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Strega 2010

(420 articoli)
  1. rindindin

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    ma davvero oggi alle 16 il maestro è all'Ipercoop di Aprilia?

    Pubblicato 13 anni fa #
  2. si, forse va a fare la spesa li'.

    Pubblicato 13 anni fa #
  3. rindindin

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    un po' fuori mano...ma se è sicuro magari passo anch'io a prendere il pane.

    Pubblicato 13 anni fa #
  4. urbano

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    estiqaasti
    il grande capo pensa
    il sabato è dell'uomo.

    Pubblicato 13 anni fa #
  5. Woltaired

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    ma quanto veniva via al chilo, il Maestro, all'ipercoop?

    Pubblicato 13 anni fa #
  6. zaphod

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    Alle invasioni barbariche.
    Ora.

    Pubblicato 13 anni fa #
  7. Woltaired

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    ha detto che per lui gli uomini son tutti uguali...ma anche Faust?

    Pubblicato 13 anni fa #
  8. rindindin

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    la Bignardi con la sua ingenuità, semplicità, ha messo k, nel "pantano". Bignardi osso duro, esperienza televisiva, aggiunta a notevolissima dose di sadismo giornalistico riesce a cogliere particolari imbarazzanti o che imbarazzano l'interlocutore. è dura la sfida a questo punto...ai fruitori di tal simile tenzone, l'ardua sentenza.
    p.s. nn pensavo che una Bignardi potesse imbarazzare k. in fondo è solo una donna...ahah

    Pubblicato 13 anni fa #
  9. Beh, a me sembra che non sia andato male. Non l'ho mai visto nel pantano. Anzi, un TuttoPennacchi che finalmente ha potuto dire - senza essere interrotto - qualcosa di sinistra. La Bignardi un po' sulle spine all'inizio, ma rilassata verso la fine. Il più grande riconoscimento è nel finale. "Non posso farle questo giochino, è stupido, e lei è troppo bravo".

    Pubblicato 13 anni fa #
  10. rindindin

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    la frase della Bignardi finale "Non posso farle questo giochino, è stupido, e lei è troppo bravo".
    mostra la sua intelligenza...:) un grande scontro c'è stato, ho avvertito delle tensioni, che non sono difficoltà, ma imbarazzi che con altri giornalisti non ho avvertito. secondo me, scusate la banalità, ci sono state solo perchè era una donna...
    il lupo perde il pelo ma non...:)

    Pubblicato 13 anni fa #
  11. cameriere

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    a me
    è sembrato
    un po' stanco.

    Pubblicato 13 anni fa #
  12. rindindin

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    come dargli torto...

    Pubblicato 13 anni fa #
  13. cameriere

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    e chi ci da
    torto?

    Pubblicato 13 anni fa #
  14. k

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    Grazie, eh?
    Come al solito, a voi è meglio avervi contro, che a favore.

    Pubblicato 13 anni fa #
  15. k

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    Posto qui di seguito una recensione di Cesare De Michelis a "Canale", uscita su "Formiche".

