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Canale Mussolini

(382 articoli)
  1. mr_why

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    http://blog.panorama.it/libri/2010/03/30/antonio-pennacchi-il-mulino-del-canale-mussolini/

    Antonio Pennacchi: il Mulino del Canale Mussolini

    di Pietrangelo Buttafuoco

    Un errore blu e l’onta del luogo comune fare di Canale Mussolini, l’opera ultima di Antonio Pennacchi (Mondadori, 460 pagine, 20 euro), un libro fra i tanti del revisionismo.
    Nel nuovo romanzo dello scrittore di Latina, infatti, c’è solo il magnificat della vera letteratura. C’è un’epica storicamente a noi vicina eppure percepita lontana, ma per cecità obbligata, speculare al revisionismo: l’esorcismo ideologico a ogni costo. Fosse pure per pagare il prezzo dell’oblio d’ogni nostra radice: sociale, culturale e spirituale.

    Neppure un secolo fa un largo pezzo di territorio nazionale veniva restituito alla vita dopo infiniti secoli di maligna fanghiglia e palude. Una fatica titanica di tecnica, uomini e genio premiava la speranza di proletari giunti (è l’esempio di Canale Mussolini) dal Veneto e diventati coloni armati di vanga ed eucalipti idrovori da piantare ovunque albergasse uno stagno.

    È il ritorno del romanzo italiano alla grandezza questo di Pennacchi. Non c’entra il fascismo in queste pagine. Che sia stato Benito Mussolini a redimere le Paludi Pontine è solo un dettaglio. Sono le storie di donne e uomini a rendere viva la carta di questo libro.
    L’autore ha stampato col sangue del suo inchiostro un tributo dovuto alla sua gente. E come ogni vera fatica di letteratura, il più specifico dei dettagli, dalla ballata a gamba lesta delle donne al silenzio di una parola inghiottita di rudi uomini, si spalanca nella magnifica offerta universale dell’emozione: si ride, si piange, si ascolta, si guarda come solo nella letteratura si può riuscire a nutrirsi di umorismo, di commozione e di ammirazione.

    E di partecipazione infine: come nelle storie d’amore, come nelle cantate dove perfino le scarne stoviglie contadine arredano un lusso altrimenti inespresso, lo sfoggio di un’umanità feconda. L’unico paragone che rende giustizia a Canale Mussolini è Il Mulino del Po di Riccardo Bacchelli.

    Per luogo comune tanti credono di trovare in Pennacchi l’ossessione per la palude. La tentazione di chiudere il tutto secondo lo schema di un teatrino di famiglia risulta facile a chi ancora vuole dare a quest’autore una casella di facile conio. Pennacchi è già importante con Mammut, Palude e con il best-seller Il Fasciocomunista (da cui il film Mio fratello è figlio unico, con quel meraviglioso Gianni, suo fratello appunto, indispettito per essere stato impersonato nella pellicola da Riccardo Scamarcio: «Io so’ più bello». Un’affermazione certificata da esibita foto).

    Non deve essergli comminata nessuna casacca: Pennacchi, che per fatti suoi è malato di politica (è, infatti, iscritto al Pd) e uno che non le manda a dire neppure a sinistra (proverbiali sono le sue infuocate assemblee), è uno scrittore nel senso alto della definizione. Magari per quel suo essere forgiato nella smagliante creta di Littoria (il vero nome di Latina), adesso che sempre più voci lo danno come possibile candidato al premio Strega, ancora più che con la giuria tartufesca Pennacchi dovrà vedersela con gli acquitrini dei luoghi comuni.

    Qualcuno può equivocare sulla destra e la sinistra, non si sa mai. Cominciassero a comprargli le vetrine delle catene Feltrinelli, quelli della Mondadori. Investano in promozione e magari lo portino nel salotto buono dei Fabio Fazio, perché su ogni cosa vale il teorema di Michele Serra: «Sono doppiamente sfortunati gli scrittori di destra: i lettori di sinistra li ignorano perché non leggono gli autori di destra, i lettori di destra, invece, non leggono».

    Pubblicato 15 anni fa #
  2. Qualcuno spieghi ad Emanuele Luciani che non si scrive: non esiste nessuna famiglia, ma: non esiste alcuna famiglia. Sono gravi disattenzioni che diseducano il malcapitato lettore.

    Pubblicato 15 anni fa #
  3. zaphod

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    Cecilia Moretti intervista Antonio Pennacchi per FareFuturo Web Magazine:

    Pennacchi: «Passa il tempo,
    ma l'uomo è sempre lo stesso»

    di Cecilia Moretti

    Dall’Msi ai marxisti-leninisti di Servire il popolo, dal Psi, alla Cgil, alla Uil, al Partito comunista italiano. Antonio Pennacchi, figlio di veneti giunti nell’Agro Pontino per la bonifica, per quarant’anni ha lavorato come operaio a Latina. Poi basta, si è messo a fare lo scrittore. Anzi, a raccontare storie. Perché a un certo punto ha capito che è questa era la missione della sua vita, questa la ragione per cui era venuto al mondo. Nel suo ultimo libro, Canale Mussolini, racconta la storia della famiglia Peruzzi e del suo intersecarsi con quello dell’Agro Pontino. Ce ne parla un po’.

    La storia della famiglia Peruzzi ricorda molto quella della sua
    I Peruzzi sono una famiglia che se ne va dalla sua terra d’origine nella bassa padana e approda in quella laziale per popolare terre sottratte alla malaria: le paludi pontine, uno dei maggiori risultati del fascismo. Questo il percorso anche dei miei avi: nel libro racconto il mio territorio e il mio popolo.

    Come mai ha scelto questa storia?
    È diverso, non sono io che ho scelto lei, è lei che ha scelto me, io sono diventato scrittore perché dovevo scrivere questa storia. Io non sono uno che va in giro in cerca di storie, sma ono le storie che mi vengono a cercare. Fin da bambino sapevo che dovevo scriverla questa storia. Che ci posso fare? Io sono nato e venuto al mondo qua e da sempre ho sentito queste storie, e le dovevo raccontare, non potevo fare altrimenti: quelle dei miei parenti, quelle dei vivi e quelle dei morti. E quando pensavo che qui prima era tutto sott’acqua, poi i nostri antenati sono venuti giù dal nord, hanno lottato, sofferto, conquistato e hanno bonificato questa terra, sentivo che era una storia che andava racconta, perché se no sarebbe andata persa, per sempre. Quando, attorno ai dieci anni, a scuola, ascoltavo le storie dell’Iliade e dell’Odissea, pensavo che quei personaggi lì non erano stati gli unici eroi dell’umanità, ma erano sopravvissuti al tempo perché qualcuno li aveva raccontati. Così, io dovevo raccontare i miei grandi, che erano stati dei giganti. Il mondo è pieno di storie, pensi solo a suo padre, a sua madre, ai suoi nonni: ogni vita pullula di storie, gesti di eroismo e di altruismo, azioni di cattiveria e di egoismo. Ogni essere umano che si affaccia al mondo è una storia epica, una conquista del mondo, ogni vita è un romanzo. Ma se nessuno le racconta, le storie si perdono e il compito della mia vita è evitare che le storie della mia famiglia e della mia gente, quelle dell’emigrazione veneta in Agropontino e della bonifica di quelle terre, vadano perse.
    Quindi, quella dei Peruzzi non è esattamente una storia inventata…
    Le storie è scemo chi si mette a inventarle con la testa, quando invece basta che le raccolga con il cuore. I miei romanzi non hanno scaletta perché non vengono dal cervello, ma si dipanano dalle viscere. Certo, poi, cronaca e letteratura sono due cose diverse e in un romanzo i fatti si mescolano e impastano, un po' si inventano. Nel libro lo scrittore dà il meglio di sé, perché racconta i fatti con parole pensate e ripensate e deve identificarsi completamente con i suoi personaggi, facendo vivere al lettore le loro emozioni e i loro sentimenti.

