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Antonio Pennacchi: il Mulino del Canale Mussolini
di Pietrangelo Buttafuoco
Un errore blu e l’onta del luogo comune fare di Canale Mussolini, l’opera ultima di Antonio Pennacchi (Mondadori, 460 pagine, 20 euro), un libro fra i tanti del revisionismo.
Nel nuovo romanzo dello scrittore di Latina, infatti, c’è solo il magnificat della vera letteratura. C’è un’epica storicamente a noi vicina eppure percepita lontana, ma per cecità obbligata, speculare al revisionismo: l’esorcismo ideologico a ogni costo. Fosse pure per pagare il prezzo dell’oblio d’ogni nostra radice: sociale, culturale e spirituale.
Neppure un secolo fa un largo pezzo di territorio nazionale veniva restituito alla vita dopo infiniti secoli di maligna fanghiglia e palude. Una fatica titanica di tecnica, uomini e genio premiava la speranza di proletari giunti (è l’esempio di Canale Mussolini) dal Veneto e diventati coloni armati di vanga ed eucalipti idrovori da piantare ovunque albergasse uno stagno.
È il ritorno del romanzo italiano alla grandezza questo di Pennacchi. Non c’entra il fascismo in queste pagine. Che sia stato Benito Mussolini a redimere le Paludi Pontine è solo un dettaglio. Sono le storie di donne e uomini a rendere viva la carta di questo libro.
L’autore ha stampato col sangue del suo inchiostro un tributo dovuto alla sua gente. E come ogni vera fatica di letteratura, il più specifico dei dettagli, dalla ballata a gamba lesta delle donne al silenzio di una parola inghiottita di rudi uomini, si spalanca nella magnifica offerta universale dell’emozione: si ride, si piange, si ascolta, si guarda come solo nella letteratura si può riuscire a nutrirsi di umorismo, di commozione e di ammirazione.
E di partecipazione infine: come nelle storie d’amore, come nelle cantate dove perfino le scarne stoviglie contadine arredano un lusso altrimenti inespresso, lo sfoggio di un’umanità feconda. L’unico paragone che rende giustizia a Canale Mussolini è Il Mulino del Po di Riccardo Bacchelli.
Per luogo comune tanti credono di trovare in Pennacchi l’ossessione per la palude. La tentazione di chiudere il tutto secondo lo schema di un teatrino di famiglia risulta facile a chi ancora vuole dare a quest’autore una casella di facile conio. Pennacchi è già importante con Mammut, Palude e con il best-seller Il Fasciocomunista (da cui il film Mio fratello è figlio unico, con quel meraviglioso Gianni, suo fratello appunto, indispettito per essere stato impersonato nella pellicola da Riccardo Scamarcio: «Io so’ più bello». Un’affermazione certificata da esibita foto).
Non deve essergli comminata nessuna casacca: Pennacchi, che per fatti suoi è malato di politica (è, infatti, iscritto al Pd) e uno che non le manda a dire neppure a sinistra (proverbiali sono le sue infuocate assemblee), è uno scrittore nel senso alto della definizione. Magari per quel suo essere forgiato nella smagliante creta di Littoria (il vero nome di Latina), adesso che sempre più voci lo danno come possibile candidato al premio Strega, ancora più che con la giuria tartufesca Pennacchi dovrà vedersela con gli acquitrini dei luoghi comuni.
Qualcuno può equivocare sulla destra e la sinistra, non si sa mai. Cominciassero a comprargli le vetrine delle catene Feltrinelli, quelli della Mondadori. Investano in promozione e magari lo portino nel salotto buono dei Fabio Fazio, perché su ogni cosa vale il teorema di Michele Serra: «Sono doppiamente sfortunati gli scrittori di destra: i lettori di sinistra li ignorano perché non leggono gli autori di destra, i lettori di destra, invece, non leggono».