Antonio Pennacchi - Quel coso è un fascio.
Categoria: Interpretazioni
Postato da: zaphod
Pubblichiamo un intervento in due parti (la prima - per gentile concessione di Blumagazine che ringraziamo - è stata già ripresa da alcuni quotidiani, la seconda scaturisce da una discussione del nostro forum) di Antonio Pennacchi su architettura, arte, soprintendenze e beni culturali.
1 - Latina, il liberty, gli architetti e le soprintendenze.
C’era una volta in corso della Repubblica – a neanche cento metri da piazza del Popolo, in pienissimo centro – una palazzina di tre piani più negozi dove una volta c’era il Bar del Corso. Costruita negli anni Cinquanta era catalogabile – secondo i più avveduti canoni storiografici – come “edificio di fondazione”. Il suo prospetto era in pulito stile moderno-razionalista, fatto solo di linee dritte ed angoli retti. Non c’era una curva, un ghirigoro, una decorazione. Una città che si sciacqua tutti i giorni la bocca con l’architettura del Novecento e la retorica delle città di fondazione, avrebbe dovuto tutelarlo. E tutelarsi essa stessa, tutelando esso edificio. Non è che ci voglia l’Unesco per capirlo.
Adesso invece lo hanno restaurato, ma gli è venuta la balzana idea non solo di giocare coi colori, ma anche di disegnare a rilievo, sugli intonaci, degli archi finti e dei cerchietti postmoderni. Sui balconi invece hanno tolto le ringhiere che c’erano prima – non gli piacevano più, così dritte e lineari – e ci hanno messo dei ringhieroni in ferro battuto, tutti pieni di ghirigori floreali. Quella che era una dignitosissima palazzina “razionalista” si è quindi trasformata di bel botto in una caricatura “liberty”. Questa è inequivocabilmente, difatti, la fantasilandica impronta che ha assunto tutto l’insieme: se guardi il tirabasso (cioè quella specie di tettoietta che protegge il portoncino d’ingresso sul passo carraio della biblioteca comunale) ti pare proprio di stare al quartiere Prati a Roma o meglio ancora al Coppedè. Manco a Gardaland.
Dice: “Ma alla gente gli piace: passano, guardano e so’ tutti contenti, e dev’essere contento pure il padrone”. Ah, non discuto: siamo tutti immigrati o figli di immigrati a Latina, i nostri padri zappavano la terra, mica siamo obbligati a sapere tutti quanti di arte e architettura. Perché si formi una consapevolezza estetica evoluta occorrono generazioni, chi dice di no? Ci vorrebbe quella che si chiama “educazione di massa all’immagine”. Ma ci sarà pure per l’intanto qualche straccio d’architetto nei consigli, nelle giunte o negli uffici comunali, capace di capire e di spiegare al progettista e al proprietario che il liberty è uno stile che – come il quartiere Prati a Roma o il Coppedè – nasce alla fine dell’Ottocento (Belle Époque), e che quando viene fondata Latina-Littoria nel 1932 era già bello che morto da un pezzo?
A Latina il liberty non c’è mai stato. Mettercelo adesso è un monstrum, perché lui nasce prima di Latina-Littoria, prima del razionalismo, del futurismo, del modernismo e di tutte queste cose qua, che sono nate apposta per “superare” lui. E tu ce lo rimetti mo’? Posticcio?
Dice: “Ma a me il liberty mi piace, mi pare bello”. Compa’, il liberty è bello se sta nel liberty – ogni cosa nel suo posto – a Prati, a Parigi, a Crespi d’Adda. Pure un bidè difatti è bello, se sta in bagno. Se sta in salotto fa schifo. Vattelo a fa’ a Prati il liberty, non in piazza a Latina, che diventa un insulto a Latina-Littoria. Dice: “Ma gli americani allora a Miami Beach?”. E va’ a Miami Beach pure tu, che me ne frega a me? Qua è come se tu – a piazza del Campo a Siena – ti mettessi a rifare i palazzi a forma di tempio greco o piramide egizia. Ma può mai essere che non ci sia in tutta Latina una sottomisura d’architetto che lo spieghi al sindaco Zaccheo?