    Nel libro narra di un universo contadino, con le sue leggi e i suoi valori. Sono molto diversi da quelli di oggi?
    In realtà io non parlo di leggi e di valori, io parlo solo di storie, di vite vissute, di fatti.
    Però, le azioni di ogni essere umano nascondono tanto altro e l’essere umano e la storia dell’uomo non cambiano mai, mi creda. Pensi all’eroismo di una famiglia che lascia la sua terra per cercare un futuro migliore altrove e pensi, analogamente, a quanto eroismo c’è in un senegalese che si fa il suo fagotto e si mette su una barca mal sicura per venire in Sicilia e conquistarsi un pezzo di pane e far star meglio i suoi bambini là, nella sua terra. Pensi a quanto eroismo ci vuole per lasciare la propria casa e andare all’avventura lontano. Poi, pensi, allo stesso modo, a quanta malvagità ci vuole, quando sei dentro la barca e - o muori tu o muore lui - prendi l’altro e lo butti di sotto. Questo è l’uomo da sempre, sempre lo stesso. D’altronde, per convincersene, basta leggere le pagine degli antichi.

    Descrive anche l’incontro di due società, quella cispadana e quella autoctona, dei cosiddetti “marocchini”…
    Chi l’ha detto, questo? Non è così. Non sono due società che si incontrano, ma mondi diversi. Non due, di più. Già il gruppo di partenza non aveva un’identità unica e precisa, poi la gente che è andato a incontrare era ancora più diversa: così avviene l’incontro-scontro.

    Anche il rapporto con l’altro è storia che si ripete?
    Direi che la risposta è sotto gli occhi di ciascuno, chiunque la può leggere nella propria storia.
    I conflitti e l’egoismo, per esempio, sono quelli di sempre. Così, resto senza parole quando penso a come ci comportiamo noi veneti – dico noi perché io parlo romanesco, ma penso in veneto, il mio sangue viene da là – : abbiamo popolato non solo l’Agro Pontino, ma l’intero pianeta. Ci sono veneti in Argentina, in Venezuela, in Brasile, in Canadà, in Nord America, in Australia, i miei parenti veneti son dappertutto, e poi guardi un po' come ci comportiamo. Ci sono più veneti in giro per il mondo che dentro il Veneto, siamo andati a rompere le scatole ovunque, e ora guai a chi viene da noi. L’ultima volta che sono andato a Rovigo, la mia città d’origine, c’erano in giro i manifesti “padroni a casa nostra”. Noi a casa degli altri ci siamo potuti andare, gli altri a casa nostra non ci possono venire? Ma per carità, mi venisse un colpo!
    L'intervista sul sito ffwebmagazine.

    Pubblicato 15 anni fa #
  4. zaphod

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    Sarebbe stato bello leggere cosa avrebbe scritto di Canale Mussolini. Magari pare solo a me, ma comunque ne parla in questa recensione datata 19 aprile 2003.

    storia di accio prima missino poi comunista

    di Enzo Siciliano

    Il punto di interesse di Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi (Mondadori, pagg. 346, 16,80 euro) è per me del tutto storico, se per qualche altro sarà politico. Protagonista - dice «io» questo protagonista, un «io» sfogato, gergale, dettato nella lingua burina di Latina, e il suo nome è Accio Benassi - , protagonista è un ragazzo missino che è missino prima del '68 e poi, sempre studente, tutto eskimo e autostop, finisce sulla sponda opposta, rosso extraparlamentare, e ci finisce senza sapere perché - , magari perché gli è capitato di innamorarsi d' una ragazza di Milano figlia di un operaio che a mezzogiorno torna a casa a mangiare con l' Unità sotto il braccio. Detta così, la cosa può apparire semplicistica e persino infima. Non lo è per niente. Accio Benassi è un piccolo piccolo-borghese che ama menare le mani, che può tenere in tasca un coltello a serramanico o una catena fatta apposta per picchiare - e una volta ci ha anche picchiato un ubriaco che lo sfotteva accusandolo di fascismo. Legge qualche libro a casaccio; incrocia Delle Chiaie, Michelini e Pasolini, e scopre che sono persone «squisite». Epperò si incanta della propria brutale vitalità perché non sa cos' altro lo possa profondamente incantare, forse le ragazze, la carne delle ragazze. Ma è anche animato da uno sprezzo belluino per chiunque, difatti non ci vuole niente a provocarlo: ed esplodono casini. Appunto, è uno che attizza casini, ci si mette in mezzo e si domanda a giaculatoria: ma chi me l' ha fatto fare? Eppure fa, continua a fare. Scivola nel più assurdo e paranoico dei tranelli che può tendere a se stesso: impenitente, ci si ficca sempre dentro. Personaggio simpatico? Se ne può discutere. Però, personaggio vero, verissimo - come pochi. L' ira piccolo-borghese, spanata, rissosa, tutta vocale, sanguigna non di vene ma per capillari schiantati a fior di pelle, gli italiani non l' hanno mai saputa raccontare. A me sembra che Pennacchi ce l' abbia fatta, forse perché viene da quella terra a corto raggio storico, dove il fascismo è stato egregio benefattore, ma anche un lampo che ha lasciato poi tutti a culo nudo per terra. Ricordo un altro romanzo di Pennacchi, intitolato Palude: la storia di un sogno, una stramba allegoria, intrisa, come in questo Fasciocomunista, di cronaca minuta, di risse zozzone e impietose. In quel sogno c' era proprio Mussolini che attraversava di notte in motocicletta, una diceria, lui un fantasma, le paludi pontine bonificate lasciandosi dietro una rombante scia di vanagloria. La Storia in Pennacchi riesce a diventare un fantasma sottotraccia. Qui il sottotraccia sale anche in superficie. Accio "fasciocomunista", lo dice chiaramente a se stesso, è un anarchico. E il suo anarchismo si svolge per esuberanza, per scatto di muscoli spesso a vanvera. Muscoli o cervello scattati a vanvera per battagliare nel gusto astratto di una lotta che può essere indifferentemente di cazzotti (e sangue) o di concetti, sempre azzerando tutto, perché l' intero lascito del passato venga ridotto a cifre d' energia meramente negativa: così è andata avanti, con i risultati cui assistiamo, la storia d' Italia, per la generazione che proprio intorno al '68 aveva vent' anni e ha voluto per lo più violentemente affermare la propria indifferenza verso ogni valore in nome di un solo valore, la parola anarchia, dichiarata o rimossa, e che dell' anarchismo tradizionale, connotato di filosofica pietà, non aveva nulla. Insomma, Accio "fasciocomunista", più che un "comunista", è un "fascio" della prima ora, un vitalista per il quale il verbo «fregarsene» sigilla un imperativo morale: pure se la lotta politica - e qui torna il '68 - avrebbe potuto trasformare la cruenta divisione fra neri e rossi in una solida unità di fatto, tante furono le migrazioni dal primo fronte all' altro. Ma intervennero, racconta Pennacchi, le «guardie bianche del capitale», Almirante e i suoi, proprio all' Università della Sapienza, a spaccare tutto e a salvare intatto per il futuro un conflitto incancrenito. Non so se questa interpretazione di quegli anni cruciali sia giusta o di fantasia: un fantasma di interpretazione come fantasma è il Mussolini che corre in motocicletta per le pagine di Palude. Ma il nuovo romanzo di Pennacchi si nutre di questa idea, e il suo Accio Benassi, casomai, è comunista a causa di questa, come chiamarla?, "forza maggiore": ricacciato a sinistra, ci rimane. Poi, da ragazzo che era, cresce: la lotta prosegue, e si fa sempre più cruenta. La vicenda lambisce gli anni del terrorismo: se i neri si fecero rossi, i rossi si fecero neri nel comportamento, e con risvolti drammatici. Accio Benassi attraversa le macabre convergenze degli opposti estremismi, finché torna là da dove era partito. Era partito ragazzino per il seminario, ne era scappato, ma proprio in un convento va a riparare alla conclusione della peripezia, terrorizzato dalla morte di un fratello "rosso", in cerca di un' assoluzione che otterrà per affrontare una vita più matura. Santa Madre Chiesa, lo sappiamo, sa rigovernare i piatti sporchi della grande famiglia italiana. La qualità del romanzo sta nell' accensione picaresca, in un colore di perpetua e comica avventura, che lo spalma riga per riga tingendo la bocca di Accio in ogni parola pronunciata. Raramente l' oralità pura è diventata ragione di romanzo come nel Fasciocomunista, con tutte le sovrabbondanze e le iterazioni utili a un ritratto d' uomo il cui fondo è quanto di più ossessivo e risibilmente sghimbescio si possa concepire. Ma, ripeto, la letteratura testimonia anche la Storia, e in questo caso vediamo in trasparenza e stampata nitida l' origine di manovalanza, maleodorante, di certa nostra "destra di governo", incrociata a quella, confusa in una torbida eterogenesi dei fini, di certa nostra sinistra in perenne e stregata rivolta.

