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Canale Mussolini

(382 articoli)
  1. big one

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    Era un po' che mi tenevo dentro la breve storia della mia collaborazione con Antonio Pennacchi per le illustrazioni di "Canale Mussolini".
    Oggi mi sono deciso e la racconto.

    STORIA DI UN'ILLUSTRAZIONE

    "Ma… tu che scuole hai fatto?"
    Comincia così la mia collaborazione con Antonio Pennacchi, con questa domanda guarnita da puntini di sospensione che sembrano lo stile di un cattivo narratore e invece fanno parte del carattere di chi mi stava esaminando.
    "E col disegno tecnico come te la cavi?"
    "Beh al tecnico industriale disegnavo i circuiti elettrici con la china"
    "Ma la prospettiva la conosci?"

    Che conoscessi la prospettiva lo sapeva, aveva visto alcuni miei disegni per altri libri però a quel punto la domanda era obbligata.
    "Vabbè, allora ci vediamo alle sette da Piermario che ti devo parlare." Il preesame era superato.
    Confesso che quando Antonio mi parlò delle illustrazioni per il suo romanzo fui assalito dal timore di non essere all'altezza, anzi, più che dalla preoccupazione fui abbrancato dal terrore: due cartine dell'Agro Pontino prima e dopo la bonifica con vista a volo d'uccello. Consegna in tempi ristrettissimi ("tra tre giorni dobbiamo mandare tutto alla Mondadori").Un cane rabbioso aveva il mio stomaco tra i denti e cominciava a masticarlo.
    Cercai di darmi alla fuga.
    Seduti al tavolo con noi, Piermario e Gerardo Rizzo assistevano ai miei infantili tentativi di rifiuto. Però man mano che Antonio parlava del progetto mi rendevo conto che quella era un'occasione da non perdere e gli sguardi di rimprovero dei presenti ai miei timidi dinieghi confermavano questa sensazione. Prevalse l'ambizione alla paura: accettai e ci salutammo dandoci appuntamento a casa di Antonio dopo cena per definire i dettagli.
    A notte inoltrata, tornando a casa, mi si aprì un conflitto interno tra la parte sicuramente incosciente capace di tutto e quella coscientemente insicura. Lo scontro fu tremendo e non mi fece dormire.
    La mattina dopo avevo la febbre. Avevo somatizzato la preoccupazione? È possibile. Comunque mi misi subito al lavoro seguendo le sue prime indicazioni.
    Nel pomeriggio lo chiamai per fargli vedere un abbozzo.
    "Va bene, l'idea è questa però due cartine così alte nei risguardi non c'entrano".
    Abbassai il punto di vista. Sul web avevo trovato un sito che mi consentiva di manipolare la cartina geografica trasformandola in 3D e di ruotarla lungo i due assi. Questo mi permetteva di mantenere le giuste proporzioni nelle distanze tra i luoghi riportati.
    Per non annoiare chi legge non parlerò di tutti i passaggi fatti nella creazione delle illustrazioni o di quante volte ho ricominciato il disegno per aggiungere o cambiare qualche particolare.
    Antonio è un vulcano di idee e come tale le erutta. Però non ti sommerge subito con la sua lava creativa, ti ricopre poco alla volta:
    "Dobbiamo inserire in un riquadro la sezione delle paludi."
    Il giorno dopo: " Che hai già messo le scritte? Bisogna aggiungere una dicitura."
    La sera: "L'hai disegnata la ferrovia?"
    La notte elaborava altri pensieri: "Mettici anche Roma. E pure Ardea, ma solo gli scavi".
    Mia moglie scherzando mi disse "se va avanti così ti fa disegnare pure le zanzare!". Nel pomeriggio mi chiamò Antonio: "c'è lo spazio per l'anofele?" Lo spazio c'era. Meno male.
    Dopo una settimana avevamo partorito la cartina pre-bonifica. Adesso la dovevo colorare. Usai il pastello per avere poi modo di ritoccare dove serviva.
    Per la pianura scelsi prima un giallo pallido poi un verde scuro. Quando Antonio la vide annuì con un "mmh. Vabbè . Fammene una copia".
    Tornò il giorno dopo:
    "Sto posto sembra troppo ameno! Lo devi rendere più brutto, inospitale. Fallo viola!"
    "Viola?"
    "Proviamo."

