1° - Io credo che gli autori, quanto più sono o sono stati importanti nella vita e nella storia culturale d'una certa collettività, tanto più appartengano a quell'intera collettività e non ai diretti eredi per via parentale. Questi, sono giustamente eredi delle royalties editoriali per tutto il tempo stabilito dalle leggi, ma per quel che riguarda l'interpretazione anche mitopoietica della loro opera e della stessa loro vita, hanno gli stessi diritti di qualunque altro individuo di quella collettività. Anzi, io credo piuttosto che quando i figli o i nipoti di un certo autore si erigono a giudici, editori o esegeti critici e unici garanti dell'edizione o dell'interpretazione delle loro opere, finiscano per fare un serio danno all'opera e all'immagine dell'autore loro congiunto, come almeno un paio di noti e grossi casi della storia recente della nostra narrativa insegnano (è per questo, ad esempio, che pur avendo una figlia che di mestiere fa l'archivista, le ho già detto che quando sarà l'ora preferisco che affidi quel lavoro a qualcun altro, esterno alla famgilia, che almeno in teoria dovrebbe essere portato a non censurare nulla del mio lavoro, anche se eventualmente scomodo o scabroso).
2° - Avendo fatto la mia tesi di laurea su Benedetto Croce, posso testimoniare che il terremoto di Casamicciola ebbe un'importanza cruciale nella vita e nella formazione del filosofo. Lui lì perse l'intera famiglia: padre, madre e sorella. Rimase lunghissime ore sepolto sotto le macerie. Ora non ho l'aggio e il tempo di andare a consultare le fonti scritte (lo farò quando pubblicherò, se ho vita, il mio saggetto su Croce), e quindi non so distinguere tra quello che ho letto e quello che invece ho solo sentito nelle aule universitarie, ma posso testimoniare che in quelle aule universitarie veniva conclamato da tutti, anche dal mio professore che era uno dei massimi esperti di Croce, che in quelle ore sotto le macerie Croce - che da quella esperienza uscì poi perennemente zoppo - per passare il tempo e cercare di tranquillizzarsi non fece che ripetere l'intera Divina Commedia che conosceva a memoria, e che le ultime parole che gli disse il padre prima di morire, furono proprio: "Benede', se senti qualcuno in superficie, promettigli subito centomila lire se ti tira fuori". E' vera, non è vera? E che cazzo di differenza fa? 420mila euri di adesso? E che cazzo sono per una famiglia di possidenti come era quella? E soprattutto, ma che cazzo di male c'è, se un padre prima di morire gli dice al figlio: "Promettigli pure la luna se ti salvano?". La nipote o pronipote di Croce - poichè la questione evidentemente investe il padre del filosofo e non lui - avrebbe fatto bene a starsi zitta e a non rompere i coglioni. E mica è suo, Benedetto Croce. Un poeta o un narratore di oggi, può farci pure quello che gli pare con Croce. Io - quando scriverò quel saggio - lo farò scopare come un riccio. Anzi, in La moglie di Fini e le fonti di Bossi gli ho già fatto fare pure l'osservatore dell'Agropoli Calcio.
3° - Quattro milioni e settecentomila euro di danni mi paiono un po' troppi. A me già non mi stanno bene i sei milioni che la Fiat ha chiesto a Formigli per avere solo detto che la Mini è più veloce dell'Alfa. Figùrati questi. Croce - quando ebbe una questione con Zuppini - si sfidarono a duello e finì lì, dopo quattro spadate. Altri tempi, altro stile? Non lo so. Io per me preferisco i duelli, mi sembrano più da uomini - eventualmente - che le querele. Dice: "Ma è roba d'altri tempi". Ho capito, ma io non dico di farli per forza con la spada e all'ultimo sangue. Uno può pure scegliere il bastone. O a sassate. Oppure a cazzotti: uno te, uno io. (Ma neanche mi sta bene che tutta questa storia serva a Sensi, ma soprattutto a Bassoli, per sciacquarsi solo la bocca contro Saviano.)