    da repubblica.it

    Pubblicato 15 anni fa #
  5. zaphod

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    Su Il riformista di oggi (la trascrizione in romanesco secondo me non rende giustizia):

    Intervista ad Antonio Pennacchi - Pennacchi: "Il mio inutile voto al Pd nella Latina del fasciocomunismo"

    di LUCA MASTRANTONIO

    Antonio Pennacchi, cantore dell'epica fascista dell'agro pontino con lo straordinario romanzo Canale Mussolini (Mondadori), è il cittadino più noto di Latina, già Littoria, marmoreo polmone di destra che ha fatto vincere la Polvermi. Lui, per , ha votato Emma Bonino e ai capi del Pd, D'Alema e Bersani, vorrebbe dime quattro (Vendola e Veltroni vorrebbe mandarli a «lavora'»). Le riportiamo in dialetto, perché altrimenti Pennacchi si incazza («te vengo sotto!»), dandogli del tu («er lei lo dai a qualcun'altro») con il cognome, come i compagni («come te chiami tu, de cognome?»).

    Gli chiediamo un commento sulle ultime elezioni, per chi ha votato e cosa pensa dell'esito del voto. «Ho votato per Emma Bonino e Domenico Di Resta... - ci racconta al telefono - ma mi piace la Polverini. So' due belle figure de donna, tutte e due. No? La Bonino è n cararmato, la Polvermi è na bella capa, a me m'è dispiaciuto quando s'è candidata, volevo che restasse ner sindacato, a fa' l'unità der sindacato che da quando nun ce so' quelli bravi è un disastro.. .ma nun me fa' parla' de politica che poi me scordo o Strega... perché la Mondadori s'encazza».

    Ripartiamo allora: parliamo del libro Canale Mussolini, che racconta di come il Duce ha bonificato l'agro pontino, dando lavoro e casa a migliaia di affamati del nord-est, con Littoria, per esempio, che oggi si chiama Latina. E un voto dalle radici fasciste? «Che te devo di': qua, in sei mesi, s'è fatta na città, quape' ffa a Pontina semo in ballo da 15 anni. Te pare che quarcosa de bbono er fascismo n'ha fatto?» Un voto nostalgico? «Er fatto è che a sinistra nun è pi progressista. La sinistra dice che a bonifica è stata un ecocidio? Capito? E-coci-di-o. Bersani - pausa - Bersani che voti te poteva pija' qui per er piddì se quanno è venuto qua l'ha portato davanti aalla centrale nucleare pe faje dì che nun si deve riapri'... ma allora vatela a pii are... eccerto che gli operai e i disoccupati votano Berlusconi o Lega... se la gente è messa alle strette preferisce affidarse alla guida d'un criminale che non a na manica di teste de'... legno».

    Votando Bonino a Latina non ti senti un puntino rosso in mezzo ai neri del Pdl? «Guarda che a Latina i fasci so' di sinistra... Susa... chi è l'unico difensore della democrazia oggi?» Napolitano? «See... è Fini... E sai perché?» Perché fa la fronda a Berlusconi? «Macché stai a dì, perché è fa- scio, era fascio. Lui sa che avendola buttata gi , a democrazia dico, eh, i fascisti hanno sbajato. Bisogna mantenerla, la democrazia. Almirante che diceva? To' dico io. Diceva sempre: noi questa Costituzione, non l'abbiamo fatta, è contro de noi, ma noi la accettiamo fino in fondo. So' fasci del 2000. Invece, sti liberali de destra no, vogliono dare colpi alla democrazia, la democrazia che sta male perché è figlia della Costituzione albertina... Ecco perché la sinistra se deve sede' ar tavolo con loro, perché senn le riforme le fanno da soli. Diamogli er presidenzialismo, ma chiediamolo alla francese, cor doppio turno, distanziando elezioni presidenziali e legislative. E il sistema? Maggioritario, che quello proporzionale fa schifo. Ah ! Se perde il rapporto cor territorio... poi se lo prende la Lega, il territorio voglio dire. Un tempo e salsicce le cucinavamo noi, alla festa dell'Unità, ora se e cucinano alle sagre da' Lega. La riforma della giustizia... - Pennacchi prende una pausa - a riforma d& giustizia tutti sanno che Berlusconi a vuole fa' per non finì in galera. Per pe' faccelo anda' volemo blocca' a riforma? Non vogliamo, piuttosto, la divisione dei *** Bonino fascio, poteri? Non vogliamo ferma' i magistrati che fanno politica? Ma nun me fa parla' de politica.., che poi o Strega m'ho sogno».

    Davvero? Una vittoria di Canale Mussolini allo Strega sarebbe pi che gradita daAlemanno. «Ma che stai a di', Alemanno che ne sa dei libri... sa de' palestre... i fascisti non leggono i libri, vanno in palestra». Preferiva Veltroni? «Oddio, andasse a lavora'. C'ha portato Di Pietro... che è peggio de' Berlusconi, e gli altri che c'hanno fatto perdere. Noi avevamo vinto le elezioni con Prodi, no? E dopo 2 anni dice che nun è bbono a governà e se deve chiamà a quell'artro? Chi l'ha fatto cadere Prodi? Ferrero, Bertinotti, gli amici di Veltroni... Veltroni c'ha portato Di Pietro, chi ha rotto er cazzo a Mastella? Ora dobbiamo stà dietro a Grillo? A Travaglio? Non lo deve caccia' Berlusconi, lo dovevamo caccia' noi, Travaglio in tv ci fa perdere 5Omila voti a botta».

    Cosa fare? «Tornare a Togliatti. Io sono marxista-leninista, con l'età divento togliattiano, serve l'unità nella diversità, lo dovemo capi'... Se prendiamo i voti ai Paroli e loro li prendono in borgata, qualcosa non funziona. Non è colpa del popolo, che è sovrano. La sinistra deve riscoprire e magnifiche sorti e progressive, dell'industria, il nucleare. Senn è robba da WWF la sinistra. Dice no ar nucleare, alla Tav... e come sfama le masse? Co' e pojane e zanzare che c'erano prima?».

