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(1417 articoli)
  • Avviato 15 anni fa da Faust Cornelius Mob
  • Ultima replica da parte di big one
  1. Le zucchine! Le zucchine!

    Pubblicato 12 anni fa #
  2. sensi da trento

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    malizioso

    Pubblicato 12 anni fa #
  3. mjolneer

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    Io, di Roth, ho da parte Pastorale americana, in attesa di iniziare a leggerlo quando sarò in vena. Ieri sono andato da Feltrinelli e con il fatto che c'erano tutti i libri con lo sconto al 20% e che il buono lo devo consumare prima che scada ho comprato un po' di roba sparsa (La ragazza interrotta, della Kaysen - commissionato dalla figlia; Acido solforico, della Nothomb - incuriosito per via del commento di un anonimo su un mio racconto; Suttree, di MacCarthy, perché a me questo qua me piace troppo; Tatuaggio e Il labirinto greco, di M.V. Montalban - perché Carvalho pure me piace parecchio; e poi un fantasy di un autore che leggo da quando ero piccolo che m'ha stufato da tempo ma ogni volta ci ricasco...). E nel mentre ho scorso lo scaffale alla voce Roth, con le mani che hanno preso e rimesso almeno tre libri del Philip mentre la testa si chiedeva ma è Joseph o è Philip? Alla fine ho lasciato perdere pensando che in fondo mi conveniva prima provare a leggere l'uno, e poi l'altro con comodo, tanto entrambi li vedo spesso sugli scaffali del mercatino a uno o due euro a tomo. Le vostre considerazioni sui signori Roth sono state decisamente utili. Grazie.
    Al momento sto leggendo Almeno il cappello, di Andrea Vitali.
    A presto, Luigi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  4. Kappa, oltre a ringraziarti per la considerazione affettiva (più che mai di conforto in questo periodo...), ti premetto che "Il lamento di Portnoy" non fa impazzire nemmeno me. Oh, uno mica può centrarle proprio tutte.

    Tuttavia, io con Roth ho un rapporto particolare. Voglio dire, se è vero che le sue trame non sono particolarmente articolate, è altrettanto vero che sa gestire un fiume di parole, ma proprio tante. Lo sguardo sul mondo di "Pastorale" non lo trovo così sarcastico, anzi, è via via più sofferto e patente di una forte lacerazione di fondo. Verboso a tratti, certo, ma non a caso. Ribollente, eccessivo, ma non vuoto.

    Io ho una scrittura che funziona al contrario di quella di Roth. Sono sintetico quasi allo stiticismo, chiudo troppo in fretta, quasi eiaculazione precoce (ma solo in quel caso). Lo invidio un pochetto, ecco.

    Ecco, ora però non leggerti pure "Il teatro di Sabbath" perchè è pur vero che un passato pugilistico non ti manca.

    Pubblicato 12 anni fa #
  5. ... ma ecco che "L'infiltrato" (Newton Compton) offre qualche spunto interessante (pag. 96) che vi riporto:

    "Nel caos di violenza seguito all'operazione Tempesta nel Deserto furono rubati oltre 4mila reperti archeologici. Ma la cosa più scandalosa è che in seguito più di 300 pezzi di tale immenso patrimonio riapparvero nei musei americani. Come vi erano arrivati? Non c'è bisogno di chissà quale intelligenza per dedurlo. Eppure, malgrado l'evidente contrabbando, il furto e il saccheggio di resti archeologici mesopotamici, CHE HANNO RESO RICCHI MOLTI MILITARI AMERICANI, l'amministrazione Bush preferì voltarsi dall'altra parte."

    Pubblicato 12 anni fa #
  6. llux

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    Suttree, di MacCarthy, perché a me questo qua me piace troppo

    di Joseph ho letto solo "La leggenda del santo bevitore", di Philip nulla, mi faccio gli affari miei. Ma a Cormac MacCarthy il Nobel glielo darei eccome.

    Pubblicato 12 anni fa #
  7. sensi da trento

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    La vera storia de "La ragazza di Bube"

    http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/2012/24-maggio-2012/addio-ragazza-bube-201318907107.shtml

    come bassoli può vedere, anche cassola per la sua narrazione si ispirava a fatti realmente accaduti.

    Pubblicato 12 anni fa #
  8. E quindi?

