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(1417 articoli)
  • Avviato 15 anni fa da Faust Cornelius Mob
  • Ultima replica da parte di big one
  1. A.

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    Moderatore

    Io ho letto questo, dopo averlo sentito on line, come suol dirsi.
    Si tratta di un racconto di Beppe Fenoglio, «Il gorgo», in questo caso letto da Giovanni Lindo Ferretti. Magari anche male, ma il racconto è tagliente e devastante come una lama di sciabola.

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    Pubblicato 13 anni fa #
  2. k

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    Mi perdoni, A, ma avrei preferito avesse postato il testo.

    (Vista la citazione esatta di Borroughs. Grazie ancora di più, Wolt)

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. A.

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    Moderatore

    Ecco Fatto

    «Il Gorgo» - Beppe Fenoglio
    (Da: Altri racconti, Einaudi Pleiade, Opere, 1993)

    Nostro padre si decise per il gorgo, e in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io lo capii, che avevo nove anni ed ero l’ultimo.
    In quel tempo stavamo ancora tutti insieme, salvo Eugenio che era via a far la guerra d’Abissinia. Quando nostra sorella penultima si ammala. Mandammo per il medico di Niella e alla seconda visita disse che non ce ne capiva niente; chiamammo il medico di Murazzano ed anche lui non le conosceva il male; venne quello di Feisoglio e tutt’e tre dissero che la malattia era al di sopra della loro scienza.
    Deperivamo anche noi accanto a lei, e la sua febbre ci scaldava come un braciere, quando ci chinavamo su di lei per cercar di capire a che punto era. Fra quello che soffriva e le spese, nostra madre arrivò a comandarci di pregare il Signore che ce la portasse via; ma lei durava, solo piú grossa un dito e lamentandosi sempre come un’agnella.
    Come se non bastasse, si aggiunse il batticuore per Eugenio, dal quale non ricevevamo piú posta. Tutte le mattine correvo in canonica a farmi dire dal parroco cosa c’era sulla prima pagina del giornale, e tornavo a casa a raccontare che erano in corso coi mori le piú grandi battaglie. Cominciammo a recitare il rosario anche per lui, tutte le sere, con la testa tra le mani.
    Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria:
    - Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che m’hanno preso la pioggia. -
    Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il pri¬mo dei suoi figli. Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me.

    Gli uscii dietro che lui, pigliato il forcone, cominciava a scender dall’aia. Mi misi per il suo sentiero, ma mi staccava a solo camminare, e così dovetti buttarmi a una mezza corsa. Mi sentí, mi riconobbe dal peso del passo, ma non si voltò e mi disse di tornarmene a casa, con una voce rauca ma di scarso comando. Non gli ubbidii. Allora, venti passi piú sotto, mi ripeté di tornarmene su ma stavolta con la voce che metteva coi miei fratelli piú grandi, quando si azzardavano a contraddirlo in qualcosa .
    Mi spaventò, ma non mi fermai. Lui si lasciò raggiungere e quando mi sentí al suo fianco con una mano mi fece girare come una trottola e poi mi sparò un calcio dietro che mi sbatté tre passi su.
    Mi rialzai e di nuovo dietro. Ma adesso ero piú sicuro che ce l’avrei fatta ad impedirglielo, e mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lí intorno, mi sarei lasciato andare a pregarlo: “Voi, per carità, parlate a mio padre. Ditegli qualcosa”, ma non vedevo una testa d’uomo, in tutta la conca.
    Eravamo quasi in piano, dove si sentiva già chiara l’acqua di Belbo correre tra le canne. A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perché guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e sopratutto perché non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di vederlo come nudo.
    Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lí, dietro un fitto di felci, e la sua acqua ferma sembrava la pelle d’un serpente. Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell’attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina. E le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l’ebbe voltate tutte tirò un sospiro tale che si allungò d’un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da una festa con una sbronza fina.
    Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. mjolneer