    Leggi l'articolo su Il riformista

    Pubblicato 15 anni fa #
  6. Il vero problema non è il prendere i voti ai Parioli e non nelle borgate, ma il voto di scambio. Che ovviamente, con la crisi che c'è, economica ma soprattutto valoriale, trova terreno fertile proprio nelle aree dove la gente cià tanto bisogno de lavorà et similia. La verità, tristissima davvero, è che per un poverocristo è tanto, tanto difficile dire di no a chi gli promette vantaggi concreti tipo "Te sistemo tu' figlia...", "Te faccio avé la casa popolare..." etc. Ripeto: è una logica tristissima. Come l'Italia del 2010, ferma da 15 anni e forse più. "Facciamo le riforme!". Quante volte l'abbiamo sentita? Il vero problema è: "Come si ferma il voto di scambio?". "Do ut des.", dicevano quelli. Era vero, mannaggia la miseriaccia ladra.

    Pubblicato 15 anni fa #
  7. Quindi, Fernando Bassoli, per lei uno che non cià i soldi non può avere delle sue idee. Subito mette in vendita il proprio voto, e quello dei suoi figli, al miglior offerente. Pasoliniano come pensiero. Reazionario, quindi.

    Pubblicato 15 anni fa #
  8. urbano

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    Tanti anni fa, quando ancora c'era la prima repubblica, un amministratore di Cisterna di area socialista fu portato in tribunale perchè un cittadino denunciò la sua politica clientelare, all'epoca si chiamava così.
    In pratica questo politico chiedeva voti in cambio di una strada: voi mi votate e io ve la rifaccio tutta nuova.
    A quel cittadino non gli andava giù questa pre potenza e lo denuciò con grande scandalo sui giornali.
    All'udienza il Giudice domandò: dunque lei per conseguire i voti offrì in cambio la realizzazione di un opera pubblica?
    Sì! rispose il tizio.
    E non le pare quanto meno strano comprare così i voti dei cittadini?
    Mmhh, sospirò il politico.
    E poi, la fece questa benedetta strada?
    Lo incalzò
    No.
    Il Giudice stava per dire qualcosa ma il tizio concluse
    Signor Giudice, se ne dicono tante sotto elezioni, mica è vietato promettere, se poi uno ci crede che è colpa mia?

    Pubblicato 15 anni fa #
  9. k

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    Sì, questa è carina.

    Pubblicato 15 anni fa #
  10. Genesis

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    Però Fer ha ragione, molte persone con difficoltà economiche sono convinte che votando questo o quel politico le cose possano cambiare in meglio nella loro vita o in quella dei propri figli. E' un'illusione, perché quasi mai chi viene eletto mantiene le promesse fatte. Questo non vuol dire non avere ideali o vendersi... ma è anche vero che è un modo di arrendersi a chi, in teoria, ha il potere di cambiare la triste e schifosa realtà che li circonda. Gli Italiani hanno un grande difetto... quello di sognare e di dare troppa fiducia. Si illudono che qualcosa possa cambiare solo grazie ad un semplice voto di favore, ma ancora in molti non hanno capito che qualcosa cambierà solo per chi decideranno loro, come figli, nipoti, cognati, conoscenti... in una sorta di circolo vizioso dal quale se non ci decidiamo a fare qualcosa non ne usciremo mai; e di certo nulla cambierà per le povere persone che "vogliono" credere alle loro false promesse per la disperazione. Ma questo non vuol dire non avere idee come dice torque. Le idee ci sono, solo che per necessità un elettore è quasi costretto a credere in qualcosa che possa cambiare il proprio modo di vivere in meglio. E' un discorso complesso ed è alla base di tutto la politica sbagliata che c'è in Italia. E non si vendono solo le persone povere, in un certo qual modo ci vendiamo tutti... perché non c'è nessuno in grado di fare politica in Italia, i politici italiani andrebbero tutti cambiati... bisogna rinnovare. E dobbiamo deciderci a fare qualcosa perché questo sia possibile. Nessuno merita voti.

    Pubblicato 15 anni fa #
  11. k

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    Ma andate a quel paese. Il vostro si chiama puro e semplice sfogo passivo sentimentale di fronte al reale, senza alcunissima capacità/volontà di uno sforzo critico interpretativo a livello razionale. Il reale non è semplicemente bello o brutto, in cui a un'ameba come voi non tocchi altro dal cinico destino che accettarlo o rifiutarlo, punto e basta. Ma che siete, criceti in gabbia? Il reale è complesso, è "complessità", ma solo se un uomo si rende conto di questo e cerca di interpretarlo ed agirlo in quanto tale, assolve al suo dovere di uomo - non "anima bruta" - e può tentare di modificarlo. Smettete di partire costantemente dalla sfiducia, smettete fare le lagne e di dare sempre tutte le colpe agli altri. Levatevi il gesso e le stampelle dal cervello, dategli aria a quel coso, portatelo a fare quattro passi, guardatevi intorno, apritevi agli altri, accoglietelo a braccia aperte il reale, e lei per primo Fer. Se è depresso si faccia curare, ma non stia ad infettare pure i giovani delle sue ritrosie ed idiosincrasie (con tutto l'affetto di sempre, naturalmente. Se mi chiama e ci vediamo, glielo regalo io il libro).

    Pubblicato 15 anni fa #
  12. Cazzate, Genesis.

    Il mio nonno non aveva una lira, ma tre figli da mantenere quelli sì, era (o meglio, per fortuna è ancora) piuttosto bravo nel suo lavoro e a starsene calmo avrebbe tratto giovamento in temini economici.

    Invece no, perdeva un lavoro via l'altro perchè faceva politica, scioperi, usciva alle 5 del mattino ad attacchinare e la faceva pure a pennellate coi fasci. Ha la terza media, ma quando si discute a tavola ma il giornale l'ha sempre letto e a parlare di politica c'è da starlo ad ascoltare. Lo volevano pure a far carriera politica, e quantomai non lo ha fatto.

    Si cambiano così, le cose, non solo votando ma entrando nei partiti, discutendo, mettendosi in gioco, facendo politica dall'altra parte del bancone.

    Certo, è più difficile così, molto più semplice lamentarsi per il destino avverso, per la mala politica, contro qualcuno che dovrebbe metterle a posto, le cose. Una volta il popolo si rivoltava, e faceva paura, magari non sempre le cose cambiavano, ma chi governava due domandine magari se le faceva.
    Adesso basta non togliere il campionato, se no sai che incazzature.