    Passai il viola.
    "Ecco. va bene?"
    "Prova un po' un altro colore. fallo… fallo…"
    "Grigio?"
    "Prova."

    Colorai col grigio.
    "Mmh. Vabbè. Ma non lo potevi fa' più… più…"
    "Scuro?"
    "Si, più scuro."

    Cercai di annerire senza calcare troppo.
    "Mmh."
    "Ti piace?"
    "E se lo fai più… più…"
    "Posso provare il blu cobalto"
    "Allora, dai, fallo blu."
    "È ancora ameno?"
    "Mmh. non lo so, io lo volevo più… più…. Ma fa' un po' come cazzo te pare. Ma che me ne frega a me: il pittore sei te. Io so' pure daltonico!"

    Ecco perché aveva voluto la copia: l'aveva fatto vedere in giro facendo un piccolo sondaggio: "che ti pare il colore di una zona depressa?". La maggioranza aveva risposto di no.
    Dopo dieci giorni avevamo finito la cartina pre- bonifica. Alla faccia della consegna in tempi ristrettissimi!
    La seconda cartina ci prese meno tempo ma anche lì le idee gli uscirono distanziate una dall'altra. Però avevo imparato la lezione e ricominciai il disegno una volta sola.
    Alla fine ce l'avevamo fatta. Col podere O.N.C., con la sezione del canale Mussolini e col contadino e il bue che arano la terra redenta. Pure il fascio littorio ho disegnato, che se qualcuno vent'anni fa me lo avesse predetto gli avrei sputato in un occhio: "Vattene via maledetta Cassandra incapace e abusiva."
    Il giorno seguente avevo appuntamento alla Mondadori per la consegna delle tavole.
    Alle dieci e mezzo di sera squillò il telefono. Riconobbi il numero di Antonio:
    "A Ste' dobbiamo rifa' tutto!"
    Il mio silenzio deve averlo intenerito:
    "Sto scherzando! Abbiamo fatto proprio un bel lavoro. Bravo!

    Oggi, a illustrazioni finite e libro pubblicato, devo ammettere che tutto ciò che Antonio ha voluto che disegnassi, non solo - come dice lui - un giorno potrà essere usato dalle maestre elementari per mostrarlo ai ragazzini "Visto com'era e com'è dove c'è adesso casa tua?", ma è diventato parte integrante del suo romanzo.
    Pure la zanzara anofele.

    Pubblicato 14 anni fa #
  2. cameriere

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    un racconto esemplare.

    Pubblicato 14 anni fa #
  3. zaphod

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    L'Ansa ha scelto Canale Mussolini come Libro del giorno, ecco la recensione di Massimo Lomonaco:

    Il 'fasciocomunista' Pennacchi sceglie questa volta i toni della saga in stile Giovanni Verga e costruisce un ritratto (potente) di una famiglia contadina, sradicata dalla sua terra d'origine nella bassa padana (tra Rovigo e Ferrara) e trasportata in terra laziale per popolare terre sottratte alla malaria: le paludi pontine. Uno dei maggiori risultati del fascismo che riusci' laddove avevano fallito in molti - e importanti - nel corso dei secoli precedenti.
    La famiglia - una sorta di condensato delle molte (circa 30 mila persone in tre anni) trasferite a semiforza e ''per fame'' dal Veneto, dal Friuli, dall'Emilia nel basso Lazio - e' quella dei Peruzzi, capeggiati dal carismatico e coraggioso zio Pericle, fascista eterodosso, ma pur sempre fascista, che unisce alla mistica del lavoro un ingegno pronto e uno spirito indomito. Trasfigurata dalla vera famiglia dell'autore, i Peruzzi prendono possesso del podere loro assegnato in una pianura fino a pochi anni prima malsana e ostile, popolata di banditi e reietti. Decisi a reiventarsi tutto cio' di cui sono stati privati nella loro terra d'origine dall'odiato conte ''Zorzi Vila''.
    Il mondo della loro famiglia e' l'eterno universo contadino, con le sue leggi e i suoi valori, ma diverso da quello che incontra nelle ex paludi: da una parte c'e' una societa', ''la cispadana'', molto piu' aperta di quella locale,i ''marocchini''. La prima e' composta da uomini forti, donne indipendenti, volitive (''gonne corte e sgargianti'') che scelgono i loro amanti e non si tirano indietro; la seconda e' chiusa, sospettosa, arretrata, arcigna. In questo incontro-scontro c'e' molto del libro, ma non tutto. A svettare sono i Peruzzi: da Pericle al vanitoso Adelchi, ai fratelli Iseo, Treves e Turati, dal nome legato a vecchie ideologie. Ma soprattutto c'e' l'Armida, moglie del Pericle: vero e proprio perno intorno al quale ruota molto del romanzo. Amante e strega, sempre circondata dalle 'sue' api che le ronzano intorno e le parlano ammonendola nei presagi che non la salveranno, tuttavia, dalla sorte tragica che l'attende. C'e' poi Paride, il nipote prediletto, e che, fedele al nome dell'eroe che porta, sara' causa della sfortuna dei Peruzzi per la sua storia con Armida.
    In mezzo c'e' l'Agro Pontino - solcato dal fecondo Canale Mussolini - le sue citta' sorte dal nulla - come Latina (ex Littoria) che Pennacchi conosce bene - e la Storia delle paludi, simbolo del fascismo vincente con spada e aratro. Poi la caduta del regime, la guerra, la morte, la dispersione.
    Insomma, e' il libro (dedicato al fratello di Antonio, il giornalista Gianni da poco deceduto, e a 'tutti i nostri morti'') per cui l'autore dice ''di essere venuto al mondo''.
    ''Ogni altra cosa che ho fatto, bella o brutta che sia, l'ho sempre sentita - avverte - come preparazione e interludio a questa''. ''Fin da bambino - spiega ancora - ho sempre saputo di dover fermare questa storia - le storie infatti non le inventano gli autori, ma girano nell'aria cercando chi le colga - e raccontarla prima che svanisse, Nient'altro. Solo questo libro''. (ANSA).

    Pubblicato 14 anni fa #
  4. Visto? Voi che ce l'avevate tanto con li monaci...

    Pubblicato 14 anni fa #
  5. zaphod

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    Iniziano anche i commenti su Anobii, questo è di Lolly:

    "Sembra di leggere Strabone, quando si legge Pennacchi che descrive le pianure pontine e te le fa vedere e comprendere. Come i poveri de "Il mulino del Po" acquistano una loro epica con il romanzo di Bacchelli, allo stesso modo i veneti di Pennacchi entrano nella storia della letteratura con il "Canale Mussolini", solo che la terra che così viene creata non aveva nomi e neppure precedenti tradizioni letterarie. In questo libro riecheggiano le voci dei coloni, dei loro genitori e dei loro figli grazie ad un veneto che sta fra Goldoni e l'invenzione letteraria e quindi è più veneto che mai. Insomma un capolavoro."

    Pubblicato 14 anni fa #
  6. Ostrega.
    (Ogni riferimento allo Strega è puramente casuale)

    Pubblicato 14 anni fa #
  7. k

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    Ammazza, ahò. Strabone.
    Forte sto Lolly.

    Pubblicato 14 anni fa #
  8. k

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    Membro

    Camerie', mo' non chiéde chi cazzo è Strabone perchè te damo na zampata alle palle. Vattelo a cerca'.

    Pubblicato 14 anni fa #
  9. Dal libro V° della "Geografia" di Strabone, vissuto in epoca Augustea, si legge quanto segue:

    "6. A 290 stadi da Antium c'è il monte Circeo, che sorge come un'isola sul mare e sulle paludi. Dicono che sia anche ricco di erbe, adattandolo così a quanto si racconta di Circe. Vi è un piccolo insediamento, un santuario di Circe e un altare di Atena; viene anche mostrata una tazza che, a quanto dicono, sarebbe appartenuta ad Odisseo..."