    Pubblicato 12 anni fa #
  9. k

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    Arrivato alla fine di Pastorale americana, credo sia giusto rettificare alcuni giudizi dati all'inizio. Ci sono sicuramente alcune buone pagine e - nel complesso - la capacità di costruire una suspense che motiva il lettore a continuare comunque ad andare avanti, nonostante tutte le difficoltà del testo, per vedere alla fine come si concluda la vicenda (attesa peraltro che, arrivati alla fine, resterà pure delusa).
    Il giudizio estetico complessivo però sull'intero libro non può che restare quello iniziale: una cagata costruita interamente per accumulo. La trama - pur se dispiegata con suspense - è una trametta esile esile e perfino banale, che non ha assolutamente niente d'emblematico od epocale, con padre industriale messo in crisi da figlia terrorista, ridotta però a mezza deficiente naturale. E' terrorista perché è scema. Il finale poi è veramente da andarlo a pigliare a sassate davanti casa: la solita scena in salotto americano con corna incrociate come nei peggio film di Beverly Hills. Ma vaffanculovà. Anzi, la sensazione è proprio che questo Philip Roth, dopo avere fatto due coglioni così con continue digressioni associazioni e ricostruzioni - cent'anni dopo Proust - tese a scandagliare introspettivamente (secondo lui) la psicologia dei personaggi alla continua ricerca della madeleine sostanziale, il fuscello da cui sarebbe stato originato tutto, considerando tutto essenziale e non scordando quindi niente, manco il numero di targa della macchina che t'ha sorpassato l'altro giorno (ma scordando che la pretesa di ritenere tutto essenziale produce di fatto che non è più essenziale niente, ossia che quando suonano alla stesso modo e allo stesso massimo volume tutti gli strumenti, tu non senti più un cazzo) la sensazione alla fine è che a un certo punto si sia stufato pure lui: "Vabbe' va', a quattrocentocinquanta pagine ce so' arrivato, mo' metto la parola fine e vaffanculo, tanto gliel'ho fatto vede' come se fa' Proust, e qualche coglione che se mette a parlà della grande fine del sogno americano lo trovo pure".
    Compagni miei, qua non c'è un cazzo di nuovo! La guerra del Vietnam si conosceva già e se Proust aveva già scritto la Recherche, pure Mann aveva già fatto I Buddenbrock e Steinbeck L'inverno del nostro scontento. Eccheccazzo, ma che si credeva, d'averli letti solo lui? La trama poi è una trametta, ma sto figliodenamignotta manco la conclude! Se stufa prima! perché appunto ha lavorato solo ad accumulo, mettendece un sacco de robba affastellata una sopra all'altra, ma che non c'entrava un cazzo però né con il libro né con tutto quello che veniva prima o che veniva dopo. Tanto per dire: il libro di fatto comincia a pag. 100, è lì cioè che inizia la trama che in teoria dovrebbe reggerlo. Tutte le cento pagine che vengono prima non servono quindi a un cazzo. Faust o A mi dovrebbero dire che fine fa, per esempio, l'esimio scrittore Nathan Zuckerman - alter ego del P.Roth, su cui sono imperniate appunto quelle prime cento pagine - nelle succesive trecentociquanta. Che cazzo ce lo hai messo a fare allora all'inizio? Questo è solo uno stronzo che una volta che ha scritto una pagina - bella o brutta che sia, essenziale o meno - non ha più il coraggio di toglierla e te la lascia a forza. Questo non sa tagliare!
    Comunque basta, mo' me so' stufato e ciò da lavorà. Ma ce n'avrei di cose da dire, ah! se ce ne avrei! Perchè non facciamo una cosa, ossia la prima volta che tra giugno e luglio Sensi e A scendono da Trento mettendosi d'accrodo anche col Faust, non organizziamo un bel contraddittorio in libreria da Piermario? Moderatore Torquemada magari.

    Pubblicato 12 anni fa #
  10. A.

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    Moderatore

    volentieri

    Pubblicato 12 anni fa #
  11. sensi da trento

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    volentieri anche per me.

    che non vada mai detto in giro che quando c'è stato da litigare io mi sono tirato indietro.

    Pubblicato 12 anni fa #
  12. Mi piace, boxe contro wrestling con i due trentini all'angolo. Occhio che gioco scorretto.

    Pubblicato 12 anni fa #
  13. A.

