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Rivolta generazionale, molto più che un nuovo 77

(103 articoli)
  1. zanoni

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    E' proprio quando certi accordi passano per 9 voti (se è vero) che mi rendo conto che nella democrazia c'è qualcosa che non funziona.

    in che senso??? in effetti, lo scarto di 9 voti riguarda il totale con esclusione degli impieagti: nel senso che se consideriamo solo gli operai lo scarto e' di 9 voti, con gli impiegati sale a qualche centinaio.

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. La democrazia che si regge su pochi voti di vantaggio, pur legittimi, ha gambe troppo fragili, dove vuoi che vada se una gamba cammina spedita e l'altra dice "Vengo pure io, però non so' tanto d'accordo..."? Certo, va, perché deve andare, ma va avanti male. E alla fine quella gamba poco convinta finisce per ammalarsi.

    Del resto abbiamo visto con l'ultimo Governo Prodi cosa succede quando le maggioranze sono risicate...

    Il mistero è piuttosto come abbia fatto questo Governo Berlusconi a fallire così miseramente nonostante avesse numeri roboanti. insomma sto Paesetto è tutta una contraddizione.

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. zanoni

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    Bassoli, stai facendo parecchia confusione. l'utlimo governo Prodi (come del resto il primo) era fragilissimo perche' si reggeva su di una maggioranza fortemente disomogenea: il fatto che fosse risicata era solo un'aggravante.

    ti invito in ogni caso a leggerti l'intervista di Marchionne su Repubblica di ieri: alcuni passaggi fanno capire chiaramente come la sua e' innanzitutto una battaglia culturale, una battaglia di civilta' politica (chi vince, anche per un solo voto, vince: e chi perde se ne sta zitto oppure si dimette, torna a casa, fa quello che vuole... ma per l'appunto evita di rompere i coglioni!)

    www.repubblica.it/economia/2011/01/18/news/intervista_marchionne-11347690/?ref=HRER3-1

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. zaphod

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    allora forse è una battaglia di inciviltà politica...

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. k

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    ...e sì, perchè democrazia non è soltanto che chi prende un voto in più comanda. Quello è briscola. O rubamazzo. Democrazia è che chi prende un voto in più comanda nel pieno rispetto delle leggi, delle forme e delle procedure pre-stabilite, oltrechè nel pieno rispetto di tutti i diritti delle minoranze. L'idea che hai tu della democrazia - in cui la maggioranza può fare e stabilire, con piena validità e vigore pure le minoranze dissenzienti, di fare quel cazzo che le pare - corrisponde in realtà alla dittatura che, come tu saprai, difficilmente nella storia s'è rappresentata come dittatura d'una minoranza dulle maggioranze. Il più delle volte è sempre stata appunto - come nel nazismo, nel fascismo e pure nel socialismo reale - dittatura della maggioranza sulle minoranze. Tè capì? testa de casso (ma che cazzo di medicine stai a piglià, sti giorni? I funghi marchio-allucinogeni?)

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. zanoni

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    Democrazia è che chi prende un voto in più comanda nel pieno rispetto delle leggi, delle forme e delle procedure pre-stabilite, oltrechè nel pieno rispetto di tutti i diritti delle minoranze.

    K, con tutto il rispetto: ma tu davvero pensi che io sono cosi' tdc, semianalfabeta e somaro da sostenere qualcosa di diverso? anzi, in realta' eliminerei quell'oltreche': perche' il 'pieno rispetto di tutti i diritti delle minoranze' non e' un elemento accessorio ma uno dei principi costitutivi ed essenziali di un sistema democratico.

    ovviamente parlavo di altro. cioe', del modo in cui vengono prese le decisioni: perche' e' indispensabile che esistano forme e procedure chiare e condivise su come prendere le decisioni. potremmo intrattenerci a lungo sulle disfunzioni della partitocrazia italiana, sul fatto che in quel contesto non c'era mai chiarezza su chi aveva vinto o perso un'elezione, sulle infinite trattative e mercanteggi che seguivano ogni elezione. figuriamoci che neanche c'e' chiarezza nell'attribuzione formale dei voti, nello stabilire se un voto e' valido oppure no: perche' la legge elettorale stabilisce che il presidente di seggio deve interpretare la volonta' dell'elettore! ma come si puo' interpretare la volonta' dell'elettore se io poi ho davanti la scheda e non l'elettore? mi ricordo qualche anno fa di aver trovato una decina di voti per Berlusconi alle circoscrizionali (cera la concomitanza con le europee). ho dato buoni quei voti per Forza Italia: sostenendo che quei voti erano frutto di un errore materiale (cosa altamente probabile) e che essendo Berlusconi il leader e il capolista di Forza Italia alle europee chi ha scritto il suo nome voleva votare per Forza Italia. il bello e' che sono riuscito a convincere persino i rappresentanti di lista della sinistra