    Pubblicato 15 anni fa #
  13. cameriere

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    Membro

    sabato scorso giravo per roma con torque e k.
    loro beati e contenti come due fessi.
    io come un fesso solo.
    ci siamo fatti grandi risate all’auditorium, io e torque, a spingere la carrozzella con k sopra,
    che dirigeva <<gira qua, vai di là, fermati, vai piano, ‘ndo’ cazzo vai>>.
    e tutti che lo coccolavano <<maestro di su, maestro di giù>> qualcuno ha anche azzardato
    <<professore complimenti>>.
    insomma un trattamento di quelli. ciavevamo pure il pass per entrare con la macchina e il caffè hag era aggratis.
    k era bello e comodo, dirigeva la carrozzella, agitava al vento il bastone, parlava con tutti e si commuoveva incontrando vecchi amici e professori.
    la sera, noi tre, ci siamo fatti una matriciana coi fiocchi. a portaportese. mentre k declamava il sesto dell’inferno:

    Al tornar de la mente,che si chiuse
    dinanzi a la pietà d’i due cognati,
    che di trestizia tutto mi confuse,
    novi tormenti e novi tormentati
    mi veggio intorno, come ch’io mi mova
    e ch’io mi volga, e come che io guati.
    Io sono al terzo cerchio, de la piova
    etterna, maladetta, fredda e greve;
    regola e qualità mai non l’è nova.
    Grandine grossa, acqua tinta e neve
    per l’aere tenebroso si riversa;
    pute la terra che questo riceve.
    Cerbero, fiera crudele e diversa,
    con tre gole caninamente latra
    sovra la gente che quivi è sommersa.
    Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
    e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
    graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
    Urlar li fa la pioggia come cani;
    de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
    volgonsi spesso i miseri profani.
    Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
    le bocche aperse e mostrocci le sanne....

    poi siamo tornati a casa.
    una bella serata.

    tutto questo per dire che mentre s’andava,
    k mi ha chiesto del canale, se l’avevo finito e cosa ne pensavo.
    l’avevo finito già da un po’ ma ancora non gli avevo detto niente,
    intendo se m’era piaciuto o no, e cose del genere.

    non lo so perché faccio così.
    quando veronica cucina, per farvi capire,
    e veronica, credete a me, cucina come voi non sapete,
    insomma ogni volta che siamo a tavola io mi gusto tutto,
    ogni boccone, i sapori e i profumi,
    e me la godo.
    poi lei mi fa <<non ti piace?>>
    va sempre così. mai una parola.
    sempre dopo, quando è lei a chiedere.
    e ogni volta s’incazza.

    questo per dire, che sono uno stronzo democratico,
    lo faccio un po’ con tutti.

    comunque, il canale è bello, bello come una bella cosa,
    bello che non vedi l’ora di tornare a casa,
    e se ciai una cosa da bere e da fumare levati proprio,
    bello che lo leggi l e n t a m e n t e
    e quando trovi la riga giusta ti guardi intorno per condividerla,
    e vorresti che tutti la leggessero
    e poi ti fermi –di leggere- e ti resta dentro come un bel sogno
    la mattina quando ti svegli.

    bella serata.

    Pubblicato 15 anni fa #
  14. Genesis

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    Membro

    Faust non hai detto assolutamente nulla. Hai solamente farneticato su ciò che tutti con un minimo di ideali hanno sempre fatto e continuano a fare, e che non ha fatto solo tuo nonno. Il problema è l'Italia di adesso e questa sorta di servilismo che hanno gli elettori verso chi li prende per culo promettendo quel lavoro che non c'è e mai ci sarà. Ti rendi conto di come siamo ridotti? E non venirmi a dire che non ti rendi conto che tante persone sono quasi costrette a vendersi... perché altrimenti sei tu quello fuori dal mondo e con i paraocchi, ci sono realtà differenti dalle tue e dalle mie, ma non per quello le devi ignorare e far finta che non ci siano... entra in politica se ci riesci e proponi come prima innovazione una legge per ridurre lo stipendio dei ministri e prova a cambiare le cose... se sei così sicuro che ti farebbero entrare e fare ciò che proponi. Poi chiamami a lavorare con te, lo farei pure gratis per cambiare questa schifezza in cui viviamo.

    Pubblicato 15 anni fa #
  15. Scusa Genesis, aridanghete con questa storia dei poveri che, per cambiare le loro vite un po' come al superenalotto, votano chi li paga meglio, o di più. Dalla poca esperienza che ho della politica - ne avevo 15 quando ho cominciato e ancora a 34 anni non mi sono levato la mania di dosso - ti posso assicurare che prendi una toppa grossa come una casa. Dite che è il povero che vende i suoi voti ed è il politico che li compra. Così si solleva un po'. E detta così sembra che invece i ricchi siano liberi di fare e dire e votare ciò che vogliono. Beh, tra poveri e ricchi, quelli che dipendono di più dalla politica sono i secondi, mi spiace deluderti. Sono i loro macro interessi, personali e di categoria, che necessitano di maggiori tutele. Sono loro che spingono, e spesso ottengono, leggi ad hoc o condoni fiscali. Succede che l'industriale o il professionista o la buonissima famiglia finanzia tizio o caio affinché adottino politiche che si confanno ai loro nemmeno tanto nascosti desideri. Negli Usa, che sono pragmatici più di noi e forse pure meno ipocriti, hanno istituito le lobbies. Produttori di tabacco, assicurazioni sanitarie, chimici e chi più ne ha più ne metta che si organizzano tra di loro per non farsi schiacciare dai politici 'dalla testa calda'. Finanziano, dirottano voti al Congresso, chiedono e danno soldi e voti. Giovano, sporco o pulito non gliene frega niente. Beh, rimarrai con gli occhi sgranati, ma ce ne sono una infinità di lobbies ma i poveri non ci sono. Tant'è che il presidente attuale che voleva assicurare una sanità pubblica a tutti, è dovuto ritornare sui suoi passi. Con questa mezza riforma, solo pochi fortunati non saranno costretti a morire se si sentiranno male.

    Ai poveri possono rimanere solo le illusioni. Sperano, come tutti noi, in un futuro migliore che, nel loro caso, in tutta la loro vita e in tutta la vita dei loro genitori e dei loro nonni, è passata attraverso il lavoro. «Te devi fa un bucio di culo...» ripete sempre un mio collega di Frosinone che cià il fratello che fa l'editore. I poveri, quei pochi poveri, di cui parli te si limitano a cercare il piccolo favore: la buca sotto casa, la fontanella rotta, l'erba alta. Al massimo gli viene promesso il posto per il figlio o l'aiuto per il condono. A qualcuno, però, non a tutti. Che già per chiedere ste cose proprio povero non devi essere.

    Perché se sei povero in canna che non sai nemmeno come iniziarlo il mese. In Italia e nel resto del mondo, non ti si incula nessuno. Altroché.

    x Cameriere: si, è vero, sei uno stronzo democratico. Manco la soddisfazione di gridare Forza Roma ciai dato.

    Pubblicato 15 anni fa #
  16. urbano

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    Membro

    Come regola comune potremmo riconoscere che nessuno di noi è povero in canna; possediamo tutti un media da almeno seicento euro connesso ad una rete a pagamento e poi abbiamo pure tanto tempo da usare, dall'inizio del mese in poi.
    Da qui potremmo tra di noi tentare un accordo di nicchia su come le parole servono a evocare cose che magari ci emozionano ma non ci riguardano.
    Ma non è detto.
    Si deve schiodare questa stereotipia del povero e del ricco e riportare la questione al senso primario: padrone o non padrone.
    E di che?
    Io credo che da noi in italia di poveri esistano solo, forse, quei poveri migranti, impoveriti dal biglietto pagato, che sbarcano sull'isola d'attracco.
    E poi poveri solo all'inizio.
    La sposterei la questione dalla categoria economica e chiedo:
    Padrone o non padrone della vita tua?
    Perchè a me, forse sarà paranoia da andropausa, vengono in mente gli strati dei cieli medievali.
    Nel nostro girone siamo tutti ricchi uguale, di spendere e spandere il consumo.
    E' insiemistica.
    Ma non abbiamo il controllo della nostra vita.
    Non ci si pensa spesso, persi nel travaglio politico dello spettacolo, ma il controllo della nostra vita ci è così remoto che non lo contempliamo nemmeno.
    In questo globale modo di sentire il mondo siamo privati giorno dopo giorno del progetto, sia individuale sia collettivo, semplicemente guardiamo, in tv, progetti di altri e tifiamo per quello o per quell'altro.
    Da quindici anni e più siamo in loop su berlusconi sia nelle fasi positive che in quelle negative, quella cosa ormai totalizza l'esistenza.
    E quando uno torna alle cose e dice:
    mi consenta, di fronte a casa mia c'è una buca della madonna,
    oppure
    la fontanella allaga la strada
    o ancora
    mi consenta, ma la mattina sento una puzza bestiale dalla discarica,
    e
    io invece dalla fabbrica di sansa
    opuure ancora
    scusi ma c'ho un tumore da asbesto
    o
    non vorrei disturbare ma m'hanno schiacciato il figlio sulla strada
    o magari
    la perdoni ma è morta di setticemia all'ospedale
    o chissà che cosa ancora
    bè allora è proprio un poveraccio, querulo, qualunquista e rompicazzo.

