DECRETAIl rag. Bassoli Fernando è nominato Sindaco del Comune di Latina.
senti, non per voler essere polemici a tutti i costi, ma tu una volta non avevi scritto che tuo nonno si era preso il diploma dopo la guerra??
grazie
DECRETAIl rag. Bassoli Fernando è nominato Sindaco del Comune di Latina.
senti, non per voler essere polemici a tutti i costi, ma tu una volta non avevi scritto che tuo nonno si era preso il diploma dopo la guerra??
grazie
scatta pagina....
Non sono documentato, potrei pure avere sbagliato io. Sai negli anni '40-'50 non ero ancora nato...
Mi scusi, Bassoli, ma in riferimento all'altra questione invece - e con tutto il rispetto per suo zio Carlo, di cui sono amico da ragazzo - mi può dire se pure a casa vostra si festeggi in particolare modo, con il compleanno, solo il primo giorno in cui ognuno di voi è venuto al mondo e non pure il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, eccetera eccetera come si fa normalmente per ogni cosa, episodio o avvenimento in tutto l'universo? Mica me lo sono inventato io il culto delle Origini. Appartiene alla struttura profonda - direbbe Lévi Strauss - degli universali psichici e pure lei, quando parla di Roma per esempio, ha sicuramente più in mente e ben presenti i miti di Romolo e Remo che quelli di Anco Marzio o Servio Tullio. O no?
Questo non significa che anche gli altri periodi non meritino approfondimento storico e costruzione mitopoietica, e questo anche per Latina è stato fatto, sia dal sottoscritto (in Palude, Mammut, Il fasciocomunista, Una nuvola rossa, Shaw 150), sia da tanti altri e più valenti di me: Mario Ferrarese, Luigi Cardarelli, Giovanni Tasciotti, Dario Petti, Vittorio Cotesta, Annibale Folchi eccetera eccetera, per dirne solo alcuni. A voi però non sembra, evidentemente, che ciò sia stato fatto a sufficienza? Fatelo voi allora! Perchè recriminare contro quelli che si occupano delle Origini? E mo' che è, una colpa? Io sarei cioè colpevole - secondo voi e secondo tanti radical-chic pontini - di occuparmi solo delle Origini (cosa che oltretutto non è vera, e parlano appunto quei 5 libri che le ho citato) e di non occuparmi invece approfonditatamente, e dicendo possibilmente le cose che volete voi, dei periodi che volete voi? Ma andate un po' ....
Gli dica a Carlo che non si può fare questa cosa. Se li scriva lui i libri suoi, che a me già non mi basta il tempo e la voglia di fare i miei.
quanto detto da K è giusto e sacrosanto, fernà!!
e poi, caro fernando, tuo zio lo scrittore in casa già ce l'ha: scrivilo te un libro sul periodo storico che ti interessa.
se poi hai paura che un libro del genere possa apparire agiografico, beh, tu lo scrivi e lo fai firmare da A; poi, appena ne scrive uno lui, ti fai ricambiare il favore...
p.s mi ero sempre domandato chi fosse il S. Tucci a cui avevano dedicato una via proprio dietro l'ospedale.
dopo tanti anni ora lo so.
qualcuno sa dirmi però perchè a tucci (ma anche a piattella) sono state dedicate delle vie, mentre ai restanti componenti della giunta invece no?
credo che sarebbe un punto storico interessante, per capire come si siano sedimentati i rapporti di forza tra i partiti (e i poteri forti) di questa città.
K non penso che emergano recriminazioni verso qualcuno in particolare o verso di lei nello specifico. Mi sembrano riflessioni generali. A Latina anche i gatti randagi parlano del mito della fondazione e della bonifica, non c'è di male in questo.
bon, e allora avevamo capito male; io per primo.
resta il fatto che a s. tucci gli hanno dedicato una via e agli altri no....
Perché a Milano, è evidente, le rimostranze dell’instancabile Mirabella non debbono averle mandate giù, tanto più che tutto si è svolto attorno alla foto di un autore che milita sotto le insegne di una scuderia editoriale nemica
http://www.dagolab.eu/public/LatinaOggi/Archivio/58a282b39fc5dd0befc9/pag08latina.pdf
tutte stronzate!!
se ci mettiamo a ragionare con questi criteri, allora a latina la feltrinelli (che è casa editrice di sinistra) non dovrebbe avere neanche un lettore, considerando la composizione politica della città.
anzi: addirittura dovrebbero fare i picchetti davanti alla libreria, come facevano in emilia davanti alla standa, quando nel 1994 scese in campo berlusconi.
così vedremmo subito a chi conviene fare di più la testa di cazzo....
Sensi ma è possibile che la devi butta' sempre in caciara politica
infilandoci il nano pure quando vai a fare la spesa?