    Pubblicato 14 anni fa #
  10. zaphod

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    Lidano Grassucci su Il territorio:

    Canale Mussolini e il bastardo

    Leggo, o meglio inizio a leggere, “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, edito da Mondadori distribuito da qualche giorno nelle librerie. A dire il vero lo aspettavo questo libro, per curiosità, poi è stato Massimo Passamonti a “ricordarmelo”.
    E, le cose non capitano mai a caso, sento che hanno mappato il genoma di Tutu. Lui è bantù ma gli hanno trovato tracce di una lontana ava boscimane. Bantù e boscimani si odiano da secoli, ma pare si siano, stando al genoma di Desmond Tutu, anche amati e tanto. Confesso: sono nazionalista setino, iperlepino, marocchino di cultura ma nella pancia resto mezzo cispadano, e pure la faccia tengo da cispadano.
    Leggo il libro e trovo il “genoma” della mia gente, i Bergamin. A dire il vero resto basito, sono i racconti della saga familiare che mi faceva nonna Gilda Pagin (nonno Graziano non l’ho conosciuto è morto a Piazza del Quadrato per via di un bombardamento americano che sfiga lo prese in pieno, morto in città lui contadino, morto per mano americana e io amo l’America, boh va a capire), zio Tony. Quella lingua veneta che mi portò al mio primo pianto disperato quando tornato da Sezze al podere noi mi chiede di “tore la carega”, e io giravo a vuoto per cercare questo mostro di carega che non ho mai trovato. Fino a quando nonna mi abbracciò consolando i miei lacrimoni: “la sedia, la sedia. Figlio mio”.
    Quando leggevo i libri di Rigoni Stern e la saga della sua gente di montagna, le terre di Piemone, di Lajolo, di Fenoglio, di Pavese. Insomma racconti di gene e di posti, di storia passata per gente e per posti. Della mia terra niente, come se la storia qui saltasse il raccontarsi, come se non fosse degna di ricordi. Certo i miei canali non erano il Po, quando straripano fanno meno paura perché la terra qua è strappata all’acqua da poco. Qui la gente ha passioni sopite non è di sangue come i personaggi di Giovannino Guareschi.
    Gente che forse ha quella “furia” che esplode nei Peruzzi a sorpresa, contro il fattore o contro gli uscieri. Ho sempre creduto che questo posto sarebbe diventato qualcosa, quando qualcuno iniziava a scriverne. Leggo dei Peruzzi e mi ritrovo. I racconti sono come il cinema: nella Rosa purpurea del Cairo quello del film entra nella vita, che è specchiato quello che fa lo spettatore in ogni film. Sono entrato in questa saga, ho trovato mie cose intime, mie cose da ridere. La fame che Pennacchi racconta è stata la risposta che mi ha dato nonna Gilda quando le ho chiesto: perché sei venuta qui se Piazzola sul Brenta era così bella? E lei mi ha raccontato dei fattori, della fame, delle fabbriche chiuse. “Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati e lì stavano i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini”. Cosa volete mi sono stupito. Mi perdonerà l’autore se ho usato il suo libro per ricordare un mio mondo perduto e l’abbraccio di mia nonna per via della lingua, per via della Babele della mia famiglia bastarda, sospesa, in cerca di un filo perché di fili ne aveva troppi.
    Sono stato di recente a Verona, il tassista che ci accompagnava ci ha guardato: “romani?”. Io: “no, cispadani”. Quello mi guarda e insiste: “da dove venite?”. Gli rispondo: “da qui, ma voi non ci ricordate”. Un bel libro, un libro che andrebbe letto nel Veneto grasso di oggi, nell’Agro pontino vuoto di storie di oggi.
    Grazie Antonio, e questo mio pezzo nulla toglie alla tua grandezza, ma volevo dire che mi sta piacendo.

    L'articolo originale si puo leggere qui.

    Pubblicato 14 anni fa #
  11. k

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    Be', è un bel pezzo anche il suo. Uno dei migliori. Questa, per esempio, m'ha commosso; prima o poi gliela rubo:

    a Verona, il tassista che ci accompagnava ci ha guardato: “romani?”. Io: “no, cispadani”. Quello mi guarda e insiste: “da dove venite?”. Gli rispondo: “da qui, ma voi non ci ricordate”.

    Pubblicato 14 anni fa #
  12. tataka

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    Sopporto a fatica molti editoriali di Grassucci ma quest'articolo ha una dolcezza infinita.

    Pubblicato 14 anni fa #
  13. k

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    Membro

    Dipietrista pentito?

