul delitto di Cori. E insomma, c’ho anche avuto la sfortuna di conoscere il prete di cui là si parla, perché è diventato il parroco della mia parrocchia, dove sta adesso, Santa Domitilla.Una nuvola rossa mi piacque molto, e mi fece ridere. Palude m’ha rimasto nel cuore, come dicono alle Case Arlecchino: nel cuore, si come il cuore è il centro di quel romanzo. Una volta gli scrissi, a Pennacchi, mandandogli questo mio testo. Mi rispose che c’era ritmo, ma che bisognava lavorarci sopra. Il testo era la storia di un innamoramento (tanto per tornare a Bassoli), e certe cose, di stile gliel’avevo rubate. Ma anche di contenuto, tipo il rapporto con l’acqua. Insomma, tutto questo prima che Sensi , alias Lorenzo, si presentasse un giorno a dirmi che lo conosceva, e che c'era un gruppo di latina che aveva aperto un'associazione che si chiamava Anonima Scrittori. Nel 2001 uscì Latina- Littoria, e già là Pennacchi per me era un mito. Andai da Piermario (allora stava vicino al mercato coperto), e mi feci dare la videocassetta. La feci vedere a tutti i miei amici, la proiettai in classe, a Cavalese. Volevamo contattare l’autore e il regista, per farli venire a parlare delle città di fondazione. Ora io non mi ricordo se parlai con Pannone o Pennacchi. Ma uno dei due disse che non aveva tempo. Beh, poi dicevo ho conosciuto Sensi. La sua famiglia è amica del migliore amico di mio padre, e chissà qualcuno aveva detto alla madre che io stavo a Trento, e che ci stava anche lui. Ma di questo racconterò un’altra volta. Per ora mi bastava dire che aspetto Palude, non vedo l’ora. Ah, Palude è i libro di Pennacchi che ho regalato di più in assoluto. E Mammut? Mammut lo lessi per ultimo, nell’edizione Donzelli. Veramente non proprio per ultimo. Per ultimo ho letto la Jena del Circeo (dopo Il Canale) .E mi ero letto su Limes, che compravo solo per quello, tutti i pezzi sulle città di fondazione. Pure quello sulla città impronunciabile. Quella delle Poste di Angiolo Mazzoni. Con quella scalinata che non serve a un cazzo. Beh, feci quel nome su questo forum, perchè gli avevo chiesto il motivo della sua eslcusione dal libro Le città del duce (non la seconda edizione laterziana, dove pure non c'è, ma la prima). (Credo che sia per quel motivo che non gli piace Pasolini, in fondo). Oltre che perchè è maladeta quoad se... In ogni caso è per quella città maladeta che ho dovuto subire il primo anno di silenzio dal maestro. Lui sa perché. Lui sa che gli ho chiesto scusa. Niente. Ho tradito. Una spia. Come Silone. In fondo me lo merito. Ma per me Benedetto è il mio alter ego. Non c’è niente da fa'. Speriamo di non finire anch'io come lui.
«Ma la macchina vola. Benedetto non capisce. Tutto è tranquillo, non c’è nessuno, non ha toccato nulla. Ma la macchina vola. Va per conto suo. Non sta più sulla strada. Scivola. Come una saponetta. Benedetto vede avvicinarsi l’eucalyptus. Poi più niente….»
A.
Cles, 7 Agosto 2011.
Pubblicato 13 anni fa # -
Ma quale Tasso d'Egitto va cercando? E perché allora a scuola, invece dell'edizione quarantana dei Promessi Sposi, lei non gli fa leggere la ventisettana, o addirittura il Fermo e Lucia del '21-23?
Mo', secondo lei, dei libri miei capisce più lei di me? Ma si dia una chiodata in fronte.
(Quella su Santa Maria Goretti, comunque, non è una digressione ma un inserto.)
Pubblicato 13 anni fa # -
A. però per fare disquisizioni filologiche non puoi andare a prendere l'eccezione. Il caso del Tasso e della Gerusalemme Conquistata, conferma la regola.
Pubblicato 13 anni fa # -
eh, avete ragione, ma non volevo criticare il diritto dell'autore di cambiare anche tutto del suo libro. La sua intenzione è sacra. La regola è anche che il testo, nel momento in cui è pubblicato, è sottosposto alla wirkunsgeshichte. E' la violenza ermeneutica, inevitabile. Senza la quale non ci sarebbe dibattito nè avanzamento culturale.Solo le chiese dogmatiche pretendono di avere l'autentica interpretazione del testo, poichè ritengono di capire l'intenctio auctoris...
Noi abbiamo la fortuna di avere un autore che ha sempre chiesto consigli quando scriveva un libro. Perchè uno non potrebbe esprimergli una opinione anche dopo che lo ha scritto?Pubblicato 13 anni fa # -
Vede, A: pure a me, quando sento Gianni Morandi che canta La fisarmonica con un nuovo arrangiamento, mi rode il culo. Ma questo non significa che magari sia l'arrangiamento migliore. Significa solo che io sono affezionato alle mie prime percezioni. Ma è nostalgia di me, non è valenza estetica dell'opera in sé. Di quella, normalmente, è resposabile l'autore, e se Orazio dice che i versi dovrebbero riposare nove anni in un cassetto - "nonumque prematur in annum - prima di tirali fuori, un motivo c'è. Me li lasci quindi rivedere tranquillamente i miei.
Per ciò che concerne Santa Maria Goretti, ad esempio, è solo dopo averlo fatto e pubblicato, che io mi sono reso conto che la Santa era uno dei personaggi principali del libro. Questa valenza ed ogni riferimento a lei, però, erano immediatamente percepibili solo da chi ne conoscesse già bene tutta la storia, e quindi fuori dall'Agro Pontino queste pregnanze si sarebbero perse. E' per questo che ci ho messo quell'inserto, perchè senza quell'inserto la storia era monca.
Chi capisce oggi un verso del Burchiello? Avrebbero dovuto lasciarci le glosse allora, per capirlo noi oggi. Io le glosse, a questo punto, me le lascio da solo. Se non le dispiace.Pubblicato 13 anni fa # -
Grazie K, temevo si incazzasse di più. A settembre allora, per la terza edizione!
Pubblicato 13 anni fa # -
Ora sto riscrivendo Il fasciocomunista.
Pubblicato 13 anni fa #
Feed RSS per questa discussione
Replica »
Devi aver fatto il login per poter pubblicare articoli.