    E’ possibile raccontare la storia di quella parte d’Italia che è stata da subito fascista, anzi che il fascismo “lo ha fatto” con le sue mani, senza intendimenti apologetici o nostalgici, o, al contrario, sbrigativamente denigratori, evocandone cioè le ombre e le luci che pur dovettero esserci, come in ogni umana vicenda?
    La risposta finalmente è sì, senza incertezze, anche se qua e là nel paese resistono, come i “mohicani”, gli estremi difensori di un imperturbabile antifascismo che distingue senza esitazioni il bene dal male e non vuole neppure ascoltare le storie vere vissute.
    Antonio Pennacchi è scrittore al tempo stesso talentoso e ideologico, ma soprattutto scopertamente provocatore, e il suo “Canale Mussolini” (Mondadori, pp.462, euro 20,00) capovolge, ironico e spiazzante, qualsiasi consolidata prospettiva da cui guardare la storia patria della prima metà del secolo scorso, quella cioè di una perenne guerra civile vinta per un ventennio dal fascismo.
    Pennacchi è non solo ironico ma anche sornione, perché ridacchia soddisfatto ogniqualvolta sente di aver messo in imbarazzo i suoi lettori, di averli costretti a riconoscere la contraddizione tra i pregiudizi delle loro sicurezze e la forza travolgente dei sentimenti che egli riesce a suscitare.
    Il suo romanzo è costruito come un lungo racconto orale rivolto a un interlocutore senza identità, che potrebbe essere un qualsiasi lettore e, per rendere più forte ed evidente la provocatorietà di quanto viene dicendo, lo scrittore ne segnala, persino con qualche superflua insistenza, le reazioni insofferenti o stupefatte, sottolineando così la forza dirompente del proprio assunto.
    D’altronde, sin dalle prime righe di premessa, egli aveva protestato che il suo libro era “tutto opera di fantasia”, ma al tempo stesso che tutto quanto vi veniva narrato andava considerato “rigorosamente vero”, e che, insomma, questo “è il libro per cui era venuto al mondo”, il solo che giustificava la sua vita e il suo lavoro, perché, al pari che per altre epopee degli umili –“i senzastoria”-, bisognava “fermare” sulla carta questa avventura che già scoloriva nella smemoratezza.
    Pennacchi comincia proprio dall’inizio, dagli scontri appassionati e violenti dei poveri contro i signori, ostinatamente ribelli, pronti a sfidare il potere e a finire in galera, restii, invece, a confidare in santa madre chiesa. Basterebbero i nomi della progenie di figli a segnare lo scarto rispetto alla tradizione: i Peruzzi -questo è il nome della famiglia dei contadini di Codigoro- non pescano i nomi dai santi del calendario ma dalla storia classica -Pericle e Temistocle- o medievale -Adelchi-, dalla geografia -Iseo- o dalla nomenclatura socialista -Treves, Turati e persino, per due bambine, Bissolata e Modigliana.
    E’ in prigione che il patriarca incontrerà un facinoroso caporione della “bassa” –Edmondo Rossoni- diventandone amico e, tramite lui, persino Mussolini giovanotto, il quale, spavaldo, si proverà a corteggiarne la moglie, suscitando al tempo stesso orgoglio e gelosia.
    Di questo povero mondo contadino Pennacchi ricostruisce costumi, valori e comportamenti con realistica precisione e affettuosa simpatia, spesso ricorrendo alla loro stessa lingua, un dialetto aspro e arcaico che non si era mai letto, ma che restituisce ruvida verità ai personaggi e alle loro emozioni.
    I Peruzzi sono povera gente laboriosa, che coltiva la terra e alleva le bestie conoscendone ogni segreto, sono persone generose, unite da profondi affetti familiari, intelligenti e passionali, tanto che talvolta li prende una “furia” incontrollabile e pazza, per cui diventano capaci di menare feroci le mani, fino a rendersi resposabili di un omicidio, pronti a buttarsi a capofitto negli scontri più forsennati, cosicché il fascismo ribaldo e rivoluzionario delle origini, quando i più giovani sono ancora sotto le armi, li conquista d’un colpo –subito “fasciocomunisti”, come suona il titolo di un altro romanzo di Pennacchi-, tanto che i più piccoli vanno gattoni “con il pugnale tra i denti”.
    A loro, defraudati dall’avidità degli agrari, toccherà di prendere parte all’esodo che nei primi anni trenta trasferì nell’Agro Pontino appena risanato più di tremila famiglie venete, ferraresi e friulane per riempire quel “vuoto senza fine tutto asciutto”: erano “i cispadani”, come venivano polemicamente etichettati, mentre i residenti diventarono per lori “i marochini”.
    Insediatisi lungo il canale Mussolini i Peruzzi verranno travolti dalla “sindrome del pioniere” e, se per un verso costruirono una nuova comunità solidale e operosa, per l’altro condivisero tutte le scriteriate avventure del fascismo, dall’Africa alla Spagna, fino alla guerra drammatica e disastrosa, pagando orgogliosi e leali il loro tributo al regime.
    Di tutti i personaggi del libro il più affascinante e indimenticabile è certo l’Armida , “bellissima, bionda bionda, alta, occhi azzurri, il seno anche alto…,un portamento altero”, moglie del Pericle, sulla quale esemplarmente si chiude, non senza una sorpresa finale, la storia italiana della famiglia Peruzzi.

