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COSA HO SCRITTO OGGI

(768 articoli)
  1. k

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  2. L'homo latinensis

    Caratteristiche peculiari-genetiche (non ve potete sbajà)

    Potete partecipare

    Egocentrismo
    Narcisismo
    Tendenza alla giustizia sommaria
    Opportunismo
    Tendenza a mentire
    Culto maniacale dell'immagine
    Disprezzo della città
    Velleità di carriera politica
    Predisposizione ad alcoolismo, fumo e droghe varie
    Culto delle auto e relativa guida spericolata
    Litigiosità
    Ignoranzità
    Corruttibilità
    Deiderio di fuga (bisogno di viaggiare etc.)
    Velleità artistiche
    Interesse per ogni tipo di gioco d'azzardo
    Attitudine per ogni tipo di truffa

    Pubblicato 11 anni fa #
  3. cameriere

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    Membro

    Egocentrismo - ce l'ho
    Narcisismo - ce l'ho
    Tendenza alla giustizia sommaria -'n ciò il fisico
    Opportunismo - ce l'ho
    Tendenza a mentire - ce l'ho
    Culto maniacale dell'immagine -'n ciò il fisico
    Disprezzo della città - l'amo
    Velleità di carriera politica -'n ciò il fisico
    Predisposizione ad alcoolismo, fumo e droghe varie - ce l'ho
    Culto delle auto e relativa guida spericolata -'n ciò il fisico
    Litigiosità - ce l'ho
    Ignoranzità - ce l'ho
    Corruttibilità - ce l'ho
    Deiderio di fuga (bisogno di viaggiare etc.) - ce l'ho
    Velleità artistiche - ce l'ho
    Interesse per ogni tipo di gioco d'azzardo - sfiga cronica
    Attitudine per ogni tipo di truffa - ce l'ho

    Pubblicato 11 anni fa #
  4. A.

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    Moderatore

    Egocentrismo - sì
    Narcisismo - sì
    Tendenza alla giustizia sommaria - solo quando mi incazzo
    Opportunismo - prima no, mo' sì
    Tendenza a mentire - no
    Culto maniacale dell'immagine - in realtà sì
    Disprezzo della città - no, quando è vuota
    Velleità di carriera politica - no
    Predisposizione ad alcoolismo, fumo e droghe varie - sì, ma cazzo c'entra con latina?
    Culto delle auto e relativa guida spericolata - no
    Litigiosità - avojia
    Ignoranzità - sempre più
    Corruttibilità - no
    Deiderio di fuga (bisogno di viaggiare etc.) - ma anche no
    Velleità artistiche - no
    Interesse per ogni tipo di gioco d'azzardo - no
    Attitudine per ogni tipo di truffa - no

    Pubblicato 11 anni fa #
  5. Mazza A vedi come ti sei depontinizzato stando a Trento...
    Ormai sei un cittadino dell'Agro Trentino

    Pubblicato 11 anni fa #
  6. A.

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    Moderatore

    Pubblicato 11 anni fa #
  7. Vedi: tendenza alla giustizia sommaria

    Pubblicato 11 anni fa #
  8. A.

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    Moderatore

    Eh, ma m'avevi fatto incazzà

    Pubblicato 11 anni fa #
  9. A.

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    Moderatore

    posso mettere una lezione su Hegel che ho scritto?
    lo chiedo a Zaphod e Torque. non è narrativa, ma magari può interessare

    Pubblicato 11 anni fa #
  10. mettila A., se è bella la mettiamo in home page.

    Pubblicato 11 anni fa #
  11. A.

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    Moderatore

    Andrebbe un attimino corretta, in gran parte sono appunti messi bene, che non hanno pretesa di autenticità, ma intento didattico; comunque ok.

    ------pro manuscripto ----

    Fenomenologia dello Spirito (1807), di G.W.F. Hegel

    Fenomenologia (phainomenon, “fenomeno”, “apparenza” e logos, “discorso”, “dottrina”, “scienza”): è l’insieme ordinato dei fenomeni della coscienza, ossia il modo attraverso cui la coscienza si manifesta, tanto quella universale, dell’umanità storica che ha fatto certe esperienze culturali, quanto quella del singolo. La coscienza procede ampliando sempre più le proprie conoscenze, e così amplia il proprio ambito fino ad inglobare tutta la realtà (cioè a diventare ragione, ovvero “certezza di essere ogni realtà”).
    Il cammino della coscienza è come una valanga che raccoglie nel suo procedere sempre una maggiore quantità di neve. Solo arrivati al punto finale, possiamo ricapitolare tutte le esperienze (figure) fatte, che si sono svolte secondo il ritmo dialettico, e comprenderne la necessità.
    La FdS presenta questo processo della coscienza: mentre conosce, allarga i propri confini, amplia se stessa, il proprio orizzonte, ogni volta arrivando ad un’esperienza (figura) più alta, secondo il procedimento dialettico, a partire dalle primissime esperienze sino alle più alte: la totalità di tutte le esperienze fatte dalla coscienza costituiscono la FdS (si ricordi “il vero è l’intero").
    La FdS costituisce così il romanzo di formazione (Bildung) della coscienza, ed è insieme formazione filosofica per il lettore, un’introduzione alla filosofia come sistema [di Hegel!, che si ritiene tout court “il” sistema] che si compie facendo, anzi rifacendo con la memoria le esperienze compiute dalla storia della filosofia (prima parte) e dalla storia della cultura umana (seconda parte).
    Si rifiuta così il modo della “critica” kantiana, come momento preliminare alla filosofia (sarebbe come voler imparare a nuotare prima di gettarsi in acqua, dice Hegel): già la fenomenologia è filosofia.
    L’opera si divide in due parti: la prima espone il percorso dal è punto di vista della coscienza individuale (Coscienza, Autocoscienza, Ragione) la seconda dal punto di vista della storia della cultura umana (Spirito, Religione, Sapere assoluto). Queste sei parti sono precedute da una Prefazione e da un’Introduzione. Siccome nella seconda parte Hegel dice cose che ripeterà più ampiamente nell’Enciclopedia e nelle altre opere, la nostra breve presentazione si limiterà alla prima parte.

