Intervengo dopo qualche giorno di assenza. Non sono andato in piazza a manifestare perché stavo studiando - Tecniche e linguaggi del cinema, andato bene -. M'ha telefonato pure il Cameriere quel giorno, per chiedermi che facevo. M'era venuta pure voglia di andarci, ma il dovere m'ha tenuto fermo e legato alla scrivania.
Comunque. 'n c'è niente da fa'. La libertà di stampa non c'è. Zero. Dice: "addirittura? Manco gli studi ci danno così indietro. Siamo al 77° posto, siamo un paese parzialmente libero di scrivere e parlare. Parzialmente. L'avverbio parla chiaro".
Penso che, in parecchi, di quel po' di libertà che ci rimane, non sappiamo che farcene. O per incapacità: la notizia non la so e quindi, pur volendo, non la posso dare. Per pigrizia: la saprei pure bene se facessi due o tre verifiche, ma chi me lo fa fare? Oppure per viltà. Spesso il giornalista, minacciato dai vari politici di denuncie, di querele, di ritorsioni velate o manifeste, rinuncia a scrivere le cose 'esattamente' come le sa. Ancora più spesso si mette a fare il favore all'amico. E se l'amico fa una iniziativa che va male, solo perché è amico non si mette a dire esattamente le cose come sono andate. O parla d'altro o mente. E qui parliamo della cosa meno grave.
Per questo è stata importante la manifestazione dell'FNSI. Perché, almeno per una volta, un giornalista, bravo o meno che sia, si è sentito chiamato in causa. La domanda che mi facevo sabato era: "ma io l'ho sempre fatto bene il mio mestiere?". E badate che io parlo di Pontinia, che mi leggeranno un centinaio di persone al giorno se mi dice culo. Qualche volta il peso della responsabilità lo sento (qualche altra no). E se uno scrive per Repubblica? Corriere della Sera? Secolo d'Italia?
Dice:"si, ma la questione dei contratti?". I contratti li fanno, quando li fanno, gli editori. Non il sindacato della stampa. Perché se il sindacato della stampa si mette ad andare ad ogni redazione, e denuncia chi non fa i contratti o chi li fa schiavistici, vogliamo scommettere che i primi a lamentarsi di non potersi più vantare - con gli amici, al bar e in discoteca - del titolo di giornalista sono proprio quei precari sfruttati?
Ad esempio va molto di moda, ultimamente, il giornalismo aggratise. Tu lavori per una testata giornalistica e nessuno ti paga. Le telefonate le fai te, la benzina ce la metti te. L'editore ti dice, chiaro e tondo: "se vuoi io ti do la vetrina. Se ti sta bene scrivi, altrimenti ciccia". Se uno accetta le condizioni, di chi è la colpa?
E io, Leon, non sono un bacchettone. Ci posso pure stare, per un periodo, a farmi il culo. "Imparati il mestiere, intanto" direbbe mio nonno. Esattamente così come tanti, pur lavorando otto ore davanti ad un computer a rispondere fino a 400 chiamate di gente incazzata, possono stare ai 550 euro al mese in fase di apprendistato. Apprendistato e periodo sono le parole chiave. Ti imparo per un anno, vediamo come va e poi, però, se sei bravo, ti assumo con un contratto in regola.
Spesso succede che uno va nei giornali, sta lì e scrive per un lunghissimo periodo, ma poi nessuno gli da nemmeno i soldi per andarsi a comperare un gelato.
E ti faccio una domanda io, a questo punto: chi è più colpevole: quello che sfrutta o quello che si fa sfruttare?