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    Sto finendo "Grazie, Jeeves" di Wodehouse, scrittore che mi diverte sempre molto. Prima di questo ho letto "L'unico scrittore buono è quello morto", di Rossari, (edito da e/o) pure questo mi ha garbato molto, e in precedenza ho letto "L'ascensione di Roberto Baggio" (edito da Mattioli 1885) che ripercorre i vent'anni di carriera del codino visti con gli occhi di fantasiosi (e non) personaggi. Tornando a King, di cui parlavate poco sopra, trovo che sia un ottimo scrittore secondo il mio giudizio (concordo: Fer, sicuro che parli dello stesso?). Ho apprezzato tra i tanti "Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank (senza "carcere", Zaph) da cui hanno tratto il bel film con Robbins e Freeman. Mi sono piaciuti molto anche il ciclo de La torre nera (gagliardo, direbbe un mio amico), su tutti il volume intitolato "La chiamata dei tre", poi "Mucchio d'ossa" e anche "Il miglio verde". Non ho invece apprezzato "Il corpo", come del resto il film (Stand by me). Finito Wodehouse ho in lista tre libri: "Miracolo a Majorca" (Marcos y Marcos), "Canale Mussolini" e "Maledette zanzare" (edizioni XII). E dopo penso che ne leggerò uno con Pepe Carvalho.
    p.s.
    bello questo "Il gorgo"

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. Fenoglio è un grande.

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. Woltaired

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    Sto terminando di leggere El Tunèl di Ernesto Sabato e ho deciso di realizzare l'idea che il protagonista esprime nel libro.
    (devo solo trovare Sancho Panza)
    Per far questo mi son fatto prestare cinque libri che, escluso uno, non avrei mai pensato di leggere.
    Ho finito il primo, adesso, un giallo un po' nero, mah...vi farò sapere.
    ...Dulcineaaaaaaaaaaaaa!

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. big one

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    Avete rotto il cazzo, spammisti di merda, andatevene affanculo. bastardi mafiosi cocainomani mafiosi atei del cazzo. Giocatori di frodo. saltatori di bambini morti. affamatori di popoli. kulaki!!!

    beh, saltatori di bambini morti è davvero degna di nota!

    p.s. si legge
    bastardi mafiosi e cocainomani mafiosi
    oppure
    mafiosi cocainomani e mafiosi atei del cazzo?

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. zanoni

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    big, ma con chi ce l'hai?????????

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. big one

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    è ciò che ha scritto A. qui

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. k

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    Quel cattolico di A!
    Ma da quando in qua
    pure 'ateo' è un insulto?
    Parla lui che è 'laziale'.

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. No, no... leggasi: cazzo di mafiosi cocainomani!

    Però anche un cornuti ci sta bene.

    Cazzo di mafiosi cocainomani cornuti!

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. Anzi: Cazzo di mafiosi cocainomani cornuti e burini!

    Ecco, mo' sono soddisfatto

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. Woltaired

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    Il percorso verso le pale roteanti prosegue: dopo aver letto La verità dell'Alligatore di Massimo Carlotto ho affrontato Scacco a Maigret di Georges Simenon.
    Non è il genere di romanzi che leggo abitualmente.
    Il primo ho dovuto veramente sforzarmi per non mollarlo a pagina dieci, poi si è un po' ripreso e nel complesso non mi ha fatto così schifo come pensavo, ma niente più che la scrittura di un mediocre telefilm. Se quello che scriveva Repubblica all'uscita del libro e cioè che Carlotto poteva essere considerato:il miglior giallista italiano di oggi, beh spero che in questi ultimi 12 anni qualcosa sia cambiato.
    Simenon, invece, è un gioiellino. Cento pagine in meno, essenziale, tagliente, ricercato.
    In entrambi non mi è scattata curiosità, ma ce ne vorrà ancora un po' per superare i pregiudizi.
    Ora ho cominciato Una questione di sangue di Ian Rankin, poi sarà la volta di un belga.
    Sancho, sella i ronzini. Si parte!

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. A.

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    Moderatore

    però è un'idea quella dello sfogatoio di parolacce. mo' quando riarriva uno spam ci sfoghiamo, fa sentire bene

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. Ho quasi terminato "La strada per Los Angeles", sempre di John Fante, il secondo libro della saga di Arturo Bandini, poi mi aspetta "Chiedi alla polvere". Quando uno ne sa, poche storie, ne sa a pacchi.

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. A.