    Vediamo lo schema della prima parte della FdS. Essa corrisponde ovviamente al ritmo dialettico: tesi, antitesi, sintesi.

    1. Coscienza.
    2. Autocoscienza.
    3. Ragione.

    Quale è il percorso? Cosa vuol dire Hegel? Hegel vuol dire che il punto di vista iniziale, ingenuo, quello per cui noi pensiamo che da una parte c’è l’io (la coscienza) dall’altra c’è il mondo, (l’oggetto, la realtà) deve essere superato. Si deve arrivare a quel punto di vista per cui ci si rende conto che la realtà è posta dall’io, in altre parole dalla coscienza. E che quindi tutta la realtà è, in qualche modo, coscienza. (per lo meno quella razionale). Ora per giungere a questo punto, occorre fare un cammino, un cammino difficile, travagliato in cui la scissione tra sé e il mondo (che è, più fondamentalmente, quella della coscienza con se stessa) sia “tolta”, “superata”, mille volte prima di giungere finalmente alla riconciliazione finale. Tuttavia, essa non potrà essere solo a livello di coscienza individuale, ma dovrà compiersi solo come Spirito
    Ora, a grandi linee, si può dire che nel primo momento, quello della coscienza, noi pensiamo che il modo sia là fuori e lo conosciamo con la nostra coscienza. La coscienza è sempre coscienza di, indica quindi sempre un oggetto.
    Nel secondo momento, noi arriviamo alla consapevolezza che siamo noi (il soggetto) a porre il mondo (o, come dice Kant, è l’io, il soggetto, il legislatore del mondo): quindi, in questo secondo il momento, l’attenzione si pone sul soggetto. La coscienza di… diventa coscienza di coscienza; autocoscienza.
    Nel terzo momento, la ragione, si compie la conciliazione di oggetto (coscienza) e soggetto (autocoscienza).