Qui la cosa importante è capire se è più grave
che abbiano tolto la foto del Maestro o l'averlo
fatto sostituendola con quella di Baricco.
giusto cazzo.
baricco è uno che copia l'iliade a omero e poi dice che l'ha scritta lui....
però è il giornalista di lt oggi che inizia a fare i manicheismi: "Pennacchi? beh, tutto sommato pubblica per altri!"
e allora se questo ragionamento vale per feltrinelli, perchè non dovrebbe valere per me?
Sicuramente la seconda.
a parte il fatto che Panigutti dice un'altra cosa
(Canale Mussolini
porta la firma di Mondadori e
Pennacchi non ha mai pubblicato
per Feltrinelli)
cazzate!
quando c'è di mezzo la mondadori è sempre un caso politico.
tanto è vero che il sor panigutti parla di canale mussolini e mondadori, mica parla anche di laterza o dalai & castoldi.
e poi mi pare che lì dentro vendano anche libri di altre case editrici, guadagnandoci evidentemente sopra a livello di distribuzione, quindi che non mettessero in mezzo scuse pretestuose che non stanno in piedi.
scusa Sensi ma io mica te sto a capi'.
Panigutti parla di Canale Mussolini perchè dà diritto al Maestro di avere la propria immagine esposta nel punto vendita e di Mondadori perchè oltre a essere la casa editrice del romanzo sembra detenere i diritti dell'immagine stessa (sempre a detta del direttore)
abbiamo
avuto la foto da Mondadori
ma siamo pronti a riconoscer-
Le i diritti di esposizione
mò me vorresti di' che alla Feltrinelli siccome so' tutti comunisti hanno levato la foto di Pennacchi perchè è di proprietà di Mondadori, cioè di proprietà dell'amico tuo.
Come fantasia a te sai che te fa Stephen King?
(o me stai a cojona'?)
Bassoli è pigro
(e meno male che non ha detto che Trento è fuori distanza massima dalla faglia di Mirandola, sennò venivo a latina col bastone e la VERGINE di NORIMBERGA)
Calamandreiiiiiiii
In una classe del mio liceo dei ragazzi hanno fatto una cosa simile a quella che è narrata nel seguente racconto di Erri DeLuca. E o domani la leggerò ai ragazzi.
Zagrebelskjjj-Zagrebelskijjj!!!!
Il pannello
Brano tratto dal volume In alto a sinistra, Feltrinelli 2007
di Erri De Luca
Era stato staccato un pannello della cattedra per guardare le gambe della supplente. Eravamo una classe maschile, seconda liceo classico, sedicenni e diciassettenni del Sud, seduti d'inverno nei banchi con i cappotti addosso. La supplente era brava, anche bella e questo era un avvenimento. Aveva suscitato l'intero repertorio dell'ammirazione possibile in giovani acerbi: dal rossore al gesto sconcio. Portava gonne quasi corte per l'anno scolastico 1966-1967.
Si era accorta della manomissione solo dopo essersi seduta accavallando le gambe: aveva guardato la classe, la mira di molti occhi, era arrossita e poi fuggita via sbattendo la porta. Successe il putiferio. In quel severo istituto nessuno si era mai preso una simile licenza. Salì il preside, figura funesta che si mostrava solo in casi gravissimi. Nell'apnea totale dei presenti dichiarò che esigeva i colpevoli altrimenti avrebbe sospeso l'intera classe a scadenza indeterminata, compresi gli assenti di quel giorno. Significava in quei tempi perdere l'anno, le lezioni e i soldi di quanti si mantenevano agli studi superiori con sacrificio delle famiglie. Non esisteva il TAR, quel tribunale amministrativo cui oggi si sottopongono ricorsi per ristabilire diritti. Non c'erano diritti, le scuole superiori erano un privilegio. C'era la disciplina caporalesca degli insegnanti, legittima perché impersonale e a fin di bene. Il preside uscì, si ruppe quel gelido "attenti" che avevamo osservato. Non riuscimmo a sputare una parola.
Accadde una cosa impensabile: sottoposti all'alternativa di denunciare due nostri compagni o patire conseguenze gravi nello studio, quei ragazzi si zittirono a oltranza e nessuno riuscì a estorcere loro quei nomi. Nessuno parlò. Questo è il racconto del comportamento ostinato di un gruppo di studenti uniti solo dal fatto di essere iscritti alla sezione B, secondo anno di liceo, dell'Istituto Umberto I di Napoli nell'anno scolastico 19661967. Tranne una combriccola composta da ragazzi di agiata famiglia con residenza al centro, o un altro gruppo di ragazzi di pochi mezzi che si trovavano nel pomeriggio per studiare insieme, tranne qualche partita a pallone la domenica, niente univa quei ragazzi. Però è vero che niente ancora li divideva sanguinosamente, come sarebbe accaduto in pochi anni. Non ho più visto i compagni di quella classe, non fummo amici né soci, solo membri di un'età costretta a essere seme delle successive, inverno delle altre. Di colpo quei ragazzi spaventati si irrigidirono in un silenzio impenetrabile.