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    Moderatore

    LA VERITA'

    Ho aspettato il grano. Che il verde lasciasse improvvisamente il posto all'oro. Ho aspettato l'Ucraina per rivolgere a Balakin il mio sguardo da sconosciuto.
    Nello scompartimento eravamo in quattro. La donna dai capelli neri e il fazzoletto rosso e il bambino silenzioso erano saliti a Bransk. Io e lui, invece, seduti uno davanti all'altro ai posti vicini al finestrino, eravamo sul treno dall'inizio, da Mosca, anche se io avevo passato la prima parte del viaggio nel vagone di coda.
    Conoscevo il suo volto, e la sua storia. Per lo meno quella che avevo letto e riletto nel dossier che mi avevano consegnato alla Lubjanka. A me bastava, perché non mi chiedevo mai se quello che recitavano i fascicoli fosse o meno reale, la verità può essere declinata in vari modi. La soluzione, la carta vincente era stata proprio rendere la verità e la realtà perfettamente sovrapponibili.
    Mentre ci pensavo i miei occhi cercarono da soli la copia della Pravda che mi riposava accanto dall'inizio della corsa, fresca come una rosa, leggermente sgualcita solo alla pagina con la vittoria della Dynamo in alto e la foto di una parata di Lev' Jashin al centro. Difficile che faccia qualcosa senza volerlo, ma sorrisi, quella volta.
    Balakin era immerso nella lettura. Il sole che incendiava i campi, là fuori, non lo aveva distolto. Al cambio di panorama aveva guardato fuori dal finestrino solo per un lungo attimo. In quel momento so che tradì qualcosa, una specie di emozione, senza che però riuscissi a misurarla, a darle un nome o un posto preciso, perché subito era tornato al libro che stringeva tra le mani. Presi il giornale tra le mie e lo osservai meglio. Era sì quello delle foto che avevo passato in rassegna tante volte, ma anche no. Indossava una giacca anonima, pratica, del colore e dell'indifferenza delle divise militari, pantaloni marroni e stivali di cuoio da carrettiere. Aveva capelli radi, pelle scura, mani nervose.
    So dov'è e com'è la paura. La riconosco subito. Ne bastano dosi anche minime a farmene sentire l'usta. E se nello scompartimento ce n'era di quell'odore, non arrivava certo da Balakin. Lui era calmo, attento, consapevole. Soddisfatto e in pace azzardai. Cosa notevole per un animale braccato, pensai immediatamente dopo.
    Nessuno dei suoi libri circolava più nel paese. E l'ultimo, quello che sarebbe riuscito a spiegare anche a un bambino la geografia aberrante del mondo dove lo avevano piantato, era stato la sua condanna. A sparire, a smettere di vivere come si dovrebbe vivere, a privarsi della voce. Io non avevo letto nulla di suo, ma non avevo ragione né voglia di dubitare delle versioni ufficiali. Le mie preferite. Rassicuranti come un vangelo, come un abbraccio, come la neve. Lo tenevamo sotto controllo, sempre. Ma lo avevamo lasciato a spasso. Senza voce ci sembrava innocuo come un cucciolo ed opportuno come un esempio. Le ultime coordinate lo volevano in fuga, da Odessa, verso la Turchia ed ecco che era arrivato il momento di togliergli il poco che gli restava. Eccomi, allora.
    - Mi piace molto leggere – disse Balakin a bruciapelo, sporgendo gli occhi sopra gli occhialini rotondi di metallo e guardandomi. Aveva una voce calda; e ferma. Il libro era ancora tra le sue mani, ma appoggiato sulle ginocchia.