    All’inizio c’è la posizione più ingenua, che sembra anche la più ricca per conoscere la realtà. La coscienza: essa pensa che ci sia da una parte il mondo, la realtà. Dall’altra l’io. A livello più basso la coscienza crede che la conoscenza consista nel sentire il mondo con i sensi, cioè con la sensazione o certezza sensibile. La coscienza dice “ecco qui davanti a me l’oggetto”, “questo è l’oggetto davanti a me”. Questa frase è la frase in cui la coscienza crede di potersi accontentare della semplice indicazione “questo”. Il che le appare un’evidenza assoluta. (es. questo diario davanti a me, questo foglio che ho tra le mani!)
    Ma se io mi rendo conto del contenuto di conoscenza di questo “questo”, mi rendo conto che è privo di contenuto.
    Quando dico “questo”, non indico nulla dell’oggetto, dico solo “qui davanti a me, in questo momento”. (spazio-tempo) Posso dire “questo” per indicare qualsivoglia contenuto, qualsivoglia oggetto. Infatti, quando io determino il “questo”, non dico altro che il “qui” (spazio) e l’ora” (tempo), insomma la struttura formale vuota. Anziché essere un “concretissimum”, come mi pareva prima, il “questo” si scopre un “abstractissum”, privo di ogni determinazione che non sia lo spazio e il tempo.
    A questo punto la coscienza sperimenta un’inadeguatezza davanti all’oggetto. La certezza sensibile, dà solo determinazioni astrattissime.
    Sarà necessario che io attribuisca determinati caratteri: per esempio dirò “nero” bianco”, verde”. (questo foglio è nero, è bianco, etc). Faccio, con ciò, riferimento non più al dato spazio temporale, ma a un carattere che sembra inerire alle cose. Parliamo quindi di “qualità”. Anche questo piano è un piano di sensi, la percezione. La percezione consiste nel dare note, indicazioni, qualità, attributi all’oggetto.
    Questa, a un primo acchito, sembra una vera conoscenza.
    Io dico. “Questa penna è nera”, cioè “quest’oggetto ha il carattere nero”. “nero” è un elemento che mi permette di definire un particolare (questo libro, questo foglio, etc) attraverso l’universale. “nero” è un universale.
    Il mio discorso si presenta dunque così:
    X è … a
    X è … b
    X è … c, d, f, etc.
    Dove “x” è la cosa particolare, “a”, “b”, “c”, “d”, etc sono elementi universali (nero, bianco, etc)
    Ora, è vero che la penna è nera, ma non che il nero sia la penna. Nero è il fumo, l’inchiostro, la notte. Insomma, quando predico di una cosa l’universale, io non dico ciò che una cosa è, ma a quali elementi è assimilabile. Ho l’impossibilità a dire il particolare, perché il particolare può essere detto solo attraverso l’universale. Ma questo vuol dire assimilare il particolare a gruppi di cose (gli universali sono gruppi), cui affermo che una cosa è simile. Dunque, nel dato della percezione, io non dico mai quello che una cosa è, ma quello che non è, cioè quello cui è simile, ciò cui appartiene. Appartiene a qualcosa che non è lei, cioè all’insieme di cose che hanno gli stessi caratteri. [Hegel pensa alla disputa medievale degli universali]
    Fino a che ci muoviamo nei sensi, nella percezione, non comprendiamo l’oggetto.
    Per oltrepassare il piano dei sensi dobbiamo comprendere che tutte le qualità che la percezione mi ha dato si colgono solo se le consideriamo connesse in una struttura unitaria, il concetto. L’oggetto è nero, è anche liscio, è anche rotondo etc. La comprensione degli oggetti non è nella percezione, ma nell’intelletto: solo esso mi da il concetto.
    L’intelletto è lo strumento che dalle cose vuole cogliere non l’elemento empirico, ma la struttura che sta al di sotto di tutte le qualità. Il passaggio dalla percezione all’intelletto è il passaggio dal mondo sensibile al mondo intellegibile.
    Devo comprendere “il concetto di penna”, non lo trovo nel mondo sensibile, ma è quello che io strutturo, ed è l’unità che raccoglie tutte le note dell’oggetto.
    Fin qui: sensazione, percezione, intelletto: tesi, antitesi sintesi. Ma è anche lo sviluppo storico della filosofia. Cartesio è il grande pensatore dell’intelletto, ma chi porta alle estreme conseguenze l’intelletto è Kant. Egli infatti dice che il concetto è l’unità delle molteplici determinazioni. [Inoltre Hegel allude, in questo percorso appena presentato, alle diverse facoltà prospettate da Kant: la sensazione è l’estetica trascendentale (spazio e tempo), percezione e intelletto rappresentano la logica trascendentale fino all’analitica…Ma c’è una differenza con Kant. In Hegel c’è la storia, c’è lo sviluppo che va dalla certezza sensibile all’intelletto. Kant dà per scontato tutto]
    L’intelletto è la conoscenza tipica della scienza: Si tratta di individuare i concetti, le leggi, le connessioni: studiare la natura “formaliter spectata”. L’intelletto è il momento in cui l’indagine scientifica cerca di cogliere dalla realtà l’elemento che tiene insieme, struttura, articola, tutti i dati empirici.
    Ma Kant ci ha detto che l’intelletto ha in sé le strutture conoscitive, le impone al mondo esterno.
    Quindi le strutture non le “ricaviamo dalla” realtà, ma le “imponiamo alla” realtà. Per comprendere l’oggetto, noi non dobbiamo limitarci all’osservazione della realtà, ma dobbiamo indagare ciò che permette all’uomo di imporre leggi al mondo. La coscienza del mondo deve diventare coscienza di sé: autocoscienza.
    Per Hegel, questo lo afferma Cartesio. Perché Cartesio per parlare di verità indaga il soggetto, cioè se stesso? Perché è da lui che bisogna partire per vedere l’apparato concettuale che noi imprimiamo alla natura. Kant incarna questo processo storico che era partito da Cartesio. Per conoscere la realtà si tratta di conoscere noi stessi.
    Questo è dunque il passaggio dalla coscienza all’autocoscienza.
    Se la coscienza si sente inappagata quando ricerca nella realtà la struttura delle cose, questo vuol dire che è lei l’oggetto da analizzare. Quello che prima appariva qualcosa di altro, diverso, opposto, in altre parole l’oggetto, quello che era una duplicità esterna (soggetto-spirituale da una parte e oggetto-materiale dall’altra), diventa una duplicità interna all’autocoscienza. La duplicità che la coscienza manifesta tra soggetto e oggetto, diventa una duplicità interna all’autocoscienza. È un contrasto interno all’autocoscienza tra il modo di strutturare le cose (la soggettività) e il prodotto della soggettività (l’oggettività).
    Nella figura dell’autocoscienza, l’oggetto di studio è la coscienza stessa: io chi sono? Che faccio? Qual è il mio destino? Chi mi dà fondamento?
    Ma questo passaggio da coscienza ad autocoscienza è ulteriormente complicato da Hegel.
    La coscienza, diventata autocoscienza, ha un problema. Quando conosce gli oggetti, sa che l’oggetto è plasmato con le proprie strutture. Ma, a breve andare, essa è colpita da una paura.
    Non mi basta sapere che l’oggetto è prodotto da me: perché non so se innanzi tutto l’io è libero o è un automa.
    Io, che produco l’oggetto, sono libero?
    Per sapere ciò, non posso rimanere da solo. Nessuno può dirmi se sono in errore o nella verità, se il mondo che plasmo è reale o immaginato, sonno o veglia.
    Cado nella disperazione, nel solipsismo. Sono un automa o sono libero? Urge che io lo sappia. Ma devo, per far ciò, confrontarmi con un’altra autocoscienza che ha compiuto il mio stesso percorso.
    La ricerca quindi diventa lotta. Non devo più comprendere l’oggetto, ma indagare in me stesso in quanto autocoscienza e ingaggiare una lotta per il riconoscimento, con un'altra autocoscienza, per far si che essa diventi uno specchio di me, per rimandarmi l’immagine di un padrone (quindi signore, cioè non schiavo) del mondo.
    Ecco perché la prima figura della autocoscienza è la lotta per il riconoscimento. (meglio conosciuta come dialettica del servo e del padrone)
    Due autocoscienze confliggono tra di loro, ciascuna per farsi riconoscere dall’altra. “solamente con il rischio della vita si conquista la libertà”… diversamente io sarei costretto ad essere solo, deprivato da ogni rapporto nei confronti del mondo, chiuso dentro di me (solus ipse).
    Non si può avere, quindi, consapevolezza di quello che si è se non si è riconosciuti. Noi siamo liberi se qualcuno ci riconosce come tali. Io sono perché qualcun altro mi riconosce. Il riconoscimento degli altri è essenziale per la nostra identità. Ma è una lotta per il riconoscimento: è una dimensione di confronto agonico. Solo lottando con un’altra autocoscienza può avvenire questo riconoscimento, perché non possono bastarmi a ciò le cose: le cose sono il prodotto dell’io, e non possono riconoscermi.
    La lotta è dunque necessaria.
    Attraverso la paura della morte, il servizio, e il lavoro, si ha il ribaltamento dialettico per cui si capisce che il servo è veramente libero e signore del signore, mentre il signore dipende dal servo. (cfr. Abbagnano- Fornero, par. 8.2)
    La dialettica servo-padrone è l’esempio di vera dialettica. Il rovesciamento dialettico si ha nella sintesi, dove viene inglobata sia la tesi che l’antitesi. Il servo contiene se stesso e il padrone. Il procedere, l’aufheben, è semplicemente un inglobare. Traduciamo questo termine con superamento-conservazione (col trattino), “togliere (in italiano del primo ‘900, quello delle traduzioni che abbiamo di Hegel) (tollendum est Octavium, portare in alto e uccidere)
    Dalla dialettica servo-padrone giungiamo ad una nuova figura, di chi è nel contempo schiavo e libero, lo stoicismo. Epitteto. Io non sono schiavo del mio corpo. Io sono libero perché non me ne curo. Questo passaggio concettuale indica un gradino della coscienza, un passaggio obbligato nella storia del suo sviluppo.Lo stoico è libero pur rimanendo schiavo. Pensando si è liberi.
    Lo stoicismo è la figura in cui la coscienza, percependo dentro di sé la lacerazione tra libertà e schiavitù, ha relativizzato questo contrasto; esso è ora entro la coscienza. Esso cioè diventa, dentro la coscienza storica, il contrasto tra interno (libero) ed esterno (corpo – schiavo). Questa contraddizione attraversa tutto lo stoicismo: il saggio è colui che è in grado di superare l’angustia dovunque si trovi, anche nella più triste schiavitù. (Seneca) La libertà nasce dalla coscienza interiore di essere liberi.
    Non c’è nulla al mondo che possa convincere lo stoico a fare qualcosa, se lui stesso non lo vuole. L’esterno non può comandare l’interno. Extrema ratio, se proprio tutte le altre vie sono chiuse, è il suicidio stoico, per evitare di cadere nella schiavitù.
    Questo ragionamento pone una contrapposizione tra esterno e interno. Questa tappa essenziale porta a separare ciò che è mio, soggettivo, e ciò che appartiene al mondo, oggettivo.
    Lo stoicismo avvia quel processo in cui si apre una nuova contraddizione: tra soggettivo e oggettivo. Il mio mondo, quello del soggetto, è quello in cui sono libero; mentre nel mondo oggettivo, sono limitato. Questo modo di pensare fa sì che ci sia una contraddizione tra ciò che è vero, tra ciò che è indubitabile, tra ciò che, quindi appare alla mia coscienza, e ciò che è dubbio, ciò che è in sé (cosa in sé, !), ciò che è oscuro e non appare alla coscienza.: siamo quindi nello Scetticismo.
    Lo scetticismo, secondo Hegel, è la verità dello stoicismo. Esso è già contenuto implicitamente nello stoicismo.
    Nello scetticismo l’essenza sfugge, e lo scettico è colui che deve contentarsi del fenomeno. Hume, lo scetticismo nella sua forma moderna, e lo scetticismo classico (Pirrone).
    Saggio è sospendere il giudizio sulla realtà, perché circa la realtà non sappiamo nulla: divorzio della coscienza dalla verità.
    Lo scetticismo è una coscienza che per quanto si affanni non raggiungerà mai la verità.
    Tanto più si sforza di cercare, tanto più trova conferma il fatto che nulla di ciò che è nel mondo si può conoscere.
    E allora si trapassa in una nuova figura: la coscienza infelice.
    La coscienza è diventata orfana della verità, e perciò infelice.
    La parte migliore le manca. Essa è irraggiungibile alla coscienza. Tale parte migliore è “l’essenza intrasmutabile” (che non muta), Dio. Mentre essa rimane “essenza trasmutabile”.
    Si avverte dunque il senso di una separazione tra l’uomo e Dio (“il mondo vero”);
    L’infelicità assume dapprima la forma del rapporto della coscienza con il Dio totalmente altro nella religione ebraica. Dio esiste, ma è totalmente lontano, irraggiungibile.
    Il Dio degli ebrei è in collera con l’uomo, e dunque inaccessibile a lui. La coscienza ebraica è la coscienza disperata di un popolo che si sente eletto ma è sottoposto alle prove più dure. La sua sorte è l’errare continuo senza mai trovare la propria patria né il proprio Dio, perché le è negato per principio, essendo “assolutamente altro”.
    Un’altra forma d’infelicità è quella cristiana primitiva e medievale[1]: invece di cogliere il vero significato spirituale del cristianesimo [conciliazione di Dio (infinito) e uomo (finito) ], si va alla ricerca delle tracce storiche del Cristo, Ora appunto il cristianesimo primitivo e medievale ha ridotto la ricerca di Dio a quella del Cristo storico, e ha poi continuato questa ricerca con le crociate, tentativi di impadronirsi del sepolcro di Cristo. Ma questa ricerca è fallimentare, si trova solo una tomba vuota[2], e la coscienza cristiana (medievale) rimane infelice. Hegel descrive poi più minutamente le forme della coscienza cristiana medievale, e più generalmente del modo di vivere il cristianesimo non confacente al suo senso più profondo (riconciliazione finito-infinito), ma ancora esprimente una lacerazione tra finito e infinito: la devozione (rinchiudersi nella ricerca di un’atmosfera spirituale e mistica interiore), il fare e l’operare (il lavoro al servizio di Dio dei monaci, in cui alla fine si scopre che il frutto del lavoro è un dono di Dio, e che quindi ad operare è direttamente Dio, e non noi), la mortificazione di sé (negare se stessi totalmente a favore di Dio). È proprio a questo punto, quello più basso raggiunto dalla coscienza infelice, che si ha il ribaltamento dialettico e si trapassa ad un’altra tappa del cammino della coscienza: la ragione. Il Cristianesimo medievale è stato «superato» dalla filosofia moderna, che ha detto che Dio non si trova né lontano, né nel cuore, ma è immanente, presente: con Spinoza Dio diventa immanente nelle cose. Con la religione dell’immanenza finisce la distinzione tra mondo falso e mondo vero, e tutta la realtà è considerata come vera. La sostanza (il mondo) diventa soggetto, e viceversa.

