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Canale Mussolini

(382 articoli)
  1. A

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    K, non si incazzi, è il vulcano

    Pubblicato 15 anni fa #
  2. tcd

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    ma che vulcano e vulcano, è così di suo: ancora non l'avete capito?

    Pubblicato 15 anni fa #
  3. rindindin

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    k non si arrabbi, sto guadando il canale e sono già oltre la metà senza essere affogata. il libro tira, ma sono io che sono lenta e ci sto mettendo molta attenzione, perchè stimolata nell'analisi storica, cosa più unica che rara per me. però il prossimo libro, se mi posso permettere, lo faccia di 50 pagine, un tascabile da borsetta, facilmente trasportabile. non mi ci vuole il carretto così. magari, un libro di barzellette

    Pubblicato 15 anni fa #
  4. Woltaired

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    ...col cavolo che mi freghi ancora, come col fasciocomunista, che arrivo in fondo tutto di corsa e poi mi manca!
    eh no, stavolta mastico bene e anche se è più grassoccio, io non mi faccio intortare, caro!
    ( eppoi mica son delle paludi io, ogni tanto devo prendere l'atlante per rendermi bene conto, fossero tutti al parco di Monza, tra il Cavriga, Campini e San Giorgio allora sarebbe facile, ma così...così devo studiare.)

    Pubblicato 15 anni fa #
  5. rindindin

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    e pure io! il richiamo al mulino del po' e alle immagini di me fanciulla alla prima comunione con la rosolia che andava a pranzo in quelle trattoriette sulla riva pescando girini nel fiume che poi mettevo nella vasca, mica le posso dissociare? quelle mi vengono facili, ma il resto lo devo elaborare...la pazienza è virtù dei premi strega!

    Pubblicato 15 anni fa #
  6. zaphod

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    Questo qui che è andato in vece di Pennacchi alla presentazione dei semifinalisti del premio Strega è Antonio Franchini, il responsabile Narrativa Italiana di Mondadori, l'editor degli editor del più grande gruppo editoriale italiano. Nelle vene non gli scorre il sangue, ma inchiostro. La malcapitata che ha introdotto il servizio scandendo "Shaw millenovecentocinquanta" l'ha fulminata con uno sguardo come neanche Darth Vader ne Il ritorno dello Jedi.

    Pubblicato 15 anni fa #
  7. zaphod

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    Fondatore

    Continuiamo la rassegna stampa su Canale Mussolini con questo articolo di Gianfranco Franchi pubblicato su Lankelot e FarefuturoWebMagazine.

    In memoria di un esodo rimosso

    di Gianfranco Franchi

    Antonio Pennacchi torna sul sentiero difficile e stupendo della pacificazione, della battaglia estetica e culturale per la memoria condivisa, del gran romanzo popolare e non populista, consacrando il suo nuovo romanzo, Canale Mussolini (Mondadori, pp. 464, euro 20), alla storia della sua città, Latina, e della terra d'adozione della sua famiglia, l'Agro Pontino. E riesce nell'impresa. Riesce perché in questo libro si riconoscono, naturalmente, passione, onestà e dedizione; riesce perché ha saputo documentarsi con precisione e accuratezza, smentendo pregiudizi e stereotipi di tutte le fazioni; riesce perché sente, confida nella breve prefazione, che questo sia il libro per cui è venuto al mondo. E che ogni altra cosa che ha fatto in vita sua, bello o brutta che fosse, è stata interludio o preparazione a questa.

    Canale Mussolini è solo apparentemente una saga famigliare; in realtà, è una ciclopica opera di storia e di memoria di un esodo rimosso dalla cultura italiana; quello dei trentamila agricoltori e operai veneti, friulani e romagnoli che, in una manciata d'anni, vennero trasferiti nell'Agro, destinati a fare l'impresa della bonifica d'una terra tormentata dalla malaria. Le loro erano famiglie proletarie, in cui i figli erano e restavano una ricchezza, perchè servivano a lavorare la terra. Erano famiglie poverissime, abbandonate dall'Italia savoiarda al loro destino: "La politica, i diritti civili, il parlamento, lo Statuto albertino" erano roba per signori; erano roba per chi aveva diritto di voto – nè poveri, nè donne. Erano famiglie predestinate all'emigrazione, come centinaia di migliaia di altre, in quel periodo storico; soltanto, poterono emigrare in Italia. Certo, "Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati [...]".