    Cesare De Michelis

    Pubblicato 13 anni fa #
  16. zaphod

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    sul sito del tg1 è possibile votare il canale come miglior libro dell'anno.

    Pubblicato 13 anni fa #
  17. Ed è possibile farlo anche una volta al giorno. Se utilizzate più di un browser (Explorer, Firefox, Safari o altri), potete votare per Canale Mussolini anche più di una volta al giorno.

    Pubblicato 13 anni fa #
  18. Procedura molto corretta.

    Pubblicato 13 anni fa #
  19. Essì, un sondaggio pensato da Minzolini. Come puoi immaginare, in caso di sconfitta, abbiamo pronto il comunicato

    Pubblicato 13 anni fa #
  20. Mi ricorda il sistema di voto della prima edizione de I racconti di Sabaudia.

    Pubblicato 13 anni fa #
  21. Essì. Chi cià più amici, vince.

    Pubblicato 13 anni fa #
  22. A.

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  23. big one

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    pare proprio che Pennacchi abbia più amici di tutti.
    sondaggio tg1

    Pubblicato 13 anni fa #
  24. A.

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    Non so se avete notato che nell'ultimo (bellissimo) romanzo di Camilleri: L'intermittenza, c'è un personaggio molto importante che si chiama Pennacchi...

    Pubblicato 13 anni fa #
  25. Ma dai?

    Pubblicato 13 anni fa #
  26. sensi da trento

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    Membro

    http://www.unita.it/culture/leggere-o-evitare-libri-br-il-meglio-e-il-peggio-2010-1.263526

    gli "amici" dell'unità si dimenticano di pennacchi

    Pubblicato 13 anni fa #
  27. A.

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    Moderatore

    lunedì 7 febbraio 2011
    ANTONIO PENNACCHI, CANALE MUSSOLINI, Mondadori, Milano 2010, pp.461

    Un libro finalmente degno dello Strega (Vincitore 2010) questo Canale Mussolini di Antonio Pennacchi. Narra le vicende dei Peruzzi, una grande famiglia contadina del ferrarese, nel contesto degli eventi che caratterizzarono la storia italiana tra gli inizi del ‘900 e la metà del secolo.

    Si parla di fascismo, dunque, ma – e questo è uno dei maggiori pregi del romanzo – per così dire lo si osserva dal di dentro. Il fascismo non è più o non appare soltanto come una condizione inquietante dell’anima, secondo il noto giudizio di Benedetto Croce o come un “incidente di percorso” della storia italiana, tra liberalismo e democrazia [cristiana], ma piuttosto come il prodotto naturale delle tensioni sociali che si erano andate accumulando in Italia, durante i sessant’anni successivi all’unificazione. Non “un corpo estraneo”, dunque, ma purtroppo l’unico modo in cui una società arretrata, preindustriale ed elitaria, caratterizzata dall’analfabetismo, dalla miseria, dal brigantaggio e dalla corruzione [costante di sempre, quest’ultima, nella politica e nella società civile del Belpaese], riuscì malgrado tutto ad evolversi. In questo senso e solo in questo senso, il fascismo fu “rivoluzionario”, dando così in parte ragione a Benito Mussolini, quello ormai sconfitto dalla Storia, che nell’ultima intervista concessa pare abbia detto: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”.