Quando il preside uscì non avevamo più freddo. Cominciava la tensione di un assedio ancora senza parole tra noi. Parlò il solo che si era opposto, quel mattino prima dell'inizio delle lezioni, allo svitamento del pannello. Era il più ligio di noi e spesso veniva preso in giro per quel suo impulso all'ordine. Quel mattino era stato zittito, ora recriminava perché aveva ragione e perché quel provvedimento contro tutta la classe era un'ingiustizia ai suoi occhi. Molti non erano ancora saliti in aula quando il pannello era stato tolto. Protestava accorato con voce che sbandava tra l'acuto e il grave come succede agli adolescenti. Stavolta non faceva ridere. Non so dire perché non si rivolse mai ai due colpevoli, non li additò alla classe che ancora ne ignorava i nomi, invece se la prendeva con noi, quei pochi presenti che non l'avevano aiutato a impedire quel gesto. Si sentì solo la sua voce in quell'intervallo. Ognuno cercava di rendersi conto delle conseguenze. Qualcuno aveva la famiglia povera che non gli avrebbe permesso di ripetere l'anno. Tutti temevamo la reazione che l'episodio indifendibile avrebbe prodotto in casa. C'era chi sarebbe stato promosso a occhi chiusi e che vedeva sfumare il diritto alla borsa di studio, chi aveva già fatto spendere soldi per le lezioni private. Ognuno aveva un grado nel pericolo. Eppure nessuno denunciò gli autori dello svitamento, neppure sotto la nobile causa di salvare gli altri. Nessuno chiese ai due compagni di denunciarsi. Questi si rimisero alla decisione della classe e la classe li coprì. Avrebbero altrimenti patito punizione esemplare, sarebbero stati espulsi da tutte le scuole. Questo sembra incredibile a chi conosce quello che è successo nelle aule d'Italia solo pochi anni dopo, eppure le cose stavano così: la scuola italiana un quarto d'ora prima di essere sovvertita dagli studenti era saldamente in mano alla gerarchia docente.
Eravamo ancora zitti quando entrò il professore dell'ora successiva. Squadrandoci fieramente pretese di conoscere immediatamente i nomi dei colpevoli. Alzò la voce. Diede agli sconosciuti il titolo di vigliacchi e a noi che li coprivamo attribuì colpa ancora più grave, degna del più severo provvedimento. Richiese i nomi un'altra volta. Dopo il secondo silenzio applicò la rappresaglia: interrogò alcuni di noi che nella sua materia tentennavano, li confuse con domande difficili e atteggiamento sprezzante, li congedò annunciando, cosa mai prima accaduta, il pessimo voto riportato. Quella palese ingiustizia fece del bene a tutti. Era iniziato un assedio, ne andava della vita scolastica di ognuno, che era tutta la nostra vita pubblica di cittadini.
Sotto il duro ricatto di denunciare dei compagni o incorrere in provvedimenti disciplinari spuntò d'improvviso uno spirito di corpo. Ragazzi che avevano in comune la frequentazione di un'aula per alcune ore al giorno diventarono un organismo disposto a cadere tutto intero pur di non consegnare due suoi membri. Passò nelle fibre di uno scucito gruppo di coetanei una di quelle scariche elettriche che su scala più grande trasformano varie genti in un popolo, molte prudenze in un coraggio. C'è una soglia segreta di pazienza passata la quale ci si oppone di colpo alla disciplina quotidiana. Occasione è spesso un motivo all'apparenza insignificante. Anni dopo, partecipando a lotte operaie, avrei appreso con stupore che la lunga catena di scioperi spontanei e di aperte rivolte di fabbrica cominciarono alla FIAT, nel 1969, con richieste semplici come nuove tute da lavoro o la distribuzione di latte nelle lavorazioni tossiche. Piccole occasioni di rottura della pazienza quotidiana contengono grandi scosse: di colpo le strade si riempiono di scontento che sembra nato di pioggia come un fungo.
Non fu una rivolta, non chiedevamo niente, ma uno scatto di reazione contro chi voleva perquisirci dentro.
Fuori di scuola quel giorno si discusse. In mezzo all'assembramento notammo la strana presenza dei bidelli. Qualcuno di noi chiedeva almeno di sapere a chi doveva il rischio di rinunciare all'anno scolastico. Lì fuori venne zittito. Alla fine questa curiosità per vie traverse venne esaudita al nostro interno, ma in quel primo scambio di battute prevalse una spontanea disciplina. Il più ligio di noi trasferì il suo impulso all'ordine a servizio di quel silenzio. Qualcosa tra lui e la gerarchia scolastica si era guastato per sempre.