    Pennacchi sceglie una famiglia su tutte – quella dei Peruzzi – e incrocia con intelligenza i loro destini, sin dagli anni Dieci, con quelli dei socialisti, e dei sindacalisti rivoluzionari. Così, incontriamo i loro leader dell'epoca; incontriamo il giovane Rossoni, uno capace di farsi tre comizi in un giorno, appassionato tribuno della plebe, capace di finire in carcere per l'Idea, e il giovane Mussolini, ancora carismatico e iconoclasta leader d'un socialismo radicale, nemico del capitale e delle guerre dei capitalisti. Incontriamo De Ambris, una manciata d'anni prima dell'impresa fiumana, e Pietro Nenni, romagnolo repubblicano, prima ancora d'essere socialista, una parentesi nelle patrie galere al fianco del futuro duce. Man mano che la nazione scivola nel fascismo, dopo i dolorosi anni della Prima Guerra Mondiale, i Peruzzi sembrano aderire perché hanno fiducia nei loro vecchi amici e leader, Rossoni e Mussolini; sentono di non poter essere traditi, hanno la sensazione che la strada sia giusta. "Fatto sta che nel 1920 i miei zii si erano messi col fascio di Ferrara e andavano tutti i giorni in giro per i paesi della Bonifica Ferrarese con i camioni, i 18BL avanzati dalla guerra. Tra novembre e dicembre li hanno messi a ferro e fuoco tutti. Bruciate le camere del lavoro, sezioni socialiste e leghe. Quegli altri – i rossi – non è che stessero a guardare. Sparavano. Reagivano. Si difendevano. Ma ogni giorno sempre di meno. Lo scontro era militare ormai – guerra civile – tu di qua e io di là".

    Questa cieca fiducia del popolo, e della paradigmatica famiglia Peruzzi, nella buona fede e nella generosità dei vecchi socialisti diventati fascisti è la madre del romanzo, e spiega tanto di come vivevano e sentivano le cose i nostri compatrioti, nella prima metà del Novecento. Pennacchi ci racconta, con la dolcezza e la semplicità del cantastorie, quanto naturale e splendido fu il sacrificio degli emigrati settentrionali nell'Agro Pontino per animare quello che sulle prime apparve loro come un "tappeto di biliardo", "neanche più una goccia d'acqua, un filo d'erba"; Pennacchi ci ricorda, senza retorica e senza partigianerie, l'orgoglio della nascita delle città di fondazione; infine, ci accompagna nei giorni atroci e insanguinati della caduta del regime, confidando qualcosa che sui libri non s'è letto, a proposito della lealtà dei pontini. Questo romanzo è scritto per insegnare alle nuove generazioni cos'è stata la sofferenza della povera gente, in Italia, e cosa la grande illusione d'un loro riscatto. Infine, e soprattutto, è stato scritto per eternare la storia di una delle più grandi imprese italiane del Novecento. Quella della creazione della vita là dove altro non era che miseria, e morte. Memorabile.

    **

    Il libro è innervato da robusti inserti in un dialetto, quello veneto-pontino, estraneo – chiosa l'autore, nella nota filologica in appendice – sia a Goldoni che al Veneto odierno. Perché "Il nostro è un impasto di rovigotto, ferrarese, trevigiano, friulano eccetera – contaminato da influenze laziali – privo di strutturazione grammaticale fissa, con le vocali ora aperte ora chiuse e le desinenze che cambiano da podere a podere e da situazione a situazione, anche spesso nello stesso parlante" (p. 457). L'impatto nella narrazione è fresco, vivace, scintillante e credibile.

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    Le pagine più impressionanti sono quelle dedicate allo scenario dell'Agro Pontino, alla sua storia e agli aspetti antropologici e sociali del suo popolo. Entriamo nel vivo, campionando qualche passo. Per prima cosa, Pennacchi ci racconta che la bonifica moderna delle Paludi Pontine non è stata merito esclusivo del fascismo: ci aveva già pensato Filippo Turati assieme a Nitti, nel 1919, dopo la Grande Guerra. Il progetto naufragò trasformandosi in una miniera di corruzione, della serie "piglia i soldi e scappa" (cfr. pp. 48-49). In passato, avevano tentato l'impresa i Romani, "i papi e Leonardo da Vinci, Napoleone, Garibaldi; ma la palude aveva sempre vinto lei".

    Le Paludi Pontine erano "un inferno che pochi anni prima arrivava dalle mura di Roma fino a Terracina; oltre settecento chilometri quadrati di pantani, stagni, foreste impenetrabili con serpenti di oltre due metri e stormi di zanzare anofeli che guai a chi ci entrava. Se non finivi nelle sabbia mobili t'attaccavano la malaria le zanzare, ed eri fatto" (p. 139).
    Erano, insomma, "un insieme misto di stagni e terre sommerse con terre pure emerse ed estese, ma preda di foreste impenetrabili, forre, rovi, animali e spinaccia. E dentro le foreste e gli spinaceti altri stagni chiamati 'piscine', soprattutto sulla duna quaternaria perché ogni più piccolo avvallamento – costituito nei suoi strati superiori da argilla – una volta riempitosi d'acqua nei mesi invernali restava allagato e stagnante, putrido e marcescente fino a tutta l'estate" (p. 141).

    Mussolini, convinto alfiere del ruralismo e della deurbanizzazione, sulle prime era contrario all'edificazione di città, da quelle parti. "Fuori dalle città, via in campagna: è questa la vera mistica fascista", diceva. E il fascio, chiosa Pennacchi, "la gente ce la teneva con la forza".