    Non vorrei essere frainteso. Non che gli italiani fossero da sempre abitati dai “mostri” del fascismo, giacché erano i mostri della fame e dell’ignoranza a tenere il campo, e l’unico senso accettabile che ha il pensiero dell’ultimo Mussolini è quello di aver saputo interpretare il malessere sociale e l’istinto di ribellione delle masse saldandoli agli oscuri ideali di una piccola borghesia frustrata e megalomane, talora vagamente intellettuale e che, prima del fascismo, trovava spesso nella Massoneria il proprio punto di riferimento. Come si vede chiaramente non solo dalla denominazione che assunse il massimo organo di rappresentanza politica del fascismo. Quel Gran Consiglio che annoverava in prevalenza massoni ed ex-massoni, preferibilmente di Piazza del Gesù.

    Un po’ quello che avverrà nel secondo dopoguerra con la Democrazia Cristiana e che oggi avviene con Berlusconi: saldare in un unico blocco gli ideali [?!] della piccola borghesia e gli interessi della borghesia media e alta, col collante dei cosiddetti valori cristiani e grazie alla forza della telecrazia, odierno ed efficace strumento di governo, capace di allineare le coscienze nell’unica direzione del conformismo, della volgarità, dell’ignoranza e del pregiudizio.

    È chiaro che senza mettersi al servizio della Reazione la “rivoluzione fascista” sarebbe fallita e di questo il primo a rendersene conto fu certamente Mussolini, nato socialista e abbastanza lungimirante da comprendere la sterilità di un movimento perpetuamente scissionista ed eternamente diviso tra una base proletaria e una classe dirigente di piccoli intellettuali sempre in lotta per il potere, ora riformisti, ora rivoluzionari, ora imbelli e qualunquisti, sempre frazionisti.

    E il nonno di chi racconta Canale Mussolini partecipa anche se solo marginalmente agli eventi che caratterizzano la storia italiana agli inizi del ‘900. Trentenne, divide il carcere con il socialista Rossoni, futuro sottosegretario alla presidenza del consiglio di Mussolini. A quattro dei suoi diciassette figli mette i nomi di Treves, Turati, Modigliani e Bissolati. Divide insieme alla numerosa famiglia pasta e fagioli e polenta con il giovane Mussolini. È testimone della carriera politica del duce: sindacalista rivoluzionario, direttore dell’Avanti, violento oppositore della guerra di Libia del 1911: “È chiaro che i socialisti non potevano condividere questa politica di aggressione coloniale e imperialista […] il più arrabbiato di tutti era proprio il Mussolini, che era diventato una specie di numero uno dei sindacalisti rivoluzionari in Italia ed era pure un pezzo grosso del partito socialista. ‘L’ho sempre detto’ diceva adesso mio nonno all’osteria […] ‘che come questo ce n’è pochi, questo è un uomo speciale, se si mette in testa una cosa la fa, non lo ferma nessuno’ e difatti nel giro di pochi anni se ne erano resi conto tutti, mica solo mio nonno […] pure il Treves e il Turati, che cercavano di tenerlo buono. Be’, lui per la Libia ha fatto un casino. Prima è riuscito a convincere tutti gli altri socialisti […] e poi ha guidato lo sciopero generale contro la guerra in Africa con azioni rivoluzionarie di vero e proprio sabotaggio”. [p.41]

    E dopo di allora: la settimana rossa e il carcere con Pietro Nenni. Poi, improvvisa la svolta con l’interventismo nella I guerra mondiale, non al fianco della Germania, nostra tradizionale alleata di allora, ma nel campo opposto con Francia e Inghilterra. Perché questo cambiamento? Lo spiega al nonno del narratore lo stesso Mussolini, desinando con lui: “Questa guerra quindi era proprio quello che ci voleva, una mano santa che avrebbe scatenato tante di quelle tensioni – diceva il compagno Mussolini – che niente sarebbe stato più come prima. Una volta che il proletariato si fosse ritrovato tutto coinvolto sotto le armi, la guerra da mondiale non avrebbe potuto diventare che sociale. In fin dei conti era deflagrata come scontro di interessi – ‘I schèi’ – tra le borghesie capitalistiche dei singoli Paesi europei. Ma poi sul campo non poteva non sfociare in una guerra generale di classe, con il proletariato europeo contro i padroni di tutti i Paesi”. [p.57]