Quel giorno nelle nostre case si ripropose intero l'assedio. L'atmosfera fu inquisitoria come e più che a scuola. L'unico scampo: rifugiarsi nell'impossibilità di fare nomi di compagni senza esserne certi. Nessun retroterra familiare si mostrò comprensivo nei confronti della colpa, nessuno sostenne almeno un poco i diritti al silenzio di fronte al ricatto. Nessuno: tempi tutti d'un pezzo, non era solo a scuola il campo del dovere, esso si estendeva a tutta la piccola vita privata. Da adulto ho visto le famiglie difendere figli colpevoli di stupro e di linciaggio, un tempo invece stavano dalla parte dell'accusa. Se un ragazzo non si trova di colpo solo al mondo, mai cresce. Forse era difficile essere giovani in quei tempi anche se, per misericordia, non lo sapevamo. Molte più cose di oggi, in quegli anni erano considerate importanti, molto del futuro di ognuno si decideva sui banchi di quelle scuole.
Nei giorni successivi si ripeté in classe la richiesta di denunciare i colpevoli, fino al limite dell'ultimatum. Arrivarono al preside anche diverse lettere anonime coi nomi dei presunti responsabili, ma discordanti tra loro. La faccenda però non era più ferma ai colpevoli, si voleva rompere quell'inaudita ostinazione. Ma non ci fu verso di farci denunciare quei compagni. Penso che ci sentissimo tutti colpevoli, quelle gambe avevano emozionato ognuno. Fu perciò un po' di immedesimazione verso quel gesto, anche se ce ne vergognavamo. La giusta linea di condotta proveniva da alcuni di noi che avevano già qualche relazione amorosa e trasmettevano agli altri un senso di superiorità da adulti nei confronti di quel gesto da guardoni nel buco della serratura. Ci piaceva credere di essere superiori agli scopi di quel sabotaggio, anche se non era così. Ma questo non contava più, stavamo andando dritti verso le conseguenze inevitabili. Ci eravamo irrigiditi dentro, pur mostrando all'esterno la costernazione dei malcapitati. Sotto quell'assedio eravamo diventati soldatini, imparando a difenderci tutti allo stesso modo.
C'era già in quegli anni una specie minore di solidarietà tra studenti che stava nel non farsi avanti a dare al professore una risposta che un altro non era stato in grado di fornire. Nessuno chiedeva di rispondere al posto del compagno. Forse era un comportamento legato al pudore di mostrami saputelli ed è troppo pretendere che fosse solidarietà. Questa era voce che si applicava a grandi cause come quelle dei terremotati, degli affamati e degli alluvionati. Però quel trattenersi dal dare la risposta era una pratica che insegnava a non mortificare il proprio compagno, a rivolgergli perciò un'attenzione non solo scolastica. Ovunque simili usanze sono sparite.
Prima dell'ora di scadenza dell'ultimatum entrò a fare la sua lezione il professore di greco e latino. Erano già passati alcuni giorni e non ci aveva detto una parola sulla faccenda, tranne al suo primo ingresso in aula dopo il putiferio. Era entrato, si era seduto, ma invece di aprire il registro ci aveva guardati tutti quanti a lungo, poi aveva giunto le enormi mani in preghiera e le aveva agitate in avanti e indietro, secondo quel gesticolare che sta per: "Cosa diavolo avete combinato?» Era un gesto semplice, temperato di sollecitudine, con un piccolo accento buffo mischiato al rimprovero muto. L'accogliemmo con gratitudine. Subito dopo diede inizio alla sua lezione. Bisogna ora che io nomini quest'uomo: Giovanni La Magna. Siciliana, completo conoscitore della lingua greca della quale aveva redatto una grammatica e un vocabolario, mostrava un corpo massiccio, dal passo pesante. Il volto era aperto, cordiale e i tratti gli si spianavano quando con la sua grave voce di basso compitava i versi greci e latini facendo cadere l'accento sulle sillabe con suono incalzante di zoccolo di cavallo sul selciato. Ci innamorò di Grecia antica perché ne era innamorato. Gli piaceva insegnare: questo verbo per lui si realizzava nell'accendere nei ragazzi la voglia di conoscere che sta in ognuno di loro e che aspetta a volte solo un invito sapiente. Era alla fine della sua carriera, mostrava anche più dei suoi sessanta. Aveva il gusto sicuro della battuta folgorante che detta dal suo faccione imperturbabile faceva esplodere la classe in una risata improvvisa, come un colpo di frusta. Non ne ha mai ripetuta una due volte, non le pescava da un repertorio, le inventava. Credo che nessuno abbia saputo raccontare i dialoghi tra Socrate e i suoi discepoli meglio di lui. Nemmeno Platone, che li scrisse, poteva essere così bravo.