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    Moderatore

    a me Fante deluse parecchio. Ma sono idiosincrasie mie, probabilmente. O come dice K: «era tradotto male»

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. Woltaired

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    Anche a me A., l'ho detto a Faust, mi ero infiammato per Ask the dust e continua a piacermi, poi il resto l'ho trovato...non mi viene il termine, diciamo tipo la focaccia di Milano: alta, bagnata, con grani di sale grosso che t'illudono, quella che digerisci solo con la Citrosodina.

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. mjolneer

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    Ho letto, a breve distanza l'uno dall'altro, Canale Mussolini e quello arrivato secondo al premio S. Già mentre leggevo il secondo, mi chiedevo come fosse stato possibile che durante la serata della premiazione a un certo punto questo fosse in testa alle preferenze. E poi dopo aver letto il primo me lo sono chiesto un'altra volta. Mah... comunque, se avesse vinto l'altro sarebbe stata, a mio modesto avviso e con tutto il rispetto, per quel che vale il mio giudizio, una grande ingiustizia. In merito al primo, oltre ad aver trovato la storia interessante e a tratti illuminante (nei confronti delle mie lacune su parecchi fatti e luoghi che vi vengono narrati), ho apprezzato molto una cosa: per tutta la lettura ho sempre visto il narratore come un personaggio vero, e non come l'eco della voce dello scrittore. Come se fosse stata una vera intervista, un vero racconto fatto da Tizio a Caio, che a parte le poche domande ripetute per voce del narratore stesso, per il resto sta muto, preso com'è dalla storia che gli viene raccontata.

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. k

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    Grazie. Al di là però delle dinamiche del premio Strega e del valore del mio libro - valore su cui, a volte, non ha dubbi neanche il sottoscritto - io credo che Silvia Avallone sia una scrittrice vera a che Acciaio, pur essendo un'opera prima, sia un bel libro, in cui non solo le questioni generazionali vengono correttamente rappresentate ma, come di più, ci sia la poetica e l'orgoglio del lavoro operaio e industriale. Se mi consenti, questi ultimi temi sono stati raramente assunti dalla narrativa italiana, ed è per questo che sento a me molto vicini - anche sul piano umano e non solo letterario - sia la Avallone che Edoardo Nesi.

    Per quanto concerne invece l'Io-narrante di 'Canale Mussolini', sono perfettamente d'accordo con te: io l'ho proprio costruito come personaggio a sé. E' lui che racconta la storia a me che la trascrivo. Io sono l'autore e ci sono anche io dentro 'Canale Mussolini', ma io sono quello che non si vede e che gli fa le domande. E lui mi risponde. Questo, almeno, ciò che volevo fare.
    Grazie di nuovo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. zanoni

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    ma si potrebbe ricevere una copia della traduzione francese? sto leggendo delle recensioni non particolarmente favorevoli, che se la prendonono col modo in cui il Canal e' scritto... e magari vorrei dare una controllatina (avrei voluto venirmela a prendere direttamente a Bruxelles, ma quest'opzione al momento e' tramontata: peccato...)

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. A.

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    Moderatore

    puoi mettere i link delle recensioni, zano?

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. A.

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    Moderatore

    Canal Mussolini, Antonio PennachiPar Cécile Pellerin, le mardi 31 janvier 2012 à 21:29:14 - 0 commentaire

    ISBN : 9782867465857
    Prix eBook :
    Prix papier : 23 €
    Pages : 504
    Editeur : Liana Levi
    Traduit de : Italien
    Traduit par : Nathalie Bauer
    La famille Peruzzi valait bien un tel roman. Plus de 500 pages pour suivre l'épopée tragi-comique sur près d'un demi-siècle, d'une vaste tribu, dans l'Italie fasciste de Mussolini. Un récit foisonnant, une véritable leçon d' histoire également racontés tel un conte , plein de vie, de comédie, de bavardages et de digressions, à la fois enlevé et précis, drôle et touchant même si, ça et là, compte-tenu de la longueur, le lecteur s'agace un peu, s'égare aussi parfois et frôle l'ennui, perdu dans certains détails historiques mal connus du lectorat français.