    Ragione
    Ragione osservativa: noi osserviamo se nel cosmo vi sia razionalità. La lettura di questa razionalità permette di dire che tutto ciò che si configura nella natura non è casuale. La forma della pianta è adatta all’ambiente, quella del pesce è adatta al suo habitat., etc. Ma, in questo mondo naturale, nota Hegel, è come se la ragione apparisse ingessata, pietrificata, staticizzata. Cioè, la natura è un mondo inconsapevole, rigido, pietrificato di manifestazione della ragione. (nella natura l’idea si da nella forma del suo essere altro, nella sua alienazione). La razionalità cioè, nella natura, c’è, ma si coglie non nel suo elemento dinamico, nel suoi sviluppo dialettico completo, spirituale, bensì nel suo elemento statico. Le scienze della natura, matematica, fisica, astronomia etc, sono, parimenti, scienze troppo statiche, schematiche, precostituite e dogmatiche, che non colgono la realtà nel suo movimento dialettico, non colgono lo spirito.Hegel, dopo aver accennato alle scienze naturali, apre la prospettiva della lettura della ragione nell’organismo vivente umano. Qui la ragione cerca se stessa con l’ausilio del livello cui era giunta, ai tempi di Hegel, la scienza empirica della coscienza, cioè la psicologia. Essa era giunta, nel Settecento, ad elaborare due metodi: la fisiognomica e la frenologia. La fisiognomica è quella “scienza” che pretende di ricavare i caratteri spirituali dell’uomo da quelli fisici (es, la conformazione del corpo, la morfologia determinerebbe l’intelligenza, la bontà, la criminalità di un soggetto; specie la conformazione dei tratti del volto, ecc.).La frenologia pretende invece di studiare lo spirito dell’uomo dalla conformazione dell’encefalo, dei “giri” del cervello.
    Queste scienze sono del tutto incapaci di fornire un’autentica conoscenza dello spirito, e in più sono casuali, sono false. Hegel usa diverse decine di pagine per confutarle, dato che esse avevano parecchio seguito ai suoi tempi. Esse pretendono, in sostanza, di determinare il carattere dello spirito (qui si parla di spirito come sinonimo di singola coscienza) dalla forma di un “osso”.
    La ragione attiva