NOTA A MARGINE
La perla dell’anno però – il primo premio in assoluto per l’Intelligenza Massima di tutta la Città – va a colui che deve avere dato l’autorizzazione ad installare quel cazzabubu di ferro con la lancia in cima, sotto il portico dell’Intendenza di Finanza. Quello è un “portico” mannaggia la miseria, e “portico” significa che è un luogo di passaggio, deve essere libero per passare, la sua funzione è quella. Sennò non si chiamava “portico” ma “cazzabubaro”. Frezzotti lo ha fatto così ed è così che è un “monumento”. Se ci voleva mettere un cazzabubu, ce lo metteva lui. Dice: “Ma me l’hanno regalato”. Ah, sì? E il giorno che ti regalano una merda che fai? Mi metti pure la merda in piazza? Ma ficcatevela in quel posto quella lancia, va’, che è meglio.
(Sabato, 20 giugno 2009)
2 - Quel coso è un fascio
In tutti i paesi dei Monti Lepini - ma pure in tutti i paesi e città del mondo, da qualche secolo a questa parte - non capita mai che uno si svegli la mattina e, basta che si metta d’accordo con uno o due amministratori, metta una qualunque sua opera, come monumento, in un luogo pubblico della città. Prima c’è discussione, si riuniscono i comitati, la gente ci pensa e ci ripensa, guarda i vari modelli, i disegni, le opportunità e alla fine decide: “Vogliamo rappresentare questa cosa o quell’altra, chiamiamo quell’artista o invece quest’altro”. Solo a Latina no. A Latina - se trovi l’assessore o il sindaco giusto - tu ti puoi pure permettere di presentarti una mattina in Piazza del Popolo con un bidè, e di murarlo lì sulla pubblica piazza: “Questo è un monumento, io so’ un artista e questo è il mio dono alla città”. E il sindaco e gli assessori ti battono pure le mani.
Mo’ lasciamo stare che quel cazzabubu di ferro che hanno messo sotto il portico dell’Intendenza di Finanza, deturpa il portico stesso. Quello era un portico appunto - fatto per passare - e non un cazzabubaro, sennò un cazzabubu ce lo metteva subito Frezzotti. Qualcuno però dice: “Sì vabbe’, sarà pure un cazzabubu, ma si può sapere anche cosa vuole rappresentare? Che minchia è, cioè, quel coso?”.
Ecco, quel coso è un fascio: esattamente un fascio di verghe. Nell’antica Roma veniva chiamato ‘fascio littorio’ quell’armamentario che i littori si portavano sempre appresso quando erano di scorta ai consoli, come il manganello e la pistola i poliziotti adesso. Questo ‘fascio’ non era che un fascio di verghe, legate ben strette l’una all’altra con delle fasce, al cui interno c’era un’arma da taglio, ossia una scure. A seconda della pena che ti veniva comminata, quelli scioglievano il fascio e ti battevano - se la pena era lieve - con una verga sola, e sennò con tutto il fascio fino ad ammazzarti, oppure ti tagliavano con la scure la capoccia.
Il fascio littorio assunto poi come simbolo dal fascismo, si rifà esattamente a quello dei romani, con l’unica differenza che durante la fase di coabitazione con la monarchia - 1922-1943 - la scure fa capolino da un fianco del fascio stesso. Durante la Rsi invece - il fascismo ultimo e ‘repubblicano’ del 1943-45 - il fascio littorio ritorna proprio ad essere quello dei romani: un fascio di verghe che ha all’interno un’arma, la scure, che fuoriesce in alto.
Nella sua sostanza fattuale - se si guarda bene - quel cazzabubu nuovo che sta sulla Piazza del popolo, sotto il portico dell’Intendenza di Finanza, non è altro, anch’esso, che un fascio di verghe con un’arma in mezzo - una lancia questa volta, forse per mimetizzarlo un po’ - che fuoriesce in alto. Certo non si mostra nell’identica postura del fascio-doc d’epoca fascista, che era bello solido e compatto, stretto tra le sue fasce. Il cazzabubu rappresenta difatti un fascio che qualcuno ha tentato - non riuscendovi - di sciogliere, tanto che s’è un po’ slargato sia alla base che in cima ed alcune verghe, lassù in alto, risultano perfino stravolte e contorte. Però è ancora ben stretto forte al centro, dove il circolo delle fasce ha finito per concentrarsi, ergo: “Tu hai provato a sciogliermi ma io resto qua: ‘clessidra astrale’ al centro del tempo e dello spazio, punto d’origine d’ogni orientamento presente e futuro tra Nord, Est, Ovest e Sud”.