    comunque, veniamo allo specifico del referendum. in questo caso, i critweri sono molto piu' chiari: vince chi prende piu' voti. la civilta' politica consiste nell'accettare il risultato, il si' o il no; l'incivilta' politica e' quella di buttarla puntualmente in caciara, nell'appellarsi allo scarto limitato, alla presenza degli impiegati bla bla bla. questa e' la chiarezza che chiede Marchionne: una volta che e' stato raggiunto un accordo coi sindacati e che l'accordo e' stato approvato A MAGGIORANZA dai lavoratori, l'accordo si applica cosi' com'e'.

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. k

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    Zano', parla di quello che conosci, non di ciò che non conosci (te l'ho già detto altre volte).
    Allora, amico mio, se tu chiami a votare per una questione che riguarda solo chi lavora in catena anche e soprattutto quelli che lavorano in palazzina o negli uffici, esiste o no un problema di "democraticità" di questa votazione?
    Secondo: qui stiamo a parlare di organizzazione del lavoro, di tempi e metodi, di ergonomia, di quanto tempo ci vuole cioè per avvitare per bene un bollone o montare un ingranaggio. Se tu il referendum di questi lo hai vinto solo per uno scarto ridottisimo di voti, te lo devi pure porre un problema di effettiva gestibilità, perchè significa che quasi la metà degli addetti - pur in rpesenza di una pesante situazione interna ed esterna, in cui tutti ti dicono che se non voti sì ti chiudono la fabbrica e vai spasso - ha deciso comunque di votare no, perchè ha ritenuto inaccettabili quei ritmi di lavoro. Siamo quindi sicuri a questo punto che quando si scenderà nella concreta attuazione dell'accordo, tutta quella gente potrà lavorare come dici tu, o non invece il ciclo produttivo ne subirà le conseguenze. Che ne sai? Magari una vite, per fare in tempo a stringere quella che arriva subito dopo, non la stringerai più a dovere e fino in fondo come prima. Chi ci rimette è la qualità del prodotto, con la'umento degli scarti etc. Invece di avere un aumento, tu avrai un peggioramento della produttività. Senza consenso vero, non si può produrre bene.

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. rindindin

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    Pubblicato 13 anni fa #
  9. A.

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    Moderatore

    di Luigi Zoja (*)

    Esiste una nuova generazione critica...? Esiste. Ma è una realtà di cui non abbiamo un’immagine, proprio perché è nuova sotto tanti aspetti. Una generazione che si sente diversa non solo dalla massa post-ideologica attuale, ma anche dai movimenti ideologici degli anni ’60 e ’70. I “movimenti” erano estroversi e collettivizzanti. I “giovani critici” di oggi sono introversi e individualizzanti (non individualisti, ma impegnati in un cambiamento che comincia da loro stessi). Non appartengono ad organizzazioni. Ma sono ormai molti (benché pochi se ne rendano conto). Il fenomeno è comune a tutta l’Europa. Ma questa avanguardia nascosta è sorprendentemente fitta in Italia. Il nostro paese, campione dell’inerzia mediterranea descritta da Braudel nella classe politica e in quella accademica, mostra invece fra i giovani un vasto rinnovamento.

    Oggi Saviano ieri il Che...