    E la testimonianza prosegue con i racconti dello zio Pericle, soldato a Milano e il più politicizzato della famiglia: le tensioni del dopoguerra, i tanti discorsi sulla “vittoria mutilata”, la fondazione del fascio e il programma di San Sepolcro che promette suffragio universale, repubblica e terra ai contadini. Nel socialismo ormai è guerra aperta. Tra i cosiddetti interventisti, ora fascisti, e i neutralisti di sempre: “Nemici ormai – noi di qua e loro di là – perché loro erano stati contro la guerra e adesso erano contro i soldati e continuavano a fare quello che avevano sempre fatto: chiacchiere cioè, e pochi fatti, o almeno così dicevano i miei. E se loro erano rossi, noi per contrasto dovevamo essere neri, anche se non è che stessimo con la borghesia capitalistica e loro invece col proletariato. Mica stavamo con classi diverse, almeno all’inizio. Vada a vedere il programma di San Sepolcro, noi eravamo semplicemente concorrenti nella stessa classe di popolo lavoratore […]. È per questo forse che ci siamo odiati tanto, perché eravamo fratelli che si sono divisi”. [pp.69-70]

    Non bisogna tuttavia pensare che il romanzo di Pennacchi si limiti a ripercorrere l’ascesa del fascismo e del suo duce in un’atmosfera rarefatta e incolore che rischia di annoiare il lettore, perché è un’intera civiltà contadina quella che prende vita pagina dopo pagina, attraverso il duro lavoro, le sofferenze, le passioni, i vizi e i valori di chi ne fa parte. Neppure l’autore difetta di ironia nel descrivere personaggi piccoli e grandi di questa storia e una particolare attenzione è dedicata alla donna, alle molte contraddizioni in cui si trova a vivere. Capo-famiglia di fatto, quando invecchia, come la nonna di chi racconta, madre di abbondante prole per avere un ruolo familiare, che è anche l’unico ruolo sociale, vittima e quasi schiava se le viene a mancare il marito con i figli ancora piccoli. E in questo universo femminile governato da ferree leggi non scritte, spesso occultamente violate, si distingue la figura di Armida che alleva le api, parla con loro e ne riceve consigli e premonizioni.

    Ma il romanzo s’incentra soprattutto sull’esodo che costringe i Peruzzi, assieme ad altre famiglie emiliane, venete e friulane, a lasciare la propria terra e a recarsi nell’Agro Pontino. Perché? Perché solo tra le paludi dove da secoli e secoli regnano indisturbate zanzare e malaria, la promessa “sansepolcrista” del duce sarà mantenuta. In cambio delle bonifiche e della costruzione di un canale [Il Canale Mussolini, appunto], vasti poderi saranno assegnati ai contadini, naturalmente solo a quelli di comprovata fede fascista.

    “Maledetto Zorzi Vila”, diranno i Peruzzi costretti all’esodo per colpa del conte Zorzi Vila che li ha cacciati dalle terre che coltivavano a mezzadria, e la maledizione diverrà la divisa di ciascun membro della famiglia di fronte ad ogni sciagura, da allora in poi. Ma anche Mussolini ci mise del suo nella vicenda, osserva il narratore: “Era il 1927 e come lei sa, a quei tempi, il commercio estero non avveniva sulla base del dollaro, ma dell’oro e della sterlina inglese che a settembre 1926 era arrivata a 149, quasi 150 lire per una sterlina. La bilancia dei pagamenti import-export era al tracollo. L’industria italiana in crisi […] Be’, lui – il Duce – dalla mattina alla sera ha detto: ‘Rivaluto la lira, da oggi in poi è a quota 90, mai più di 90 lire per una sterlina’. […] come deve essere stata contenta la grande industria italiana che per il carbone, il ferro, il rame ed ogni cosa che doveva andare a comprare all’estero e che fino al giorno prima la pagava, mettiamo, a 150 lire al chilo, adesso la pagava 90. Ed anche noi Peruzzi abbiamo detto lì per lì: ‘Vaca boia, come che l’è bravo il nostro Duce’. […] solo dopo ci siamo accorti che se il nostro campo continuava a produrre solo e sempre, mettiamo, i suoi dieci quintali di grano all’anno, e noi sino al 1926 vendendo quei dieci quintali al mercato avevamo preso 1500 lire, dal 1927 in poi ne avremmo prese solo 900. Veda un po’ quanto ci abbiamo rimesso e se è vero o no, che la quota 90 ha ammazzato i contadini italiani […] Noi eravamo tenuti a spartire a metà il raccolto con il padrone. […] Ed eravamo pure tenuti però a spartire le spese. E queste lui – lo Zorzi Vila maladéto – le ha conteggiate tutte in lire. Debiti segnati per anni, e noi convinti di averli già scalati anno dopo anno con una parte del quintalaggio dei nostri raccolti”. [pp.124-5].