    La gente, da quelle parti, camminava scalza – e così è stato fino all'arrivo del benessere, nel 1960: e scalza veniva sepolta, mantenendo vivo un vecchio rito del basso rovigotto (p. 187). Le cittadine erano piene di osterie, spesso col gioco delle bocce davanti, "e i nostri vecchi stavano sempre ubriachi" (p. 306). Il narratore di Pennacchi sospetta che i venticinquemila osti rimasti senza lavoro nel 1928, in tutta Italia, si siano trasferiti in blocco nell'Agro. È una provocazione intelligente.

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    L'energia elettrica, ancora nel 1932, mancava: esisteva solo, assieme a telegrafo, telefono e fogne, nei borghi e nelle città. La luce, da quelle parti, si faceva col lume a petrolio o a carburo; per il pozzo c'era una pompa di ferro, fatta a forma di fascio, con le verghe attorno (p. 215).

    Ancora una curiosità. Una delle tradizioni portate nel Lazio dai Veneti era quella del "filò"; ci si riuniva, tutti a sera, dopo cena, "ora in un podere ora in un altro a raccontarsi storie, fòle, favole e roba del genere, al lume di candela o di petrolio. D'inverno ci mettevamo in stalla, assieme alle bestie perché faceva più caldo. Lei doveva vedere la gente che si portava da casa la sedia o uno sgabello, per paura di restare in piedi. [...] D'estate invece in strada, seduti sulle spallette dei ponti" (p. 300). A questo rito s'aggiunse quello del ballo sull'aia, importato dai ferraresi.

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    Da leggere. È buona letteratura, è grande memoria.

    Pubblicato 15 anni fa #
  8. zaphod

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    Questo Massimo Onofri qui, invece, dalle pagine di Avvenire, butta giù delle domande alle quali il sottoscritto in un intervento sul topic 2.0 ha provato a dare una risposta, ma che non hanno sortito reazione alcuna. Evidentemente quello che a me era sembrato un grande slancio di affetto e protezione è stato fonte di "scancellazione". Manco un vaffanculo mi sono preso...

    Pennacchi e l'esodo ai tempi di Mussolini

    di Massimo Onofri

    Ci sono tutti gli elementi per poter leggere e interpretare questo frondosissimo romanzo entro una riflessione a tutti gli effetti narratologica: a scanso di quell’equivoco che fa di Antonio Pennacchi un autore naïf e teoricamente poco consapevole. A partire da una precisa domanda: chi è che qui narra, rivolto a un muto ma ben presente interlocutore, la popolatissima storia dei Peruzzi? Perché la racconta (scrive l’autore: «Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo»; e più avanti: «Ogni altra cosa che ho fatto -bella o brutta che sia l’ho sempre sentita come preparazione e interludio a questa»)? E, raccontandola, che rapporto finisce per intrattenere con la verità di ciò che narra, col suo carico di colpe, rimozioni e reticenze, come ci obbliga a chiederci quell’identità dell’io narrante che, alla fine, ci si svela tale e quale a un vero e risolutivo colpo di scena? Ci sono tutti questi elementi, ma l’eventuale discorso nemmeno lo inizio: sono altre le considerazioni che s’impongono ultimata la lettura di Canale Mussolini.
    Comincerò così: nel tempo dell’assordante silenzio di Dio e della fine delle ideologie, alle ideologie non resta forse che farsi carne e sangue, sudore e sperma, memoria soprattutto genetica. È una verità che in Canale Mussolini Pennacchi assimila sino in fondo, non per niente già autore de Il fasciocomunista (2003), che proprio lì, scommettendo sulla roulette novecentesca del rosso e del nero, si preparava a scrivere questo capitolo importante della storia più popolare e populista, ma anche più vera, di questo Paese. Fatto non da poco: se è vero che, proprio nel momento di massima e rozza semplificazione del dibattito politico e ideologico, alcuni scrittori italiani (Pavolini è un altro) cominciano a fare davvero i conti con quella che ci si ostina a chiamare memoria condivisa, ma che nessuno vuole veramente condividere.
    Ecco: una saga e un’epopea: quella di una famiglia incalzata per più generazioni, fino all’appuntamento col suo destino spesso tragico. Un movimento di popolo e una fiumana («Comunque fu un esodo e come Dio volle»): che conduce i «cispadani polentoni » senza terra ad insidiarsi in un Lazio di autoctoni diffidenti e sospettosi («marocchini marocàssi », di differenti costumanze e eticità, per partecipare, da protagonisti, all’immane bonifica delle paludi pontine. Una storia che aggiorna al nostro passato recente uno dei miti italici delle origini e fondativi: quello che si costruisce, tra galli e latini, etruschi e sabini, volsci e bruzi, su un’idea della convivenza rissosa, della mescolanza di sangue, del fratricidio. Non per caso, gli eroi di Pennacchi si chiamano Pericle e Paride, Adelchi, Temistocle e Iseo, Armida, e così cantando: con toni d’evidente e antica epicità. Una fiumana, si diceva (di qui anche la centralità simbolica di Canale Mussolini ), che travolge e disargina per sempre tornare a fluire, inesorabile alla meta: cui contribuiscono, su un fondo di fango e detriti, mille piccoli rivoli individuali, ed ognuno con la sua sicura destinazione. Un’escatologia integralmente umana, infine, che punta tutto sull’insensato ottimismo biologico della stirpe, per rispondere all’insensatezza euforica della vita individuale e della Storia: scritta dal punto di vista dei morti e di quella polvere dentro cui s’è incenerita, via via, ogni generazione.