    La terza sezione della FdS ha come sottotitolo “l’idealismo”. La filosofia della ragione è idealismo e viceversa. Tutto ciò che avviene, che esiste, è spiegabile razionalmente. Il mondo, la realtà, non è un accumulo casuale di fatti, ma ha una profonda trama logica, di cui i fatti sono l’elemento evidente, e divengono intelligibili solo grazie ad esso. (Hegel critica anticipatamente la visione positivista della scienza, come scienza dei “fatti”. Non esistono i fatti che parlano da soli. I fatti parlano solo in un certo contesto. È il contesto che parla.)
    Il finito è posto dall’infinito, vale a dire: il fondamento di tutto ciò che è finito è l’infinito. Questo è l’idealismo.
    La ragione dunque è la certezza – da parte della coscienza –di essere ogni realtà. Questa certezza deve passare da una fase implicita ad una fase esplicita. Quindi anche la figura della ragione ha delle sue sub figure: Ragione osservativa, ragione attiva, (ragione come) individualità in sé e per sé (cioè certa di sé).
    Vediamo solo le prime due fasi di questa terza parte, cioè la ragione osservativa e la ragione attiva.

    «Lo spirito è un osso» = la morfologia determina il carattere spirituale.

    Da dove possiamo comprendere la coscienza come ragione? Non possiamo “vederla” con gli occhi empirici (non è un osso!), ma nelle sue proprie manifestazioni, in ciò che essa fa. Dobbiamo individuare la razionalità sul piano dell’azione. In questa analisi dell’agire Hegel si serve di tre figure:
    1. Il piacere e la necessità (Faust)
    2. La legge del cuore e il delirio della presunzione (I Masnadieri di Schiller, Rousseau)
    3. La virtù e il corso del mondo (Don Chisciotte)

    1. Se io cerco la razionalità solo in ciò che faccio, c’è chi pensa che l’agire secondo lo spirito sia quello di esplicitare al meglio la propria capacità di godimento. È l’edonismo, “il piacere dà senso alla vita”, per questo io sono disposto a considerare la mia anima come nulla, e venderla anche al diavolo, se me ne si presenta l’occasione (Il Faust).
    La figura di Faust è quella dell’uomo che raggiunge il vertice del successo e anche del godimento. Ma il senso della sua vita è di “consumare” la vita. Quando la vita di Faust giunge alla sua pienezza egli «lascia dietro di sé solo cenere».Non lascia nulla dietro di sé, perché il suo senso è di bruciare continuamente quello che ha compiuto. Dunque questa forma di edonismo coniuga insieme il piacere e la morte. Vive nell’orizzonte della morte e persegue la morte.
    Perseguendo il piacere si diventa schiavi della necessità della natura, che lo domina e di cui diventa inevitabilmente parte. Noi, in quanto organi senzienti della natura, ci limitiamo a “fare il gioco” della natura, e non possiamo che consumarci, morire. Il piacere è la necessità…
    E dunque il Faust, della prima edizione dell’opera di Goethe, che non ha redenzione. Godendo, Faust precipita necessariamente nella consunzione necessaria.

    2. Vi è chi scopre che il vivere per se stessi è insipido, privo di gusto, poiché dà sì piacere, ma distrugge e basta. E allora c’è un personaggio che si affaccia al mondo, entra in rapporto con gli altri, scopre che deve essere in rapporto vero con gli altri; amicizia, amore, giustizia, ideali, sono il senso della sua esistenza e fa di essa lo strumento con cui gli ideali possono realizzarsi. È come chi, offeso dal fratello che gli ha sottratto l’eredità, si organizza con un gruppo di uomini e muove contro di lui e contro le leggi della società, in nome di una sua legge del cuore. Questi ideali sono però le “leggi del cuore”, in dissidio con le leggi dello stato. La presunzione della superiorità delle leggi del cuore diventa un delirio che impedisce a questo tipo di uomini di cogliere il senso del proprio limite. La coscienza singola crede di essere metro e misura di tutta la realtà, in ragione di una legge che sente in sé, contro il mondo, che è nel suo complesso totalmente sbagliato: io sto nel vero, se la realtà non mi corrisponde tanto peggio!