    Pubblicato 15 anni fa #
  17. zaphod

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    Fondatore

    AVALLONE, PENNACCHI E SORRENTINO - TRE PER LO STREGA

    Maurizio Bono, “la Repubblica” - 1 Aprile 2010

    Che correrà allo Strega, l’esordiente quasi ventiseienne Silvia Avallone di Acciaio lo ha saputo due giorni fa, appena la Rizzoli ha deciso di dare l’ultimo tocco alla rinfrescata che quest’anno trasforma in buona parte l’antico e più ambito premio letterario italiano in una gara di debuttanti.
    Con Avallone, a una settimana dalla chiusura dei termini per le candidature, sono sei in lizza: il regista Paolo Sorrentino con Hanno tutti ragione (Feltrinelli), il quarantenne Matteo Nucci di Sono comuni le cose degli amici (Ponte alle Grazie), Giacomo Lopez col thriller d’esordio Non resterà la notte (Marsilio), il cinquantenne sceneggiatore Vito Bruschini con The Father. Il padrino dei padrini (Newton Compton) e la più giovane di tutti, la ventunenne Angela Bubba con l’arcaizzante La casa (Elliot). Che in un certo senso chiude il cerchio vantando tra i presentatori Paolo Giordano, premio Strega 2008 con La solitudine dei numeri primi, il bestseller che ha sdoganato i debutti da ogni sospetto.
    Così, se prima di lui un esordiente a un premio maggiore era un’eccezione, ora fa eccezione proprio la Mondadori, casa editrice di Giordano, puntando sull’epico e collaudato “fasciocomunista” Antonio Pennacchi di Canale Mussolini. Ma siccome siamo all’inizio di una gara complicata, va tenuta in conto anche la strategia. Il gruppo Mondadori, che ha vinto per tre anni di fila (l’anno scorso con Tiziano Scarpa, Einaudi), corre sulla carta in salita: ragione di più per staccarsi dal gruppo delle opere prime, non rischiando di mandare l’esordiente Alessandro D’Avenia a un confronto diretto con Avallone. Mentre rivendica al “nuovo genere” delle primizie d’autore Hanno tutti ragione di Sorrentino il direttore letterario di Feltrinelli Alberto Rollo: «Non è un romanzo del regista Sorrentino, ma la prima prova narrativa del Sorrentino scrittore. Come ci sono brillanti esordi di avvocati, magistrati e altri mestieri. Del resto è normale che i premio fotografino la realtà di un’annata in cui le opere prime italiane hanno avuto la ricezione migliore, e hanno fatto il mercato».
    Lo Strega allo specchio della realtà? Accusata di essere prima specchio di una società letteraria chiusa, poi pascolo degli appetiti editoriali, la gara un tempo arbitrata con mano ferrea da Maria Bellonci e Anna Maria Rimoaldi e oggi condotta con guanto vellutato da Tullio De Mauro ha intanto ritoccato la formula dei 400 votanti per cercare di riflettere il mondo dei libri in modo meno deformato dagli interessi editoriali prevalenti: all’elenco dei giurati perlopiù critici, consulenti, funzionari e amici di case editrici si aggiungono quest’anno trenta “lettori puri” selezionati chiedendo ad altrettante librerie indipendenti di segnalare ciascuna un cliente “lettore forte” cooptato nei 400.
    Più delle cautele di trasparenza, aumentano però le richieste di ammissione al premio: se l’anno scorso le candidature eccedevano la dozzina, quest’anno sono finora già 18: uno su tre, a giudizio del comitato direttivo del premio che si riunirà il 12 aprile, non scenderà neppure in campo. Le polemiche, quest’anno, partiranno da lì.

    Pubblicato 15 anni fa #
  18. Bello questo pezzo di Bono.

    Per Torq: non ho parlato di poveri, ma di gente che "cià tanto bisogno di lavorà". C'è una bella differenza e lavorà va inteso in senso lato, ovviamente. Anche se hai una casa e da mangiare tutti i giorni ciài tanto bisogno di lavorà, ma non puoi certo essere definito povero. La vera povertà, oggi, è quella intellettuale, confermata proprio dai risultati delle regionali, che prolungheranno l'agonia di questa repubblichetta del votarello contro favoretto.

    Pubblicato 15 anni fa #
  19. Avallone?
    Sorrentino? Bruschini? Bubba? Nucci? Lopez?

    Ma è uno scherzo?

    Pubblicato 15 anni fa #
  20. La Lecciso non ce sta?
    Qualcuno dal grande fratello? E l'ultimo di Cassano, no?

    Pubblicato 15 anni fa #
  21. sensi da trento

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    La vera povertà, oggi, è quella intellettuale, confermata proprio dai risultati delle regionali, che prolungheranno l'agonia di questa repubblichetta del votarello contro favoretto.

    ma tu hai deciso davvero di farmi incazzare, stanotte?
    mi dici come fai a riscontrare la povertà culturale in queste regionali? ci sono deduzioni statistiche rigorose?

    che so: ad esempio sei andato per caso da ciascun elettore chiedendo "scusi lei in cosa è laureato? e per chi ha votato? "
    o magari sei andato personalmente a controllare quanti plurilaureati sono stati eletti nelle varie giunte regionali?

    imparate a rispettare il voto degli elettori sia quando vincete che quando perdete.

    magari il popolo, come lo chiamate con tanto disprezzo, si è rotto il cazzo di farsi dare lezioncine da uno che banalizza questioni complesse citando vasco rossi e luciano ligabue, come se no fossimo dei sempliciotti.

    e siccome spesso il popolo è più intelligente di un laureato in filosofia che si spaccia per economista (sai, magari in mezzo al popolo, uno che si è laureato veramente in economia ce lo trovi pure) ecco giustificati i calci in culo elettorali che tu chiami bassezza culturale.

    Pubblicato 15 anni fa #
  22. sensi da trento

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    Membro

    e adesso permettetemi di citare il sor bersani:

    "mah.. ecco... vede, io vorrei affrontare queshta complescia questione partendo da una geniale riflescione di marco mascini, che poi è mio amico perscionale da molti anni...