    Le narrateur, petit-fils dont l'identité exacte ne sera connue qu'en fin de roman, raconte, dans un style vif, proche du langage parlé, l'histoire de sa famille, de ses grands-parents et de leurs dix-sept enfants (pittoresques et savoureux). Une famille d'agriculteurs du nord de l'Italie contrainte de quitter son village, chassée par le comte Zorzi Vila (propriétaire terrien) et le quota 90 (réévaluation de la lire italienne, instaurant un taux d'échange lié à la livre sterling de 92,46 lires pour une livre sterling), qui l'appauvrissent.

    « Nu comme des vers. Une main devant et une derrière, voilà à quoi ils nous avaient réduits. A l'état de crève-la-faim. » La construction du canal Mussolini sera leur salut. En effet, Mussolini permet à ceux qui aident la patrie à construire ce canal, d'obtenir un terrain et de devenir enfin propriétaires. Aussi, c'est plus de 30 000 paysans du Nord (dont la famille Peruzzi) qui vont alors émigrer dans la région de l'Agro Pontin, entreprendre l'assèchement des marais, creuser le canal et ériger des villes nouvelles.

    Le récit de cette période se lit comme une aventure enthousiasmante, parsemé de détails savoureux et réellement inédits pour qui connait peu l'histoire de l'Italie. L'exode des familles, l'assèchement des marais passionnent véritablement et laissent au lecteur la douce impression de s'enrichir de connaissances, l'air de rien, sur un ton toujours amusé et gai. Un moment de lecture réellement heureux ; sans doute le meilleur du livre.

    C'est de la même manière, d'ailleurs, que le narrateur évoque l'adhésion de la famille au fascisme. De manière désinvolte, presque amusée, il évoque le passage des siens, du rouge au noir, sans états d'âme ni honte ou remords. La famille Peruzzi devient fasciste plus par amitié, fidélité (parce qu'elle a connu Mussolini jeune et surtout son numéro deux, Rossoni, un ami de la famille) que par réelle conviction politique.

    C'est un parti, à ses débuts, pas forcément plus mauvais ou liberticide que les autres partis jugés plus démocratiques, selon le narrateur : « Il avait un programme de gauche quand il a fondé le Fascio. »Très populaire, il rencontre l'adhésion des petites gens et lorsque le parti promulgue des lois antisémites, personne ne s'offusque : « Fin 1938, les Juifs étaient hors la loi en Italie, ce n'étaient plus des citoyens comme les autres [… je vais être franc, cela n'a eu aucun effet sur ma famille. Comme sur le reste du peuple italien, soyons clairs. »

    Et bizarrement, cette attitude politiquement incorrecte, hors contexte, ne choque pas vraiment car toujours empreinte d'autodérision et de moquerie, d'honnêteté remarquable. Comme si, finalement, cette famille menait son existence sans rien dramatiser, comme détachée des événements historiques ou plutôt comme resserrée sur elle, presque en autarcie.

    Comme pour se protéger. Une attitude de survie qui empêchera l'éclatement de la famille jusque dans les heures les plus sombres et donnera vie, quelque part à l'auteur : « Qu'il soit bon ou mauvais, ce livre est la raison pour laquelle je suis venu au monde. »

    Une unité dont les difficultés pour la maintenir, jaillissent du texte lui-même. Par ses anecdotes et nombreuses digressions, avec un style foisonnant, parfois excessif, l'auteur exprime sans doute tous les détours et aléas, subterfuges, concessions et tiraillements pour conserver la famille en l'état, lui donner une raison d'être. Et il y réussit, d'ailleurs. Avec brio, fougue et beaucoup de respect, au final.