    Pubblicato 14 anni fa #
  14. tataka

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    Membro

    Che c'entra (anzi che c'azzecca) il buon Di Pietro con Canale Mussolini?

    Comunque no, anzi dipietrista sempre più convinto.

    Pubblicato 14 anni fa #
  15. Si passa dai magrelli ai grassucci con sorprendente facilità.

    Pubblicato 14 anni fa #
  16. zaphod

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    Fondatore

    Il fer questa volta segna un punto con classe sopraffina.

    Pubblicato 14 anni fa #
  17. zaphod

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    Pietro Cheli recensisce Canale Mussolini su "Gioia" nella rubrica Il criticone.

    I Promessi sposi a Latina

    Non spaventatevi. Se in seconda superiore avete subito il Manzoni (l'articolo che fa l'autore è d'obbligo) senza appassionarvi vuol dire che ve l'hanno spiegato male. Perché senza quel romanzo, non sareste, non saremmo quello che siamo (nel bene e nel male). Così come in futuro si capirà l'Italia grazie a Canale Mussolini. Non spaventatevi di nuovo (o non indignatevi per lesa maestà), ma questo libro - quello "per cui sono venuto al mondo" come scrive nella prima riga Antonio Pennacchi - costruito con il consueto stile muscolare è un viaggio epico in mezzo secolo della nostra storia. Protagonisti i Peruzzi, contadini trasferiti negli anni Trenta del Novecento da Codigoro alle terre bonificate del Lazio (come i Pennacchi). "Eravamo gli extracomunitari dell'Agro Pontino", sintetizza. Ci sono la fame, la terra, il fascismo, la ribellione, la guerra con i suoi orrori, uno strano dialetto venetopontino, l'insofferenza e la dipendenza verso la chiesa, ma soprattutto c'è la famiglia: "Ci vediamo al prossimo, se Dio ci dà la salute. Amen".

    Pubblicato 14 anni fa #
  18. zaphod

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    Fondatore

    Lorenzo Mondo su La Stampa di oggi:

    Siamo più forti della malaria.