    Fu così – osserva ancora il narratore – che i Peruzzi persero tutto, e furono costretti all’esodo nell’Agro Pontino, dove gli furono assegnati due poderi grazie all’intercessione dell’amico Rossoni.

    Così i fascisti, o meglio i contadini emiliani, veneti e friulani, riuscirono in quello che avevano inutilmente tentato i Romani, i Papi e Napoleone: scavare il Canale Mussolini e bonificare la palude pontina.

    La storia dei membri della famiglia Peruzzi prosegue intrecciandosi con le vicende della proclamazione dell’Imperium [al canto di Sole che sorgi libero e giocondo,/sul colle nostro i tuoi cavalli doma: /tu non vedrai nessuna cosa al mondo /maggior di Roma/maggior di Roma!], con le leggi razziali e la II guerra mondiale. E qui finalmente un barlume di coscienza sembra affiorare nei Peruzzi o almeno in chi di loro racconta la storia. Sia pure attraverso Italo Balbo: “Ma siete matti? Ma che vi hanno fatto gli ebrei? In Italia sono più fascisti di noi”. [pp.338-9] e le sue profetiche parole alla vigilia dello scoppio della guerra, solo qualche mese prima di essere abbattuto in volo da ‘fuoco amico’: “Io spero che l’Italia non entri in guerra: voglio ancora avere fiducia nel senso realistico del Duce e mi auguro che non prevalga in lui il demone della megalomania da cui sembra invasato in questi ultimi tempi. Ma se così non fosse, noi saremo sconfitti, cadrà il fascismo, cadrà la monarchia, perderemo le colonie e ci potremo ritenere fortunati se si salverà l’unità d’Italia”.

    Una dichiarazione almeno lucida e onesta, questa di Balbo, amico da sempre degli americani e onorato dagli inglesi al momento della morte avvenuta per tragico errore [?!], per mano di “fuoco amico”. Una dichiarazione nella quale ancora oggi si riconoscono molti italiani che fascisti non furono o che il fascismo neanche conobbero e che rimproverano al duce soltanto “la scelta finale”, senza comprendere che la tragedia veniva da lontano, perché la dittatura, buona o cattiva che fosse, prima o poi ci avrebbe condotto al baratro.

    Sergio Magaldi
    http://zibaldone-sergio.blogspot.com/2011/02/antonio-pennacchi-canale-mussolini.html

    Pubblicato 13 anni fa #
  28. zaphod

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    Fondatore

    Hanno detto a Pennacchi: "Vogliono organizzare un incontro coi marocchini."
    "Quante volte vi ho detto che a Sezze non ci voglio andare!"

    Bon voyage.

    Pubblicato 13 anni fa #
  29. Woltaired

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    Membro

    A Sezze magari no, ma oltreoceano prima o poi...Si comincia con la Manica! ...hunger!

    Pubblicato 11 anni fa #
  30. cameriere

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    Membro

    quano si dice
    pensare bene una risposta

    Pubblicato 11 anni fa #

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