    Pubblicato 15 anni fa #
  9. zaphod

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    Fondatore

    Chiudo (per stasera) postando una serie di commenti di lettori iscritti ad Anobii.

    andromaquejepenseavous scrive: "L'antibaricco, l'antifighetta, l'antitesi dello scrittore italiano che è già narcisisticamente scrittore ancor prima di scrivere. Personaggi meravigliosi incarnati nella loro lingua ( e di come l'italiano non possa eludere i dialetti se solo si rincorre una qualche espressività) e penso così a film potenti come Nuovo Mondo o L'uomo che verrà, anche questi antitesi dei filmetti italiani da interno borghesuccio con caffettiere Alessi. Romanzo enciclopedico, romanzo imbrattato di mondo, potente e arruffato come Hugo (che si perdeva in pagine e pagine su Napoleone), ci racconta il nostro paese, politicamente e culturalmente analfabeta, ma balordamente vitale nell'umanità come nella ferocia dei Peruzzi. Qualcuno ha citato i Malavoglia: è ora che me lo rilegga, per liberarlo dalle stigmate scolastiche."

    Jeffesrson airplane: "Signore e signori, giù il cappello!"

    L'isola che non c'è: "storia di gente, voci che ancora echeggiano, genti che hanno costruito qui la loro storia...una storia ancora in divenire.
    Bello!...mi è piaciuto nonostante io pensi che ci sia altro oltre la memoria dei "colonizzatori" in questo Agro Pontino."