    Get the Video Player

    "

    Pubblicato 15 anni fa #
  23. k

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    Andiamo per gradi:

    Prima questione: la povertà intellettuale
    La povertà intellettuale non è evidentemente quella di chi non ha studiato e di conseguenza non possederebbe il minimum di strumenti intellettuali per poter esercitare quella specifica capacità. La povertà intellettuale è quella di chi - pur avendo come tutti gli esseri umani, al di là del livello degli studi, le stesse capacità innate di utilizzare appieno le sinapsi del suo cervello - si rifiuta costantemente di utilizzarle e di utilizzare la strumentazione di base insita nell'universale psichico. Preso dalla sua pigrizia intellettuale – ossia quella che Fer chiama "povertà" - preferisce accettare subitaneamente i luoghi comuni senza dover fare il minimo sforzo per approcciarsi criticamente al reale. Nella fattispecie, in questa discussione la povertà intellettuale - absit iniuria verbis - è quella di Bassoli e di Genesis. Datevi una mossa, vaffallippa. Cercate di aprire gli occhi e le orecchie, anche quando venite qua. Sennò che cazzo ci venite a fare? Ma non avete mai sentito parlare di relativismo, per esempio? Ma un libro di storia, un libro d'antropologia culturale, uno d'etnologia, ve lo volete andare a leggere, prima di parlare di lavoro e povertà? Ma che cazzo ne sapete voi di povertà? "I giovani non trovano lavoro"? I giovani non trovano semplicemente quel particolare tipo di lavoro che vorrebbero, dove non si faccia un cazzo e si guadagni molto. Altro che madonne. Ma ci sei mai andata a raccogliere i pomodori? Io da giovane ho raccolto i cocomeri, la vendemmia, lo zuccherificio, il cameriere in spiaggia, il manovale alla Vianini, sui cantieri. E' il mondo che cambia, cambiano le nostre percezioni, i nostri assetti sociali ed oggi - evidentemente - se tu non vai più a raccogliere i pomodori è perchè tanto a te i soldi te li dà papà, e ciài una macchinetta pure scrausa, e vai in discoteca e in pizzeria. E’ chiaro che poi magari ti senti giustamente povera davanti ai figli di Agnelli e Berlusconi, e a buon bisogno hai paura del futuro (come hanno sempre avuto tutti i giovani). Ma se poi guardi tutti i maghrebini che si rompono il culo al posto tuo, tu non mi puoi venire a dire ed a lagnarti che sei "povera assoluta". Ma andate affanculo va', io vorrei sapere quand'è che Fer ha preso per una volta in mano, in vita sua, una pala ed un piccone.

    Seconda questione: Acciaio di Silvia Avallone.
    La Avallone è dell'84. 26 anni. Acciaio (Rizzoli, pp. 358, 18 euri) è un'opera prima, ma la resa poetica della fabbrica e del ciclo produttivo, l'orgoglio e la nostalgia del lavoro umano ne fanno molto di più d'un semplice romanzetto di formazione o giovanilistico-generazionale. Da leggere. La scrittrice c'è.

    (Per Fer: ma lei come valuta chi esprime giudizi senza sapere un cazzo di ciò che sta valutando? Lei questa come la chiama: "ricchezza" o "povertà" intellettuale?)

    [b]Terza questione[b]
    Qui l'unico marxista veramente progressita è il Sensi.

    Pubblicato 15 anni fa #
  24. sensi da trento

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    Membro

    da Il Giornale del 02 APRILE 2010

    http://www.ilgiornale.it/cultura/antonio_pennacchi_lomero_de_noantri/02-04-2010/articolo-id=434441-page=0-comments=1?&LINK=MB_T

    Antonio Pennacchi, l'Omero de' noantri
    di Stenio Solinas

    A Latina e dintorni, sul "Canale Mussolini", ha vissuto e lavorato. Ora narra quel mondo in un romanzo. Anzi in un poema epico

    Latina - «Compa’, guarda che io poi straparlo e vie’ fuori un casino. Gliel’ho detto a quelli della Mondadori: fate recensì er libro, io so ’no scrittore, mica ’n personaggio... Se me metto a discute’, sto romanzo mio, Canale Mussolini, va a puttane, perché parlo d’altro e non c’ho misura... E poi, compa’, so’ pure malato...».

    Antonio Pennacchi se ne sta sdraiato sul lettuccio della sua camera-studio. A fianco c’è il suo bastone da passeggio, fuori della porta una sedia a rotelle. Gli fa male la schiena, compressione delle vertebre, è già stato operato, non lo si può rioperare, deve aspettare e sperare che il dolore se ne vada così come è venuto. Fare l’invalido, però, un po’ gli piace e così ci gioca. «Compa’, so’ andato co’ quella sedia a fa’ una presentazione, roteavo il bastone davanti a me e urlavo come un matto: “Largo, largo, che so’ ’nvalido...” E tutti a compatimme: “Poretto, chissà come soffre...”. Però compativano di più mi’ moje: “Poretta, chissà come fa a sopportallo...”. Resta il fatto, compa’, che fatico a stare in piedi...».
    Ai Pennacchi qui al Giornale siamo abituati. Suo fratello Gianni era una nostra firma e quando mesi fa la sorte se l’è portato via ci siamo sentiti orfani. Era bravo, era allegro e anche lui era matto e quando lo dico a Antonio lui si commuove. «Era l’altra metà di me. Quanto ce siamo menati... “Aho, se menano i Pennacchi”, gridavano i vicini e correvano tutti. Mica pe’ dividece, pe’ guardà... Non sai quanto me manca». Il fasciocomunista è la storia romanzata della loro giovinezza.

    Pennacchi sta a Borgo Carso, il Canale Mussolini davanti casa, Borgo Piave e Borgo Podgora a fianco, Littoria, cioè Latina, in lontananza. È l’Agro Pontino e alla sua storia lui ha dedicato la sua vita. «Canale Mussolini è un romanzo che mi porto dietro da cinquant’anni, adesso ne ho sessanta, fa’ ’n po’ te. È che io già in seconda elementare volevo riscrivere i libri di testo, non mi piacevano, figurate un po’... Insomma, l’ho rimuginato una vita, si doveva chiamare Il podere, poi un giorno alle bancarelle dei libri usati di piazza Esedra, a Roma, vidi un romanzo con quel titolo: era di Federigo Tozzi. Compa’, se fosse stato ancora vivo l’avrei ammazzato... Comunque, fino all’età di trentasei anni, mi sono sottratto a questo calice, perché la scrittura per me non è un diletto. A me piace leggere, scrivere è fatica. Nella nostra tradizione letteraria, la scrittura era il mestiere dei chierici, e io nun so’ chierico... Io mi sono fatto scrittore perché c’erano storie che andavano raccontate. C’ho tante di quelle storie dentro che le devo caccià via pe’ quanto so’ invadenti».

