Senza noi immigrati, il Trentino si ferma
04/11/2008 07:48
Caro direttore, della mia colazione obbligatoriamente fa parte l'ascolto dell'edicola televisiva, che ultimamente mi lascia con l'amaro in bocca. Faccio parte della generazione «dei nuovi trentini» e non posso essere indifferente a tutto quello che succede. Il problema dolente, come un dilemma, è: cosa fare? Come digerire gli ultimi progetti sull'immigrazione? Leggo sui giornali: far pagare 200 euro per il rinnovo del permesso di soggiorno, permesso a punti, classe separate, esami Dna, l'assicurazione sanitaria a pagamento per i familiari da ricongiungere (tutto a carico dello straniero). Un vero saccheggio e una grande discriminazione nei nostri confronti. Arrivi alla conclusione che ci vogliono come schiavi, bestie da lavoro e niente di più. Senza la famiglia, senza figli, senza anima, senza sentimenti. Ma dove siamo, che tempi viviamo? Davvero si pensa che siamo cresciuti in mezzo alle foreste, senza una storia, una cultura, un'istruzione, una vita...? Si sbagliano di grosso, ma solo perché non vogliono e non accettano di conoscerci. Ai tempi dell'Unione Sovietica, facevo parte del Gruppo della Gioventù, ma io vorrei dire che siamo stati educati e cresciuti nello spirito della famiglia, che costituiva il nucleo della società. Perciò, continuo a ribadire, che l'attenzione principale bisogna puntarla su questo, anche dell'immigrato, che ha bisogno, l'obbligo ed il dovere sia dei figli che dei genitori. Qui faccio una parentesi: penso che certi politici hanno trovato una scusa, facendo dello straniero il capro espiatorio di tutto il male, cercando di abbagliare la cittadinanza, distogliendo l'attenzione dai veri problemi. Problemi, che tra l'altro, stanno distruggendo la famiglia, sia italiana, che straniera. Inviterei i politici, ma anche i semplici cittadini, a vedere il film «L'altro mondo» di Emanuele Crialese sull'emigrazione italiana in America, dove il protagonista porta con sé la madre anziana ed il figlio sordomuto. La commissione americana fa tornare indietro sia la madre, che il figlio, perché non in grado di lavorare. Allora, l'anziana si gira e gli dice: «Ma chi siete voi per decidere il destino degli altri? Non ha diritto nessuno, nemmeno Dio. Questa Terra è di tutti noi e anche di nessuno, perché noi tutti siamo di passaggio». Questa è la storia! Vorrei citare due parole dell'ultimo giornalino del Punto d'Incontro: «È un fenomeno italiano quello che succede? È un fenomeno ciclico nella storia dell'Uomo. Chi ha diritto di negare all'altro di tentare di vivere una vita dove non c'è morte, violenza , guerra e fame? Chi??? Ormai, sono otto anni che vivo in Italia, imparando l'italiano al volo, lavorando in mezzo alle persone e il tempo mi ha aiutato a crescere, osservando giorno per giorno l'andamento della mia integrazione, ma anche degli altri immigrati. Non è stato facile. Ero e sono consapevole, che venire in Italia, non è stato il richiamo di nessuno. Purtroppo, il mondo si è ribaltato, i nostri sistemi politici, economici e sociali sono andati distrutti, e, seguendo la lotta per la sopravvivenza, che è la più che naturale, siamo «atterrati» qui, da voi, come voi 50/100 anni fa in America, America Latina, Canada, Australia, Belgio, Germania, ecc. Vi chiedo di non fare di tutta l'erba un fascio. Certi stranieri diventano, non nascono, delinquenti. Tutti partono da casa con la volontà di migliorare la propria vita, cercando di lavorare onestamente. E cosa trovano se sono irregolari? Un muro d'indifferenza ed illegalità. In questo caso, succede a volte, che gli unici che danno una mano agli stranieri, soprattutto clandestini, è proprio la delinquenza. Li sfruttano, facendoli lavorare in nero, li costringono a prostituirsi, senza avere alternative e