    Anche se la sua era un'affermazione e non una domanda, l'aveva formulata in modo da lasciare un seguito, uno spazio da riempire. Seppi in anticipo di non esserne capace, che avrei gracchiato rispondendo e mi limitai ad annuire con un sorriso falso come la felicità e ad indicare il volume aperto sulle sue ginocchia.
    - Maksim Gor'kij. "La madre" – continuò allora lui, mostrando la copertina rosso sangue con il titolo in lettere bianche.
    - Scelta perfetta, compagno – risposi. La mia voce aveva un che di sprezzante. E non ne fui contento. Non so perché.
    - Patria e lotta. Di questo parla, alla fine – disse Balakin, tornando a leggere.
    Ebbi l'impressione che avesse alzato, volutamente, il tono della voce alla parola "lotta".
    La donna con il fazzoletto rosso, intanto, si era addormentata e il bambino la guardava, dondolando le gambe e facendo cigolare qualcosa sotto il sedile.
    La sortita dello scrittore mi aveva sorpreso. La strada per Odessa era ancora lunga e il mio gioco del gatto con il topo era iniziato prima del previsto. Questo mi seccava, molto. Temevo di annoiarmi, non altro. La fine, la chiusa, era già scritta.
    Passarono alcuni minuti. Il giallo delle spighe si era rubato di nuovo i miei occhi. La voce di Balakin mi restituì al treno. - Lei non legge, invece. Nemmeno il giornale - constatò quasi severo.
    Risposi subito questa volta. - Non serve leggere – E sorridevo mentre parlavo.
    - Non ha ragione – disse Balakin allontanando il capo dal poggiatesta e protendendolo, leggermente, verso di me, come se volesse essere sicuro che lo sentissi bene. Continuò. – In generale intendo. Ma anche adesso, su questo treno. Qui serve che si legga. Terribilmente. A lei. E a me soprattutto -
    L'espressione interrogativa che la frase disegnò sul mio volto la sentii come un marchio. Intanto, Balakin aveva appoggiato delicatamente il libro sul sedile accanto a lui, dritto in grembo alla donna addormentata, che non si mosse di un centimetro. Il bambino si aprì in un sorriso rumoroso e lo scrittore sorrise a lui mettendosi un dito sulle labbra nel gesto del "fare silenzio". Poi si chinò, e da una borsa di cuoio marrone consunto tirò fuori un altro libro. E me lo porse, allungando un braccio verso di me.
    Lessi il titolo: "La scoperta del fuoco".
    Ce n'era una copia identica senza il nome dell'autore, malconcia e di carta grezza, allegata al dossier di Balakin, che mi ero limitato a esaminare nella forma e nei colori della copertina e a sfogliare con lo studiato disprezzo che mi avevano insegnato così bene. Era la sua ultima opera, naturalmente, quella che aveva segnato la fine. Tenni il volume in mano, chiuso, per alcuni secondi, guardando negli occhi Balakin. Mi fissò anche lui, con gli occhi nerissimi e ridotti a due spilli dalle sue spesse lenti da miope.
    Quando aprii la Scoperta del fuoco e iniziai a leggere le prime righe, lui recuperò il libro di Gor'kij.
    Balakin finì di leggere prima di me. Si voltò verso il finestrino e non se ne staccò per un paio d'ore. Il sole non c'era più adesso e nuvole di proporzioni sovietiche si rincorrevano a perdita d'occhio. Io arrivai all'ultima pagina mentre il treno ripartiva dalla stazione di Kotovsk.
    Ripensai alla verità. Senza sosta. Fino alla fine del viaggio.
    Quando il treno arrivò ad Odessa, il giorno dopo, Balakin aiutò la donna a prendere una vecchia valigia dalla rastrelliera e aspettò che lei e il bambino uscissero dallo scompartimento. Poi, in piedi, mi guardò. Io risposi semplicemente riconsegnadogli il libro e chiudendo gli occhi.