    QUASI SUBITO, però, notiamo la sua impotenza. Questo potenziale atomizzato non confluisce in una “massa critica”. Manca non solo dimovimenti che lo unifichino formalmente, ma soprattutto di simboli, cioè di aggreganti psicologici. Inconsistente è il luogo comune: “Il loro modello è Saviano, come un tempo era il Che”. Guevara era coniugato con “tutto e subito”, con l’azione, estroversa e rivoluzionaria. Saviano col pensiero che gradualmente elabora una coerenza interiore. La gioventù critica lo ammira ma non può identificarsi in lui. Tutti potrebbero imparare a sparare. Quasi tutti, invece, sanno che lo scrivere forte, “armato”, è eccezionalmente difficile. Se anche riuscisse a uguagliare Saviano, ogni giovane diverrebbe ancora più solo. La penna (o il computer) crea attorno a chi scrive la “stanza” descritta da Pamuk [La valigia di mio padre]. Le armi creano (anche per nascondere la colpa che comportano) “il branco dei fratelli” [la Band of brothers, dell’Enrico V di Shakespeare]. Col loro isolamento individuale, i giovani critici si lasciano le difese di gruppo alle spalle e pongono le premesse del senso di inadeguatezza che li tortura. Una porzione consistente della gioventù non adattata è così introversa e, contemporaneamente, inconsapevole della propria condizione da viverla come fallimento. Scelgono di essere eremiti urbani, non perché insensibili al mondo, ma perché troppo sensibili alle differenze che da esso lo separano. Per le semplificazioni offerte dalla tecnologia e il trasferimento di moltissime industrie nei paesi emergenti, gli impieghi offerti alle nuove generazioni sono pochi. Ma questa esclusione, economica e sociale, va tenuta distinta da un atteggiamento psicologico, che in molti casi gli si sovrappone: quantità crescenti di giovani sembrano infatti auto-escludersi. Questo gruppo di “né-né” (in inglese NEET: Not in Employment, Education or Training; hikikomori in Giappone e nelle parti ricche dell’Asia, dove il fenomeno ha dimensioni devastanti) è spaventato dalla competitività crescente. Spesso è anche iperprotetto da madri che non fanno crescere il figlio per mantenere il controllo sulla famiglia. Rinuncia a rischiare nella società, si chiude nella casa dei genitori comunicando col mondo attraverso Internet. Uno specialista di questi fenomeni, Nadio Delai, ha parlato di “inabissamento” dei giovani. È errato studiarli solo come coloro che “hanno una malattia psichica nuova”. Per capire una condizione così generalizzata bisogna prima di tutto interrogarsi sul suo senso. Sarebbe quasi banale dire che “fuggono dalle” nuove difficoltà. Il problema è: “Verso quale direzione” cercano di andare...?. In un’epoca storica che premiava qualità appartate (per esempio nel Medioevo) molti sarebbero diventati teologi, cioè maestri. Oggi sono giovani delicati ma inutili:.spesso.incapaci.di.responsabilità, corazzati in meccanismi di difesa e di evitamento del mondo. Ma è la loro ipersensibilità che alimenta l’esclusione o l’esclusione che nutre l’ipersensibilità...?. La psicanalisi o la sociologia non fanno a tempo a condurre studi approfonditi che le condizioni già sono cambiate. Spesso proprio chi prende i massimi voti all’università non si presenta poi dove ci sono opportunità di lavoro. Questo giovane è già tornato nella sua stanza a leggere: ha gridato aiuto, ma lo ha accolto solo quel luogo, e quella condizione ormai nota...

    I festival culturali in Europa...

    DOPO LA PARTE dei giovani più “patologica” e dipendente dalla famiglia, passiamo a quella più indipendente. In Europa si sono sempre più affermati i festival culturali. Partita più tardi, l’Italia li ha visti avanzare ininterrotti, malgrado la recente crisi economica [Guido Guerzoni, Effetto festival 2009 ] e malgrado buona parte dei frequentatori siano proprio giovani, che fanno grandi sacrifici per assistervi. Proprio questo nuovo gruppo giovanile legge più delle generazioni precedenti. Su un tema simile le interpretazioni sono complesse. Studi approfonditi, come quelli di Giovanni Solimine [L’Italia che legge, 2010], mettono in guardia da facili ottimismi. Chi già leggeva legge anche di più, chi non leggeva, se possibile, legge ancora di meno. Ma in linea di massima gli attuali ventenni leggono più dei trentenni, questi più dei quarantenni, e così via [ISTAT 2009, Famiglia e società]. Dati confortanti, perché gli studi condotti dal NEA (National Endowment for the Arts) negli Stati Uniti dicono da tempo che le abitudini alla lettura si acquisiscono in gioventù e restano relativamente stabili. Quindi, una volta che i trentenni saranno quarantenni, e i ventenni trentenni, circoleranno più libri (o, col loro diffondersi, più eBooks). Nel 2004, [col rapporto Reading at Risk] il NEA aveva lanciato un allarme: sembrava che internet disabituasse a leggere. Ma nel 2009 [con Reading on the Rise] ha segnalato un ritorno alla lettura. Anche in Europa la crescita è visibile: l’Italia, partendo da livelli di lettura fra i più bassi,sembra ora risalire più degli altri. Come possiamo classificare il “consumo” giovanile dei mezzi di comunicazione...?. Il CENSIS parla di “diete mediatiche” [Settimo ed Ottavo rapporto sulla comunicazione, 2008 e 2009] che suddivide così:

    1) solo audiovisive (sostanzialmente televisione);

    2) audiovisivo più mezzi stampati (libri e periodici);

    3) audiovisivi, stampati e Internet;

    4) audiovisivi, Internet ma rinuncia a leggere stampati.

    Quest’ultima categoria è ridotta e nata da poco. Il passaggio dalla prima e seconda dieta alla terza (Internet) è stato invece travolgente: nei quattro principali paesi europei 50 milioni di persone in un anno. Parallelamente, dal 2003 al 2007 i giovani italiani che indicano i libri come attività preferita del tempo libero sono cresciuti del 10%: sembra che le diverse letture (elettronica e cartacea) non siano in competizione, ma che addirittura si incoraggino a vicenda. Due sono le principali conseguenze. Prima di tutto sta sorgendo una generazione per la quale il monopolio dei media diventa sempre meno rilevante...

    Una nuova generazione critica...

    GRUPPI crescenti vanno e vengono, molte volte al giorno, dal cellulare ai libri alla televisione, ai quotidiani e al computer. Cosa importa loro quel che Murdocho Berlusconi “vuole” che essi vogliano...?. Non sono dipendenti dal consumo di nessun medium; soprattutto, usano con estrema agilità Internet, il mezzo che nessun monopolista riesce a controllare. La seconda merita approfondimenti psicologici. La parte avanzata dei giovani sembra costituire un movimento di base [grass-root, nella terminologia americana] non programmato, la cui forza aggregante viene dall’inconscio collettivo. Esso reagisce energicamente ai ritmi sempre più affrettati e meno approfonditi che la competizione economica impone. Pur cavalcando Internet, rifiuta la sostituzione dei rapporti umani con le presenze virtuali offerte dalla tecnologia. Una spinta inconscia cerca di uscire dalla galoppata tecno-economica che dà ansia: vuole rallentamento e decompressione. Questo è l’aspetto insufficientemente studiato del successo dei festival: ci si sottopone a sacrifici anche notevoli non per seguire il filo astratto di idee, ma per ascoltare un autore in carne ed ossa. Se lo spettatore non è riuscito a seguire una conferenza, di solito gli interessa poco se sarà pubblicata su interneto come libro. Chiede: “Quando parlerà la prossima volta...? Verrò lì”. Non è affatto un caso che questo gruppo, nato col computer, abbia anche assicurato il successo della Mole skine e di altri oggetti su cui si torna a scrivere lentamente e a mano. (Di recente, un film che descrive dei frati trappisti, girato con lentezza monacale, ha raccolto in Francia milioni di spettatori, in buona parte giovani). È riduttivo classificare queste tendenze solo come contro-tendenze: prima di essere contro, sono a favore di qualità umane cui si rischia di rinunciare troppo presto. È anche affrettato qualificare questa generazione per quello che le manca e che certamente non si è tolta da sola (il CENSIS ha parlato, realisticamente ma troppo in fretta, di nichilismo digitale dei giovani). Attraverso Carlo Petrini, (che oltre alla biodiversità propone ora il salvataggio di riti e costumi) il nostro paese ha offerto al mondo lo slow food: regalo al gusto, alla salute, all’ambiente. Non è esagerato immaginare che, dopo quella gastronomica, gli stia inconsciamente proponendo una dieta mediatica alternativa, che potremmo chiamare slow culture: un’alimentazione della conoscenza, basata non solo sull’elettronica ma anche sul rapporto umano e su ritmi in ogni senso biologici, che le radici profonde della psiche non hanno dimenticato...