    Antonio Pennacchi ha scritto con Canale Mussolini
    un romanzo che nasce da
    una antica passione, corroborata
    da una doviziosa documentazione
    storico-antropologica.
    Come già nel Fasciocomunista,
    l’autore è interessato
    alla comunità di veneti,
    friulani, ferraresi trapiantati
    nel Lazio meridionale per la
    bonifica delle Paludi Pontine:
    una avventura epica che, oltre
    a nutrire un forte spirito
    di solidarietà tra i pionieri,
    spiega il loro consenso, ben
    più radicato che altrove, al regime
    fascista.
    Fu, negli Anni Trenta, un vero
    e proprio esodo, trentamila
    persone portate in tre anni, con
    le loro povere masserizie, «in
    mezzo a gente straniera che
    parlava un’altra lingua. Ci chiamavano
    “polentoni” o peggio
    ancora “cispadani”. Ci guardavano
    storto. E pregavano Dio
    che ci facesse fuori la malaria».
    Il Canale Mussolini, che
    drena le acque stagnanti, destinandole
    al buon uso dell’agricoltura,
    realizza un’impresa
    che - rammenta Pennacchi
    - non era riuscita ai
    Romani, a Napoleone e a Pio
    IX: nelle terre liberate dalla
    natura selvaggia e dalle febbri
    perniciose sorgono poderi,
    case coloniche e, via via,
    razionali, orgogliose città.
    Al centro della narrazione
    c’è la famiglia Peruzzi, arrivata
    da Codigoro, e la seguiremo
    per mezzo secolo, dagli albori
    del Novecento alla seconda
    guerra mondiale. Il patriarca,
    giunto con una caterva di figli
    a cercare pane e lavoro, è stato
    socialista, per amicizia con
    il corregionale Edmondo Rossoni
    (il futuro ministro dell’Agricoltura).
    Con lui, tramite
    l’interventismo e il marasma
    sociale del dopoguerra, è passato
    al fascismo. La sua è
    un’adesione sentimentale, condivisa
    dalla famiglia, ma uno
    dei figli, già «ardito» nella
    grande guerra, con l’intento di
    dargli una lezione arriverà a
    uccidere un prete «rosso».
    Pennacchi si muove con
    grande agio nella rievocazione
    di quella civiltà agreste (le stagioni,
    le colture, le bestie) e offre
    ritratti incisivi dei tanti Peruzzi,
    tenuti insieme, contro
    ogni avversità, dalla figura severa
    e insieme pietosa della
    vecchia materfamilias. Le loro
    vicende si intrecciano con la
    storia grande, alla quale, rispondendo
    agli appelli del Duce,
    versano un generoso contributo
    di sacrificio e di sangue
    («Non c’era una parte del mondo
    in cui non ci fosse gente dei
    Peruzzi che si stesse giocando
    la pelle»). Assistiamo così alle
    operazioni sui vari fronti di
    guerra, Libia, Etiopia, Spagna,
    Russia fino agli scontri ultimi
    con gli Alleati che risalgono la
    Penisola. Ed entrano in scena,
    con le loro stesse parole, i primattori,
    Mussolini e Balbo, il
    Re e Badoglio... Anche se parlano
    con cadenze dialettali veneto-
    pontine.
    Va spiegato infatti che il
    racconto viene messo in bocca
    a un personaggio innominato
    che si rivolge a un altrettanto
    ignoto interlocutore. Egli rivendica
    con arguzia la propria
    libertà d’espressione, la disinvoltura
    - che nasce talora dalla
    malcerta memoria e dal sentito
    dire - nella ricostruzione di
    fatti e dettagli. Trova qualche
    giustificazione, nella popolaresca
    bonarietà del timbro, anche
    il racconto di eventi assai
    noti, che sembrano quasi un ripasso
    di storia patria.
    [Tagliata una parte della recensione che svelava troppo sul finale N.d.Z.]
    Sgombriamo per i lettori
    l’idea che Canale Mussolini sia
    un libro infido, intriso di cattivo
    revisionismo. L’affetto per
    la propria gente, la fedeltà a
    certi riscontri storici, per
    quanto inamabili, vengono
    temperati in Pennacchi da
    una buona dose di disincanto
    e ironia. Nonostante qualche
    lungaggine e qualche facilità
    nelle argomentazioni, è un romanzo
    di sicura presa, per la
    sapienza della costruzione, la
    ricchezza documentale, la vividezza
    di ambienti e caratteri.
    «Bello o brutto che sia, questo
    è il libro per cui sono venuto
    al mondo»: qui Pennacchi
    magari esagera, ma il suo è
    certo un buon libro.

    Il pdf dell'articolo sull'inserto Tuttolibri

    Sullo stesso numero si parla anche del romanzo di Lorenzo Pavolini

    Pubblicato 14 anni fa #
  19. cameriere

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    Membro

    non leggete il pezzo qua sopra,
    per carità.

    ti dice il finale e parti importanti
    del romanzo.

    ma vaffanculo va',
    zaphod.

    Pubblicato 14 anni fa #
  20. rindindin

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    Membro

    ho dato retta a Cam, ho saltato l'articolo, nn voglio sapere il finale.

    Pubblicato 14 anni fa #
  21. big one

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    Membro

    grazie cam!

    Pubblicato 14 anni fa #
  22. ... pensare che credevo fosse una storia di K e di spada...

    Pubblicato 14 anni fa #
  23. k

    offline
    Membro

    Ha ragione il Cam, Zapho'.
    Censura o nascondi le parti incriminate per favore, evitando così di fregare anche quelli che non erano rimasti eventualmente già fregati altrove.

    Pubblicato 14 anni fa #
  24. zaphod

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    Fondatore

    Fiat voluntas vostra, babies.

    Tagliato il pezzo incriminato.

    Mi sono anche introdotto nelle case di tutti quelli che avevano comprato il giornale sabato e ho sbianchettato parte dell'articolo.
    Poi, per buona misura, ho citofonato a casa di Lorenzo Mondo, mi sono introdotto con l'inganno e l'ho colpito sulle rotule con un tondino di acciaio. L'ho pregato di fare un giro di telefonate tra i suoi colleghi critici letterari affinché non si ripetano più tali incresciosi episodi. Mi è sembrato collaborativo.

    Adesso vado a nanna.