    Occhi di velluto: "Questo libro, preso in mano perché attratta da quella figura così scura che si muove in copertina -l’uomo nero? Un brigante? Qualcuno in fuga?- è fatto di moltissime voci. Una sola, in realtà - quella di chi narra e si rivolge direttamente a chi ascoltalegge- capace però di evocarne innumerevoli altre. Le tante di una lunga storia, che affonda le radici nel finire dell’Ottocento e attraversa tutta la prima metà del secolo scorso -la parola si fa vomere e percorre gli annie la Storia avanti e indietro rivoltando lo strato degli avvenimenti, riportandoli alla luce.
    Visi, persone, fatti sembrano uscire da quelle vecchie foto color seppia sbiadito che tutti abbiamo nell’album della memoria e riprendere vita.
    Leggere è stato come tornare indietro nel tempo e ascoltare le storie che si raccontavano ancora, in casa, quando ero bambina e il passato riacquistava forma e colore attorno al camino o attorno alla tavola. La voce di mio padre, dei miei zii, delle zie -ognuno con il proprio tassello, che andava a ricomporre il grande mosaico del passato familiare. E, sempre, la Storia a fianco -una ulteriore protagonista che si inseriva nella vicenda e non poteva mai essere semplice sfondo perché la Storia entra nella vita di tutti i giorni, determina la quotidianità, quel “vivere, lavorare e bestemmiare come se niente fosse, pensando ai fatti propri: i signori, i fittavoli, il terreno, il contratto, la mezzadria, le bestie, il carro, i figli che crescono, quelli che arrivano…”
    Pennacchi quelle storie le ha assemblate in una sola -la storia di una famiglia che è quella di tante famiglie perché i Peruzzi sono tutti noi, in fondo. Sono parte della nostra memoria.
    Lo è il carretto con il cavallo di nonno Peruzzi, le sue partite a briscola all’osteria, le sue discussioni politiche -il partito socialista, i comizi, Treves, Turati, Bissolati e Modigliani che diventano altrettanti figli e quel Rossoni trasformista e agitatore, con cui divide la cella per un mese e l’amicizia per una vita... Anche se la politica è finire quasi sempre dalla parte di quelli che perdono. Anche se la politica è scoprire che una guerra, voluta per la giustizia sociale, per la rivoluzione, per stare meglio tutti, diventa qualcosa di molto diverso quando sono i figli a dover partire, soldati. Anche se, improvvisamente, il nemico non è solo quello che Temistocle -il suo primogenito- ha dovuto fronteggiare a Caporetto, e con lui Pericle, un putìno appena, un tosatèo del ’99, ma un cuor di leone -il leone e la spada dei Peruzzi. Il nemico sta dentro l’osteria, adesso: i rossi socialisti da una parte, i fascisti dall’altra. E la politica, nelle parole fino ad allora, entra nei fatti. Il pagliaio bruciato, le risse, il prete di Comacchio che macchia di nero la coscienza di Pericle, la marcia su Roma -una scampagnata faticosa, durante la quale Adelchi ha tirato una palla di schioppo a una folaga-, gli squadristi… Non più il Mussolini amico di Rossoni che aggiusta l’erpice nell’aia e guarda il sedere a nonna Peruzzi, ma un Mussolini che muove i fili del destino dell’Italia e degli Italiani, siano cispadani polentoni o marochìn maladèti.
    E il destino, per i Peruzzi d’anteguerra, si chiama Quota 90 e diventa una tradotta trainata da due locomotive a vapore -le donne, i vecchi e i bambini ammassati nelle carrozze di seconda o terza classe e gli uomini sui vagoni merci, a tener calmi gli animali- che li porta, loro e altri mille e mille morti di fame, in quella Terra Promessa che sa di miracolo ed è frutto degli escavatori Tosi, di esplosivi e dinamite, di pale, vanghe, picconi. Un Agro Pontino da popolare e seminare.
    Il destino, la Storia, di lì a poco si chiama anche Libia, Spagna, Russia, Abissinia. Una guerra continua -quella tra poveri (“Ognuno guarda al suo interesse, non è colpa di nessuno”), quella della difficile convivenza, dell’integrazione tra i “ladri di poderi” e i “marocchini” e quella che chiama tutti gli uomini dei Peruzzi -chi torna con il petto pieno di medaglie, chi sembrando un vecchio di vent’anni, chi rimane sepolto nella neve, chi si dissolve nella polvere e nel fumo di un’esplosione… La Storia va avanti, comunque. Si asciuga le lacrime, seppellisce i morti, lascia in eredità le colpe e i peccati da espiare. La Storia dimentica, forse. Chi l'ha vissuta no.
    Parte della nostra memoria è anche la polenta di nonna Peruzzi -il sole dorato che illumina la tavola assieme alla sua umanità e alla sua forza-, sia essa in un povero casolare lungo il Po o nel podere 517 lungo il Canale Mussolini -la prima, cucinata nel paiolo nuovo, a inaugurare una nuova vita- e il manto nero che la soffoca in sogno quando la “desgrassia” sta per bussare alla porta di casa. Una donna bellissima, nonna Peruzzi, e dal carattere robusto. La furia e la dolcezza, come tutti i Peruzzi.
    E gli amori, anche.
    Quelli nati da un’occhiata, consumati nei fienili e durati una vita intera… Quelli nati da uno schiaffo dato da un diavolo biondo in camicia da notte e marchiati da un Asasìn urlato con disprezzo… Quelli a cui ci si aggrappa per aggrapparsi alla vita nel vedersi attorno la morte, o nel sentirsela dentro… Quelli che hanno bisogno di un podere per divampare alti… E quelli fatti di pedalate energiche verso la montagna di Cori, verso una marocchina, verso qualcuno che non è più di “noantri”, perché bisogna unirsi se non si vuol perire, bisogna unirsi se si vuole avere il futuro.
    Difficile commentare questo libro, decidere su cosa soffermarsi -i fatti di una vita intera? Di molte vite, anzi? I personaggi, scolpiti in materiali diversi e sbozzati magistralmenet pagina dopo pagina? La lingua -un impasto di dialetto e di sonorità splendide ed evocative? La ricostruzione storica o i dettagli tecnici che, pur dettagliati, non appesantiscono mai la narrazione?
    In fondo, basta dire che questo Canale Mussolini è un libro molto bello. Più di un libro, per quanto mi riguarda. E’ una materia viva, pulsante, vera. Qualcosa -sguardi, sorrisi, pianti, pensieri- di potente che giunge al cuore perché nato dal cuore. Qualcosa per cui -io- sento di dover dire: Grazie per la storia, Antonio! Antonio, perchè lo sento uno di casa, uno zio, un cugino, una voce che riconosco... Una voce che affratella."

    Pubblicato 15 anni fa #
  10. k

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    Grazie. Nient'altro che questo desidera un narratore: essere accolto con gioia come uno di casa, rifocillato per bene e poi a sera essere messo al centro del filò, in stalla, a raccontare a tutti la sua storia. Grazie per averla gradita e - soprattutto - mai dubitato che non fosse vera.

    Pubblicato 15 anni fa #
  11. Woltaired

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    Membro

    orca vacca è che lo so che tra cento pagine ti alzi e te ne vai...

    Pubblicato 15 anni fa #
  12. zanoni

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    Ho imposto a una mia amica la lettura del Canale. Mi ha detto che le ricorda Il cavallo rosso di Eugenio Corti.

    Io non lo conosco, qualcuno l'ha letto? E questo parallelo regge?

    Z

    Pubblicato 14 anni fa #
  13. k

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    No, Zano'. Che io sappia, con Eugenio Corti non dovrei avere un cazzo a che fare.

    Pubblicato 14 anni fa #
  14. zanoni

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    riferiro'...

    Pubblicato 14 anni fa #
  15. zaphod

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    Non tutti apprezzano il Canale...