    Scesi dal treno per ultimo. Senza sapere più dove andare.

    end titles: Vladimir Vysotsky, Moskva - Odesa (

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    Pubblicato 12 anni fa #
  14. A.

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    Moderatore


    Pubblicato 12 anni fa #
  15. k

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    Eh, no. Magari fosse andata così, ma quel racconto non è autentico, non è veritiero. La verità è che finito il libro, e pur con tutta la pietas possibile per Balakin, lui lo ha preso e lo ha portato dove lo doveva portare. E' così che funzionano i gruppi e le società umane - è così che funziona l'uomo come animale sociale: mitläufer - e la letteratura non fa un buon lavoro se invece lo nasconde, prefigurando comportamenti virtuosi in un protagonista in cui il lettore è portato ad identificarsi, e quindi rimuovere il mitläufer o 'conformismo' che è in lui: "Io so' buono, io avrei fatto così". Eh no, caro A: la letteratura fa il suo lavoro se sbatte il lettore davanti a sé stesso e davanti al reale per quello che è. Ergo, ci sono 97 probabilità su 100 (o meglio: 97,5)* che il finale vero di quel racconto si sarebbe svolto come le dico io: con l'arresto.

    *97,5 è la percentuale stimata del consenso di massa in Italia al fascismo, almeno finché le sorti della guerra mondiale non cominciano a volgere al peggio. E se lo era in Italia, si figuri cosa deve essere stato nella Germania nazista e nell'Unione Sovietica.

    Pubblicato 12 anni fa #
  16. Io modero volentieri qualsiasi incontro.

    Pubblicato 12 anni fa #
  17. SCa

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    Bello, però, il racconto che ha postato A. Tra l'altro, chi è l'autore?
    K ha sicuramente ragione quando dice che non è un racconto veritiero e che la letteratura dovrebbe mostrare chi siamo veramente e come va il mondo, quello reale.
    Eppure c'è un aspetto della scrittura che mi ha sempre affascinato, ed è quello di poter raccontare anche quello che potrebbe essere. Dare una delle possibili risposte al "che succederebbe se".
    Che succederebbe se un agente sovietico leggesse l'opera, quella che capirebbe anche un bambino, del dissidente che sta per arrestare? Niente. Non succederebbe niente.
    Al 97 e passa per cento lo arresterebbe, magari con moglie e figlio. Vero. Però quel 97% non è che sia di solida roccia; tutt'al più è sabbia indurita dai rapporti sociali, dal conformismo, ma sempre sabbia.
    E poi, hai visto mai che qualcuno di quei lettori a forza di identificarsi con personaggi migliori di sé, nella vita reale si "sbagli" e superi il maestro?

    Pubblicato 12 anni fa #
  18. llux

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    E poi, hai visto mai che qualcuno di quei lettori a forza di identificarsi con personaggi migliori di sé, nella vita reale si "sbagli" e superi il maestro?

    "Trova un punto estremo e sappilo varcare, e vedi di spostare l'orizzonte" Vladimir Vysotsky
    Infatti, SCa: hai visto mai...

    Pubblicato 12 anni fa #
  19. Ho letto la replica di un politico locale alla famosa questione dei saluti romani al funerale del Federale. Su Latrina Oggi. Ve la siete persa?

    Pubblicato 12 anni fa #
  20. zaphod

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    Fondatore

    È passato in poche ore dai commenti sulla Siria ai funerali di Finestra, passando per calciopoli a Coverciano e l'omicidio Di Rosa a Sezze. E tutto via social network. Non gliela faccio a stargli dietro.

    Pubblicato 12 anni fa #
  21. Vabbe' sta a pag. 11 per chi ha accesso a Latina Oggi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  22. sensi da trento

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    Membro

    a pagina 11 si parla di baby spacciatori.

    Pubblicato 12 anni fa #
  23. Scusami Sensi, è pag. 12.

    Pubblicato 12 anni fa #
  24. zanoni

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    Membro

    a me De Marchis e' sempre stato simpatico: non particolarmente intelligente, ma rispetto alla media locale - di destra e di sinistra - oggettivamente eccelle. pero' dopo questa lettera in cui dimostra una sensibilita' - umana e politica - pari a quella di un ippopotamo, la naturale simpatia di un tempo penso sia evaporata (ecchissenefrega, direte voi...)

    Pubblicato 12 anni fa #
  25. sensi da trento

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    Membro

    puoi chiedere a de marchis che cosa ne pensa di questo??

    http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_maggio_28/mostra-statua-berlusconi-chiuso-in-una-teca-201374417656.shtml

    perchè io credo che

    Adesso Saviano berlusconi ha "bucato lo schermo" qualcuno dirà che ha pure rotto i coglioni (mi sono divertito a definire lui e Fazio "poeti Vogon") e di prese di posizione come quelle forse non ha più bisogno. Forse ha esagerato nella querela. Ma è pure vero che mi sembra ci sia una spinta a menare su Saviano berlusconi per minimizzare il fenomeno Gomorra/Camorra

    politico che un uomo da solo abbia evitato il colpo di stato nel 1994.

    Io a questo gioco non voglio correre il rischio di prestarmi.

    Pubblicato 12 anni fa #
  26. sensi da trento

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    cazz... Antonio Garullo e Mario Ottocento. li conosco.
    andavamo al bar da assunta nel 2001. Hanno il loro atelier all'isola dei pub.

    ma come è piccolo il mondo.

    beh, appena torno a latina vado a fare un po' di casino nel loro studio.

    Pubblicato 12 anni fa #
  27. zaphod

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    Berlusconi e Fazio poeti Vogon?
    Ci può stare.
    Ma Fazio quello della banca, però.