    Pubblicato 14 anni fa #
  25. cameriere

    offline
    Membro

    ecco bravo,
    io mi sono letto
    tutto d'un fiato gli scritti
    di gerardorizzo
    e m'ha preso un ictus.
    ora non mi ricordo più un cazzo.
    tutto cancellato.
    posso ricominciare.

    Pubblicato 14 anni fa #
  26. rindindin

    offline
    Membro

    Mi sono anche introdotto nelle case di tutti quelli che avevano comprato il giornale sabato e ho sbianchettato parte dell'articolo.
    Poi, per buona misura, ho citofonato a casa di Lorenzo Mondo, mi sono introdotto con l'inganno e l'ho colpito sulle rotule con un tondino di acciaio. L'ho pregato di fare un giro di telefonate tra i suoi colleghi critici letterari affinché non si ripetano più tali incresciosi episodi. Mi è sembrato collaborativo.

    mi sono ammazzata... dal ridere!

    Pubblicato 14 anni fa #
  27. urbano

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    Membro

    Get the Video Player

    Pubblicato 14 anni fa #
  28. rindindin

    offline
    Membro

    grande film...

    Pubblicato 14 anni fa #
  29. zaphod

    offline
    Fondatore

    Ancora Lidano Grassucci su Il territorio:

    Canale Mussolini e la maledizione del silenzio

    L’Italia l’anno prossimo farà 150 anni. Meglio lo Stato italiano farà un secolo e mezzo, l’Italia come nazione è cosa diversa. In questo tempo si ragiona di identità, di storia e di percorso comune. Ci stiamo interrogando, come comunità, sulle nostre radici. Fa bene questo esercizio, a Torino stanno riprendendo l’orgoglio dell’inizio. Certo che nella capitale sabauda sono fortunati (in senso machiavellico) perché hanno dato i natali all’Italia, all’auto, al telefono, al cinema, all’elettronica, al servizio radiofonico e… potrei continuare.
    Dico questo perché dalle mie parti non si ricorda mai niente, mai. Non c’è nessun ricordo, niente, come se tutto fosse scivolato via. Le case sono senza memoria, le strade nostre di storia non sono neanche “colte”: c’è via D. Alighieri, via N. Bonaparte che potrebbe incrociarsi con via C. Malaparte e sarebbe un bel quartiere del destino sempre cinico e baro. È una città, la nostra, quasi senza monumenti o con statue bianche anonime. Viviamo in una specie di plastico di qualche anonima facoltà di architettura con i lavori di incerti studenti. Certo qui mica trovi Pietro Micca, non c’è Giovan Battista Perasso detto Balilla, non c’è Oberdan, ma c’è una storia, c’è un percorso, c’è una vita.
    Continuiamo a girare tra anonimi pezzi di città che chiamiamo Tribunale, Prefettura, Comune, Opera Balilla, li definiamo per funzioni non per memorie. Abbiamo paura delle nostre memorie, come se ci vergognassimo di questo posto che ci è toccato in dote. E non vogliamo ricordare, abbiamo paura del nostro passato. Abbiamo paura di essere stati contadini, di essere stati coloni, di avere rimosso gli alberi secolari della palude per seminare tenero e stagionale grano. Temiamo il confronto con il nostro passato. Il Comune ha annunciato con manifesti l’arrivo delle selezioni di “I raccomandati” di Rai 1; ha messo in evidenza le grazie della Marini. Invece non ci sono neanche sulle vetrine delle librerie le pile di “Canale Mussolini” di Pennacchi, non c’è un segno del libro. Come se Milano si vergognasse dei Promessi sposi, provasse ribrezzo dell’amore di Renzo e Lucia. Non una parola, non un segno in questa periferia distratta.
    Poi tutti amano Latina, l’Agro Pontino. Resto del mio avviso questa terra, la mia terra, è puttana ne godono tutti di notte, la negano tutti di giorno. Sono cispadano-setino, come mi ricorda Pennacchi, e non ho altra terra che questa e per questo sono offeso dal silenzio che c’è intorno a questo libro qui da noi anche se la “mattina sogno che non ci sia più Latina”.

    Pubblicato 14 anni fa #
  30. zaphod

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    Su L'arena.it quotidiano di Verona.