    Dialogue avec l'écrivain italien Antonio Pennacchi
    Romancier et ancien ouvrier qui tient l'écriture pour un droit de mémoire
    Saïd AFOULOUSL'opinion : 18 - 02 - 2011
    « Je voudrais être traduit en arabe », nous a déclaré l'auteur au cours d'un entretien lundi 14 février. C'est la première fois qu'il vient au Maroc et la première fois aussi qu'il foule le sol d'Afrique.
    « J'ai visité Marrakech, mais je préfère de beaucoup Casablanca…».
    Avec quelques bribes de français, il parvenait difficilement à exprimer ce qui lui tenait le plus à cœur au cours de l'entretien qu'il nous a accordé à l'hôtel où il séjournait à Casablanca. La très jeune Floriane Merlino, de la délégation de l'Institut italien de Rabat a bien voulu jouer le rôle périlleux de l'interprète dans un entretien autant passionnant que chaotique.
    Car chez Pennacchi, les bribes de français sont vite envahies, évacuées par les flots diluviens d'italien. Il ne fait pas de la communication sobre, fonctionnelle, ne parle pas à demi mots. On dirait qu'il parle avec ses tripes. Le rythme débordant malmène la très jeune interprète. Heureusement, des plages de grands rires s'intercalent dans ces échanges laborieux.
    L'homme est intarissable. A chaque fois c'est une coulée verbale, une avalanche de digressions, enchaînements, émotions. Ce n'est pas un bavard, il ne parle pas pour ne rien dire. Par contre c'est un puncheur jusqu'au-boutiste quand il s'agit d'aller au bout de ses idées.
    Il aime à répéter : « En écrivant, j'ai boxé, le plus important ce n'est pas de vaincre mais de lutter de toutes ses forces, c'est juste ça qui importe».
    Ayant passé toute sa vie travaillant dans les usines, dans sa jeunesse il connaît des errements, adhère à un parti fasciste avant de s'engager dans le parti communiste. De cette vie, il parle dans son autobiographie « Il fasciocommunista » (Le fasciste-communiste) parue en 2003, texte traduit en français sous le titre « Mon frère est fils unique » et adapté au cinéma.
    Pennacchi est né en 1950 dans la ville de Latina, banlieue sud de Rome, à 70 kms, dans une famille d'origine rurale pauvre. A cause de la pauvreté, il a été amené à travailler en usine, encore enfant, à l'âge de 13 ans, soit à partir de 1963 et n'a quitté l'usine qu'en 1999, soit 36 années de travail manuel.
    Il arbore tout le temps une casquette, emblème de sa classe d'ancien ouvrier.
    Homme de principe, il dit ne jamais trahir sa classe, la classe des ouvriers et le travail manuel. A ce titre, il serait à l'opposé de Rimbaud quand le génial poète s'insurge en écrivant : « La main à plume vaut la main à charrue, quel siècle à mains ! ».
    Pour Pennacchi, l'intelligence, toute l'intelligence de l'homme provient de la main.
    « L'intelligence n'est pas seulement dans la tête, elle est dans la main »
    Par rapport aux grands écrivains italiens comme Moravia ou Eco, « de grands intellectuels issus de la bourgeoisie », il se considère comme un intellectuel de la classe ouvrière sans pour autant en faire une idéologie.
    Dans son nouveau roman, « Canal Mussolini », Pennachi raconte l'histoire d'hommes et de femmes qui construisent, de leurs mains, une nouvelle ville au terme d'un extrême labeur. Il s'agit d'une épopée de peuplement d'un territoire marécageux, sorte de désert inhospitalier « peuplé de serpents, moustiques, malaria et paludisme, avec une forêt impénétrable… ». De ce « désert de malaria et de paludisme», selon l'expression des géographes, surgira la ville de Latina, 20 ans avant la naissance de l'auteur.
    L'œuvre est donc une reconstitution méticuleuse de l'histoire de l'exode massif des populations du nord de l'Italie, de la Vénétie notamment, au début des années 30 sur l'appel du régime fasciste de Mussolini.
    L'histoire commence ainsi dit-il : « A cause de la faim, seulement à cause de la faim… »
    Il ajoute : « S'il n'y avait pas la faim, mes parents n'auraient jamais quitté leur terre au nord dont ils connaissaient toutes les rides et les moindres recoins »