Incitava a essere leali con lui: non teneva conto di una insufficiente preparazione se lo studente gliela dichiarava spontaneamente prima della lezione. A chi si avvicinava alla cattedra per bisbigliare le sue giustificazioni, prestava a volte ascolto con gesto scherzoso, appoggiando la mano all'orecchio e strabuzzando gli occhi per manifestare il suo stupore. Lo amavamo: di quel cupo Olimpo di numi da cattedra era il nostro buon Zeus. Quel giorno dell'ultimatum entrò nell'aula e togliendosi il cappotto annunciò che non avremmo parlato né di greco né di latino. Si sedette, accantonò il registro e ci parlò. Confido di non tradire il suo tono di voce e i suoi argomenti provando a ripeterli con le parole che ricordo: "Voi sapete che sono siciliano. Nella mia terra c'è un costume che vieta di denunciare i colpevoli di reati: si chiama omertà. Voglio parlarvene per stabilire i punti di contatto e quelli di differenza tra questo costume e lo spirito di solidarietà. L'omertà nasce dal bisogno di difendersi da un regime sociale di soprusi in cui la giustizia è applicata con parzialità e favoritismi, ma contrappone malauguratamente a questo un altro regime di soprusi: la mafia. L'omertà è un comportamento radicato in tutta la popolazione quando considera l'intero apparato statale un grande sbirro. La mafia che è nata da questa silenziosa protezione popolare, l'ha trasformata in legge di sangue sicché oggi l'omertà è frutto principale della paura. Essa non distingue tra chi si ribella a un sopruso e chi agisce da criminale, copre tutti, il povero cristo e il malfattore. L'omertà è diventata cieca ed è al servizio di un'altra prepotenza.
"Lo spirito di solidarietà è invece un sentimento che onora l'uomo. Non è una legge, come l'omertà, sorge di rado. Spunta di colpo tra persone che si trovano in difficoltà, comporta il sacrificio personale, non si nasconde dietro il mucchio formato da tutti gli altri. Nel vostro caso la solidarietà può essere quella di tutti per proteggere due, ma potrebbe anche essere quella di due che si fanno avanti per proteggere tutti gli altri. La solidarietà è opera preziosa di un'occasione, appena compiuto il suo dovere rompe le righe, lasciando in ognuno la coscienza tranquilla. Se siete d'accordo con me su queste differenze, allora potrete meglio conoscere quello che vi succede in questi giorni. Io non credo che gli svitatori di pannelli della seconda B abbiano intimorito tutti gli altri inducendoli a tacere. Credo invece che sia sorto tra voi in questi giorni uno spirito di squadra contro un provvedimento che ritenete ingiusto.
Pensate forse di stare subendo un sopruso: il ricatto di denunciare i vostri compagni oppure essere sospesi a tempo indeterminato. Ma non è stato un sopruso far arrossire di vergogna una donna che è entrata in quest'aula per insegnare e che, per poter accedere al privilegio di mostrare a voi le sue gambe, ha studiato per anni ed è appena giunta all'occasione che ha tanto aspettato? Un sopruso, una prepotenza di molti contro una donna, questo è accaduto qui dentro. Non siete. innocenti, nessuno qui è innocente. Il torto è spesso meglio distribuito di quanto ci piace credere.
"Io faccio parte di questo regime scolastico contro il quale avete fatto muro. Anzi sono il più vecchio insegnante di questa scuola. Noi siamo insegnanti, voi studenti, siamo per questo più forti di voi, possiamo bocciarvi, sospendervi tutti, compromettere i piani scolastici forse irrimediabilmente per alcuni di voi. Ma vogliamo farlo? Credete che vogliamo rovinarvi? Noi che siamo i più forti ci stiamo in verità difendendo da voi. Ritenete vostra facoltà levare un pannello di cattedra per vedere le gambe di un'insegnante? Presto riterrete vostra facoltà abbassarle la gonna per ammirarle intere. Perché non l'avete fatto con me? Perché sono un uomo o perché non sono un supplente? Noi ci stiamo difendendo da voi, voi da noi: così le aule diventeranno campi di battaglia, vincerà il più forte, ma la scuola sarà finita. È con profonda tristezza che vedo questo accadere. È contro tutto quello che ho fatto nei miei molti anni di insegnamento. Mi accorgo di non avere più un posto in un'aula ridotta a schieramento, di non poter fare più niente per voi. Mi state licenziando voi, i miei colleghi, tutti. Questo spirito di ostilità che scorgo in loro e in voi mi avvisa di tempi in cui non avrò parte.
