Sull'inserto La Lettura del Corriere della Sera Antonio Pascale ha recensito Storia di Karel:
Pennacchi fonda una colonia nello spazio Prove narrative di decrescita (in)felice
«Storia di Karel» racconta una società energeticamente minimalista. Con tanta cultura, molti divieti e poco progresso. Utopia o distopia? .
Conosco quella tipologia di lettore rubricata sotto la voce «lettore debole». Al ministero dove lavoro, li incontro spesso, e ogni tanto mi chiedono un consiglio su un libro da acquistare. Il lettore debole ha parecchie sfumature, non è così monocromatico come molti credono, sbagliando; e comunque tutto questo per dire che tra i libri letti dal suddetto figurano quelli di Antonio Pennacchi. Almeno due, Il fasciocomunista e soprattutto Canale Mussolini. Va bene, quest’ultimo ha vinto lo Strega, tuttavia chi tra i lettori deboli di mia conoscenza l’ha letto, l’ha anche molto, ma molto amato.
Certo, lavoro al ministero delle Politiche agricole e qui, in questi corridoi, ci potrebbe essere una sensibilità maggiore verso i temi delle bonifiche dell’Agro Pontino, ma non è solo questo. Pennacchi piace perché racconta storie basiche, elementari, piace perché nei suoi personaggi si riscontrano sensibilità e umanità, insomma, come dicono i lettori deboli: è vero quello che racconta, è proprio così. O ancora: conosco uno — un cugino, uno zio, un membro di un vasto parentame — che sembra proprio un personaggio di Pennacchi. Piace anche perché — e questo non è da tutti — Pennacchi è uno scrittore tecnico. Lavora con la materia quotidiana, la disseziona, la spiega, la plasma. Non per niente Primo Levi è uno dei suoi riferimenti, dai tempi di Mammut .
Credo che conti molto il suo vecchio mestiere da operaio e l’orgoglio e la commozione che ancora manifesta quando ne parla. In una vecchia puntata televisiva di Cominciamo bene estate , anni fa, se la prese con Nanni Balestrini e con l’immaginario di classe operaia che proponeva. Disse che mai e poi mai gli operai avrebbero sputato nelle merendine, così per fare un dispetto al padrone: «Gli operai fanno gli scioperi, rompono li coglioni, ma so’ orgogliosi di produrre le cose». Poi piace perché è polemico, perché si fa fotografare dal suo barbiere e non tra divani circondato da gatti (la mostra, nel selvaggio mondo degli scrittori). E dimostra anche un certo eclettismo, tende a prendere elementi vari e disparati, classici e pop, e cerca di farli rimare insieme, insomma ne fa la sintesi.
Storia di Karel (Bompiani) ne è un ottimo esempio. Un romanzo di fantascienza dove si racconta la storia di una colonia, con pochi abitanti, trentamila, posta all’estremo lembo della nostra galassia. Il romanzo procede all’inizio con un po’ di lentezza, anche perché si presentano i personaggi, che sono tantissimi (una vera polifonia di storie e intrecci), e si illustrano le caratteristiche della colonia; poi, più avanti, in coincidenza con l’arrivo di un circo, la narrazione accelera e tutto diventa più mosso e divertente. Agli abitanti della colonia, in accordo con le leggi della Federazione, è impedito di fumare (prima di conquistare un qualunque pianeta, la Federazione lo irrora con spore antitabacco), cercare il petrolio (l’energia deve essere prelevata solo da fonti rinnovabili, che tra l’altro sono rigidamente razionate) e ci sono vari altri divieti, insomma una decrescita perfetta. Non si può dire che gli abitanti siano culturalmente depressi, no, perché: «Ogni anno vengono scaricati e conservati nella Sfera i file d’aggiornamento dello scibile umano. Sappiamo in teoria tutto ciò che si sa nel resto della Federazione Galattica — anche se poi in pratica non ci serve a molto — e quel minimum di energia che pure si riesce a produrre, viene riservata prioritariamente alla formazione dei giovani e alla sanità pubblica. (...) E se poi d’estate si registra un piccolo surplus d’energia, allora qualche volta la sera viene riattivato il cinema all’aperto. Altrimenti c’è l’osteria, o i racconti dei vecchi, le arti marziali e quelle d’amore. Oltre, ogni tanto, un circo». Bella vita, viene da dire: tanta cultura, nessun progresso. Meno male che poi una ragazza scopre il petrolio e tutto cambia, lo sviluppo riprende (e riprendono in verità anche i dibattiti del tipo «si stava meglio prima», con i racconti dei vecchi all’osteria).
Questo libro è dunque un esperimento molto divertente, una specie di simulatore di volo; Pennacchi, come sempre, pone questioni basiche, parte dall’abbecedario: come sarebbe la nostra colonia (italica) se praticassimo la decrescita? Cosa accadrebbe se rinunciassimo a coltivare il nostro sentimento più elementare, quello di indagare, conoscere, spostare i limiti? Le risposte sono nel libro. E mi sa che lo consiglio ai lettori deboli.
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