    3. Una terza possibilità è chi, pur avvertendo i torti del mondo, è convinto di doverli sì riparare, ma coltivando una propria personale virtù, e così si separa dall’effettivo corso del mondo; compie in se stesso, il divorzio tra la sua virtù e il corso del mondo. Da una parte il mondo che prosegue per conto suo, e dall’altra il cavaliere dalla triste figura, che traveste la realtà delle sue proiezioni mentali. (Don Chisciotte)

    ***
    La coscienza, alla fine di questa sezione, scopre di non vivere isolata dal mondo, ma di essere sempre in relazione col mondo. L’individualità della coscienza è sempre in relazione con un mondo. Essa scopre di essere, cioè, uno dei tanti prodotti dello spirito. «L’io che è noi e il noi che è io» = Lo Spirito. (definizione che dà Hegel)
    Lo spirito è quella realtà di cui io mi rendo conto di far parte, che diventa consapevole con me. Sono le culture storiche (con le relative istituzioni) che si susseguono nella storia dell’umanità. È il prodotto di un gruppo, di una nazione, della storia. Si deve dunque passare dal punto di vista dell’individuo al punto di vista delle comunità storiche nelle sue forme culturali e istituzionali fino ad arrivare allo stato prussiano, alla religione luterana, e alla filosofia hegeliana. Qui finisce il primo libro della FdS. D’ora in poi, il soggetto del percorso non è più l’individuo, ma lo spirito. Questa sarà l’ulteriore evoluzione della FdS, nella seconda parte: Spirito, Religione, Sapere assoluto.

    Si tratta di una lettura della storia dell’umanità dal punto di vista spirituale. Essa ha questo schema:
    1. Bella eticità greca. (mondo greco)
    2. Separazione, frammentazione della bella eticità greca (cioè l’età moderna).
    3. Momento attuale = Conciliazione (dopo la Rivoluzione francese, istituzionalizzazione nello Stato prussiano).

    Note
    [1] Secondo Hegel, col cristianesimo Dio è venuto, ha colmato il solco che separava l’uomo da Dio, ci ha mandato il Cristo, Dio fatto uomo, che ha detto: “Tutti gli uomini sono riconciliati col Padre”. Il messaggio del cristianesimo è il perdono, la riconciliazione tra l’uomo – il finito - e Dio l’infinito, che si manifesta con l’amore universale: Dio è in noi. Nella sua forma protestante-luterana, Hegel vede il cristianesimo come la più alta espressione dello spirito prima della filosofia; pari, quanto al contenuto (riconciliazione finito-infinito= idealismo hegeliano), alla filosofia, diversa solo nella forma: giacché la filosofia non ha bisogno di “rappresentazione” (vale a dire di riti, di culto, di esteriorità) ma vive il medesimo contenuto della religione cristiano-luterana nella forma del puro pensiero concettuale. Ma il cristianesimo ha al proprio interno diversi modi di essere, e quello che Hegel qui presenta è quello primitivo (tesi) e medievale cattolico (antitesi), che non è ancora diventato pienamente autentico (luteranesimo). Quello luterano sarà da Hegel presentato nella seconda parte della FdS e nell’Enciclopedia. Nelle Lezioni di filosofia della Religione tutto questo tema è trattato dettagliatamente.

    [2] La resurrezione non si mostra nel piano empirico, ma nella vita della comunità riconciliata, dirà Hegel da buon teologo protestante.

    Pubblicato 11 anni fa #
  12. zaphod

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    Fondatore

    Me la leggo con calma col favore delle tenebre... Un solo appunto (così, colto al volo) Sostituire FdS con - credo - Fenomenologia dello Spirito è obbligatorio, siamo in un sito di scrittori, non di radiotelegrafisti...

    Pubblicato 11 anni fa #
  13. A.

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    Moderatore

    comunque anni fa ho scritto anche una poesia, che ho ritrovato
    titolo

    I bimbi cantano nel giardino.

    svolgimento

    I bimbi cantano nel giardino
    buon compleanno
    e le maestre sono nervose
    per paura che si facciano male.

    E io vado in giro,
    nella notte della mia mente
    come una mosca
    in cerca del suo
    cibo

    Pubblicato 11 anni fa #
  14. k

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    Membro

    Occacchio, A, ma lei ha idea normalmente qual è il cibo preferito - e non per niente antonomastico - delle mosche? E lei invece che fa, va in giro come dice lei per tutta la notte della sua mente a cercare proprio quel cibo lì?
    Esca A, esca dalla sua mente, oppure paghi la bolletta e si faccia riattaccare la luce. Così potrà andare in cucina e farsi un piatto di spaghetti, avendo avuto prima cura di farsi riattaccare pure il gas. Se non ha il sugo pronto non fa niente, A. Pure in bianco, solo con un filo d'olio d'oliva sopra, sempre meglio di quella roba là ci sono.

    Pubblicato 11 anni fa #
  15. A.

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    Moderatore

    sì ma il come
    metaforizza tutto, e attrae l'oggetto ma anche il soggetto e l'azione-coazione.
    Come una mosca mangia il suo,
    ma va in giro,
    io vado in giro cercando il mio

    Comunque a me mi piace la pasta tonno e sugo
    ma m'hanno detto che i tonni
    li pescano col mercurio del mar baltico.
    poi dice la merda

    Pubblicato 11 anni fa #
  16. Anche stamattina, purtroppo per noi, il ragionier Fantozzi Monti si è alzato presto.
    E' andato in bagno. Si è fatto la barba a freddo col coltello da cucina.
    Si è lavato i denti con spazzolino e acqua, senza dentifricio perché c'è la Spending review. Ha usato un foglio di giornale del '55 ereditato dalla nonna a mo' di carta igienica.
    Poi è andato in cucina, si è fatto il caffè e ha chiesto lo scontrino senza ricevere risposta. Ha quindi chiamato il 117 per segnalare l'anomalia ed è uscito di casa meditando una nuova imposta sullo smaltimento dei fondi del caffè.

    Pubblicato 11 anni fa #
  17. A.