quanti indirettamente sono partecipi al funzionamento della malavita? La percentuale della criminalità è più alta tra gli italiani, che stranieri regolari. E vi chiedo di essere un po' più indulgenti quando si parla di extracomunitari. Umilmente abbiamo coperto tutti i buchi della società, accettando qualsiasi lavoro, facendo della necessità virtù, cercando di addolcire le nostre lacrime nel ricongiungimento dei familiari, partorendo dei figli, aiutando la crescita demografica del paese, matrimoni e varie feste. È giusto diventare invisibili, non esserci? Sì, diamo fastidio, ma può essere che senza la nostra manodopera, la vostra terra rimarrebbe non coltivata, i supermercati con gli scaffali vuoti, i panifici senza pane, i tabacchini senza il giornale mattutino, i camion fermi per le strade, le vostre case, banche, uffici, ospedali, case di riposo, senza pulizie, gli anziani e bambini non accuditi. Siamo o non siamo più necessari? Nel Trentino sono intorno a 10 mila famiglie straniere che pagano un affitto di 400/1000 euro al mese. Se un giorno decidessimo tutti di andar via, a chi affittereste? Si parlava nell'ultimo numero di «Famiglia Cristiana» del risveglio della coscienza politica degli immigrati: vorrei dire che forse è il momento di far risvegliare la coscienza politica di tutta la società, non solo degli stranieri, specialmente il ceto medio ed operaio che non sa più cosa fare per sopravvivere. Invito tutti alla convivenza civile, pacifica, al rispetto reciproco, rispetto della legge, delle proprie culture e abitudini, invito al dialogo, italiani e «nuovi italiani», mettersi allo stesso tavolo e discutere, cercare insieme di «separare il grano della gramigna» per arrivare ad un buon pane quotidiano. Lo sciopero generale degli immigrati, che è garantito dalla costituzione, sarebbe l'ultima spiaggia e potrebbe paralizzare e mettere in ginocchio l'intero sistema del paese.
Diana Rachiteanu (moldava, 36 anni, lavora a Trento. Dopo aver fatto la badante, ora opera come impiegata in una azienda commerciale)
La riflessione di Diana Rachiteanu, una delle migliaia di donne immigrate che vivono oggi in Trentino e che, con il loro lavoro, permettono il nostro benessere, deve far meditare. È vero che questa piccola regione fra le montagne non può (r)accogliere tutti i senza-lavoro del mondo, e che regole chiare e certe devono esserci anche nell'immigrazione, e devono essere rispettate. Ma è altrettanto vero che «i nuovi trentini» come Diana, non possono essere soltanto una forza lavoro da «tirar fuori» otto ore (a volte anche dieci, o dodici), e poi rimettere nel cassetto. Se degli immigrati il Trentino ha bisogno per far funzionare gli ospedali, gli alberghi, le cave, le famiglie con anziani e malati, non si può «usarli» per quanto serve e poi far finta di non vederli. Se gli immigrati sono tra le leve del benessere di questa terra e della sua economia, occorre anche riconoscerne la dignità di persone, di essere umani, e anche di cittadini. Questo vuol dire impegnarsi, noi e loro, perché siano integrati nella nostra lingua, nel nostro territorio, nella nostra cultura. Ma anche nella nostra società, come lo siamo stati noi quando dovevamo emigrare, e come lo sono oggi i nostri cugini d'America, d'Australia, del Belgio e della Svizzera, che sono diventati parte della terra che li ha accolti, e ne contribuiscono alla crescita e allo sviluppo, non solo economico, ma politico, sociale e culturale. Speriamo che Diana, e le migliaia e migliaia che come lei danno una mano fondamentale alle nostre imprese e alle nostre famiglie, non incrocino mai le braccia. Forse capiremmo immediatamente quanto sono importanti, ma sarebbe una sconfitta esserci arrivati solo perché l'intero Paese ne risulterebbe paralizzato.
p.giovanetti@ladige.it