    Su Europa così ne scrive Angelo Paoluzi:

    Luoghi Comuni di Pennacchi sul Ventennio

    Con 150 pagine di meno poteva essere l’esempio di romanzo revisionista capace di piacere alla cultura di destra che arranca nel cercarsi.
    Così com’è, Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (Mondadori, Milano 2010, 460 pagine, euro 20) racconta, con faticosa lettura e molti luoghi comuni, la saga della gente Peruzzi che, sfrattata dal Veneto attorno agli anni Trenta per una delle tante ingiustizie della legge a favore degli agrari, si ritrova a gestire in un nuovo inizio il post-bonifica delle paludi pontine.
    La storia si dipana lungo mezzo secolo di vita italiana e la famiglia Peruzzi è il filo rosso che tiene insieme le lotte contadine fra ’800 e ’900, la grande guerra, l’ascesa del fascismo, la bonifica, il secondo conflitto mondiale. Pullulante di personaggi, alcuni dei quali con caratterizzazioni convincenti, come Pericle, la nonna, Temistocle, l’Armida, il romanzo (al quale bisogna riconoscere gustose invenzioni lessicali e un sapiente uso degli anacoluti) si regge su una spicciola filosofia che potremmo sintetizzare in una frase ricorrente: ognuno ha le sue ragioni. Tali da giustificare una sorta di cinismo esistenziale per il quale la prepotenza, lo squadrismo, la giustizia fai-da-te convivono con il senso di solidarietà della famiglia, la dura realtà del lavoro, l’esplosione dei sentimenti e delle pulsioni fisiologiche (almeno qui con qualche scarto di passione).
    Mancano soprassalti etici: tutto è suonato sullo stesso ritmo, per il quale si equivalgono l’assassinio del prete (identificabile in don Minzoni), la morte di Matteotti, di Balbo, di Pavolini, di Mussolini, gli incendi e gli assalti delle case del popolo, le uccisioni dei nemici sul Piave, in Abissinia, sui vari fronti della seconda guerra, le furbizie di gerarchi mimetizzati e riemersi (come Rossoni).
    C’è, al fondo, la rivalutazione del fascismo bonificatore, che ha riscattato dalla miseria trentamila abitanti dalle zone depresse del Nord e ha dato loro nuove possibilità in una terra sottratta alle paludi e alla malaria (con qualche vantaggio per i precedenti proprietari di latifondi). La palinodia non fa certo risaltare le blande critiche al resto, la retorica e il volto violento del regime, gli esiti disastrosi della sua politica, le rovine dalle quali fu necessario ricostruire il paese: non ci sono molti riconoscimenti per l’opera, come fosse un atto dovuto, di rinascita postbellica, alla quale anzi viene lanciata qualche frecciata. Questo, in ogni caso, passa il convento dell’attuale narrativa italiana: rassegniamoci, potrebbe addirittura ottenere premi.

    Pubblicato 14 anni fa #
  16. zaphod

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    Fondatore

    Su QN Quotidiano Nazionale (vale a dire Il giorno, Il resto del Carlino e La Nazione) Maria Rita Parsi nella sua rubrica "Fil di cuore" lo recensisce così:

    Agro Pontino. I contadini che fecero l'impresa.

    In un'intervista Antonio Pennacchi dice di essere venuto al mondo per scrivere questo libro. E ciò traspare da ognuna delle 455 pagine di "Canale Mussolini", un'opera per la quale non si fa fatica a profetizzare successo in lettori e qualche importante premio letterario. Il tono è quello, accattivante e senza remore, del filò campagnolo, una tradizione che la stirpe dei Peruzzi recò con sé quando agli inizi degli anni '30, insieme a d altri trentamila contadini della Padania del Nord Est, fu "deportata" nell'Agro Pontino dalla visionaria sfida di Mussolini, deciso a bonificarlo. Ancora oggi la popolazione dell'intera zona costiera della provincia di Latina è costituita da questo mix fra autoctoni (detti dai coloni "marocchini") e "cispadani giunti ad ondate programmate dal regime fascista. La bonifica fu resa possibile grazia alla costruzione del cosiddetto "Canale Mussolini", costato fatica ed innovazione tecnologica, sfida vinta finalmente dopo venti secoli, visto che, per prosciugare quel territorio, ci si erano cimentati tutti, dagli antichi romani ai Papi.
    Pennacchi è un sapiente alchimista, che equilibra una formula narrativa avvincente, dove, fra l'altro, traspare, nei destini della famiglia-quercia dai tanti rami, un antico delitto sacrilego, la familiarità col Duce ed uno dei suoi gerarchi, l'audacia di un blitz a Venezia per intimare al Patriarca l'invio di un sacerdote nei territori pontini sì da dare alla religione un linguaggio familiare.
    Un'enclave fatta di vincoli di sangue e d'elezione, governata dal mito verghiano della "roba"; il suo linguaggio veneto-bastardo diventa familiare anche al lettore "marocchino", grazie alla capacità dell'autore di affascinare con lo spirito della conquista, quasi un Far West di noartri, in cui le città crescevano come funghi in pochi mesi. L'intreccio tra storia e cronaca minuta sono l'atout per arrivare in fondo al libro tutto d'un fiato.

    Pubblicato 14 anni fa #
  17. zanoni

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    Membro

    Sinceramente non capisco la lettura critica di Paoluzi (che e' un vecchio democristiano, vecchio vecchio; magari cattocomunista). Non la capisco non nel senso che non la condivido, ma non riesco assolutamente a coglierne la logica.