    Enfant, il avait toujours vécu dans un univers rural parmi les animaux et c'est une cousine, fille de son oncle préféré, qui lui avait appris à lire et à écrire à l'âge de six ans.
    « L'un des livres qui m'a le plus frappé dans mon enfance et que je n'avais cessé de relire, plus de 27 fois, c'est « L'Île mystérieuse » de Jules Verne ».
    Juste après avoir su lire et écrire, il dit avoir eu un appel intérieur, très fort, de devoir écrire sur l'exode et les souffrances de sa famille migrante, ses grands parents et ses parents, ses oncles.
    « C'est comme une condamnation. Je n'ai cessé de faire la sourde oreille à cet appel. Lire et étudier étaient simples plaisirs pour moi, mais écrire c'est la plus grande douleur que je tentais d'éviter d'ajournement en ajournement »
    Ayant été un enfant rebelle envers les siens, père, mère, autorité, Etat, ayant été engagé dans un parti fasciste puis le parti communiste, ayant été syndicaliste aussi, sa plus grande aspiration une fois parvenu au milieu de la trentaine, c'était de se réconcilier avec les siens, avec son père surtout, n'ayant jamais été un « bon fils ». Et c'est juste après la mort de son père en 1986 qu'il a commencé à écrire plongeant dans l'inimaginable « corvée ». Un premier roman, « Mammut », parait en 1994 et remporte le prix del Giovedi. Son autobiographie « Il Fasciocomunista » (2003) décroche le Premio Napoli.
    Avant d'écrire le roman de l'exode « Canal Mussolini », il avait écrit, dit-il, des essaies pour essayer de prendre son élan en reconstituant tout un matériau historique et avoir une vision personnelle avec force détails nouveaux. Pour se documenter davantage, il avait interviewé longuement les proches parents, les oncles, les tantes pour essayer de glaner le maximum d'informations.
    « Cette histoire se passe en 1930, vingt ans avant ma naissance, pourtant moi j'étais déjà dans le corps de mon père pendant qu'il travaillait dans les champs. Bien que bel et bien mort depuis 25 années maintenant, mon père est toujours en moi. Dans la littérature sud-américaine et dans l'anthropologie culturelle de Claude Lévi-Strauss, on appelle ce genre de chose du magico religieux. Pour moi, ce n'est pas du tout magique, pour moi c'est la simple réalité »
    Dans toute l'histoire racontée tout est authentique, dit-il, rien qui ne soit bel et bien un fait avéré. Le seul ajout c'est la manière de raconter et de relier les différents pans du récit. Celui-ci s'achemine comme une confession pour dévoiler le mal, en n'hésitant jamais à éclairer tous les coins d'ombre, sans complaisance, attisant à l'envi le sentiment de honte, mais aussi faisant advenir le sentiment d'amour, de pitié, de compassion, en un mot l'empathie.
    « Le meilleur dans une narration, qui la rende poignante, c'est le degré d'empathie ».
    Parler du mal, c'est l'exorciser, nous en délivrer, dire enfin : jamais ça, plus jamais !
    Quand il voit des migrants marocains en Italie, il dit se reconnaître en eux :
    « C'est parfaitement moi quand j'étais jeune. La migration, les Italiens ont connu ça. Dans mon livre, je parle des souffrances des migrants et des injustices qu'ils subissent. Quand je voie la haine religieuse dans les yeux d'un jeune musulman, je reconnais ma propre haine contre les riches quand j'étais jeune ».
    Il dit que le plus important dans le livre ce sont les personnages féminins.
    « L'histoire d'énorme progrès, c'est l'histoire de notre femme. La vraie force c'est la force de notre femme ».
    Quand il a terminé le livre, il s'est dit : « Enfin je peux aujourd'hui mourir en paix avec les miens, je peux les rencontrer face à face, maintenant que mon devoir de témoigner pour eux est bel et bien terminé ».
    Quand il a reçu le prix Strega, ce qui lui a fait le plus plaisir c'est d'entendre des copains anciens ouvriers et autres gens de Latina dire : « Nous avons gagné le prix ! »