    E la Padania scese nell'ex palude. Storia da romanzo

    Sono migliaia i veneti, i ferraresi e i friulani che nei primi anni Trenta si trasferiscono nell'Agro Pontino. È una sorta di esodo biblico di povera gente trasportata, con i camion della Milizia e con i treni, nelle terre redente dalla bonifica. Succede anche ai Peruzzi, una famiglia, ma forse sarebbe meglio dire un clan, visto che si tratta dei genitori e di 17 figli. Mezzadri che per fame hanno lasciato il Ferrarese. Le loro vicende, sia anteriori che successive all'esodo, vengono raccontate da Antonio Pennacchi in un romanzo edito da Mondadori che già nel titolo rimanda a una delle opere più importanti realizzate dalla bonifica.
    I Peruzzi, precisa Pennacchi nella prefazione, sono un parto della sua fantasia. Ma non esiste nell'Agro Pontino nessuna famiglia di coloni «a cui non siano capitate almeno alcune delle cose che qui capitano ai Peruzzi. In questo senso e solo in questo senso», conclude l'autore, «tutti i fatti qui narrati sono da considerarsi rigorosamente veri».
    Dalla sapiente miscela di personaggi ed eventi veri con quelli nati dalla fantasia esce un profilo della bonifica e di mezzo secolo di storia italiana. Storia nella prospettiva dei coloni, emigranti in patria che hanno criteri di giudizio spesso divergenti da quelli degli altri italiani. Un piccolo ma significativo esempio sta nel comportamento di una delle protagoniste nell'immediato dopoguerra. Quando si comincia a celebrare la Resistenza, le capita di essere presente a una di queste cerimonie e in dialetto (un impasto veneto-emiliano con influenze laziali) commenta: «Anca nantri aghemo fato 'a resistensa».
    E indicando il marito, che avendo capito dove andrà a parare cerca di farla tacere, aggiunge: «Me mario qua, el gà sparà a ripetission contro i mericàn». Alla fine, il marito riesce a trascinarla via e fa cenno, con la mano chiusa e il pollice aperto, che la devono scusare perché ha bevuto troppo. In realtà, le schioppettate dei coloni contro gli Alleati, dopo lo sbarco di Anzio, ci sono state, perché molti di loro, sentendosi beneficati dal fascismo, considerano nemici gli Alleati. Per lo stesso motivo, quando il 25 luglio 1943 Mussolini viene messo da parte, nessuno a Littoria si mette a scalpellare i fasci, come avviene nel resto d'Italia, e dopo l'otto settembre diversi giovani si arruolano nell'esercito della Repubblica sociale, per convinzione e non per il bando Graziani.
    Fascisti dunque, compresi i Peruzzi. Ma fascisti a modo loro, più per il loro vissuto che per scelta ideologica. Il capofamiglia Peruzzi, quando ai primi del Novecento vive e lavora nel Ferrarese, è socialista sia perché è povero, sia perché è amico di Edmondo Rossoni, sindacalista rivoluzionario.
    Sarà poi la prima guerra mondiale a cambiare tutto, e, come Rossoni, anche alcuni dei Peruzzi aderiranno al fascismo.
    E sarà proprio Rossoni, divenuto importante, a offrire loro la possibilità di trasferirsi nell'Agro Pontino, dove i Peruzzi finiranno per trovare una sistemazione accettabile. Ripagheranno Rossoni, aiutandolo quando sarà condannato a morte dai fascisti e all'ergastolo dagli antifascisti.
    Come si vede, le vicende della storia trovano ampio spazio nel libro, senza moralismi e con ampio ricorso all'ironia. Un ruolo centrale viene riservato alle vicende della bonifica, alla vita quotidiana dei coloni, alle fatiche del lavoro, ai sentimenti e alle passioni. Senza dimenticare i contrasti con la popolazione locale: cispadani (o polentoni) da una parte e «marocchini» dall'altra.
    Per quanto riguarda gli aspetti stilistici e il valore letterario, molto elevato, rimandiamo il lettore al libro. Di una ricerca storica, scritta in modo piano e con vivacità stilistica, si usa dire che la si legge come un romanzo. Si può affermare lo stesso, a fattori invertiti, di questo libro: un bel romanzo che ci aiuta a capire cinquant'anni di storia

    Emanuele Luciani

    L'articolo originale.

    Pubblicato 14 anni fa #

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