Questo cazzabubu inoltre è direttamente collimato con la cosiddetta ‘Torre Pontina’, ossia il grattacielo attualmente in costruzione - e il più alto d’Italia - che era però già stato previsto nelle sue precise dimensioni e localizzazione dal nuovo Piano regolatore Piccinato del 1974. Per quanto mi riguarda non avrei niente contro i grattacieli e non avrei avuto niente neanche contro questo, se lo avessero fatto da un’altra parte. Ma messo lì, nella prosecuzione diretta dell’asse stradale che da Piazza del Tribunale va a Piazza del Quadrato - cioè il cardo maximus della primitiva Littoria - esso grattacielo viene a costitutire con la sua mole un ‘fuori scala’ di assoluta bruttezza su tutto il cannocchiale prospettico che parte dal Tribunale. Esso cioè - pressappoco come il serbatoio dell’acqua costruito in sostituzione del vecchio serbatoio ‘Frezzotti’ dietro il campo sportivo negli anni ‘80, con il medesimo scopo - ‘incombe’ sulla città vecchia costituendone di fatto un’obliterazione, come se i progettisti della ‘nuova Latina’ avessero voluto dire appunto alla Latina-vecchia: “Tu non conti più un cazzo”.
Questo fascio però - cioè il cazzabubu sotto il portico dell’Intendenza di Finanza - tenta a suo modo di ribaltare di nuovo la semiotica e l’ideologia urbana della città. Esso cioè, con la sua lancia, si pone come matrice ed interfaccia dell’asse che da Piazza del Popolo - passando per Piazza del Quadrato - arriva alla Torre Pontina, nuovo totem fallico di tutta Latina e dell’intera piana. E’ chiaro come il cazzabubu, oltre all’ingiuria estetica e alla grave prepotenza degli errori di grammatica - essendo il Tribunale la vera matrice dell’asse - commetta anche gravissime prepotenze artistico-architettoniche nei confronti del portico dell’Intendenza e del suo autore Oriolo Frezzotti. Nessuno può sapere - e nemmeno tutto sommato ci interessa, al di là dei fatti estetici - quali siano gli eventuali livelli di consapevolezza di autori, committenti, facitori eccetera. Spesso, a questo mondo, la gente fa anche delle cose senza rendersene bene conto. Per quanto mi riguarda - e ripeto ancora più per motivi estetici, perché fa schifo al portico, che per motivi ideologici - la città, se le piace, quella lancia se la può anche mettere in quel posto. Sta però sta alla coscienza dei cittadini valutare se questo cazzabubu sia in linea o meno, al di là dell’estetica, con i valori fondanti e condivisi di questa repubblica democratica e della sua Costituzione. Esso difatti - nuovo monumentum perenne, secondo lui - con quella punta che emerge da alcune verghe contorte, non fa che riaffermare ogni minuto alla Torre Pontina e alla città di cui essa torre oramai è totem: “M’avete voluto ammazza’ ma non ci siete riusciti: tutto da me nasce e proviene - dal fascio! - pure la Torre, per ora e per sempre”.
(9 luglio 2009)
luglio 18th, 2009 at 11:41
La laurea (dal latino laurus, alloro, simbolo della dignità dottorale assegnata ai più grandi poeti del passato) è un titolo accademico italiano rilasciato da un’università o istituto universitario al termine di un ciclo che può variare di durata (v. Wikipedia), senza il quale (Esame di Stato a parte) non si esercita la professione.
Ora, se, come dice Pennacchi, ci sono in giro tutti questi architetti che non capiscono nulla (per farla breve e non usare il turpiloquio a cui ci ha abituati il Nostro), figuriamoci quanto può essere preso in considerazione quello che lui racconta , che una laurea in Architettura non ce l’ha.
Caro Pennacchi, fai per 5 anni il pendolare sui treni verso e da l’Università, paga la tassa d’iscrizione, l’abbonamento, i biglietti della metro, compra i libri, studia, vai a fare gli esami e poi parliamo. Il sistema universitario è fondato sul sistema degli esami. Tu studi e qualcuno ti valuta.
E se tu non sai, come non sai, l’equazione dei tre momenti o il metodo topografico Cuconati, puoi parlare quanto vuoi ma non sei credibile.