    Pubblicato 13 anni fa #
  23. mjolneer

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    Ciao K. Non ho alcuna difficoltà a comprendere la tua vicinanza con quel libro, e con chi l'ha scritto. E concordo pienamente sulle considerazioni relative alla mancanza di certi temi nella nostra narrativa. Io però, come lettore, in virtù dei miei gusti e dei miei criteri di valutazione di un'opera, quindi senza dubbio soggettivi ma che sono basati sulla mia, non voglio dire competenza, ma esperienza personale di quarant'anni di lettore assiduo dei generi e degli argomenti più disparati, nel giudicare un libro prendo in considerazione tutti gli elementi che lo compongono, o meglio che io sono abituato a "leggere", ovvero non solo la storia/trama/ambientazione/tema/morale ma anche lo stile la tecnica gli eventuali espedienti eccetera. Cosa che del resto immagino facciano tutti, chi più chi meno. Non ho certo la pretesa di essere chissà quale esperto, anzi sono consapevole dei miei limiti e lacune, ma onestamente io non sono riuscito ad apprezzarlo come evidentemente è stato fatto da altri. Ma del resto sono non pochi i libri che a me sono piaciuti mentre il "resto del mondo" li ha ignorati, e, viceversa, ci sono diversi libri di autori celeberrimi dei quali mi sono liberato volentieri. Tornando al tuo libro, a proposito di gusti personali, io in genere sto alla larga dai romanzi storici perché, sarò stato sfortunato, ma la maggior parte di quelli che mi sono capitati per le mani, sono spacciati come tali ma in realtà a mio parere altro non sono che storia romanzata o inzuppata di argomenti ai limiti del gossip, dove il personaggio famoso di turno viene sfruttato per raccontare quella che ritengo pura immondizia narrativa, e spesso senza arte né parte. Invece ho apprezzato quelli che, diciamo sulla falsa riga del Manzoni, raccontano storie di gente comune, reale inventata o a metà strada, e attraverso di essi raccontano la Storia, e in cui i personaggi reali e famosi sono in genere "sfumati" e marginali rispetto alla trama. Come per il Canale, e come per altri, pochi, compreso un libro che ho molto apprezzato tempo addietro, per quanto misconosciuto.
    Buon fine settimana, Luigi.

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. Però il romanzo storico... proprio in quanto romanzo storico... un po' la deve romanzare la storia... sennò è storia e non più romanzo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. mjolneer

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    Membro

    Sicuro, ma un conto è leggere di personaggi inventati o misconosciuti, piuttosto che di storie imperniate su gente famosa dove la maggior parte delle cose che l'autore gli fa dire o fare mi suonano finte già dal titolo, mentre, sempre secondo me, risultano più credibili i comportamenti di personaggi qualsiasi. Non so se sono riuscito a spiegarmi, ma quello che voglio dire è che personalmente faccio meno fatica, per esempio, a immedesimarmi, a concedere la sospensione dell'incredulità a un libro fantasy o sf piuttosto che a uno che vorrebbe far passare per reali certe situazioni relative a questo o a quel personaggio storico. Poi ovvio che dipende spesso dal "manico", uno davvero bravo ti vende per buona qualsiasi cosa, ma il fatto è che spesso i libri cosiddetti storici altro non sono che degli harmony o simili costruiti intorno al personaggio di turno...

    Pubblicato 13 anni fa #
  26. Vero, ma questo non dipende dal genere in sè.

    Pubblicato 13 anni fa #
  27. Mjolneer, dipende sempre da quali libri leggi.

    Pubblicato 13 anni fa #
  28. mjolneer

    offline
    Membro

    Certo, mi pareva di averlo ben specificato sopra, che dipende, ma il trend in generale è quello che è, per questo ho fatto la premessa che è difficile che mi avvicino a leggere libri cosiddetti "storici". Poi magari, per carità, sono io a essere troppo prevenuto, o a mancare di oggettività, ma nel dubbio leggo altri generi, con buona pace degli autori di codesti titoli da superclassifica e ignorando i gridolini orgasmici di gente che ne parla in treno o sull'autobus. Poi ovvio che le sòle le becco anche altrove, per fortuna in genere prima di comprare un libro mi leggo le prime pagine giusto per capire se fa per me almeno il modo in cui è scritto oltre alla trama, e se invece è uno di quelli regalati faccio la stessa cosa, dopo di che o mi ha detto bene, o resta a fare polvere oppure finisce in un mercatino o lo scambio su internet...

    Pubblicato 13 anni fa #
  29. A vendere finora ci sono riuscito solo con i fumetti...

    Pubblicato 13 anni fa #
  30. mjolneer

    offline
    Membro

    A Roma c'è una catena di mercatini dell'usato che prendono i libri e pagano a vendita effettuata. Io ne ho uno vicino all'ufficio.

    Pubblicato 13 anni fa #

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