"Non approvo un provvedimento così drastico nei vostri confronti, non lo farò applicare per quello che potrò, ma non so approvare nemmeno la vostra caparbietà. Ce l'ho con tutti voi: il vostro spirito di corpo è la cosa più preoccupante alla quale assisto da quando vivo nella scuola. Il vostro serrare i ranghi è il gesto più duro da intendere per uno come me che pensava di stare in una classe e si ritrova a visitare una barricata. Non credo che il vostro silenzio sia omertà, che stiate diventando una mafia. Però so che questo guaio può scaturire da ogni ostilità di parte. Se c'è ancora una lezione che posso permettermi di darvi è quella di insegnarvi a distinguere nella vostra vita l'omertà e la solidarietà. Siate pure oggi leali tra voi fino a sopportare il sacrificio di un duro provvedimento disciplinare, ma non imparate domani a proteggere l'ingiusto, il prepoténte, il vendicatore. Prima che siate sospesi in blocco dalle lezioni, propongo a voi di fare le più sentite e solenni scuse all'insegnante che avete offeso. Fate questo senza aspettarvi niente in cambio, fatelo solo perché è giusto. Fatelo prima che il vostro silenzio si indurisca troppo contro di noi, si avveleni di avversione, distrugga il mio lavoro con voi e la vostra possibilità di trarre profitto dalle ore trascorse insieme in queste aule".
Mi perdoni, lì dove riposa, l'uomo al quale attribuisco queste parole e del quale provo a ricordare una lezione. Essa fu certamente più intensa ed efficace di quella che posso ricostruire. La sorreggeva una voce che rimaneva paterna anche nel tratto amaro, grave senza severità. Era voce di uomo che si spogliava della dignità della cattedra per parlare da pari ad altri pari. A una classe di sedicenni pieni di brufoli e di barbe ancora a chiazze sul viso, si rivolse come a un'assemblea, svolgendo un ordine del giorno. Ci sentimmo spaesati, ma più grandi, senza parole, certo, ma finalmente spogli del bisogno di difenderci. Quell'uomo ci trattò da uomini. Nessuno di noi lo era ancora, ma tutto dentro di noi in quei giorni spingeva a diventarlo. Ci fece provare la responsabilità di persone che intendono l'ora e il luogo in cui sono. Disfece con i suoi modi leali il rozzo campo di battaglia nel quale ci sentivamo rinchiusi. Non ci additò una scappatoia, sgomberò semplicemente l'assedio mostrando il male di quell'ostilità, addossandosene una parte. Accese in noi il desiderio di rispondere, come già altre volte aveva incitato il nostro desiderio di apprendere. Uno di noi si alzò, il più mite, e uno tra i più diligenti, disse a nome di tutti che le nostre scuse erano il passo minimo che ci sentivamo di fare e che l'avremmo già fatto se solo ne avessimo avuto la possibilità. Nessuno disse cosa contraria o diversa.
Le scuse vennero accettate. Le lezioni ripresero con la palese disapprovazione di alcuni insegnanti insoddisfatti della riparazione e contrari a quella composizione "a tarallucci e vino". Il partito della fermezza contava i suoi effettivi in vista delle future prove. Noialtri ci considerammo scampati, rompemmo subito le righe piegando ancora di più il collo sui libri. Ancora per poco l'atteggiamento prevalente dei professori fu di rappresaglia, poi lo spirito dell'insegnamento prevalse e ritornò in vigore la bilancia dei meriti e dei profitti. Quell'anno fummo promossi in molti, compresi i due svitatori. Solo allora quella pagina di calendario fu per noi voltata del tutto.
L'anno seguente, stagione scolastica 1967-1968, avremmo affrontato la maturità. Prima di quell'appuntamento il professore Giovanni La Magna mancò a una lezione per la prima volta in tre anni. Si era rotto il cuore del nostro buon Zeus, fermate le mani enormi che ci avevano aperto le vie della Grecia classica, zittita la voce che aveva calcato per noi i versi più soavi della terra. Salimmo alla sua casa sulla collina del Vomero come un gregge disperso. Era disteso eppure sembrava ritto in piedi, manteneva anche così tutta la forza della sua presenza. Aveva le grandi mani intrecciate in grembo, gli occhi molto chiusi. Per la prima volta un ragazzo tra i tanti ebbe misura dello spreco insensato contenuto nella morte di un uomo. Tutta quella Grecia svisceratamente amata da un siciliano, tutta quella sapienza si perdeva, a nessuno poteva più trasmettersi. Ne trattenevamo frammenti lucenti da un vaso in frantumi, noi suoi allievi. Ma se tutti gli studenti che aveva avuto, avessero potuto mettere insieme i loro pezzetti, non avrebbero ricomposto l'interezza da lui posseduta. Le lacrime che ad alcuni di noi vennero agli occhi se le era guadagnate con quello che gronda dal cuore.