    Pubblicato 12 anni fa #
  28. zaphod

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    Fondatore

    Garullo e Ottocento li ho sempre apprezzati. Non li conosco personalmente ma ho qualche loro manufatto a casa e un quadro di Garullo appeso in camera da letto. Ho pure sempre pensato che fossero un po' fasci.
    L'articolo del Corriere penso sia un esempio di come non fare giornalismo.

    Pubblicato 12 anni fa #
  29. A.

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    Moderatore

    Zaph, il pezzo di stamattina di K non lo trovo, se lo mettono lo allego.
    Ps. cazzo, il terremoto si è sentito forte anche qui, stavamo a scuola e ballava tutto...
    ale

    Pubblicato 12 anni fa #
  30. Oggi ho letto questo intervento a pag. 2 di "Latina Oggi" (post latinocentrico)

    Vi è stato un periodo nella storia repubblicana in cui, per un malinteso senso di responsabilità verso il lavoro, la festa della Repubblica è stata soppressa. Dopo aver scoperto che l’inopportuna decisione aveva solo alimentato la dimenticanza dell’evento più importante della storia del dopoguerra, un lungimirante Presidente ne ha ripristinato la ricorrenza.

    Tutto ciò a Latina è sempre trascorso senza un vero contributo alla memoria profonda e dimenticata di questa città.

    E’ interessante quindi, al riguardo, riflettere su quello che accadde proprio a Latina ( e nella sua provincia ) nel periodo immediatamente precedente e successivo alla proclamazione della Repubblica.

    Il 15 giugno 1944, dopo l’arrivo delle forze alleate che avevano retto la città con il loro Governo militare dal mese di maggio fino, appunto, alla metà di giugno, fu costituito il Comitato di Liberazione Nazionale di Littoria. I partiti erano così rappresentati: Ignazio Raimondo (Pci - Partito Comunista Italiano), Girolamo Malagola (Psiup - Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), Leone Zeppieri (P. d’Az. - Partito d’Azione), Enrico Ferracci (Dc - Democrazia Cristiana), Mario Balbi (Pdl - Partito per la Democrazia del Lavoro), Attilio Pilone (Pli - Partito Liberale Italiano) e Salvatore Tucci (Pri - Partito Repubblicano Italiano). La prima seduta della Giunta Comunale, tenuta il 22 settembre 1944, fu presieduta dal Commissario Cornelio Rosati (del P. d’Azione). La Giunta era formata dagli assessori Pompili (Psiup), Pilone (Pli), Medici (Pci), Micheloni (Pri), Crocco (Dc) e Raimondo (Pci). Tra i primi atti amministrativi vi fu l’approvazione del cambiamento ufficiale del nome della città. Nel mese di aprile del 1945 Augusto Lavoriero (Democrazia del Lavoro), fu nominato, in luogo del dimissionario Leone Zeppieri, Commissario prefettizio del Comune di Littoria.

    Un mese dopo, su richiesta del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, il Prefetto Orrù insediò la nuova Giunta con il documento che si riporta testualmente:

    <<Decr.N.4136/Gab.

    R. Prefettura di Latina Il Prefetto

    Viste le proposte del C.P.L.N. di Latina;

    Visto l’art.1 del R.D.L. 4/4/1944 n.111;

    DECRETA

    Il rag. Bassoli Fernando è nominato Sindaco del Comune di Latina.

    Sono nominati assessori municipali i sigg.:

    DE SANTIS Francesco, MEDICI Ivo, CAROLLO Antonino, IPPOLITI Andrea ( effettivi ); NOCE Ubaldo, ROVERSI Giovanni ( supplenti ).

    L’Ispettore Provinciale, Comm. Adriano Giovanni, è incaricato della esecuzione del presente decreto e dovrà provvedere all’insediamento del Sindaco e della Giunta, cooperando al passaggio delle consegne tra l’amministrazione cessante e quella subentrante.

    Latina 6/6/1945 IL PREFETTO

    f.to (Orrù)>>

    Si precisa che accanto al partito repubblicano (Bassoli), erano rappresentati il partito liberale (De Santis), il partito comunista (Medici), il partito d’azione (Carollo), la democrazia cristiana (Ippoliti), la democrazia del lavoro (Noce) e il partito socialista (Roversi).