    Quando gli dico che qualcuno parla di lui come di un romanziere naïf, Pennacchi butta per aria la coperta giallorossa della Roma con cui si è avvoltolato come una mummia e cerca di darmi una bastonata. «Compa’, io nun so’ naïf, ho studiato, mi sono persino laureato, tardi, a quarant’anni, ma con una tesi su Benedetto Croce... Certo, in famiglia la mia generazione è la prima a essere andata all’università, vengo da una tradizione di servi della gleba, contadini mezzadri, operai... Semmai, sono un autodidatta, formatosi in un’epoca in cui si leggevano gli scrittori del passato, i morti, insomma... Oggi si leggono solo i vivi, ci si è convinti che il tempo abbia modificato l’esistenza... Oggi si fanno i corsi di scrittura creativa, e invece io li farei di letteratura creativa... Diceva Orazio che i versi devono dormire nove anni, maturare dentro di te, insomma. Uno dice: “Ma che cazzo ne sa Orazio?”. “Ma che cazzo ne sai te”, dico io... L’università mi è servita per imparare delle regole, darmi degli elementi di paragone, indicarmi anche dei percorsi, farmi capire le ridondanze, ma la mia differenza rispetto agli altri è l’estrazione, io vengo dalla fame, è questo che mi fa diverso. Naïf un cazzo! Uno è storicamente determinato, io faccio ciò che sono costruito a fare, il talento è solo la precondizione».
    Pennacchi ha passato una vita in fabbrica, la Fulgorcavi di Borgo Piave. Il suo primo romanzo, Mammut, viene da lì. «L’ho scritto perché fosse comprensibile a chi lavorava con me, anche se sapevo che non l’avrebbe mai letto. Per chi scrivo io? Il presente, compa’, non esiste, l’universo è curvo e io non scrivo per i contemporanei: non che vendere mi faccia schifo, ma scrivo per i posteri, pensando che ci sono storie che vanno raccontate e se non le racconto vanno perse. Quante guerre di Troia ci sono state, prima che qualcuno ci si mettesse d’impegno a ricordare almeno quella... Anzi, più che per i posteri io scrivo per i morti... E per quelli che non possono scrivere. Avevo un compagno di fabbrica, analfabeta, ma cacacazzi, Francesco Celentano si chiamava: era uno che a Socrate gli faceva un culo così, anzi sono sicuro che Socrate fosse come Francesco, uno che rompeva il cazzo a tutti, parlava, discuteva, spiegava... Anche il mio barbiere Gastone è così, peccato che sia interista... Ecco, io sono il Platone di Francesco-Socrate...».

    Canale Mussolini è un romanzone (Mondadori, pagg. 450, euro 20), un poema epico che ha per protagonisti la stirpe dei Peruzzi, lo zio Pericle, i figli Temistocle, Treves e Turati, il nipote Paride, e poi l’Armida, la zia Bìssola, la zia Modigliana... È una storia di «cispadani-polentoni», i contadini emiliani, veneti e friulani che da nord emigrano a sud, un vero e proprio esodo, e di «marocchini-marocàssi», i laziali che assistono all’invasione e la vivono come un esproprio e una sopraffazione, li odiano e tifano perché la malaria trionfi. È una storia corale, raccontata con senso del mito e ironia, un po’ Il mulino del Po di Bacchelli, un po’ Il placido Don di Sholokhov, un po’ il Grande Sertão di Guimarães Rosa. È anche un libro di storia patria, di quelle che si raccontano intorno al fuoco del camino e tutto assume un tono di leggenda, ma niente però è falso, perché chi l’ha scritta conosce bene le fonti, non bara e non edulcora. È un racconto di poveri, dove le passioni e gli istinti la vincono sui ragionamenti, la vita è fatica, il numero è potenza perché vuol dire braccia in più e sopravvivenza, ci si ama e ci si odia senza secondi fini, consapevoli che solo la guerra civile ha una sua «umanità», perché si sa chi si ammazza. È un romanzo nazional-popolare, perché parte dal presupposto che soltanto capendo «come eravamo» possiamo veramente capire se ciò che siamo divenuti lo è stato per eccesso o per difetto, per rivendicazione o per dimenticanza. È a suo modo anche un romanzo pudico, dove il sesso ha una sua casta nudità e l’io narrante svela solo alla fine un’identità che la nascita aveva condannato e l’amore per gli altri poi riscatterà.

    È insomma storia e memoria, azione e compassione, rispetto degli umili, nessuna compiacenza per i potenti. Un romanzo italiano: «Compa’, scrivi che è meglio di Guerra e pace. Perché Tolstoj era bravo, ma non c’aveva la pietas...».

    Pubblicato 15 anni fa #
  25. I paraocchi, Genesis, credo sia tu ad averli. Io mi ci son messo, in politica, e dal basso. Ieri sera avrei avuto qualcosa di più divertente da fare, credimi, che riunirmi con i compagni, scornarmi con loro e solo sul tardi andarmi a bere un prosecchino. La gente può essere costretta a vendersi sul lavoro, ma non lavorano proprio tutti 24 ore al giorno. Kappa ha pienamente ragione sul fatto che le lamentele di molti sono lamentele di comodo, perchè credimi, fare politica significa riposare meno e fare cose che divertenti non lo sono, talvolta rischiare anche qualche schiaffone. La gente è povera, certo, è costretta a vendersi, certo, ma la gente ha la propria bella fetta di responsabilità in questo. Che comincino a riunirsi, fuori dal lavoro, che comincino a discutere, a leggere non dico testi di antropologia o etnologia, ma a farsi l'occhio cominciando con il giornale.
    La politica non si fa solo votando, e se la deleghi ad altri puoi lamentarti solo fino a un certo punto.
    La gente non fa un cazzo, perchè così è più semplice.

    Pubblicato 15 anni fa #
  26. cameriere

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    sono andato a cercare chi ha iniziato tutta questa querelle politica e off topic.
    chi se non fer bass?
    solo lui poteva.
    e non rompete il cazzo co' ste cazzate.
    faccio tanto per non vederle in tv e leggerle sui giornali
    e finisce che me le devo sorbire qui, mascherate nel topic sul canale?
    mandateaffanculovà.

    Pubblicato 15 anni fa #
  27. Cameriè, facce De Rossi

    Pubblicato 15 anni fa #
  28. A

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    Membro

    Il mondo è pieno di storie, pensi solo a suo padre, a sua madre, ai suoi nonni: ogni vita pullula di storie, gesti di eroismo e di altruismo, azioni di cattiveria e di egoismo. Ogni essere umano che si affaccia al mondo è una storia epica, una conquista del mondo, ogni vita è un romanzo. Ma se nessuno le racconta, le storie si perdono e il compito della mia vita è evitare che le storie della mia famiglia e della mia gente,

    [/center]
    grazie, K, questa è la più bella definizione di cosa vuol dire scrivere.

    Pubblicato 15 anni fa #
  29. urbano

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    Membro

    Sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi.

    Vita di Galileo
    Berthold Brecht

    Pubblicato 15 anni fa #
  30. k

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    Eh sì, Urba', non c'è un cazzo da fa': stai a diventa' come il Fer, spari cazzate a rotta di collo. Ma vattelo a lègge pure tu un Bignamino de storia, no? Non cè un solo popolo che dai tempi almeno di Neandertal (e si scrive senza l'acca, non cominciate a rompe il cazzo con l'acca che ve vengo a prènde sotto casa) si sia potuto costituire come tale - come popolo e/o communitas - senza un sostrato profondo e l'azione attiva dei miti e degli eroi che quei miti hanno fecondato. Ogni popolo - se vuol sopravvivere come tale - ha sempre e costantemente bisogno di uno "schieramento di masse ed eroi" (come dice il Presidente Mao), poiché è dietro il mito e gli eroi che viaggiano ed agiscono i valori della unità e solidarietà cosmico-sociale.
    Poi un'altra cosa.
    Mo' te ne esci con Bertolt Brecht. Una frase sola - ma ben estrapolata fuori dal suo contesto - ma sempre Bertolt Brecht. Ma scusa, ma Bertolt Brecht non è l'eroe simbolo della DDR che proprio poco tempo fa (contro me e Torque) ci hai fatto due coglioni così per dire quanto era cattiva e quanto invece erano belli i film contro la Stasi e contro la Ddr? Mo' invece te ripiace Bertolt Brecht? A quando - pe' potemme da' comunque in culo a me - un elogio del mostro di firenze?

    (Damme retta, va' in farmacia San Marco, vedi se ciànno qualche pasticca contro l'invidia. Tu de sto passo te fai usci' l'ulcera, Urba', me dispiacerebbe. Oppure vai da 'na zingara. Fatte leva' la fattura. Fatte leva' il malocchio, Urba'.)

    Grazie, A.

    Pubblicato 15 anni fa #

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