Di Canale Mussolini ne parla Goffredo Fofi su Internazionale, adesso vado a nanna, ma domani ve la scansiono e la posto, se qualcuno non riesce a trovarla prima (occhio che vi svela il finale). Inoltre oggi ne parlano anche La stampa, Latina Oggi e La gazzetta di Parma con una bella recensione a tutta pagina. Ma domattina la mia sveglia suona alle 4 quindi, cari amici, dovrete aspettare.
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Canale Mussolini
(382 articoli)-
Pubblicato 15 anni fa #
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E' iniziata la battaglia per il Premio Strega.
Rizzoli dà fuoco ai cannoni del Corriere della Sera: stroncatura di "Canale Mussolini"
(recensione sul Corriere della Sera del 6 Aprile 2010)
PENNACCHI S'INCAGLIA NELL'AGRO PONTINO
di Franco CordelliCanale Mussolini di Antonio Pennacchi è un libro difficile da maneggiare. A tratti ispira simpatia e perfino solidarietà. Nell'insieme un senso di saturazione, quando abbiamo finito di leggere si vuole dimenticare e passare ad altro. Di ciò, un annuncio (un sospetto) nelle prime due righe (in corsivo).
Dice Pennacchi: «Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo. Fin da bambino ho sempre saputo di dover ermare questa storia e raccontarla prima che svanisse». Ma qui non è questione di bello o brutto. La questione è il sottofondo ultimativo, il tono messianico, quell'oncia di ricatto implicito nella premessa. Poi, per fortuna, il tono del racconto è tutt'altro. Per fortuna? Be', il tono del corsivo sarebbe stato insopportabile. Ma quello che poi Pennacchi si ritrova (di sicuro, per suo merito, non se lo costruisce) è anch'esso discutibile, e alla fine imbarazzante. Parlo infatti di tono, non di stile. Mi viene in mente Ursus, l'uomo che ride di Victor Hugo. Ha egli uno stile o non, piuttosto, una smorfia? A tale deformità Canale Mussolini (Mondadori, pp. 460, euro 20) non perviene, è anzi accattivante, benevolo, perfino conciliante. Non è, questo racconto, sempre in cerca di conciliazione? La sua parola d'ordine, mille volte ripetuta è: «Ognuno gà le sò razòn». Ma la sua insistenza su questo punto, il suo ribattere le ragioni degli uni, i fascisti, e degli altri, gli antifascisti, gli americani; e i «marocchini» dell'Agro Pontino rispetti ai «cispadani» dal Veneto emigrati laggiù, a colonizzare, proprio la sua incessante sottolineatura del fatto che in un racconto epico tutti sono mossi da intenzioni che possono essere convalidate, risulta infine sfibrante. Anzi, prima che sfibrante è troppo inattuale perché lo si prenda per buono.
Si possono scrivere a cuor leggero romanzi epici nel XXI secolo come Pennacchi crede e intende dimostrare? C'è anche questa ineffabile domanda. Egli dice che tutto è natura, se non dono degli dèi. Ma poi, s'intende, l'uomo ci mette del suo. L'Agro Pontino lo bonifica lui, e lui il romanzo lo scrive davvero, dalla prima all'ultima riga. Lui, nella fattispecie, chi? Questo non lo riveleremo. Pennacchi ce lo dice solo in extremis. Ciò che presto sappiamo è che l'instancabile narratore, colui che da più alti destini fu chiamato a ri-raccontare la storia d'Italia, dalla fine del XIX secolo al 1945 e, in particolare, la storia della parte di bonifica dell'Agro Pontino toccata alla famiglia Peruzzi, quell'uomo, o quella voce, appartiene, per l'appunto, a uno di quelli che fecero l'impresa. Ma egli ha una voce, occorre notarlo, che somiglia ad altre della storia della nostra lingua: dalla voce di Pirandello che nei monologhi si rivolge a innominata persona fino a quella di Ascanio Celestini, che nella sua travolgente oralità non dimentica mai d'avere un interlocutore. E poi. Narrando vicende di una famiglia contadina, sarebbe strano Pennacchi non pensasse così: che, perso un amore, «chissà quanto piangerà l'Ivana e per quanto tempo. Poi riderà di nuovo. Perché è giovane l'Ivana. E si rinnamorerà».
Il naturalismo di Canale Mussolini è nudo e crudo, tutto trascina via con sé, nel tempo e nella fatale ripetizione. Ripetizioni a oltranza, ridondanze, riprese del discorso che s'era interrotto, una, due, tre volte. Ma il chiodo fisso del fasciocomunista Pennacchi (lo era, sostiene, anche Ezra Pound) è la fideistica convinzione che nella commedia all'italiana una tramatura di luoghi comuni addirittura leggendari sia una base legittima per certificare le buone ragioni di quella che fu la militanza della famiglia Peruzzi: «Come dice lei? Che (agli abissini) gli abbiamo buttato i gas? Li abibamo conquistati con l'iprite? E che ragionamenti sono? Io ti vengo a liberare e tu mi opponi resistenza? Mi spari addosso? La guerra è guerra, se permette». Oppure: «Quello sarà stato pure Mussolini e avrà fatto la dittatura, il totalitarismo, le leggi speciali, le guerre, le persecuzioni contro gli ebrei - ci ha portato al disastro insomma - ma da giovane era stato socialista».
Il meglio di sé Pennacchi lo dà quando dimentica tutto ciò e s'immerge nell'amara o benefica routine della sua famiglia. Penso alle pagine (lo racconta due volte) che narrano la morte quasi simultanea dei nonni, marito e moglie; o quelle dello strazio della zia Armida, vedova di guerra e bramosa di un uomo nuovo. Qui Pennacchi è indiscutibile ma, per citare Hemingway che citava Melville che Pennacchi con tutte le sue digressioni teniche non è, è come un po' di zibibbo in un sovrabbondante panettone.Pubblicato 15 anni fa # -
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