    Questa è la composizione della Giunta che guidò la città all’indomani del disastro bellico, scaturita dal difficile e aspro contrasto instauratosi tra l’autorità statale centrale (per la cronaca si trattava del Prefetto Ciraolo) e il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, espressione delle istanze di base, i cui membri furono poi designati dal nuovo prefetto Orrù secondo le indicazioni del Comitato.

    Curioso è notare che il 7 giugno 1945 (un giorno dopo il riferito decreto prefettizio) la Gazzetta Ufficiale pubblicava il decreto luogotenenziale del 9 aprile 1945 n.270 con il quale veniva modificata la denominazione del Comune di Littoria in quello di Latina. Con le elezioni amministrative del marzo/aprile 1946 l’insediamento dei partiti democratici si consolidò nel territorio redento. Il partito repubblicano si confermò partito-guida della città con sedici seggi (oltre il Sindaco, che venne confermato) con una percentuale di consensi pari al 37%. E’ di pari interesse osservare più in dettaglio i risultati conseguiti dai maggiori partiti in quelle consultazioni municipali, che precedono di qualche giorno la consultazione referendaria e la elezione dei componenti dell’Assemblea Costituente: Socialisti e Comunisti: Voti 1.878 (seggi 8), Democrazia Cristiana: Voti 3.005 (seggi 13), Partito Repubblicano: Voti 3.476 (seggi 16), Altri: Voti 753 (seggi 3).

    Il 28 aprile 1946 si riunì il primo consiglio comunale, formato da 40 consiglieri, nel salone della Prefettura, stante la indisponibilità del Comune danneggiato dagli eventi di guerra.

    Fu confermato Sindaco il repubblicano Bassoli, mentre la giunta fu così composta: Pio Camangi (Pri), Salvatore Tucci (Pri), Giovanni Bortolotti (Pri), Ivo Medici (Pci), Girolamo Malagola (Psiup), Vito Tommaso Indelli (Partito per la Democrazia del Lavoro) ( assessori supplenti: Giuseppe Pompili e Bruno Mafrici ).

    Il 2 giugno 1946 si tennero le elezioni per il referendum e la conseguente scelta dei rappresentanti dei partiti dell’Assemblea Costituente. Nel capoluogo si affermò la scelta repubblicana, ma la democrazia cristiana divenne il primo partito dello schieramento politico nazionale. E’ interessante osservare i risultati dei maggiori partiti, nell’ambito provinciale, in quelle consultazioni referendarie: D.C. voti 33.849 (32,5%), P.R.I. voti 23.050 (22,1%), P.C.I. voti 13.239 (12,7%), P.S.I.U.P. voti 11.671 (11,2%); mentre nell’ambito strettamente comunale (comprendente zona urbana e borghi), la D.C. conseguì voti 3.165 (29,2%), il P.R.I. voti 3.509 (32,3%), il P.C.I. voti 791 (7,3%), il P.S.I. voti 986 (9,1%) e via via tutti gli altri.

    Cominciò una breve e produttiva fase di governo della città, fondata sulla alleanza del partito repubblicano con tutte le forze protagoniste della liberazione che durerà fino al 1948. Quella Giunta guidò la delicata fase di transizione dal regime oppressore al regime democratico. Dopo la vittoria della democrazia cristiana nel 1948, essendosi modificato il quadro delle alleanze politiche ed essendo la DC divenuta il partito dominatore della scena politica, il Sindaco offrì le proprie dimissioni che, dopo l’accettazione, provocarono un rovente confronto all’esito del quale egli fu riconfermato con i voti dei partiti della coalizione di sinistra. Fra tutte le grandi iniziative di ricostruzione democratica, si ricorda che, onde incentivare gli investimenti per lo sviluppo economico della città di Latina e della sua Provincia, il Consiglio Comunale approvò il bando di concorso per il completamento del PRG (23 febbraio 1949) e tutte le forze politiche, unite, chiesero al Governo l’inserimento del Comune per l’accesso ai benefici economici previsti dalla legislazione sulla Cassa per il Mezzogiorno. Con la legge 29/12/1948 e la successiva n.77 del 29 marzo 1949, vennero estese al territorio della provincia di Latina le provvidenze per le nuove iniziative industriali. Quella fase si chiuse, dopo circa cinque anni, nel 1951, con l’avvento alla massima carica municipale di Vittorio Cervone, emergente esponente della DC.