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    Moderatore

    In allegato la mia lezione-tipo su Marx, la quale ha solo valore didattico e non scientifico. Come vedrete essa è la riproduzione scritta del parlato, fatta ad opera di uno studente.
    saluti
    A
    ------------------------------------------------------------

    Nel 1847 Marx pubblica l’Ideologia tedesca opera che è un pilastro della sua filosofia. L’anno dopo scriverà il Manifesto, (1848.)
    Nell’Ideologia tedesca Marx, polemizzando anche con i filosofi della sinistra hegeliana, presenta la sua concezione della storia detta Concezione materialistica della storia.
    Per comprendere la storia dobbiamo comprendere la prassi dell’uomo, perché l’uomo è essenzialmente prassi: il luogo dove l’uomo esplica la sua essenza è appunto la storia, la quale è, corrispondentemente, il risultato della prassi umana.
    Comprendere la storia vuol dire dunque comprendere la prassi dell’uomo: comprendere ciò che l’uomo fa, non ciò che l’uomo dice di se stesso.
    Così un’età non si può comprendere in base a ciò che essa dice di se stessa, ma in base a ciò che quell’età “fa”, ciò che in essa si produce, si compie: la società storica che corrisponde a quell’età.
    Ma comprendere una società storica vuol dire comprendere la STRUTTURA ECONOMICA di quella società, il modo in cui l’uomo ha organizzato la sua vita.
    «Ditemi qual è l’homo oeconomicus e vi dirò chi è l’uomo», si potrebbe dire per Marx.
    Le basi materiali della società sono le strutture economiche.

    Sovrastruttura (ideale)

    Struttura (economica)

    Ogni società è formata da questi due elementi.
    Possiamo dire che la struttura condiziona la sovrastruttura ideale.
    Tutti i conflitti che avvengono nella sovrastruttura, nascono nel concreto dell’economia.
    L’analisi materialistica della storia coglie le basi materiali come orizzonte all’interno del quale si costruisce la vita anche intellettuale dell’uomo. Questo è sempre avvenuto: ad esempio in Omero, i poemi omerici, sono la proiezione delle struttura economiche della società greca arcaica; la riforma protestante è il prodotto di determinate condizioni economiche, etc.

    La sovrastruttura è tutto ciò che ha a che fare con la dimensione dello spirito (come direbbero gli idealisti), in altre parole la dimensione ideale, giuridica, politica, istituzionale, religiosa, culturale, ideologica. Per esempio l’illuminismo rappresenta la sovrastruttura della formazione della società borghese.

    La struttura economica è formata da:
    Forze produttive e Rapporti di produzione

    La sovrastruttura è formata da > rapporti giuridici, politici, culturali, religiosi, ideologia

    Si può dire che Marx abbia sviluppato una teoria deterministica, del rapporto struttura – sovrastruttura?
    No. Perché egli dice che la relazione tra la struttura e la sovrastruttura non è di condizionamento unilaterale, causa-effetto, ma è dialettica. Il rapporto dovrebbe essere
    Sovrastruttura (ideale)
    ↑ ↓
    Struttura (economica)

    Però, siccome Marx aveva maturato il suo pensiero nel contesto degli anni in cui ancora era forte l’idealismo, egli accentua maggiormente l’elemento di condizionamento unilaterale, di determinazione necessaria della struttura sulla sovrastruttura; è anche del resto vero che Marx stesso, e i suoi seguaci, a partire da Engels, accentuarono quest’interpretazione.

    Nella sovrastruttura vi sono tutti gli elementi spirituali e ideali, le immagini, le rappresentazioni della realtà, fatte da una determinata classe sociale, quella dominante.
    Le immagini sono viziate dalle acquisizioni, dai valori, dai punti di vista che corrispondono a interessi determinati dei ceti dominati di quella società. Le sovrastrutture dunque contiene non solo un rispecchiamento della struttura, ma anche una deformazione della struttura, in base a quei valori che nascono dalla struttura economica.

    La sovrastruttura

    Rispecchia/deforma

    La struttura
    Questo rispecchiamento/deformazione si chiama ideologia.

    Ogni sovrastruttura dunque comprende rispecchiamento e deformazione della struttura, come delle lenti deformanti: è l’ideologia.
    La sovrastruttura è una veste ideale di una società, che riflette e deforma la struttura economica della società. Le sovrastrutture comprendono le ideologie. Ideologia ha un significato negativo: è l’insieme dei pre-giudizi con i quali noi ci rapportiamo in prima istanza al mondo; l’insieme dei valori, dei pre-concetti che stanno a monte della riflessione, e che diamo un po’ per scontati. Questi elementi sono quelli di cui solitamente il singolo non ha consapevolezza. Sono quelle acquisizioni di fondo che condizionano la teoria successiva.
    In modo spesso inconsapevole ci sono degli economisti che dicono: questa società è buona, bisogna correggerla. Ma il valore di bontà di questa società è un’acquisizione ideologica, preriflessiva. Dipende dall’ideologia in cui vivono quegli economisti. Adam Smith ad esempio, partiva dall’osservazione per cui la società capitalistica è comunque la società più naturale tra tutte le società che ci siano state. Ebbene, quest’affermazione, secondo Marx, è «ideologica», rende Adam Smith partecipe della sovrastruttura che risponde alla struttura capitalistica stessa.
    Marx dice insomma che l’acquisizione di base di Smith è ideologica, serve a legittimare il sistema capitalistico; per quanto noi possiamo affaticarci a studiare Adam Smith, dobbiamo accettare la sua acquisizione di base, che è ideologica. Egli è il pensatore più eccellenza del pensiero borghese. Persino Hegel è un pensatore borghese. Critica della filosofia del diritto pubblico è una delle prime opere di Marx (1843), in cui egli sostiene che Hegel difende lo stato monarchico-costituzionale prussiano, volendolo, di fatto, legittimare. Persino Aristotele, secondo Marx, per dica che “tutti gli uomini per natura tendano al sapere”, di fatto difende l’istituto della schiavitù, dicendo che ci sono schiavi per natura. Così facendo, non fa che legittimare la struttura economica ateniese del suo tempo. Anche i più grandi pensatori rimangono vittima delle ideologie. Le ideologie non sono innocenti, esse sono delle armi da guerra usate da una classe contro un’altra classe, da un gruppo di potere contro un altri gruppo.