    (*) psicanalista junghiano e scrittore.

    (Il Fatto Quotidiano di Sabato 22 Gen. 2011)

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. k

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    Estremamente interessante (metta il link però, A, affinché un povero vecchio se lo possa pure stampare) come analisi e punto di partenza, specialmente nell'ultima parte. Questo Zoja va ringraziato. Ho la sensazione però che alla fine gli sia sfuggita l'imprevedibilissima sintesi.
    Si parte dicendo appunto della frantumazione non tanto dei movimenti di massa ma quanto proprio della massa in sé. I giovani stanno chiusi a casa espulsi ed esclusi dal mondo, soli solo con il proprio computer. E il processo sembrerebbe inarrestabile: il mondo del domani è un mondo senza masse.
    Alla fine però scopriamo che la gente s'è inventata i Festival letterari e sempre più, dopo d'essersi letta i libri vuoi su carta o vuoi su ebook, parte da casa, piglia il treno e va ai Festival. Zoja dice: "Ci va per sentire gli autori di persona". Ed è qui che - se mi si permette - Zoja si sbaglia, o, quanto meno, gli sfugge l'ultima ma illuminante conclusione: "La gente ci va per sentire gli autori di persona, ma per sentirli tutti assieme, insieme agli altri". A Mantova quest'estate c'erano 800 persone paganti a sentire le cazzate di uno di Latina, e tanta gente l'hanno lasciata fuori perchè erano finiti i biglietti. E lo stesso è stato a Cuneo, a Pordenone e all'Unione industriali di Torino. Ergo, la gente ci va per stare in massa, ed è un’esperienza di massa non solo sentire il singolo autore, ma stare proprio al festival, girare per la città e vedere di persona – a volte stretti stretti pure nei bar o sotto i portici, a sentire pure gli odori – non solo di tutti gli altri autori, ma pure e soprattutto di tutti gli altri lettori in carne ed ossa come te.
    Con tutto quello che possa essere lo sviluppo della tèkne evidentemente, il bisogno dell'individuo d'essere anche massa è un bisogno insopprimibile, è un bisogno fondante dell'àntropos e di tutta l'antropologia (E. Canetti). La gente difatti continua da sempre ad andare negli stadi, ai concerti e dove cazzo vi pare a voi. Dice: "Sì, è vero, ma questi sono i posti in cui il minimo comun denominatore necessario a fare in modo che un semplice insieme di individui diventi massa, è qualitativamente molto basso, è un minimo comun denominatore al ribasso che non può produrre coscienza politica". Vero. Ma i festival letterari no. Qui siamo - almeno in teoria - a un livello molto più alto di minimo comun denominatore. E il processo è appena partito. Lo sai tu, dove cazzo può arrivare?
    Animo, compagni. Il futuro è davvero radioso. Le vie d'uscita dalle crisi ci stanno. La tèkne non ci è nemica. L'uomo è l'uomo, e quanto più è in massa e quanto più il livello di coscienza di questa massa è alto, e tanto più riparte e s'avvicina il lungo viaggio verso le umane sorti e progressive. Con la tèkne siamo ancora e sempre tutti quanti più forti.

    (Mo' non ho più tempo e non posso andare più avanti, ma se A fa pervenire queste riflessioni volanti a Zoja, mi fa un piacere. Ciao)

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. A.

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    Io non lo conosco però personalmente Zoja. Ho solo letto l'articolo sulla mia copia cartacea de Il Fatto, e lo sono andato a cercare su internet, per esempio a questo link
    http://ilcorvoinsolente.ilcannocchiale.it/2011/01/22/la_slow_culture_unalimentazion.html

    su Zoja, ho visto che si può trovare qualche notizia in più nella pagina di Liquida.
    http://www.liquida.it/luigi-zoja/

    Se trovo qualcosa di più, o la mail, gliela giro volentieri.
    Un caro saluto
    Ale

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. A.

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    Moderatore

    Caro K ho mandato il suo commento a Zoja.
    Se risponde manderò qui la risposta.
    A.

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. k

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    Membro

    Grazie.

    Pubblicato 13 anni fa #

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