    La maggioranza della popolazione di Latina, lontana da quei fatti per ragioni di età e in quanto insediatasi nella città ben dopo il loro verificarsi, ignora completamente tali eventi. Solo una minoranza dei cittadini di Latina è a conoscenza anche delle successive vicende dei governi democristiani della città; pochi conoscono i nomi di coloro che seguirono agli eventi testè sommariamente descritti: pensiamo ai sindaci Salvezza, Onorati, Tasciotti, Bernardi e anche ai loro avversari politici di diversa estrazione. Perfino i sindaci Corona e Redi, più vicini nel tempo, sono appena conosciuti. Tale situazione, distinta da una profonda carenza conoscitiva, si è aggravata nell’ultimo periodo che va dal 1993 in avanti.

    Qui non si intende vituperare l’azione di coloro che hanno privilegiato la memoria degli anni fondativi della città, perché, operando per il recupero della memoria delle origini, essi hanno contribuito a creare e saldare la coscienza identitaria della comunità latinense. Tuttavia, l’operazione ricuperatoria della fondazione, colpevolmente distinta da una ruvida e grossolana vena revanscista, ha mostrato i suoi limiti culturali e sociali allorché, esaurendosi in se stessa, ha omesso l’intero periodo dell’immediato dopoguerra, così impedendo una corretta comprensione dei circa cinquanta anni della storia di Latina che va dalla caduta del fascismo, che l’ha fondata, agli inizi degli anni novanta.

    Per crescere occorre avere consapevolezza di tutta la propria storia. Perseguire la linea dell’ostentato oblio equivarrebbe ad una inaccettabile damnatio memoriae. Se Latina non vuole restare drammaticamente ancorata ad una “prima parte” del suo passato, in cui nessuno più si riconosce, i suoi cittadini e amministratori devono trovare il coraggio di onorare chi l’ha amministrata nel suo “secondo” passato (facendo cose egregie o anche sbagliando, non ha importanza). Questa è la ragione per cui è cosa dovuta ricordare quell’intenso periodo che va dal 1944 al 1951, di cui, più di ogni altro, si è voluto perdere la memoria. E’ stato il tempo in cui la città ha conosciuto la sua seconda fondazione, stavolta “voluta” e non “imposta” come la prima, distinto dalla presenza di laboriosi bonificatori, agricoltori, ex “coloni”, funzionari degli enti di bonifica, operai, professionisti, che hanno preso per mano la città umiliata dalla guerra e “posto le fondamenta” per una sua rinascita economica e culturale. La città non può perdere l’occasione di proclamare l’appartenenza di tutto il suo passato al comune patrimonio, comprendendone le reciproche ragioni, senza che ciò possa significare una loro improbabile condivisione storica.

    E’ ora che si compia questa seconda grande operazione, per evitare che le generazioni attuali e future di Latina finiscano per pensarla, e per essere loro stesse percepite, come espressione di una città di regime, accettandola, invece, come la città fondata non una ma due volte, con la consapevolezza che entrambe le fondazioni devono avere pari dignità nella coscienza collettiva.

    Per questo vogliamo riportare i nomi dei componenti tutti della prima assise comunale che si riunì nel consiglio del 28 aprile 1946, che sono da ricordare come i padri della rifondata patria municipale latinense:

    Pietro Ballerini, Fernando Bassoli, Giulio Battistini, Giovanni Bortolotti, Giuseppe Tresolini, Pio Camangi, Maria Cocco, Lionello Coluzzi, Mario Di Castro, Vincenzo De Vito, Italo Donati, Giulio Facco, Attilio Franzon, Felice Gatti, Sante Gava, Vito Tommaso Indelli, Mario Isabella, Beniamino Lo Presti, Giovanni Lucci, Bruno Mafrici, Girolamo Malagola, Aureliano Manzan, Ruggero Marcocci, Ivo Medici, Bartolo Michelazzo, Carlo Pasquarella, Saturnino Piattella, Mario Lauro Pietrosanti, Giuseppe Pompili, Giuseppe Rizzi, Vincenzo Rossetti, Giovanni Roversi, Antonietta San Martino, Mario Snidero, Costante Tosato, Gildo Trovò, Salvatore Tucci, Carlo Velletri, Guerino Zamparo, Enrico Zanotto.

    (Carlo Bassoli)

    Pubblicato 12 anni fa #

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