    Ma bisogna smascherare l’ideologia che sta al fondo di ogni teoria

    Smascherare l’ideologia al fondo di ogni filosofia borghese. (e per Marx, quasi tutta la filosofia è borghese)
    Gli assiomi di un pensatore borghese contengono delle opzioni che cono opzioni di classe. Per quanto riguarda il rapporto struttura-sovrastruttura, Marx dice che non è possibile muovere un’autentica critica dell’ideologia se prima non c’è una critica della società.
    E questa è la critica che Marx muove ai filosofi tedeschi: essi hanno combattuto le idee con altre idee. Ma le idee non si combattono con altre idee: bisogna sanare e modificare le condizioni strutturali, e poi quelle idee si modificheranno.
    Se io voglio combattere la religione cristiana, ad esempio (e questa è la critica che Marx muove a Feuerbach), non basta che io critichi le ideologie religiose, dicendo che esse sono forme di alienazione, ma devo sanare il contrasto sociale da cui nascono quelle ideologie, come proiezioni ideali di rapporti di alienazione sociale.
    Esempio molto banale: se noi abbiamo un tossicodipendente, e gli diciamo che la droga fa male, tutte le nostre parole saranno inutili. Fino a che non verrà modificate le sue condizioni di vita reale che rendono necessario in lui il ricorso alla droga, egli continuerà a farne uso.
    Altro esempio: quando la disoccupazione supera un certo tasso, è a rischio la democrazia. Ciò è assolutamente vero (si pensi alla repubblica di Weimar). Il potere che hanno le idee è limitato. Le condizioni economiche, quelle sì che hanno potere. Modificare le condizioni economiche è la precondizione per modificare le idee.
    L’ideologia tedesca (1847) si scaglia contro gli idealisti che basano la loro pedagogia su una base ideale. Pensano di cambiare il mondo con le idee. (Potremmo pensare al nostro Mazzini)
    Non bisogna combattere le idee, ma la realtà strutturale economica soggiacente.
    La rivoluzione non si fa con le idee. La rivoluzione è la modificazione delle condizioni strutturali che permettono alle idee di fondarsi.

    La rivoluzione è la modifica non della sovrastruttura ma delle struttura della società.

    Pubblicato 11 anni fa #
  18. big one

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    Membro

    con il mio amico Mario Bucci abbiamo scritto questo racconto

    Pubblicato 11 anni fa #
  19. k

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    Membro

    Complimenti. Ma perché però nantra volta non scrivete un racconto da ride? A me la robba de paura mica me piace tanto.

    Pubblicato 11 anni fa #
  20. SCa

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    Membro

    Questo forum è sempre fonte di ispirazione.
    Questa volta grazie a, o per colpa di, un paio di post di A. e k, ho scritto questo: Zapatero

    Pubblicato 11 anni fa #
  21. A.

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    Moderatore


    Pubblicato 11 anni fa #
  22. A.

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    Moderatore

    magnifico grazie

    Pubblicato 11 anni fa #
  23. A.

    offline
    Moderatore

    Premessa: oggi stavo, per ragioni di studio, leggendo questa poesia di Pessoa, in italiano. Per curiosità ho voluto vederla nell'originale portoghese. Ho notato che è molto più bella, ed è in rima. Ho cercato di lavorare ad una traduzione che non faccia perdere nè la rima nè il senso. Ma non so se mi è venuta bene. Soprattutto si perde, nella seconda strofa, cielo e passaggio, che in portoghese sono ceu e perdeu; e poi nido e cammino (che in portoghese sono ninho e caminho.)

    Quindi, io lo so che voi mo' direte: ma A, non hai altro da fare che venirci qui a rompere con questi tentativi di traduzione di poesia? Beh, nel caso scusate. Io voglio solo un parere, se vi va. Se vi andasse anche, magari potreste suggerire un'altra traduzione.
    Ciao.
    A.

    --------------------
    Originale di Pessoa:

    A morte é a curva da estrada,
    Morrer é só não ser visto.
    Se escuto, eu te oiço a passada
    Existir como eu existo.
    A terra é feita de céu.
    A mentira não tem ninho.
    Nunca ninguém se perdeu.
    Tudo é verdade e caminho.

    Traduzione di Tabucchi:

    La morte è la curva della strada,
    morire è solo non essere visto.
    Se ascolto, sento i tuoi passi
    esistere come io esisto.
    La terra è fatta di cielo.
    Non ha nido la menzogna.
    Mai nessuno s’è smarrito.
    Tutto è verità e passaggio.

    Traduzione di A:

    La morte è una curva di strada
    Morire è solo non essere visto
    Se ascolto, ti odo passata
    Esistere al modo che esisto.

    La terra di cielo è forgiata
    Non ha nido l’inganno
    Nessuno ha la strada sbagliata.
    [Mai]. Tutto è vero e in affanno.

    Pubblicato 11 anni fa #
  24. k

    offline
    Membro

    Mi spiace, A, ma mi pare che quella di Tabucchi sia più fedele.
    Riprovi ancora.

    Pubblicato 11 anni fa #
  25. A me i primi versi piacciono così:

    La morte è la strada che curva,
    morire è solamente scomparire.

    Pubblicato 11 anni fa #
  26. Woltaired

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    Membro

    Ho scritto un commento in un nostro editoriale in home:
    http://www.anonimascrittori.it/editoria-indipendente-anonimascrittori-intervista-la-ponga-edizioni/comment-page-1/#comment-446

    Leggete, soprattutto, l'ultima riga e cominciamo a pensare!

    Pubblicato 11 anni fa #
  27. Woltaired

    offline
    Membro

    Ho scritto questa cosa sul blog: BANDO

    Pubblicato 11 anni fa #
  28. zaphod

    offline
    Fondatore

    Ok... home dell'anonima a disposizione per la pubblicazione del bando e macchina pubblicitaria/divulgativa a seguire. Per la raccolta dei racconti o indirizzo mail dedicato, o sito arcipelago con tag dedicato, o post sul forum o commenti al bando in home... Comunicazioni più tecniche o riservate sulla mailing list anonima in corso...

    Pubblicato 11 anni fa #
  29. Woltaired

    offline
    Membro

    Grazie. In realtà Arcipelago sarebbe il luogo più adatto, ora ci sono entrato (sai le mie paure...), ma forse il forum è più logico. Ci rifletto.

    Pubblicato 11 anni fa #
  30. Ma pure in home...

    Pubblicato 11 anni fa #

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