(Vox asini grata est asinis)
luglio 18th, 2009 at 17:32
Ma uno psichiatra per Antonio Pennacchi no?
È vero ha ragione Antonio Pennacchi, questa nostra città, avrebbe bisogno di tante competenze, professionalità, sensibilità… e dopo l’articolo in forma “oceanica” (due pagine affiancate su Blumagazine) e il suo turpiloquio contro chiunque “tocca” il Centro storico di Littoria vengono fuori le sue follie e maniacalità, qualche volta anche sensate, e raccolte sulle pagine di ogni rivista o quotidiano online disponibile. Sfoghi, i suoi, idee in libertà su un tessuto sociale ed urbanistico che spetterebbero, come lui ben dice, a professionisti competenti e stavolta è il caso dell’installazione di arte contemporanea (scultura per usare un termine noto a tutti) dell’artista Roberto Andreatini che viene approfonditamente e tecnicamente apostrofata come un “cazzabubo”. Insomma il critico d’arte contemporanea nonché urbanista, e architetto perché no ad honoris causa… Mr. Pennacchi, non si risparmia nemmeno questa. Il portico di Frezzotti - secondo lui – sarebbe stato devastato da un’istallazione dell’artista, nonché professore e vicepreside del Liceo Artistico Statale, Roberto Andreatini, che non aveva altri pensieri ed opportunità che di “lasciare” un’opera d’arte a questa città che “d’arte non ha parte”. E pensare che l’autorizzazione, nonché l’idea è di un Architetto, anche Assessore alla Qualità Urbana (o Quantità??) che stavolta devo anche difendere… Eh sì a Fabio D’Achille, collega pubblicitario dell’Arch. Guercio, e appassionato di arte contemporanea “tocca” consigliare ad Antonio Pennacchi di consultare un buono psichiatra. Non se ne può più dei suoi “vaffanculo” gratis e delle sue scenate apocalittiche ogni volta che in questa città si tenta di modificare o aggiungere qualcosa a quanto rimane del Centro Storico Latina-Littoria che piace forse solo a lui. Ma perché accanirsi a sputar sentenze su ogni cosa si faccia di nuovo e forse utile? (almeno negli intenti?!); e perché se in un portico ci mettono una scultura si impedirebbe il transito? Centinaia di persone forse lo affollano ogni giorno? Se così fosse ora torneranno a goderselo quel portico perché c’è finalmente qualcosa con cui rapportarsi che non siano solo forme o spazi. E quindi sotto l’Intendenza di Finanza c’è un’opera d’arte contemporanea, c’è la “Clessidra astrale“ di Roberto Andreatini che generosamente lascia alla Città non senza fatica e con notevoli costi personali, un’opera, un lavoro impegnativo, un’idea su cui ragionare, per uscire dalle linee razional-fasciste e per uscire da questo tormentoso psicodramma del fascio-comunista Pennacchi! Però il letterato ha un merito che bisogna necessariamente riconoscergli, sa come far parlare di sé e di qualcosa che nessuno ha scosso o notato. Alla fine lo ringrazio del contributo - inconsapevole - dato ad un dibattito mai iniziato su come l’arte contemporanea possa, anche in questa città, essere uno strumento di liberazione per qualcuno e, nel caso-Pennacchi, un’oppressione da superare al più presto… gli auguriamo! Fabio D’Achille
luglio 20th, 2009 at 17:26
Da quando è uscito l’articolo di Pennacchi il dibattito sull’opera di Roberto Andreatini su internet è esploso. In particolare su Facebook. Questa risposta l’ho data in quella sede e la ripropongo qui a beneficio degli utenti del sito Anonimo che non hanno tempo e possibilità di andare a scartabellare nei meandri di tutti i social network esistenti:
Partiamo dalla considerazione che la scultura di Andreatini sta acquistando “senso” adesso, cioè “dopo” l’intervento di Antonio Pennacchi sulle riviste e i quotidiani della nostra città (oltre che sullo spazio anonimo, ovviamente). prima di quell’intervento era uno di quegli interventi “senza senso” (attenzione alla valenza di questa affermazione) che così spesso la nostra amministrazione compie arbitrariamente. “La citta è loro, degli amministratori,” pensa la gente,”e ci fanno quello che gli pare.” Beh, l’Anonima non la pensa così, e nemmeno Pennacchi, e non dovrebbe pensarla così nemmeno qualcuno dei frequentatori di questo dibattito. Pennacchi fa una considerazione elementare: il fatto che te l’abbiano regalata non ne giustifica un uso scriteriato.
