“A me piacciono i trans – avrebbe dovuto dire – e ogni tanto, quando mi va, vado a letto con uno di loro”. Pagandolo? “Non sono contro la prostituzione – avrebbe dovuto dire – e penso che ciascuno sia libero di vendere il proprio corpo, se è maggiorenne e non vi è costretto”.
Ma andare a letto con un trans… “Non consento ad alcuno di giudicare i miei gusti sessuali – avrebbe dovuto dire – e tanto meno di criminalizzarli, perché vado a letto con individui maggiorenni e consenzienti. Fatti miei, è il mio privato”.
E allora perché venircelo a raccontare? “Perché non mi ritengo ricattabile – avrebbe dovuto dire – e oggi mi hanno chiesto del denaro in cambio del silenzio su quanto ho qui rivelato”. Piero Marrazzo non l’ha fatto: si è ritenuto ricattabile e ha pagato i suoi ricattatori.
Nessun dubbio sul perché si sia ritenuto ricattabile: quando ha infine ammesso d’essere andato a letto con un trans, ne ha parlato come il “frutto di una debolezza”. È un atto di pentimento pubblico col quale Piero Marrazzo fa sua la condanna morale di alcuni gusti sessuali rispetto ad altri. Poco importa se si tratti di un pentimento genuino o della formula più comune per strappare un’attenuante generica: Piero Marrazzo fa sua la morale sulla quale i ricattatori contavano. In ciò, prim’ancora di staccare il primo assegno, Piero Marrazzo era vittima di se stesso.
Poi ha denunciato i suoi ricattatori. Probabilmente si sarà reso conto che pagare non gli avrebbe comunque assicurato il silenzio. Probabilmente avrà sperato che la denuncia potesse dargli un qualche appiglio nel dichiararsi vittima di un infamante complotto. Non lo sapremo mai, e neanche ha molta importanza. Sappiamo solo che, finché ha potuto, ha negato ciò che avrebbe dovuto definire “frutto di una debolezza”.
C’è chi la pensa come me, ma per opposte ragioni, come peraltro traspare dalla sua vena ironica: “Marrazzo avrebbe dovuto convocare una immediata conferenza stampa, subito dopo l’irruzione dei carabinieri truffaldi che lo hanno ripreso in mutande, e avrebbe dovuto dire a testa alta, altissima, che il suo desiderio erotico è diverso da quello tradizionale e che il suo stile di vita ha pregnanza esistenziale analoga a quella di un qualunque buon padre di famiglia, e che dunque nessuno può ricattarlo e lui, come uomo pubblico, deve poter restare in sella e testimoniare i sui valori di autodeterminazione, anche erotica o sessuale, senza problema alcuno […] Invece non lo ha fatto, pensava di non poterlo fare, e ha implorato i suoi boia di «non rovinarlo», di «non fargli del male», esattamente come si sarebbe comportato un qualunque uomo pubblico in ambito puritano, preso in mezzo in una storia di caduta nel peccato” (Il Foglio, 26.10.2009).
Perché non l’ha fatto? Io ho già risposto: Piero Marrazzo ha fatto sua la morale sulla quale i ricattatori contavano. Ciò conferisce un qualche pregio a questa morale? Mi pare di intravvederne solo uno, e non mi pare un pregio: quando non riescono a costringere alla virtù, i sensi di colpa dei quali essa si fa forte costringono all’ipocrisia. Di fatto, si tratta di una morale che equipara gli effetti pubblici della virtù a quelli dell’ipocrisia, e infatti contempla l’ipocrisia come un tributo che il vizio (ciò che essa dichiara vizio) paga alla virtù. Sul piano privato, il tributo che il vizio paga alla virtù è il senso di colpa, col pentimento tra una ricaduta e quella successiva.
La risposta di Giuliano Ferrara è diversa: “Lettore ipocrita, mio simile e fratello…”. È una chiamata a sottoscrivere il dogma del peccato originario. È un appello alla difesa di ciò che fonda la dottrina cristiana.
A pag. 13 del suo monumentale Le péché et la peur (*) – è nell’introduzione, a mo’ d’avvertenza – Jean Delumeau scrive: “Noi, uomini dell’ultimo scorcio del XX secolo, abbiamo ogni motivo di tenerci in una posizione di modestia, qualora ci venga la tentazione di mettere sotto accusa gli uomini di Chiesa d’una volta che inculcavano il senso di colpa. La nostra epoca parla sempre di soppressione del senso di colpa («decolpevolizzazione», si dice in linguaggio tecnico) senza accorgersi che la colpevolizzazione degli altri (ossia il processo di rendere gli altri colpevoli di qualcosa) mai nella storia è stata forte come oggi”; ma a pag. 1008 – chiudendo l’opera – scrive: “Ci si può infine chiedere se il rigetto di una pastorale troppo fosca e opprimente non abbia costituito una delle cause della «scristianizzazione» dell’Occidente”.
L’Occidente si sarà «scristianizzato», ma sul piano privato. Persiste, sul piano pubblico, l’equiparazione degli effetti della virtù a quelli dell’ipocrisia.
Lo dobbiamo al cristianesimo, alla sua ultramillenaria egemonia culturale e politica, e ne è vittima – Piero Marrazzo si offre come esperimento in vivo – anche quella “sinistra laica e colta ed evoluta” cui Giuliano Ferrara – a ragione – rinfaccia di non saper essere coerente coi suoi “valori di autodeterminazione”.
Il suo editoriale interroga la “sinistra laica e colta ed evoluta” sulla necessità della condanna morale di alcuni gusti sessuali rispetto ad altri, invece che sulla necessità che un uomo politico non sia ricattabile. E la sventurata – vedrete – risponderà.
(*) Jean Delumeau, Le péché et la peur – La culpabilisation en Occident (XIIIe-XVIIIe siècle), Fayard 1983 (trad. it.: Il peccato e la paura – L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, il Mulino 1987).
fonte
Malvino