    Cioe', il Paoluzi scrive: 'Con 150 pagine di meno poteva essere l’esempio di romanzo revisionista capace di piacere alla cultura di destra che arranca nel cercarsi.' E che vuol dire? Che per piacere alla cultura di destra i romanzi revisionisti non devono essere piu' lunghi di 300 pagine? O che nel Canale ci sono 150 pagine sgradite a questa fantomatica cultura di destra che arranca a cercarsi? E allora perche' il Paoluzi non ci spiega quali sono queste 150 pagine? Boh...

    E poi, che senso ha lamentarsi perche' 'non ci sono molti riconoscimenti per l’opera, come fosse un atto dovuto, di rinascita postbellica'... quando il romanzo temporalmente si chiude a guerra ancora in corso, prima del post(bellico)? Ariboh...

    Ci sarebbe poi una critica piu' complessa da fare alla critica: e cioe', al liquidare l'ognuno ha le sue ragioni 'come spicciola filosofia' e al sostenere che nel romanzo mancano 'soprassalti etici'. Ma evito di complicare le cose. Perche', nei fatti, queste osservazioni del recensore sull'etica mascherano una piu' banale e implicita presa di posizione: cioe', che per il Paoluzi il Canale non e' sufficientemente anti-fascista. I buoni devono essere buonissimi e i cattivi cattivissimi: Paoluzi la pensa ancora cosi'...

    Z

    Pubblicato 14 anni fa #
  18. k

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    Membro

    Va be', Zano', ma è inutile che me lo dici a me. Vaglielo a di' a lui.

    Pubblicato 14 anni fa #
  19. A

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    Ma questa storia del "romanzo revisionista" è del tutto fuori centro, secondo me. Ma poi "cultura di destra", che vuol dire? La cultura è cultura e basta.

    Pubblicato 14 anni fa #
  20. zaphod

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    Fondatore

    Qui c'è un simpatico sito su cui giocare a fare i giurati per lo Strega...

    Pubblicato 14 anni fa #
  21. CANALE MUSSOLINI di ANTONIO PENNACCHI
    di Alberto Bevilacqua
    (Tv Sorrisi e Canzoni di questa settimana)

    Ci sono narrazioni che ci consentono di vivere la nostra vita 'sapendo': eventi fondamentali accaduti prima di noi che non possono essere ignorati. Senza 'Il Gattopardo' ci sfuggirebbe molto dell'anima siciliana. Senza questo testo di Pennacchi inciso, più che scritto, con forte polso stilistico, resterebbero oscuri molti aspetti dell'Italia di oggi. La premessa: sulla terra delle paludi Pontine, bonificata dai progetti ambiziosi di Mussolini, avvenne un esodo: in tre anni 30.000 persone vennero condotte nella zona dal Veneto, Friuli e Ferrarese. Li chiamavano 'Cispadani'. Il canale di Mussolini diede vita a tutto l'Agro Pontino. Pennacchi descrive, con risvolti inediti, le prime mosse di Mussolini verso il potere e, attraverso la descrizione della cispadana saga dei Peruzzi, che cosa fu al suo apice la famiglia 'all'italiana' nella struttura e nel significato. Un libro che s'impone come la narrazione più rilevante di quest'annata.

    Pubblicato 14 anni fa #
  22. Resoconto di Marco Trulli all'iniziativa 'Un'ora con...' al Caffè letterario del Salone del Libro di Torino, dedicata ad Antonio Pennacchi.

    Per chi volesse leggere l'articolo direttamente dal Blog di Marco Trulli

    Altre pillole. Quello che non mi sono perso: Antonio Pennacchi.