Lo stesso D’achille dice che lo avrebbe preferito in un’altra parte. Io ci sono passato, non mi è dispiaciuta l’opera, ho letto il nome - evocativo, ‘La clessidra astrale’ - e ho visto sta freccia che indicava verso l’alto. Uno pensa le stelle. Invece no. Il soffitto del portico dell’Intendenza. Poi dimmi tu se non è messo a cavolo. Allora mettilo al posto della palla della fontana, no? Lì sì che ha un senso. E modifichi il centro storico in maniera significativa. Messo così è come quando ti regalano un orrendo candelabro per il tuo matrimonio. Lo metti nell’angolo più oscuro del salotto e quando viene la zia che te l’ha donato glielo fai vedere con orgoglio: “Hai visto, l’ho messo in salotto.”
E questo è per le questioni di merito.
Adesso veniamo agli attacchi gratuiti. Perché si dà il caso che Antonio Pennacchi è amico mio, e - oltre che amico - ne sono in questo caso, in certo qual modo anche “editore”.
Tralasciando il dubbio gusto dell’affermazione sugli psichiatri, che - se non conoscessi l’autore - denoterebbe scarsa sensibilità nei confronti della disabilità mentale, trovo per lo meno superficiale il vantarsi di non essere riuscito a leggere un libro dell’autore in questione. Io pure mi sono fermato a pagina 52 dell’Ulisse di Joyce, ma mica mi salta in testa di dire che quello è un ciarlatano che non sa usare la punteggiatura. Pennacchi potrà pure non piacere, ma è stato tradotto in francese, inglese e tedesco, Il fasciocomunista è adottato nelle scuole, ed è considerato - mica solo da me - uno dei più grandi scrittori italiani viventi.
A chi gli contesta di non avere una laurea in architettura si può obiettare che ha scritto un libro di Storia dell’architettura “Fascio e martello”pubblicato da Laterza e che è stato chiamato a tenere lezioni e seminari nelle facoltà di architettura di tutta Italia.
Come curriculum credo possa bastare per essere legittimato a intavolare una discussione. Non avrei neanche dovuto stare qui a specificarlo, ma sembra che non tutti sappiano - o si rendano conto - di chi è Pennacchi.
luglio 21st, 2009 at 17:48
Per rispondere al Normalizzatore e cercare di collocare il giusto richiamo che ha fatto all’inizio del suo intervento.
La laurea - è corretta l’etimologia indicata - nasce dal riconoscimento che veniva fatto al poeta, ancora nel 1300 considerando il caso di Petrarca, l’unico delle Tre Corone (Alighieri, Petrarca e Boccaccio) ad avere avuto l’onoreficenza. E l’alloro non viene chiamato in causa per qualche misteriosa qualità curativa o per il fosforo contenuto nelle sue foglie. Si parla di laurus, proprio perché simboleggia l’eccellenza, sin dall’antica Roma. Attraverso una corona, di alloro appunto, sul capo. Si tratta di un’operazione talmente importante che il riconoscimento viene dato anche post mortem, a Dante per esempio. E per verificare basti considerare la specifica iconografia.
La laurea moderna ha poco a che vedere con l’antica tradizione, se non per la comune etimologia. Differenti le modalità, differente anche il significato. Moltissimi secoli fa veniva data l’onoreficenza al più alto dei poeti, non a tutti - che laureati nel senso moderno non potevano essere -. Oggi viene certificata la frequenza, con successo, di un corso universitario. Punto.
Dice: “Esempio da buttare?”. No, assolutamente. Anzi, esempio iniziale calzante. Perché mi sembra che Pennacchi delle onoreficenze e dei riconoscimenti li abbia avuti. Non la corona di alloro, non la laurea - quella ce l’ha in lettere - ma comunque importanti riconoscimenti, forse molti più di tanti architetti ‘laureati’, con tanto di abbonamenti al treno da sventolare. Le aule di architettura le frequenta, ma non dal banco dei discenti. A Valle Giulia, così come al Politecnico di Bari e anche all’Università di Matera, lo scrittore è andato ad insegnare. A Ottobre, tanto per fare un esempio, sarà tra i relatori ad un convegno sulle città di Fondazione organizzato dall’IUAV di Venezia.
luglio 24th, 2009 at 19:57
Insisto nel dire che la clessidra è “a strale” cioè con una freccia
e mi piace dire che l’Autore ha sicuramente pensato che l’etimo è “ladra d’acqua”,
così almeno mi sembra un tantino più ironico questo Suo regalo, fatto da Berardi, alla città de la palude.