Morì in quei primi mesi dell'anno di subbuglio 1968, senza vedere le aule abbandonate sotto i colpi di una guerra che aveva intravisto e aveva scongiurato di evitare. La scuola finiva e non solo per i maturandi di quell'anno. Dopo di lui la Grecia tornò a essere la patria di una grammatica molto esigente. Ci sono uomini che morendo chiudono dietro di loro un mondo intero. A distanza di anni se ne accetta la perdita solo concedendo che in verità morirono in tempo.
veramente l'articolo dice che la foto appartiene a mirabella, il quale si è messo a trattare in proprio per i suoi diritti.
è stata la feltrinelli che gli ha risposto "abbiamo ricevuto la foto da mondadori, pensavamo che i diritti fossero loro e ci concedessero l'uso. vediamo cosa possiamo fare".
poi se so messi a fa' i gargarozzoni e hanno tolto la foto di pennacchi.
io non lo so se ci stanno di mezzo motivo politici.
sta di fatto che quando enzo biagi è stato cacciato dalla rai siete andati in piazza con la bava alla bocca a urlà CALAMANDREEEIII !!
beh, per coerenza lo dovete fa' pure a sto giro!
vaffanculo, non mi coprire i messaggi.
Finalmente ho trovato un minuto per leggermi l'articolo di Panigutti.
Un bell'esempio di giornalismo. Racconta i fatti in maniera semplice e chiara. Fa parlare i protagonisti. Ci infila qualche notazione sua.
Peccato che nel giornalismo pontino si debba scomodare il direttore del giornale per evitare il semplice copincolla di comunicati stampa a cui spesso le pagine culturali ci hanno abituati.
Sensi, sei a rischio di essere bannato, e non per gli insulti ai politici dell'altro topic, ma per "abuso di pazienza nostra."
Poretto già l'hanno bannato da fb mo' pure qui lo volete cacciare?
E' un caso umano!
Per questo zuckerberg ha fatto i miliardi e noi no...
non mi coprire i messagg
avemo scritto in contemporanea, non è colpa mia.
senti, un mesetto fa circa sono andato a fare supplenza in una classe che non era mia.
ci stava un ragazzino piccolo, mingherlino che piangeva. fisicamente era il più piccolo della classe: una prima. la classica vittima per eccellenza, insomma.
gli ho chiesto che gli era successo e lui mi ha detto che gli avevano riempito la cartella di patatine e gli avevano fregato pure i dieci euri che ci stavano dentro.
ho pensato "dieci euri non so' niente, poveraccio, anche se a lui possono sembrare molti. quasi quasi glieli do io".
poi ho pensato che il tipo aveva ricevuto un'ingiustizia e che io dovevo restituirgli la fiducia, non fargli un'elemosina. quello che stavo facendo era diseducativo.
me lo sono portato fuori e sulla porta ho detto alla classe: "noi stiamo qui fuori e tra 5 minuti rientriamo. quando rientriamo, là sopra - ho indicato il suo banco- voglio vedere i dieci euro".
"ma noi non sappiamo chi è stato"
"no, voi sapete tutto. convincete il tipo a caccià la moneta: fate una colletta, spezzategli le gambe... io voglio solo vedè i dieci euri, il resto non mi interessa".
cinque minuti dopo i dieci euri stavano sul tavolo.
passa una settimana e mi chiama la vicepreside: "guardi, come ha fatto lei è sbagliato... sa, quella è una classe difficile e dobbiamo ristabilire la disciplina... lei doveva mettere una nota.... i ragazzi hanno fatto una colletta.... i genitori sono venuti a lamentarsi... "
"senta, vicepreside- le ho detto io- ma se mettevo la nota, i dieci euri ricicciavano fuori? io quando ciò voglia di bocciare una persona la interrogo, non sto ad aspettare che viene uno da fuori a mettergli una nota. tanto, non si preoccupi, loro lo sanno chi è il ladro. se li rivogliono indietro, che glieli vadano a chiedere."
probabilmente pure la tipa si è accorta di aver detto una stronzata perchè non ha insistito più di tanto.
senti, eticamente che differenza ci sta tra il ladro della mia classe e il guardone del tuo racconto?
non sono entrambi due bulli che, alla prima prova, spariscono come una pisciata giù per il cesso, nascondendosi dietro i compagni a cui fanno delle prepotenze?
il tuo racconto è diseducativo e fai male a leggerlo in classe.
erri de luca lo ha scritto solo per giustificare i casini del '68.
casini che, per inciso, oggi sta pagando la nostra generazione.