    Domenica, giornata splendida,Torino è accerchiata da una corona di montagne innevate.
    Il Salone è affollato, ci arrivo tardino, dopo una passeggiata al Parco del Valentino. Mi ricordo per fortuna che c'è Pennacchi, al caffè letterario. Ci arrivo di corsa, è quasi pieno ma c'è un caos di fondo che spazientisce lo scrittore pontino. Si inizia con Pennacchi che parte deciso:"Quando mi hanno chiesto di venire al Salone, ho pensato subito di invitare a parlare del mio romanzo Marco Revelli. Perchè? Primo perchè è il figlio di nuto Revelli. Secondo perchè ha recensito il mio primo romanzo, Mammut."Revelli comincia parlare del romanzo, della continuità tra tutti i romanzi. Pennacchi annuisce, sbuffa, si vede che vuole parlare. Via. Comincia l'exploit."Scalfari parla di fine della modernità? A casa mia la modernità c'è arrivata nel 1963, quando mia nonna ha cominciato a lavare i panni con la lavatrice. Probabilmente la famiglia degli Scalfari aveva le colf che lavavano i panni. La modernità per me è appena iniziata. I barbari? Si ci sono i barbari. E semo noi! I barbari siamo io, Erri de Luca, siamo noi che ci siamo fatti un mazzo tanto, ci siamo sporcati le mani per arrivare a scrivere. Non mi raccontassero fregnacce! Non è mai negli schemi o nelle righe Pennacchi, è debordante, sanguigno, perchè è stato operaio e in fondo ancora lo è: "Ci credi che io la notte me sogno ancora che me richiamano a lavorà alla FulgorCavi, magari...". Io la conosco la condizione dei lavoratori, e non mi parlate delle morti sul lavoro, le conosco bene le responsabilità, che vi credete che io non le facevo le riparazioni ai macchinari con lo scotch per fare prima? C'è chi c'è rimasto...qua dentro mò (il Lingotto) è tutto bello, ce sò i libri...ma qua dentro la gente ha lottato, ha sudato...c'è pure morta ( si emoziona).Insomma, è inarrestabile nel raccontare l'animo umano, le contraddizioni, la storia e il presente.
    Mi nipote me dice de scrive qualcosa de diverso,il romanzo storico è finito, che palle...fa qualcosa coi mostri, gli alieni...Allora mò sto a provà a scrive na storia de fantascienza, Cronache da un pianeta abbandonato...ma me esce fori la pianta de Littoria! che ce posso fa...
    Sulla storia della bonifica pontina: E' stata un'operazione di grande organizzazione tecnico-produttiva, organizzatissima e non ideologica. nel Lazio non c'erano i mezzadri e siamo arrivati noi, veneti, esperti.
    E noi al momento dello sbarco di Anzio difendevamo quel territorio, i miei parenti erano dalla parte dei tedeschi e della contraerea contro gli aerei alleati.
    Io non lo so se siamo stati comunisti, se siamo stati fascisti, secondo me siamo stati ribelli che abbiamo lottato con tutte le forze per difendere quello che avevamo conquistato.
    Certe cose bisogna dirsele.
    Fino al 1943 l'Italia intera, o perlomeno in gran parte era stata fascista.
    Ancora sulla modernità, rispondendo ad una domanda sul rapporto con il pattume televisivo e a molto altro:
    Io penso che non ci possiamo raccontare le cazzate. Nell'antica Roma mica erano tutti filosofi, nelle sacche dei soldati sono state ritrovate le fabulae milesiae, racconti erotici. Le bancarelle del porto di Brindisi ne erano piene all'epoca di Virgilio. Allora io credo che purtroppo ci dobbiamo sorbire stò Grande Fratello, perchè Gesù Cristo diceva che per far sì che un seme cresca molto ne deve andar disperso. Credo anche che oggi la televisione fa schifo, ma non dimentichiamoci quanta televisione degli inizi era brutta e quanta letteratura dei grandi scrittori non sia di valore.
    In conclusione Pennacchi menziona la necessità di un incontro tra gli scrittori per interrogarsi sul ruolo dello scrittore oggi, sul suo ruolo etico e sociale, sulla necessità di una letteratura pedagogica.
    Comprate e leggete Canale Mussolini, anche se è edizione Mondadori. Pennacchi in relazione a questo dice: E che devo fa, me lo devo ciclostilà? E' l'unico che me lo pubblica, d'altronde te pare logico che l'unico giornale che me pubblica una riga è Il Secolo d'Italia? te pare giusto che Serena Dandini l'altra sera non faceva parlare Antonio Pascale a Parla con Me. Allora se c'avemo sta destra è anche perchè c'avemo sta sinistra!

    Pubblicato 14 anni fa #
  23. k

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    Be', detta così pare proprio che sia andato a Torino con l'accetta. Ma questo - credetemi - non è che il riassunto d'un viterbese, mannaggia a Trulli (che è sempre meglio, com'è noto, averli contro che a favore). In verità sono stato molto più sfumato e ho dette tante cose più complesse e carine, senza peraltro mai alzare la voce o dire una sola parolaccia. Chiedete a Camba e a Melonarpo se non ci credete, che li ho abbracciati e baciati pure loro. Baciavo pure A e BdM un altro po', se stavano là. Me possino cecà.

    Pubblicato 14 anni fa #
  24. cameriere

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    e la dandini è andata.
    su fazio? detto niente?

    in compenso sì sono recuperate
    vecchie carcasse anonime.

    Pubblicato 14 anni fa #
  25. rindindin

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    ahah

    Pubblicato 14 anni fa #
  26. A

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    Get the Video Player

    Pubblicato 14 anni fa #
  27. A

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    Membro

    Questa intervista è stupenda.

    Pubblicato 14 anni fa #
  28. rindindin

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    Membro

    mi mancano solo 20 pagine!

    Pubblicato 14 anni fa #
  29. Bella intervista. Ho avuto la fortuna di assistere in diretta. C'era un pezzo esilarante che è stato tagliato, peccato.

    Pubblicato 14 anni fa #
  30. SCa

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    Peccato, sì, ma già così è uno spasso. Ogni tanto avrei voluto vedere anche la faccia dell'intervistatore.

    Però mi chiedo: se uno mi blocca con la macchina in seconda fila e poi mi dice che non è colpa sua ma dell'8 settembre, lo posso manda' a quel paese in Tanganika?

    Pubblicato 14 anni fa #

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