Ma resta il fatto che l’oggetto è fuori luogo.
A volte il contesto vale moltissimo, pensate al famoso orinatoio diventato epifania plastica, se si sbaglia il contesto la reazione estetica può avvenire a rovescio e l’opera diventa un cesso.
Quella cosa di Andreatini, che non acquista alcun valore aggiunto dall’essere l’Autore un dipendente pubblico protempore vicepreside del liceo artistico locale, non sta nel posto giusto.
E non credo per volere di Andreatini.
E’ stata collocata proprio dove non doveva essere: su un asse prospettico.
Non che io ne sia fautore, ma “cecarlo” è troppo facile.
Avrei preferito, e l’Autore credo pure, una soluzione più “dialogica” a questo accumulo sull’asse, che l’asse, per sua essenza limite vuoto, quasi inesistente, deve restare tale perchè è luogo di una particolare percezione spaziale, la prospettiva.
L’asse non è mica uno spiedo su cui infilzare cose, d’arte o meno.
L’opera poteva benissimo stare benissimo in un angolo della piazza, magari di fronte al Circolo, all’aperto, esposta alle intemperie a puntare le nuvole o le stelle, o il sole, invece no, sta monumento, definitiva, coperta, a riempire il centro di un portico.
Però la si può sempre spostare.
luglio 30th, 2009 at 11:10
Torquemada, fammi il piacere.
Il Pennacchi è solo un coatto, volgare e arrogante.
Se io dovessi portare le mie figlie a sentire uno dei suoi sproloqui, le doterei di tappi per le orecchie.
E cmq stiamo perdendo il nostro tempo a parlare di un coso talmente cafone…
Torq, una curiosità. Tu sei laureato?
E se sì, pensi che la tua laurea sia solo un’attestato alla frequenza?
O per usare lo stile linguistico del nostro Pennacchi, ti sei fatto un culo così per averla?
Se invece non cel’hai, non potrai mai capire.
agosto 8th, 2009 at 14:03
Vede, Normalizzatore, io ancora mi sto facendo un culo così per prenderla. Per cui la capisco perfettamente, pur non essendo (ancora per poco) laureato.
Lei, però, faceva riferimento, nel suo precedente intervento, all’alloro - il laurum, appunto - di antichissima memoria e, visto che l’esame sul Petrarca, unico poeta laureato delle Tre Corone della letteratura italiana, l’ho dato qualche tempo fa, passandolo con ottimi voti, volevo farle capire la differenza che, magari, studiando architettura, mi pare di aver capito, non ha avuto modo di approfondire.
Inutile perder tempo. Ha ragione. Lei non vuole discutere, vuole semplicemente accusare. E il gioco, in questo caso, è bello quando dura poco, pochissimo.
Normalizzatore o Normalizzatrice che sia, continui a pensare ai viaggi randagi o a quello che vuole. Siamo in un Paese libero e ognuno fa quel che gli pare. Lei, noi e Pennacchi.
Noi ci teniamo molto volentieri Pennacchi.
settembre 8th, 2009 at 12:55
Pur conoscendo non benissimo Latina mi pare di poter dire che le osservazioni del “non architetto” Pennacchi, in merito alla vicenda della scultura di Andreatini, siano quantomeno sensate. E lo dico da architetto. Sono però le conclusioni che trae da queste osservazioni che paiono deboli; quando dice: “Sta però sta alla coscienza dei cittadini valutare se questo cazzabubu sia in linea o meno, al di là dell’estetica, con i valori fondanti e condivisi di questa repubblica democratica e della sua Costituzione” appare ingenuamente lontano dalla realtà, che, a mio modesto (e tragico) parere è un’altra: i cittadini, di Latina ma più in generale dell’Italia intera, non sono più (o forse non lo sono mai stati) in linea con i valori fondanti di questa repubblica democratica e della sua Costituzione, dei quali mi pare non condividano più (o forse non hanno mai condiviso) il senso e il significato.