Sensi, sei a rischio di essere bannato,
da domani cambio vita, promesso
Dite alla Feltrinelli che gliela do io una foto, in cambio chiedo solo che mi pubblichino un paio di libri...tutto guadagno loro.
Questa non era in una libreria loro, ma ho anche quelle, basta chiedere.
">
senti, eticamente che differenza ci sta tra il ladro della mia classe e il guardone del tuo racconto?
e che differenza c'è fra il sopruso subito dal ragazzino timido a cui hanno fregato dieci euro e l'obbligo di risarcimento che hanno dovuto subire in qualche modo gli altri, perché tu volevi per forza vedere i dieci euro sulla cattedra? Magari il bullo in tua assenza ha minacciato tutti di far la colletta, che ne sai? Ai loro occhi, potresti averli consegnati nelle mani dell'aguzzino con la tua presa di posizione, che ne sai?
Sensi, io non ho la verità in tasca coi ragazzini perché nessuno di noi ce l'ha, né pretendo di insegnare il mestiere a te o a chiunque altro. Penso solo che uscire dalla classe e lasciare che i ragazzini se la vedano da soli sapendo che qualcuno di loro userà un qualche tipo di forza per avere una ragione che non ha, non sia utile alla causa: i ragazzi non ne sono usciti più forti ("ora caccia i soldi e chiedi scusa per quello che hai fatto senno' la faccia te spacchiamo noi tutti insieme") ma sconfitti dal dover rifondere un danno che non avevano prodotto, perché il prof un'altra alternativa non l'ha data ("fate quello che vi pare, ma gli euri devono uscire"). Mettiti nei panni di quei ragazzini (che hanno 14 anni, non 40): come si saranno sentiti? Minacciati dal bullo, che sopportano non da oggi, sicuramente. Abbandonati dal prof, che magari non riusciva ad inventarsi nulla di nuovo o di risolutivo- non perché gli manchi iniziativa o creatività, beninteso- ma perché certe volte anche solo esserci, dire "sono qui, non vi lascio soli, in qualche modo ne verremo fuori" aiuta a crescere.
Vai mo'! me becco tutti i calamandrei, i nani dalle ombre lunghe del sole morente, l'antifascismo del 29 aprile...perché ai tuoi buoni propositi nel cambiare vita da domani credo quanto alle profezie di Bassoli sui Maya o sui terremoti!
senti un po'.... quella era una classe di almeno 25 ragazzini.
l'abuso mio era di 40 centesimi a testa, ammesso e non concesso.
di sicuro molto inferiore ai 10 euri che avevano inferto a quel ragazzino di cui dicevano di essere amici e da cui invocate lo spirito di corpo che vuole erri de luca.
non vogliono dire al bullo (loro in 25 e il bullo uno solo) "ridagli la moneta" ?
e non ci sta problema! , quando so' andati a frignà dal padre gli potevano di' "papà... io so uno stronzo e non ce la faccio, ma quando vai dalla vicepreside digli che è stato michelino, oppure franchino oppure pierino."
il senso del racconto di erri de luca (ammesso che ce ne sia uno) è fare fronte tutti insieme alle ingiustizie oppure perire insieme.
e così è stato.
amen.
e certo che non sono 40 centesimi a cambiargli la vita...
Che te devo di'? Io lavoro con i bambini proprio,anche se gli episodi di bullismo vero ed organizzato non mancano, non mi sembra la via giusta da percorrere quella di dire a chi subisce "tirate fuori gli attributi o non venite poi a frignare qui" . Noi che ci stiamo a fare allora? I bambini si aspettano sempre un contenimento da parte degli adulti, non perché siano degli smidollati, ma perché certe situazioni, da soli, non sono proprio in grado di gestirle. Un intervento autorevole ed equo da parte di un adulto che non appartenga alla sfera affettiva, come può essere un insegnante, li aiuta ad avere fiducia nelle strutture della società costituita che li circonda:un bullo non lo smonti facilmente, è vero, ma almeno gli altri ragazzi possono sentire che non sono soli.
Il racconto di Erri De Luca è, per me, il racconto di un'iniziazione: questi ragazzi si sono trovati per la prima a dover far fronte ad un'emergenza vera, in cui nessuno scherzava. Non solo non mi sembra fosse "vincere o perire tutti insieme", ma anzi, si erano infilati in un vicolo che aveva uscite in ogni caso pesanti e dolorose, l'happy end esiste raramente. La morale profonda secondo me, è che basta niente a radicalizzare certe posizioni, magari inizialmente accettabili, ma capaci di avvilupparsi ostinatamente su se stesse fino a diventare percorsi senza ritorno, fino a trasformare il terreno del confronto in un inutile campo di battaglia.
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